Ohi,
dico a te!
Come
butta?
Sbavatura
in arrivo ;) have fun!
«
Ed ecco qui, moscerino, queste sono le carte che devi compilare per
ricevere la patente che ti ha ordinato il Grande Freezer, anche se
con quelle zampe che ti ritrovi, dubito tu sappia afferrare una
penna. Firma qui, qui e qui »
Seduto
ad una scrivania gialla e ammuffita da anni, lo strano alieno
mutaforma, che al momento aveva assunto le sembianze di una
segretaria poco paziente e molto isterica, gli aveva sparato in
faccia la moltiplicazione di moduli e verbali da compilare e da
presentare al più presto alla Motorizzazione Spaziale.
Accovacciato
dall'altro lato dell'ambone, sedeva, invece, di un'altezza di un
metro e un tappo di sughero, un piccolo Saiyan, poco più che
sedicenne; il piccoletto aveva un aspetto trascurato, dal nasino in
su pieno di lentiggini e con due occhiaie fuori posto sotto gli occhi
neri. Non appena riuscì a staccarsi i fogli dalla faccia,
fissò la
segretaria in modo apatico, firmò, masticò un
grugnito di
ringraziamento tra i denti appena raddrizzati dall'apparecchio, e si
avviò all'uscita.
Avanzò
lento, strisciando gli stivaletti All Stars, collezione
inverno – zero assoluto (anno 748)i
sui pannelli metallizzati con il passo sostenuto di uno zombie, la
bocca rimuginante una fastidiosa chewing gum al sapor di cadavere e
un paio di ciuffi ribelli che gli facevano da tergicristallo davanti
agli occhi. La divisa griffata con le frange dorate di The
North
Starii
e i pantaloni della tuta adadashiii
portati, ovviamente, a cavallo basso, lo incorniciavano come
un
adolescente in piena regola, sbruffoncello, brufoloso, antipatico,
fissato con i selfie e con la voglia di vivere
sotto i tacchi
consumati degli stivaletti firmati.
Arrivato
all’uscita, appiccicò la gomma da masticare nelle
lamiere della
porta automatica, regalandole, per la gioia di tutti coloro che ci
passavano, quel meraviglioso rumore di striscio ogni volta che si
apriva e si chiudeva, e picchiettò, impaziente, il piede su
una
lattina a terra, che finì a far compagnia alla polvere
cosmica
dell'astrostrada.
Fuori
dalla Motorizzazione, molte navicelle sfrecciavano ininterrottamente
sulla piccola meteora vagante dello Spazioporto, punto di arrivo per
molti mercanti e mercenari intergalattici che dovevano sbrigare
qualche affare o qualche impiccio burocratico, per poi scappare prima
dell’arrivo della polizia sui loro galeoni giganti, i mostri
dello
spazio per la loro grandezza e la loro capienza, capaci di frugare
milioni e milioni di ricchezze di dieci o più pianeti, e
svanire
nello spazio aperto come un lampo.
Il
piccoletto, per estraniarsi dall'assordante rumore dello Spazioporto
e dal confuciare confuso di milioni di razze aliene, ma schizzate
quanto lui, si ficcò lo scouter all'orecchio e
selezionò la sua
playlist preferita, sparandola a tutto volume nella ricevitrice e si
avviò alla sua monoposto, per puntare dritto a casa, prima
di venir
mangiato dal caos interspaziale delle Meteore Occidentali.
Nell’aggrovigliarsi
dei cunicoli e stradicciole affollate da mercanti, solo un po' di
sano space trap
gli avrebbe rallegrato la
giornata che, anche quel giorno, nel quadrante est
dell’Universo,
purtroppo era iniziata. Grugnì di fastidio quando si
trovò
spiaccicato dalla calca sotto l’ascella puzzolente di un
Glabnork e
pensò che, ultimamente, anche il solo fatto di svegliarsi e
alzarsi
dalla branda fosse una tragedia, figurarsi farsi anni luce in giro
per l'universo per firmare quattro documenti. Evitò di farsi
stirare
da alcune navicelle che rispettavano i limiti di velocità
con
l’elasticità di riflessi di - probabilmente -
Nappa dopo la
settima birra, e individuò il suo buco di astronave, per
poter
lasciare finalmente la trafficata meteora.iv
Nel
ronzio dell'astronave, lesse con un labbro arricciato i suoi fogli ed
espresse la sua voglia di vivere saggiando la robustezza del vetro
dell’oblo più volte con la faccia, nella vana
speranza di
esplodere nello spazio; quello stronzo di Freezer voleva prendesse la
patente speciale per le astronavi, la patente di nuova generazione
che tutti quelli della sua, di generazione, avrebbero dovuto fare.
