Caro
Diario,
L'ho
rivista questa mattina. Veramente ci siamo salutate, mi ha anche
sorriso ed è stato bello. È bello che sappia
della mia esistenza.
Non mi aspetto molto altro, anche se
Aveva
smesso di scrivere, ascoltando dei rumori fuori dalla sua finestra.
anche
se siamo nella stessa classe di letteratura e informatica da un anno
e mezzo e abbiamo fatto le stesse scuole. Non può ricordarsi
di
tutti, giusto? Probabilmente non ricorda di quando le ho prestato un
libro, né dei soldi della merenda, o di quando a pallavolo
«Uff»,
aveva smesso di nuovo, poggiando la penna da un lato del foglio e,
con faccia imbronciata, portarsi una mano in fronte. «Davvero
non si
ricorda di me?».
Sai
che c'è, caro Diario? Alla fine chi se ne importa. Io ho una
cotta
stupida e lei ha un ragazzo, neanche uscirebbe con una come me.
Neanche io uscirei con una come me.
Aveva
poggiato di nuovo la penna e chiuso il diario, ascoltando di nuovo i
rumori fuori dalla finestra della sua stanzetta. Una macchina si
stava avvicinando. Sì, era quella giusta. Aveva lasciato la
scrivania e corso fuori dalla camera, percorrendo le scale verso il
piano inferiore, con un pronto sorriso stampato sul viso. La porta si
era aperta e un uomo alto e un poco brizzolato era entrato: il tempo
di chiudere dietro di lui, che la ragazzina gli era saltata addosso,
tutta eccitata. «Com'è andata a lavoro? Hai
arrestato dei
criminali? Ti sei appisolato nel tuo ufficio? Ti hanno portato le
ciambelle?».
Lui
aveva riso e se l'era scrollata di dosso con qualche
difficoltà,
rimettendola a terra e sistemandole la salopette.
«Cos'è che si
dice per prima cosa quando papi torna a casa?».
«Bentornato
a casa, papi».
«Brava
la mia bambina», le aveva strapazzato le guance là
dove si
formavano le fossette e lei si era tirata indietro.
«Non
esagerare, ho quasi quindici anni».
«Sei
tu quella che mi è saltata addosso». L'uomo aveva
lasciato il
cappello all'ingresso insieme al giaccone bianco, ed entrando in
cucina con la figlia a seguito aveva risposto prontamente punto per
punto a ogni sua domanda, compresa quella sulle ciambelle.
«E
i criminali erano criminali veri con le pistole?».
«Il
solito ubriaco», si era seduto stanco su una sedia vicino al
tavolo
in cucina, mentre sua moglie si era spostata dai fornelli solo per
dargli un bacio. «Siamo in paese, mija. Non è come
essere a Gotham,
qui la criminalità te la devi quasi cercare»,
aveva ridacchiato e
la figlia lo aveva guardato confusa.
«Allora
torniamo a Gotham! Mi piaceva stare lì».
«Ti
piaceva perché eri poco più che in fasce, ecco
perché», aveva
scherzato sua madre.
La
giovane Maggie aveva messo su una smorfia, seccata, poco prima di
riguardare sua padre e sorridere di nuovo, eccitata. «Beh,
chi se ne
frega di Gotham, qui sei diventato sceriffo! Hanno capito il tuo
valore». Lo aveva abbracciato ed era tornata di sopra,
intanto che
sua madre le gridava che era quasi pronto per cena. Il tempo di
superare il penultimo scalino che le risa di suo padre l'avevano
bloccata, sedendo lì solo per ascoltare.
«Cosa?
Anche qui?», aveva sentito chiedere sua madre, starnazzando.
«Sì,
sì… Ero al comune per sbrigare delle cose,
salutavo degli amici, e
spuntano questi froci all'improvviso, in branco come animali e
vestiti da pagliacci, sai, tutti colorati da froci, per chiedere il
permesso di sfilare».
Maggie
aveva stretto le labbra, continuando ad ascoltare.
«Ma
basta, non se n'è può più! Qui siamo
tutti cristiani, non basta
che queste pagliacciate le fanno in città, non sono mai
contenti»,
aveva replicato sua madre con una punta di acidità nella
voce. «Dio
li punirà».
Suo
padre aveva ridacchiato ancora. «Ma lasciali perdere, che
sono
malati, quelli. Non volevo parlarne davanti a Maggie».
«Certo,
è giusto. Ci manca solo di essere influenzata da quelli
là».
Aveva
sentito abbastanza: si era tirata su con forza ed era tornata in
silenzio in camera sua, prima che continuassero a parlarne.
Già, non
dovevano farlo davanti a lei, che era nell'età dello
sviluppo e sia
mai che avessero potuto contagiarle quella orribile malattia. Ah,
ogni volta che li sentiva parlare di quello, le faceva male qualcosa
dentro. Da quando aveva capito che le piaceva una sua compagna di
scuola, era stata una lotta continua con se stessa. Era normale
provare una cosa del genere per una ragazza, essendo lei stessa una
ragazza? Non aveva dovuto chiedere ai suoi genitori per sapere cosa
ne pensassero, le era chiaro da sempre, e anche la televisione diceva
che era sbagliato, e le riviste. Un'insegnante a scuola però
era
stata di un'opinione differente, cogliendo l'occasione di far tacere
due ragazzi che prendevano in giro un loro compagno per parlare di
omosessualità. Era allora che quel sentimento aveva trovato
un nome.
L'insegnante era riuscita a convincerla che non ci fosse nulla di
male in ciò che provava ma, da quando lei era stata
trasferita, le
cose si erano di nuovo fatte difficili. Poteva davvero considerarsi
una persona normale? Era una domanda che la tormentava da tempo.