Scosse la testa e sputò un insulto, ma che in zero
gravità gli finì
dritto in faccia rovinandogli la frangia.
Come
se lui non fosse già pro e in in queste
cose... quel vecchio
bastardo di Freezer era proprio out e avrebbe fatto
meglio a
ripigliarsi e a spararsi qualche pera in meno, se pensava che lui, il
grande Principe dei Saiyan, non sapesse già sgommare e
sfrecciare
alla grande con la sua navicella. Gli avrebbe mandato tipo un DM
su Instaspacev
per sparargli in rima la sua versione della storia, e questo, sicuro,
lo triggherava una cifra, ma prima si sarebbe tipo sparato al Mc
i suoi Burger Space preferiti.vi
Sospeso,
quindi, dalle missioni per la "questione patente", andò,
accompagnato dal più sentito affetto da parte delle
popolazioni
dello spazio - che poterono vivere qualche giorno in più - a
fare le
visite mediche, in cui risultò sano come un pesce
– un pesce cane,
che aveva quasi azzannato la mano del medico; –
sbrigò le carte
in giro per gli uffici e, puntualmente, non si dimenticò di
appiccicare altre gomme da masticare ad ogni porta scorrevole che
trovava, dando non poco filo da torcere ai poveri addetti alle
pulizie, ma dando loro, sicuramente, un altro buon motivo per odiare
la vita.
Finalmente,
dopo tante cartoline da parte delle popolazioni dello spazio, in cui
si raccomandavano di concentrarsi bene sulla patente, di andare con
calma e di non avere assoluta fretta di tornare, che loro se la
sarebbero cavata alla grande anche senza di lui, venne il giorno
della teoria. Aveva studiato con concentrazione, forse
perché era
stato sommerso da così tante cartoline di auguri, che non
era potuto
uscire dalla suo buco di stanza per giorni, ma era pronto per il
momento tanto atteso della prova. Con la sua solita allegria
contagiosa, quella dei suoi giorni migliori in grado di far appassire
una piantina con uno sguardo, quella mattina aveva varcato la soglia
dell'aula d'esame e, alla sua postazione in terza fila, settimo
posto, aveva risposto celermente a tutte le domande sullo schermo.
Forse per la fortuna che in quel momento era in vacanza in quel
settore dell'universo, o forse perché la sua faccia
strusciata con
disperazione sulla tastiera aveva inspiegabilmente azzeccato tutte le
risposte corrette, si trovò a fine mattinata con il foglio
rosa in
mano ed ebbe, per quella sera, il diritto di ubriacarsi nei peggio
bar della stazione spaziale.
La
serata finì inevitabilmente
una
merda, così come era iniziata:
forse
perché nel delirio dell'alcool Nappa aveva iniziato a
fantasticare
su Freezer nudo, facendogli
vomitare
l'anima, sia per la schifezza che gli avevano fatto ingurgitare,
sia per il pensiero del suo superiore nudo come mamma l'aveva
fatto. Nel tornare a casa si era in ogni caso vendicato, riuscendo a
strappare le poche ciocche di capelli che Nappa si ritrovava in
testa, e a metterseli come barba, urlando a tutta la stazione
spaziale
di essere il Re dei Saiyan e che nessuno avrebbe dovuto avvicinarsi,
se non voleva ritrovarsi
il culo a stelle e strisce. Lo
misero a dormire con un sedativo sparato su per il naso.
E,
infine, giunse anche il giorno della prova pratica. Sebbene
gli zii Radish e Nappa - o forse era solo Nappa lo zio e Radish era
il cugino alla lontana? Ma,
la domanda era,
chi
diamine
era Radish? Chi
lo conosceva?
E
perché cacchio viveva con loro?
Forse era il loro animaletto domestico?