Caro
Diario,
Forse
ciò che provo non è che sia sbagliato, ma
è passeggero. Un giorno
mi sveglierò che non ci penserò più e
potrò trovarmi un ragazzo
come le altre della mia scuola. Un ragazzo potrebbe innamorarsi di
me? Lo spero.
Era
stato quello il suo obiettivo al tempo: non voleva far arrabbiare i
suoi genitori, men che meno Dio, così si era messa in testa
di
provare a farsi piacere dai ragazzi. L'idea era quella, per lo meno,
prima di trovarsi davanti al cancello della scuola e ricordarsi,
venendo vista e indicata da tutti mentre le ridevano in faccia, che
lei era quella sfigata. Una ragazza l'aveva salutata e poi aveva
piegato le dita per mostrarle quello medio. Un gruppetto le era
passato davanti ognuno sul proprio skateboard e per poco non la
facevano cadere di proposito. Sentiva di essere osservata e dovunque
posava il suo sguardo, vedeva qualcuno voltato verso di lei che
sghignazzava come in un vecchio cartone animato. Non bastava la sua
cotta per una ragazza a farla sentire diversa, era comunque sempre
stata diversa per ragioni a lei sconosciute. Forse perché
non si
truccava? Perché non aveva mai indossato una gonna e le
piacevano
gli scarponi? Ah, a loro non sarebbe andata bene in ogni caso. Forse
quelle cose non le sarebbero mai piaciute; che male c'era a essere
diversa? E poi c'era lei, Elisa. La ragazza per cui aveva una cotta.
Elisa non era come le altre: non solo non la prendeva in giro, era
una tipetta che se ne stava piuttosto per le sue, con pochi amici ma
giusti. Un po' come lei, e un po' come loro. Perché Elisa
era
rispettata, se non altro. E si truccava, da non sottovalutare.
Maggie
era convinta che Elisa non l'avrebbe mai degnata di vere attenzioni
ed era anche solo felice quando i loro sguardi si incrociavano per
errore e si metteva in imbarazzo, così niente avrebbe potuto
prepararla a ciò che sarebbe successo a pochi giorni da
quella
pagina di diario. Confusa per la sua cotta verso una ragazza, da
giorni aveva approfittato della lezione di informatica per cercare
informazioni su quella che definiva un'omosessualità
passeggera e
suggerimenti per velocizzare il processo. In verità, dopo
due siti
porno che si erano accidentalmente aperti, ne aveva trovato uno dove
una ragazza, una ragazza proprio come lei, parlava di una cotta per
una sua compagna di classe ai tempi del liceo. Si era incantata a
leggere e così aveva scrollato la pagina per altre
testimonianze, e
altre, trovando quel conforto in cui non sperava: le persone
omosessuali erano felici. Una di quelle, però, era molto
diversa: un
ragazzo era stato forzato dalla famiglia a seguire un percorso
religioso per guarire da quella che, come suo padre, definiva una
malattia. Si era persa nel leggere delle atrocità che gli
avevano
inflitto per convincerlo di poter guarire; quante situazioni al
limite della tortura aveva dovuto subire, quanti danni psicologici,
quante sofferenze fino a rendersi conto di non aver nulla da cui
guarire e ricominciare la sua vita daccapo. Maggie aveva sentito i
brividi dalle cosce alla schiena, preoccupata che i suoi genitori
sarebbero potuti arrivare a tanto, se lo avessero scoperto. Certo,
loro le volevano bene, ma anche i genitori di quel ragazzo glielo
ripetevano spesso.
«Ehi,
hai un fazzoletto da prestarm-».
Si
era bloccata. Lei, Elisa, era alle sue spalle, sporta dal suo banco,
e si era bloccata guardando il suo monitor. Maggie era diventata
color pomodoro e, cercando di chiudere la pagina in fretta, aveva
finito per cliccare su cose che non aveva fatto in tempo a vedere,
aprendole pagine dopo pagine di siti porno. Se era rimasta perplessa
nel vedere le icone di piccoli uomini che si baciavano e innocenti
bandierine arcobaleno, chissà cosa doveva aver pensato di
peni in
movimento in primo piano. La sua agitazione nel chiudere tutte le
pagine aperte in simultanea aveva attirato la curiosità del
professore, ma era stata inaspettatamente Elisa a prendere tempo
rivolgendogli una domanda, quello necessario per chiudere tutto e
ritrovare i compiti che stavano svolgendo.
«Elisa»,
l'aveva chiamata a fine lezione, raggiungendola fuori dalla porta.
Aveva la tachicardia al pensiero di parlare con lei. «Mi hai
salvato
la vita, non so se te ne rendi conto».
Lei
aveva riso e l'aveva invitata a seguirla in un corridoio, per non
bloccare il via vai di studenti. «A casa tua non avete un
computer?».
«No»,
aveva risposto subito, sforzandosi per guardarla negli occhi.
«Mio
padre è della vecchia scuola e mia madre pensa che siano
pericolosi».
Lei
aveva riso di nuovo, con più gusto. Era facile capire per
Maggie che
quella cotta non se ne sarebbe davvero andata così
facilmente come
credeva. «In effetti, con tutte le pubblicità che
si aprono, è
pericoloso davvero».
Maggie
aveva tremato; aveva cercato di calmarsi, ma le era venuto da sudare.
«Sì, mh, me ne sono accorta».
Elisa
l'aveva salutata ed era uscita. Non aveva fatto in tempo a chiederle
se aveva visto cosa stava guardando, ma era stato perfetto
così. Le
aveva parlato, anche se alla fine non le aveva prestato quel
fazzoletto. Una volta a casa, aveva subito scritto la novità
sul suo
diario; pensava che sarebbe rimasto un ricordo felice e sporadico
chiuso nel cassetto, invece Eliza le aveva rivolto la parola
più
volte in quel periodo, si era seduta vicina a lei a lezione di
letteratura e ogni tanto la chiamava per farsi aiutare in
informatica. Neanche Maggie era bravissima, senza contare che, senza
farsi notare, continuava a cercare testimonianze sul suo argomento
preferito, ma in due riuscivano a cavarsela. Erano diventate amiche
senza che se ne rendessero conto, scambiandosi libri e andando a
chiudersi in aula audiovisiva per guardarsi dei film quando non
avevano lezione o, meglio ancora, quando avevano voglia di saltarne
una. A un certo punto, Maggie si era convinta che la sua cotta per
Elisa fosse stata inglobata nell'affetto che provava per lei come
amica, fino a quando proprio in quell'aula, intanto che entrambe
svuotavano i propri zaini per far vedere all'altra che film si erano
portate da casa, si era persa a fissarla: gli occhi concentrati, il
pesante tocco di eyeliner nero sulle ciglia, le guance rosa dal fard,
le labbra lucide, che schiudeva mentre sussurrava i titoli. Aveva
avuto un così forte desiderio di baciarla. Era tutto tornato
a
galla, o forse era sempre rimasto lì e non ci aveva dato
peso. Un
così forte desiderio che, a un tratto, semplicemente lo
aveva fatto:
Elisa aveva rialzato la testa per chiederle qualcosa, non aveva mai
saputo cosa, e si era avvicinata tanto in fretta da appoggiarle la
mano su una spalla e toccarle le labbra con le proprie. Era stato
rapido quel suo primo bacio. Il cuore aveva battuto così
forte e
aveva provato così tanta paura che, come in fretta si era
avvicinata, in fretta si era spostata, presa dal panico. Si erano
guardate a lungo, non sapeva quanto. Elisa era esitante. Forse. Ma
non così tanto da negarle un altro bacio: era stata lei a
prenderla
per una spalla e ad appoggiare le sue labbra calde. Non si era
fermata e l'aveva guidata verso un bacio più serio,
muovendosi,
staccandosi poco e piano, riprendendosi con delicatezza.
«Tu…
hai un ragazzo», le aveva ansimato quando si erano prese una
pausa
per respirare.
Elisa
aveva scrollato le spalle. «Ci siamo lasciati».
Doveva aver notato
la perplessità nello sguardo di Maggie. «Appena
adesso».
Oh,
avevano deciso che poteva andare bene e si erano baciate di nuovo.
Non si erano più viste un film e l'aula audiovisiva era
diventata
presto il loro nascondiglio per stare insieme.
Si
erano messe insieme davvero. Ed erano due ragazze. Maggie aveva
scoperto con quei baci che, più efficaci di mille
testimonianze, non
c'era nulla di male in ciò che provava.
Maggie
frequentava una scuola cattolica. I suoi genitori erano
dichiaratamente omofobi. E aveva una ragazza. Forse era il senso di
proibito che la faceva uscire di casa, la mattina, con un grande
sorriso sulle labbra. Era in quel periodo che aveva capito che i
ragazzi non le interessavano ed era convinta che Elisa fosse la sua
anima gemella con cui sarebbe rimasta per tutta la vita. Si
salutavano, si sfioravano le dita delle mani di nascosto, si
regalavano sorrisi e, una volta entrambe in quell'aula, da sole, si
baciavano e abbracciavano, restavano unite. Al suo diario, in estrema
confidenza, raccontava di Elisa ogni sera quando tornava a casa. Era
un periodo felice e non le interessava avere il mondo contro, se
stava con lei. Tuttavia, più passavano i mesi e
più quel senso di
proibito iniziava a farle paura: nella sua scuola, un ragazzo un anno
più grande aveva fatto coming out come bisessuale davanti
alla sua
intera classe e non solo molti ragazzi avevano cominciato a prenderlo
di mira e a bullizzarlo, ma i professori non avevano mosso un dito
per difenderlo. Da quando quella insegnante aveva parlato di
omosessualità per prima e poi si era trasferita, nessuno
aveva
voluto affrontare di nuovo l'argomento che era tornato a essere
tabù
e, la cosa ben peggiore, era che sembrava che a nessuno in
realtà
interessasse davvero affrontarlo. Erano in cortile quando il ragazzo,
a ora di uscita, era stato accerchiato da altri ragazzi per poterlo
offendere con epiteti omofobi. Maggie ed Elisa erano vicine. Appena
la prima aveva visto quella scena per l'ennesima volta, si era detta
che poteva bastare, che ne aveva abbastanza. Perfino il suo omofobo
padre sarebbe intervenuto vedendoli in quattro contro uno per
insultarlo e lei, che lo prendeva come esempio, aveva ignorato Elisa
che le aveva detto di non farlo e si era messa in mezzo. Sapeva cosa
sarebbe potuto succedere a farsi avanti in quel modo se neppure lei,
che sapevano era la figlia dello sceriffo, aveva fermato i ragazzi e
le ragazze della scuola dal prenderla in giro, ma in quel momento non
le era importato.
«Prendi
le sue parti? Ma lo sai che quelli come lui si impestano di
malattie?», le aveva gridato uno dei quattro, «Sta
con un ragazzo e
poi voglio vedere se ci staresti, dopo che lo ha messo in culo a
lui». Erano volate varie risatine a quell'uscita ma Maggie
non aveva
risposto. «Cosa c'è, giochi anche tu per l'altra
squadra, per
caso?».
Era
da quel giorno che la voce che lei era lesbica si era diffusa per
tutta la scuola. Senza contare che il ragazzo che aveva cercato di
difendere le aveva gridato che non gli serviva il suo aiuto e dopo un
po' di tempo aveva iniziato a prenderla in giro anche lui. Ed
Elisa…
beh, aveva perso Elisa.