-
avessero insistito per accompagnarlo alla Motorizzazione Spaziale in
navicella, alla fine era andato da solo al suo esame per la patente -
forse perché all'ultimo si erano resi conto che in tre
difficilmente
sarebbero
riusciti ad
entrare
in una navicella monoposto - e il
piccolo principe, alla fine, aveva
preferito così, vista l'agitazione che quella mattina aveva
iniziato
a mangiucchiargli lo stomaco.
Così,
accompagnato
dall'esaminatore, un grasso, grosso,
brutto, gelatinoso e verde
alieno,
salì
sulla
navicella dell'esame
e
partì per
lo spazio
aperto.
Intanto,
nell'emisfero boreale di un piccolo pianeta immerso nel blu della
notte era passata da mo' la mezzanotte e Joe il contadino, che anche
quel giorno aveva sistemato il suo campo con vigore, dormiva avvolto
nelle fresche lenzuola di lino; fluttuando tra dei morbidi sogni,
sorrise al pensiero della bella figlia del vicino, Susanna, che
più
volte, ci poteva giurare, quando suo padre non la vedeva, gli
sorrideva con quel suo bel sorriso da cavallo e lui tante volte si
era trovato imbambolato ed estasiato a fissare e ricambiare il suo
sorriso dentuto. Quando gli sorrideva, ogni cosa che stava facendo
gli passava per la testa e tutto si concentrava sul suo dolce viso da
giumenta purosangue.
La
prima volta, era finito nel fiume con il trattore perché si
era
intontito a guardarla mentre stava arando il campo; la seconda volta
si era rasato la faccia con il tagliaerba; la terza si era dato la
zappa sul piede nel fissare il suo sguardo angelico; la quarta era
rimasto colpito da un fulmine, mentre in mezzo al temporale si era
messo a sistemare l'antenna parabolica, ed infine era stato
catapultato in Cina da una cornata improvvisa per aver munto la mucca
sbagliata.
Insomma,
a Joe il contadino, che anche quel giorno aveva sistemato il suo
campo con vigore e ora dormiva avvolto nelle fresche lenzuola di
lino, piaceva proprio la bella Susanna: i suoi sogni non potevano
essere più dolci e la sua notte più tranquilla.
Ma
non tutti, in quell'emisfero boreale del piccolo pianeta immerso nel
blu della notte, erano d'accordo con lui: non solo sulla sua
convinzione che Susanna fosse lontanamente apprezzabile fuori da un
concorso equino, ma anche sul fatto che la sua notte dovesse essere
tranquilla.
Un
fascio di luce improvvisa illuminò la
tranquillità della casa
spargendo la sua polvere spaziale per tutta la stanza; la luce
andò
a sbattere sulle pareti della stanza da letto, allungò le
sue dita
sui mobili e sul soffitto da cui penzolava il vecchio lampadario,
finché non si posò sulla figura scomposta e
sognante di Joe, che,
se per caso non ve lo ricordaste, dormiva sognando Susanna, la
"bella" vicina. Come il volo leggero di una farfalla, il
fascio di luce avvolse Joe, sollevandolo dai suoi morbidi sogni e
facendolo volteggiare, leggiadro, sopra il letto, sospeso a
mezz'aria. La luce tremò per un attimo e subito dopo, il
corpo
addormentato del contadino si avvicinò alla finestra,
lasciata
aperta per respirare la fresca brezza notturna della campagna e, come
diretto da una forza invisibile, andò verso l'apertura,
pronto per
essere sollevato verso il cielo. Il corpo sollevato magicamente
nell'aria, però, sbatté improvvisamente contro la
parete accanto
alla finestra e Joe il contadino si svegliò di sobbalzo, per
poi
ricadere immediatamente nel sogno.
A
un centinaio di metri sopra la sua fattoria e sopra il suo orto, una
grossa astronave galleggiava, immobile, nell'aria fresca della notte
e, attenta a non fare rumore, si confondeva con il blu scuro della
volta celeste.
Il
piccolo Vegeta, seduto ai comandi dell'astronave, sibilò di
dolore,
quando il "beep" segnalò il primo errore del suo esame:
scrutò, diffidente, l'esaminatore seduto sull'altro posto
comandi
che, con la sua faccia molliccia, segnò il primo errore
sulla sua
tabella di valutazione. Tornò con sguardo mesto alla
rappresentazione olografica della casetta da cui, per passare
l'esame, avrebbe dovuto estrarre il terrestre, portarlo fin dentro
l'astronave e poi reinserirlo nella sua casetta senza fare il minimo
rumore.
Insomma,
il classico rapimento alieno che, come un qualsiasi extraterrestre
che si rispetti, doveva saper fare.
Il
nanetto si concentrò e strinse i pugni nei suoi guanti
d'avorio:
schiacciò un altro pulsante, ma un secondo "beep" lo
accolse, inclemente, e il corpo del povero terrestre stavolta
andò a
sbattere dall'altro lato della stanza. Nel silenzio lugubre della
grande astronave il fruscio della penna dell'esaminatore
graffiò
ancora la sua tabella di valutazione e Vegeta ringhiò di
disappunto.
Stupido display comandi pieno di un migliaio di tastini e levette
tutti uguali.
Si
concentrò un'altra volta, chiuse gli occhi e li
riaprì: si sentì
come quando si trovava sul campo di battaglia e stava per stanare la
preda; come quando si preparava a combattere contro un nemico mille
volte più forte di lui; come quando correva a più
non posso per
accaparrarsi il primo posto per la doccia ed arrivava a frustare le
chiappe sonanti di Nappa con l'asciugamano, pur di arrivare prima.
Schiacciò
i suoi tasti, veloce, inclemente, rischiando di sfondare la console e
la vide, la sua vittoria, la sua patente pronta a sfiorargli,
carezzevole, le dita; fin quando il corpo del povero Joe, invece di
passare dal passaggio dalla finestra, finì nuovamente a
stamparsi
sul muro e il piccolo Saiyan, con un altro "beep", vide
offuscato il suo sogno di passare l'esame.
L'esaminatore
lo fissò ancora, sbuffando, e con il suo mal di vivere
continuò a
segnalare i suoi errori sulla scheda; Vegeta cercò di
rilassarsi
un'altra volta: gli passò un'ondata di nervoso nella parte
sinistra
del corpo e gli prese uno strano tic all'occhio sinistro, che si
grattò via con la zampa; il tic si sfogò in un
accenno di fulmine
tra i capelli, che si rizzarono, aggressivi più di prima, ma
il
Saiyan si ravvide di mantenere il contegno, almeno in sede d'esame.
Dai,
doveva farcela: osservò, questa volta, con un cenno di
disperazione
negli occhi la miriade di pulsantini verde fluo della console comandi
e, con faccia schifata, provò a schiacciarne uno a caso,
tanto uno
valeva l'altro. L'inclemente "beep" lo sorprese ancora una
volta; riprovò con un altro tasto, ottenendo sempre
quell'inutile e
fastidioso risultato.
Guardò
l'altro alieno seduto accanto a lui che, con la sua faccia da lumaca,
lo fissava interessato all'esito del suo esame quanto lo si
è nello
scoprire la vita sessuale di un lombrico. Era una statua di cera, il
bastardo.
Avvicinò,
allora, il dito ad un pulsante, aspettando la reazione
dell'esaminatore, ma il nulla cosmico lo accolse e la faccia apatica
dell'esaminatore non si alterò di un muscolo.
Provò, così, ad
indicarne un altro, ma ottenne sempre come risposta la faccia apatica
dell'esaminatore che tutto voleva in quel momento tranne essere
lì a
valutare l'incarnazione del fulmine fatto persona, vista la pessima
qualità dei capelli del giovincello in questione.
Intanto
Joe, di cui ai due alieni fregava poco o meno, dormiva ancora sospeso
a mezz'aria, con la faccia schiacciata contro il comodino e le
chiappe incastrate nel cassetto contro cui si era scontrato poco
prima, quando la luce dell'astronave l'aveva gettato contro il
mobile. Sognava ancora la sua Susanna e il suo sorriso da cavallo,
anche se in quel momento la Susanna del suo sogno era diventata un
vero e proprio cavallo che lo aveva preso per un sacco da boxe
talmente erano forti i calci di passione che gli stava sfoderando.
Grugnì di disappunto, e si rigirò dall'altra
parte asfissiando la
faccia contro la radiosveglia.
Intanto,
su, a quel fatidico centinaio di metri sopra la terra, il piccoletto
e il grassone ancora si fissavano negli occhi.
Vegeta
provò a schiacciare un altro tasto sulla console dei
comandi,
istigando un'azione da parte dell'esaminatore, però si
ritrovò
ancora i suoi due occhietti vuoti a fissargli l'anima. Provò
con un
altro, un altro ancora: niente, Jabba the Hutt stava sempre immobile.