Caro
Diario,
Sono
ancora triste. È già passata una settimana da
quando Elisa non mi
rivolge più la parola. Mi ha detto che non vuole che stiamo
insieme
perché ha paura che gli altri studenti pensino che stavamo
insieme.
Non voleva che scoprissero la verità. Ci trovo dell'ironico.
Ha
paura di scoprirsi come me? Cosa c'è di sbagliato a essere
come me?
«Ehi,
mija, cos'hai?». C'era freddo quella sera e stava piovendo.
Suo
padre era tornato a casa da pochi minuti e vedendo che sua figlia non
faceva altro se non guardare davanti alla finestra l'acqua che
scendeva, si era avvicinato e l'aveva abbracciata, portandola contro
il suo petto sedendosi accanto, sulla poltrona.
«Ahi»,
aveva sbattuto la testa contro qualcosa e suo padre aveva riso,
sfilando il distintivo.
«La
legge fa male, eh?», aveva continuato a ridere con
divertimento, per
poi infilarlo sulla maglia del pigiama di lei. Si erano sorrisi e
l'uomo le aveva toccato il naso, soddisfatto. «Ecco,
così ti voglio
vedere. Chi ti ha fatto soffrire? Un ragazzo? Devo andarlo a trovare,
da bravo sceriffo?». L'aveva vista scuotere la testa e poi
abbassarla, così, pensando di aver toccato un tasto dolente,
aveva
pensato di cambiare di nuovo discorso, indicando il distintivo.
«Un
giorno questo potrebbe essere tuo. Che ne dici?».
«Che
è troppo, per me».
«Troppo?
Che vuol dire?».
Maggie
aveva riguardato verso la finestra, soffermandosi sulle goccioline di
acqua che battevano e scendevano lungo il vetro. «Che non
sarò mai
abbastanza brava, abbastanza capace, abbastanza tutto».
«Ehi,
no», lui aveva aggrottato la fronte, forzando il suo viso a
girarsi
verso di lui. «Mija, chi ti dice queste cose? Fin da bambina
volevi
diventare poliziotto come me, perché adesso hai cambiato
idea?».
Lei
aveva sbuffato, ritrovando la forza per guardare di nuovo la
finestra. «Ho paura che sarò una
nullità, che se ci provo… Che
se ci provo, poi, finirò per deluderti».
«No,
no».
«Io
non so cavarmela come te, forse non ne ho la stoffa». Aveva
difeso
un ragazzo ma non era stata capace di controbattere a chi lo prendeva
in giro e, in quel modo, quel ragazzo invece di ringraziarla si era
arrabbiato e, cosa più importante, non aveva più
Elisa. Tutto
perché aveva voluto seguire il suo istinto, quello che
pensava che
un giorno l'avrebbe portata a fare la poliziotta. Suo padre aveva
cercato di tirarle su il morale, ma quella negatività era
troppo
radicata per starlo a sentire, o per stare a sentire sua madre quando
li aveva raggiunti.
«Non
dire assurdità», le aveva detto lei, «Tu
puoi fare tutto quello
che vuoi e quelli che oggi non credono in te, domani ne saranno
invidiosi».
«Ha
ragione tua madre, mija. Tu sei sangue del mio sangue e hai la mia
stessa stoffa per questo lavoro», le aveva detto con
convinzione,
prendendole le spalle. «E da domani, ti racconterò
meglio tutti i
miei casi; ti terrò allenata per quando farai
l'accademia».
Di
certo quello aveva aiutato nel farle tornare il buon umore,
finalmente: ogni giorno le descriveva un caso diverso della sua
carriera e insieme cercavano di risolverlo. Cominciava a sentirsi
tanto pronta per quel lavoro che la sicurezza che le offriva aveva
iniziato ad accompagnarla a scuola, imparando ad ignorare le offese
che riceveva puntualmente. Per di più, quelle voci sulla sua
presunta omosessualità l'avevano aiutata a conoscere
un'altra
ragazza: si chiamava Mary, frequentava l'ultimo anno e mancava poco
che compisse diciotto anni. Mary era più sicura riguardo il
suo
orientamento e non le importava che qualcuno la credesse la ragazza
di Maggie Sawyer: camminavano vicine per il corridoio, si scambiavano
quasi carezze davanti agli armadietti quando non passavano gli
insegnanti ma fregandosene di chiunque altro le guardasse. Chiunque,
perfino Elisa. Maggie l'aveva vista abbassare lo sguardo e andare
oltre, ma aveva sentito la sua gelosia nell'aria; non che volesse
importarle molto, all'epoca. Non voleva. Ma accidenti se le
importava: per quanto era stata bene con Mary, nella sua testa c'era
ancora Elisa.
«Posso
chiederti scusa?». Elisa l'aveva rincorsa per il corridoio,
con in
braccio i libri che le servivano.
Era
l'inizio del nuovo anno scolastico, Mary non c'era più e si
erano
separate, ma Maggie faceva finta che di Elisa non le importava. Non
per niente, aveva passato un'intera estate a lavorare con suo padre e
mandare all'acqua i tentativi della ragazza di vedersi con lei.
Dopotutto, Elisa l'aveva ferita, quante probabilità c'erano
che lo
avrebbe fatto ancora?
«Ti
prego, possiamo parlare? Da sole?». Un'occhiata di Maggie,
ferma
davanti al suo armadietto, l'aveva fatta sospirare. «Va bene
anche
qui», aveva annuito poi, adocchiando con la coda dell'occhio
gli
studenti che camminavano avanti e indietro nel corridoio.