All'ennesima
risposta definitiva, un fulmine tra i capelli gli incendiò
la chioma
e il principe urlò il suo disappunto al cielo, con tanti
saluti al
silenzio reverenziale che doveva regnare nell'astronave e
nell'atmosfera per portare a termine il rapimento alieno. La
disperazione lo portò a battere i pugni sulla console e a
schiacciare furiosamente tutti i pulsanti del controllo comandi
mentre un miriade di "beep" si univano al suo dolore.
Il
nostro povero e sfigato amico Joe, che quella notte, davvero, dopo
aver sistemato il suo campo con vigore, avrebbe voluto solo dormire
avvolto nelle fresche lenzuola di lino, sbatté nell'ordine
contro:
la parete destra, la parete sinistra, la destra, la sinistra, sul
pavimento, sul soffitto nell'angolo destro, sul soffitto nell'angolo
sinistro, contro il comodino, contro l'altro comodino, di nuovo sulla
parete destra e sulla sinistra; per una frazione di secondo
riuscì
effettivamente ad uscire dalla finestra, pronto per il rapimento, ma
poi finì nuovamente contro la parete destra e sinistra, per
poi
morire a terra.
Finita
la disperazione, il piccolo Vegeta cercò come un forsennato
quale
fosse il tasto giusto da schiacciare per completare l'esame, andando
a curiosare di nascosto sul manuale d'istruzioni che si era tatuato
sul braccio e sotto il gomito trovò la soluzione.
Con
riverenziale attesa, finalmente, schiacciò il pulsante
giusto: Joe,
che aveva la faccia sotto il letto e il bicchiere d'acqua che stava
sul comodino infilato nei calzoni, venne trascinato verso la
finestra; passò la finestra e lentamente, solennemente, come
l'ascensione di un santo al cielo o la cucchiarella di nonna che si
avvicina al rallentatore alle mani del nipote che si deve lavare le
mani prima di stare a tavola, salì verso l'alto.
Come
una farfalla, un gabbiano libero nel cielo, come un aquilone colorato
che, come tutti gli aquiloni che si rispettino, si deve incastrare
negli alberi. E, infatti, anche Joe s'incastrò nell'albero
vicino
casa.
L'espressione
di attesa e di gioia di Vegeta svanì in uno sbuffo e,
alzando gli
occhi al cielo, il piccoletto schiacciò con più
forza il bottone
fino a frantumarlo sul pannello: l'attesa si fece enorme, l'angoscia
di non passare l'esame e di doverlo rifare da capo ancor di
più,
finché il povero albero sotto casa lasciò che i
suoi rami
liberassero Joe e che questo si librasse in aria.
Vegeta
trattenne il respiro e attese con trepidazione che il terrestre che
aveva rapito raggiungesse l'entrata dell'astronave, finché
in tutta
la magnificenza del suo pigiamino con su i trattori, Joe fece il suo
ingresso nell'astronave; l'istruttore accolse la buona riuscita
dell'esame con il suo verve contagioso e appuntò il
risultato sulla
scheda di valutazione.
Il
piccolo Saiyan, invece, sorrise fiero per il risultato e
ghignò,
sfoderando il suo sorrisetto da mostriciattolo, finché,
sicuro che
ormai la patente speciale di nuova generazione fosse nelle sue mani,
lasciò il pulsante, facendo inevitabilmente precipitare al
suolo il
povero Joe.
Impallidì
per lo sciocco ed evitabile errore, sbirciando intimorito oltre il
pannello comandi la figura del povero terrestre che stava
raggiungendo sempre più velocemente il suolo, nel frattanto
che
anche il suo istruttore si era affacciato ed osservava, stoico come
sempre, la triste ed evitabile scena di ciò che poteva
raffigurarsi,
ormai, come un omicidio colposo.
All'ultimo,
prima che Joe saggiasse la robustezza del suolo e potesse compiere il
suo viaggio nell'aldilà con il biglietto di sola andata, la
luce del
raggio dell'astronave bloccò il suo corpo e lo
trascinò con
cautela, stavolta evitando l'albero, verso la finestra lasciata
spalancata per accogliere la brezza della notte; senza scomporre
minimamente il proprio aplomb, infatti, il caro lucertolone verde
aveva pigliato il tasto per frenare la caduta del terrestre ed ora,
con tutta la professionalità del suo ruolo, ossia
minacciando con lo
sguardo il piccolo Saiyan, che si fece piccolo piccolo da un lato,
iniziò a riportare tutto all'ordine precedente.
Joe
passò incolume attraverso la finestra, venne riposizionato
nel
letto, mentre i quadri della stanza, così come i mobili, i
cassetti,
le tende e la brocca d'acqua furono posti esattamente al loro posto,
senza destar sospetti sulla baraonda che una piccola bestiola aveva
causato poco prima dentro l'abitacolo.
La
luce finalmente si spense e la grossa astronave, sempre a quel
centinaio di metri dal suolo, avviò i motori per ritornare
alla
velocità della luce alla galassia da cui era partita.
L'istruttore
afferrò saldamente la console e si accinse a partire,
pensando
finalmente di poter tornare sul pianeta Zulug 7 a farsi una birra,
quando, con la coda dell'occhio, notò il piccolo Saiyan che,
da un
lato, aveva messo il broncio e si grattava a tratti la zucca,
agitato.
Sospirò,
pensando di essere ormai troppo vecchio per fare l'istruttore e che,
prima o poi, quella dannata pensione doveva riceverla, e
chiamò
l'attenzione del piccoletto.
Il
piccoletto, che aveva la frangetta che gli ricopriva la fronte e lo
faceva più carino di quanto non fosse in realtà,
si voltò verso il
grassone e s'illuminò quando vide quest'ultimo cedergli la
cloche
per farlo guidare: l'afferrò con entusiasmo e si mise ai
comandi,
avviando i motori.
Il
grassone gli si mise di fianco, attendendo che l'astronave si
librasse nell'aria nel completo silenzio e partisse.
Forse,
la patente gliela avrebbe concessa, pensò, e si
rilassò sulla
poltroncina, sognando la sua birretta; certo, urlò di dolore
quando
l'astronave si schiantò al suolo radendo a zero la casa,
l'orto e
l'albero del povero Joe e quando ripartì con un'accelerata
illegale
per lo spazio, ma si concesse comunque un po' di relax e si godette
il resto del viaggio, senza badare, per il momento, al pensiero di
quanti soldi avrebbe dovuto sborsare per riparare i danni causati dal
principe dei Saiyan.
La
patente gliela avrebbe data, sì... tutto pur di non
trovarselo tra
le mani un'altra volta.
La
mattina dopo, quando il gallo iniziò la giornata con il suo
canto
stridulo, Joe si alzò dal letto stiracchiandosi per bene e
fece per
andare in bagno, ma precipitò dentro l'enorme voragine
lasciata
dall'astronave che si era schiantata sulla terra prima di partire,
voragine alta centinaia di metri che aveva lasciato un unico tratto
di terra in piedi, quello dove stava il suo letto.
Non
fu propriamente un bel risveglio, ma almeno quella mattina, Susanna
la figlia del vicino con il muso da cavallo accorse ad aiutarlo.
Passarono
la giornata al pronto soccorso e Joe fu ricoverato per un mese e
dovette pagarsi i lavori per cambiare casa, ma questo fu l'inizio di
una bellissima storia d'amore, da cui nacquero tanti puledrini.
Fine.
Angolo
dell'autrice
Beh,
era da un po' che non aggiornavo questa raccolta. Ogni tanto ritorno.
Comunque,
piaciuta la storia?
Ho
preso ispirazione dal cortometraggio della Pixar, "Lifted",
se qualcuno di voi avesse voglia di vederlo, a me ha sempre fatto
sorridere.
Perché
questa patente? Perché Vegeta è un extraterrestre
e come qualsiasi
extraterrestre che si rispetti, fa i rapimenti alieni! Sennò
che
extraterrestre è? :)
Sperando
che questa scemenza vi sia piaciuta, vi auguro un buon tutto e a
presto!
Zappa
i Rifacimento alla marca All
Stars ed anno in cui Vegeta, ipoteticamente avrebbe
16 anni;
iiRifacimento
alla marca The North Pole;
iiiRifacimento
alla marca Adidas;
ivCome
dimenticare il bellissimo film Il Pianeta del Tesoro?;
vRifacimento
al social Instagram;
viPessimo
tentativo di imitare il linguaggio arcano degli adolescenti;
|