«Volevo,
emh… chiederti scusa per come mi sono comportata. Non ho
fatto
altro che pensare a te, che pensare a te sempre».
«Quindi?».
Aveva preso i libri e chiuso l'armadietto. «Quindi cosa
vuoi?».
Elisa
aveva riabbassato gli occhi e si era guardata di nuovo intorno.
«Volevo… Quando stavi con quella
cinese».
«Mary
è coreana».
Elisa
aveva annuito. «Quando stavi con lei, io… Lo sai
che», aveva
sussurrato, guardandosi intorno un'altra volta, «penso di
essere
innamorata di te». Si era fermata. Forse pensava di ottenere
da
parte sua una qualche reazione, ma vedendola impassibile, aveva
continuato: «Voglio che torniamo insieme, Maggie. Dai, ci
siamo solo
noi due, lo sai», le aveva preso di sfuggita una mano,
accarezzandola un attimo e lasciandogliela in fretta. «Non ci
credo
che mi hai dimenticato per… la coreana», si era
ricordata
all'ultimo, prima di sbagliare. L'aveva guardata così come
avrebbe
fatto un cane bastonato e Maggie le aveva detto che era ora di andare
a lezione, sentendo la campanella suonare. L'aveva lasciata
lì,
ferma davanti agli armadietti, intanto che si allontanava in fretta.
Caro
Diario,
Elisa
mi ama!! Mi ama!! Hai capito? Fatico a crederci, veramente, lei ha
detto che mi ama. Che sforzo restare ferma mentre dentro di me urlavo
MI AMA. Sono felicissima, caro Diario! Ho deciso di darle un'altra
possibilità, ovviamente, come posso dirle di no? Mi ama! E
io amo
lei. Finalmente siamo di nuovo noi due, solo noi due. Questa volta
niente dovrà andare storto.
Ci
credeva davvero. Niente doveva andare storto: anche se Elisa aveva
ancora timore a stare con lei, diceva sul serio quando parlava di
stare insieme. Avevano ritrovato facilmente le vecchie abitudini e,
una mattina, si erano spinte un po' più a fondo. Tra le due,
la
prima volta che sono state insieme, era Elisa ed essere più
esperta
in relazioni, ma ora la situazione si era capovolta: non solo stando
con Mary, che era più grande, Maggie aveva imparato ad avere
più
sicurezza, ma aveva anche scoperto il proprio corpo e seppure con lei
non fosse arrivata a fare sesso, ci era comunque andata molto vicina.
Si erano spogliate e, rimaste col solo intimo addosso, avevano
iniziato a baciarsi e scoprire lentamente l'una il corpo dell'altra.
In quei mesi di esplorazione avevano ritrovato un'intimità
particolare. Erano davvero di nuovo solo loro due. Cosa poteva andare
storto? La direttrice della scuola.
Una
ragazza aveva denunciato alla direzione che l'aula audiovisiva era
spesso chiusa a chiave e, quando il professore di attività
sportiva
che custodiva il duplicato di ogni chiave era andato ad aprire, aveva
ritrovato Maggie ed Elisa sedute sul divanetto e abbracciate, con il
reggiseno in mostra e le gonne calate. La notizia si era sparsa in
fretta in tutta la scuola e la direttrice aveva richiamato entrambe e
i loro genitori.
«Non
accetto simili comportamenti nella mia scuola», aveva detto
la
donna, rossa in viso come il suo maglioncino; aveva tremato e neanche
riusciva a sedersi. «Solo parlando con i vostri genitori,
capirò se
sia il caso di espellervi». Le aveva avvertite tutte e due ma
poi
aveva concentrato il suo sguardo su Maggie, davvero arrabbiata.
«Tuo
padre è lo sceriffo della contea, ma non ti vergogni? Che
genere di
pubblicità gli fai, facendo certe porcherie».
«Mio
padre è fiero di me».
«Oh,
dubito lo sarà adesso, cara. Questo è oltraggioso
e schifoso».
«Non
lo è», l'aveva sfidata ed Elisa le aveva riservato
una lunga
occhiata. «Noi ci amiamo».
«No,
bella mia, quello che fate è contro natura. Un uomo e una
donna si
amano, voi state solo offendendo Dio».
«Dio
ci ha fatte così».
«Non
bestemmiare», aveva urlato ancora. Per fortuna, o sfortuna
che
fosse, erano arrivate le loro famiglie e la donna le aveva fatte
uscire dall'aula per parlare con loro a quattrocchi. Poi aveva fatto
uscire i suoi genitori ed entrare Elisa. Suo padre e sua madre, in
quel momento, avevano spiccicato poche parole, per lo più in
spagnolo, ma il tanto era bastato per farla sentire male e a disagio.
Poi Elisa e i sui genitori erano usciti; incrociandosi con i suoi
avevano litigato e gridato, e così avevano fatto a cambio,
entrando
loro tre in direzione. La direttrice era stata molto pesante nel far
capire quanto disgusto avesse provato nel sapere che due ragazze si
erano strusciate nella sua aula audiovisiva.
Caro
Diario,
Oggi
è successo un guaio. Ci hanno beccate, a me ed Elisa. Ho
provato a
difendere quello che proviamo, ma non è servito. Elisa non
lo ha
fatto, comunque. Ero da sola contro tutti e lei se ne stava in
silenzio. Sono arrabbiata con lei, ma spero ancora che possiamo stare
insieme. Anche qui a casa adesso non si respira una buona aria.
È
come se mio padre e mia madre stessero cercando di scoprire cosa
dirmi e cosa vogliono che faccia. Adesso non lo sanno ma sono sicura
che mi diranno presto qualcosa. Già conosco i loro discorsi
e non ho
voglia di litigare. Mi chiedo se mio padre vorrà ancora
espormi i
suoi casi, adesso che sa che sono stata con una ragazza. Non ho
ancora diciassette anni, cosa potrebbero farmi? Sono un po'
spaventata, è vero! Ho letto troppe cose brutte, per non
esserlo.
Anche Mary mi aveva raccontato qualcosa su alcuni amici fuori dal
paese. Il mondo vuole che siamo tutti eterosessuali, caro Diario. E
io, da sola, cosa posso fare?
«I
tuoi ti hanno sgridata?». Aveva riprovato a parlare con
Elisa, tre
giorni dopo, quando i suoi genitori avevano deciso che poteva tornare
a scuola. Non le avevano sospese, lo sceriffo aveva convinto la
direttrice e, anche se non erano neppure state punite, non per questo
non avevano sofferto di dure conseguenze: a scuola non si parlava
d'altro e tutti, dal primo all'ultimo studente arrivato, non facevano
che fissarle, ridacchiare, fare loro gestacci e scrivere sui loro
armadietti parolacce, oltre a lasciare i loro bigliettini con disegni
sconci e battute omofobe.
Elisa
le aveva riservato un'occhiata e poi l'aveva superata, senza
risponderle.
«Perché
fai così? Non è certo colpa mia se ci hanno
beccate, almeno ho
tentato di difenderci».
«Difenderci?»,
aveva starnazzato, bloccandosi a metà corridoio, attirando
l'attenzione di tutti gli alunni che passavano. «Hai
peggiorato la
situazione», le aveva gridato, a pugni stretti. Non aveva
aspettato
che le rispondesse: «Non ti rendi conto? I miei adesso
pensano che
sono lesbica e vogliono farmi andare a vivere da mia nonna, in
montagna! In montagna, Maggie! Non conosco nessuno,
lì».
«E
non lo sei?».
«Che
cosa?».
«Lesbica».
«Oddio,
no», aveva roteato gli occhi, «Quella parola mi fa
schifo. Io ero
solo curiosa, va bene? Ho visto che cercavi siti di omosessuali a
informatica e volevo capire se ci stavi, è tutto».
Maggie
aveva preso un respiro profondo e l'aveva fissata senza espressione,
intanto che gli studenti intorno ridevano. «I tuoi ti hanno
detto di
dirlo? Te lo hanno messo in testa loro?».
«Non
dare la colpa ai miei», aveva stretto i denti. «Ti
ho presa in
giro, va bene? Volevo vedere come ci si sentiva e adesso ne
pagherò
le conseguenze. Lasciami in pace».
Se
n'era andata e Maggie aveva sentito il cuore spezzarsi, mentre nel
petto le si infondeva una sensazione di perdita. Aveva provato le
vertigini, tutto insieme. Allora ci aveva creduto, certo che ci aveva
creduto. Sul suo Diario aveva scritto pagine e pagine di odio verso
Elisa, aveva pianto notti intere e capito di essere sola, senza di
lei e senza il supporto dei suoi genitori. L'amava e lei le aveva
fatto del male di proposito. Aveva passato il resto dell'anno
scolastico a pensarci e l'ultimo anno del liceo a provare a uscire
con dei ragazzi che ricambiavano interesse per lei; ogni tanto
qualcuno le aveva chiesto se le piacevano ancora le ragazze e lei
negava. Era stata sua madre a suggerirglielo, una sera sedute intorno
alla tavola, sorseggiando una tazza di tè fumante.
«Io
l'ho capito che lo facevi solo per attirare l'attenzione,
sai?», le
aveva sorriso con gentilezza. «Stavi passando un momento in
cui eri
insicura e volevi provare cose nuove, magari è stata quella
Elisa a
mettertelo in testa… Anche tuo padre in fondo lo ha capito,
ma lo
sai com'è lui, così orgoglioso che non lo
ammetterà mai. Se vuoi
riavvicinarti a quella testa di legno, prova a fargli capire che sei
cambiata, che stai crescendo e dimenticando quella fase…
beh,
quella fase che chiameremo esplorativa.
Adesso sai che non si deve fare e l'importante è
questo».
Maggie
si sentiva sola e sconfitta, non poteva far altro che provare a
fingere di avere un'attrazione che non aveva. Accettava le uscite dei
ragazzi, si mostrava incuriosita nei loro confronti, e suo padre era
felice di vedere che sua figlia stava riprendendo la giusta strada,
ricominciando a parlare con lei e a coinvolgerla nelle sue
attività.
Maggie si stava riappropriando di una parte felice e importante della
sua vita, anche se capiva quanto in quel modo ne stava perdendo
un'altra. Un ragazzo diverso la volta, solo baci, un solo
appuntamento per uno. Uno specchio per le allodole mentre raccontava
al suo Diario di questi ragazzi e dei loro interessi, cercando gli
aspetti positivi e ridendo dei più strampalati. Uno di loro
aveva
provato ad allungare le mani una volta, ma era bastato ricordargli
che era la figlia dello sceriffo per farlo tornare al suo posto. Suo
padre stava rientrando a pieno titolo nella sua vita, tanto era vero
che lei lo andava a trovare in ufficio, qualche volta. Quella sera,
ad esempio: era appena tornata da un orribile appuntamento e,
più di
non farsi riaccompagnare a casa da quel tizio, era corsa in stazione
di polizia. Purtroppo là fuori c'era un tempo terribile, tra
pioggia, vento e nebbia. Suo padre era fuori con la maggior parte
degli agenti per una rissa in un bar che era sfociata in un tentato
omicidio, così uno dei pochi colleghi rimasto le aveva detto
che
poteva aspettarlo nel suo ufficio, immaginando che non sarebbe
tornato prima di ore. Si era rilassata nel piccolo divanetto, seduta
sulla sedia della scrivania immaginando fosse il suo posto, guardato
la foto di famiglia incorniciata e curiosato nei cassetti, trovando
spille, post-it e una scatolina di pallottole. Il lavoro del
poliziotto era qualcosa di serio, si chiedeva se avevo caricato la
pistola prima di uscire dall'ufficio quando, a un certo punto, una
voce conosciuta aveva attirato la sua attenzione. Era uscita dalla
porta e fermandosi in corridoio, aveva intravisto in portineria
proprio Mary, che non vedeva da tanto. L'aveva salutata e l'aveva
fatta accomodare nell'ufficio quasi fosse suo.
«Dovevo
ritirare dei documenti per mio padre, non volevo che uscisse con
questo tempo, ma oggi sembra una stazione fantasma».
Lei
aveva riso, guardandola dalla sedia della scrivania mentre si sedeva
adagio sul divanetto. «Sono tutti fuori per un tentato
omicidio».
«Scherzi?
Qui?».
Aveva
annuito, accavallando le gambe, attirando l'attenzione di Mary.
Dopotutto, indossava una gonna. «Da quando te ne sei andata,
questo
postaccio sta diventando come Gotham City in quanto a
criminalità»,
avevano riso insieme.
«Sto
vivendo a Gotham, mi aiutano alcuni amici, e devo dire che in effetti
qui l'aria che si respira è molto peggio», avevano
riso di nuovo,
guardandosi.
«E
perché sei tornata?».
«Settimana
di vacanza. Ho scelto il momento giusto, pare», aveva
guardato dalla
finestrella alta la pioggia che, aiutata dal forte vento, sbatteva
sul vetro, tanto che a volte non si sentiva nient'altro. Maggie aveva
accavallato le gambe nell'altro senso e Mary aveva abbassato lo
sguardo. «E tu? Non avrei mai immaginato che avrei potuto
vederti
indossare una gonna».
«La
odio».
«E
allora?».
«Ero
a un appuntamento. Con un ragazzo», aveva inclinato la testa
da un
lato, serrando le labbra.
«Oh»,
l'altra aveva aggrottato la fronte, curiosa. L'aveva fissata intanto
che distendeva le gambe. «È andato
male?».
«Tanto
male». Maggie si era alzata dalla sedia e si era avvicinata a
Mary
sul divanetto, tanto vicino, per poi baciarla. Era stata la sua prima
volta, lì, nell'ufficio di sceriffo di suo padre. Mary si
era
trattenuta quella settimana soltanto e durante tutto il periodo erano
state insieme più volte, in macchina, a casa di Mary in
camera sua,
nello scantinato a casa di Mary accanto alla lavatrice, in camera sua
quando i genitori non erano in casa, e di nuovo accanto alla
lavatrice. Con lei aveva potuto parlare di Elisa, di quanto era
successo a scuola, dei suoi genitori omofobi e di come non vedeva
uscita, di come non riusciva più a sopportare i ragazzi con
cui era
costretta ad avere appuntamenti per provare ad avere un'assurda
parvenza di normalità.
«Quando
finisci la scuola, vieni a Gotham», le aveva detto.
«Potrai essere
te stessa e mandare a fanculo questa merda».
Allora,
era stata l'unica buona idea che avrebbe potuto tenerla in piedi fino
alla fine del liceo.
Caro
Diario,
Mi
sono informata spesso ultimamente, anche se già sapevo che
era
buona: l'accademia di polizia a Gotham ha recensioni molto positive.
Mio padre è stato formato lì e lui è
un ottimo poliziotto. Tra
qualche giorno potrò fare domanda: lui ha detto che mi
prenderanno
per certo, è sicuro. Ho paura che manderà le sue
referenze ma se
vuole farlo non posso proibirglielo, anche se mi vergogno: l'unico
modo sicuro che ho di lasciarmi indietro questo posto, è
entrare in
quell'accademia. Poi starò a Gotham e sarò
più libera di essere me
stessa. Non ho scelta, caro Diario, non biasimarmi.
Ce
l'aveva fatta. Suo padre forse aveva fatto qualche telefonata, forse
no, ma non aveva importanza: l'accademia di Gotham aveva accettato la
sua domanda. Si era trasferita in città quasi subito dopo il
liceo,
per iniziare ad ambientarsi alla vita di quel posto molto
più
caotica di quella di paese. I suoi genitori avevano insistito per
pagarle la caparra di un loft ed erano rimasti con lei per due
settimane in modo da aiutarla, poi aveva potuto cominciare ad
organizzare la sua vita da giovane aspirante poliziotta. Aveva
iniziato a frequentare la palestra, correva tutte le mattine e,
naturalmente, si era rivista con Mary. Oh, si era rivista spesso con
Mary, tanto che restava con lei per la notte. Tante notti. Avevano
iniziato ad avere una relazione più o meno stabile; Mary
voleva fare
la fotografa e aveva iniziato un corso nello stesso periodo in cui
Maggie aveva iniziato a frequentare l'accademia. In quel periodo era
difficile riuscire a vedersi tutti i giorni, spesso Maggie doveva
restare via per settimane ma, quando si rivedevano, ciò che
stava
nascendo tra loro era diventato più forte di prima. E poi
c'era
James.
Caro
Diario,
La
mia vita qui a Gotham è davvero così diversa da
quella che facevo
prima che stento a crederci. Ma volevo parlarti anche oggi di James
Sawyer. Passano le battute sul cognome che abbiamo in comune, ora
sembra davvero interessato a conoscermi e ho paura che Mary lo
scopra. Non che Mary sia gelosa, ma non voglio rischiare di rovinare
quello che stiamo facendo anche solo un po'. Se mio padre non venisse
ogni tanto in accademia per parlare della mia formazione, magari
potrei semplicemente rifiutarlo, ma così attiro troppo
l'attenzione.
Potrei rifiutarlo e dire che non mi interessa, ma l'ho visto parlare
con lui. È così rischioso che possa entrare in
contatto con la mia
vita libera con Mary. Caro Diario, pensavo davvero che sarebbe stata
più libera di così. La mia vita. Potrò
nascondermi per sempre? A
che prezzo?
No,
non poteva nascondersi per sempre e in fondo lo sapeva. Come aveva
sempre saputo che neanche ciò che di bellissimo stava
vivendo con
Mary sarebbe durato per sempre. E così, proprio com'era
successo
quando al liceo stava con Elisa, le avevano scoperte. Era bastato un
bacio per strada, un bacio solo, fugace, di saluto, perché
sua
madre, che l'aveva vista, avesse gridato contro suo padre che la loro
figlia era perduta.
Era
scoppiato il putiferio in poco tempo. I suoi genitori erano andati a
trovarla e l'avevano costretta a sorbirsi un lungo discorso
sull'importanza del rapporto dell'uomo con la donna che generava la
vita, in paragone a quello della donna con la donna promosso dal
diavolo che non generava vita, che la cessava, che non era approvata
da Dio, e che le avrebbe aperto la porta per l'inferno. E lei che
stava pensando che lo stava già vivendo… Quando
Mary era
rientrata, perché aveva le chiavi, li aveva trovati tutti
riuniti
insieme a un prete, che parlava al centro. Ma Mary indossava delle
borchie, una croce celtica al collo e aveva diversi piercing sul
viso, così sua madre aveva gridato, suo padre era rimasto
bloccato
sulla sedia e il prete era caduto ai loro piedi, quasi svenuto. La
ragazza se n'era andata sbattendo la porta quando il prelato aveva
iniziato a dire l'ennesima preghiera per salvare la sua anima a
distanza di pochi minuti dall'ultima.
«No,
perché dovrei fermarmi?», le aveva gridato quando
Maggie le era
corsa dietro. «È chiaro che non sono la benvenuta
qui! Credevo ti
fossi lasciata questa… questa cosa
alle tue spalle, venendo a Gotham».
«Non
è così semplice».
«Lo
è, Maggie! Sono
gay.
Dillo! Ti basta dirlo e te li potrai lasciare alle spalle, se davvero
lo vuoi».
Maggie
l'aveva fissata per lunghi attimi, ma non era riuscita a fare quel
passo. Era ancora troppo distante da lei e aveva aperto la bocca
appena, non sufficiente per far restare Mary. Era l'ultima volta che
la vedeva.
«Adesso
basta», le aveva detto sua madre, irosa. «Adesso
basta, va bene?
Davvero basta, è troppo! Tutto questo è
inaccettabile; tu non sei
così, non ti abbiamo cresciuto per essere così.
Devi smetterla, e
se non vorrai farlo, saremo costretti a chiedere aiuto», le
aveva
parlato la mattina successiva, una domenica. «Credevamo
che… Va
bene, va bene, non voglio arrabbiarmi ancora, ma questa è
l'ultima
chance che hai, Margarita», l'aveva fissata negli occhi.
«Tuo padre
vuole toglierti i soldi per il loft, vuole toglierti il pagamento per
l'accademia, finirai in mezzo a una strada. Ma io sono riuscita a
farlo ragionare».
Maggie
aveva sentito il terreno mancarle sotto ai piedi. Suo padre voleva
farle quello? E lo voleva solo perché stava con una ragazza,
invece
di un ragazzo? Era davvero così importante, per loro?
Più
importante della loro figlia? Si era dovuta mantenere contro un
mobile, per non cadere.
«Stai
con un ragazzo. Stacci seriamente insieme, però! Non parlo
di un
appuntamento e basta, Maggie, devi sentire com'è stare con
un
ragazzo, così non vorrai più stare…
con una lei». Oh, non
riusciva nemmeno a dirlo. «Fatti portare fuori a cena, dare
dei
fiori, tutte le cose che fanno i ragazzi, insomma, come…
come
riscaldarti con la sua giacca, per esempio», le aveva detto
piano,
con convinzione, come se fossero realmente solo cose che poteva fare
un ragazzo. «Se non lo fai», le aveva guardata con
monito,
«Proveremo a portarti da uno specialista».
«Un
cosa?»,
aveva strabuzzato gli occhi.
«Un
signore che lavora con la chiesa, lo conosce Don Matthew».
«Lo
stesso Don Matthew che voleva esorcizzare la mia ragazza?».
La
donna aveva portato gli occhi al cielo e una mano sul cuore.
«Non
era… la tua ragazza, Maggie, questa è…
confusione mentale,
quello che cercavo di dirti. Il diavolo ti sta tentando, lo dice
anche Don Matthew. Pensi che dovremo portarti subito da lui? Ha
aiutato molti ragazzi a guarire, sa quello che fa».
Maggie
l'aveva guardata a lungo, senza sapere cosa dire. Non aveva avuto
davvero parole, era solamente… sconcertata. Sua madre era
seria ed
era sicura di quello che le stava dicendo e Maggie sapeva di non
avere scelte.
Caro
Diario,
E
così successo ciò che temevo. Non ho molte
opzioni: o dico a tutti
che sono gay e vado a vivere per strada, rinunciando al mio sogno e
correndo il rischio di non rivedere mai più i miei genitori,
oppure
frequento un ragazzo. Una relazione vera, caro Diario. Mi mancano gli
specchi per le allodole, ora. Se mi rifiuto di frequentare un
ragazzo, i miei genitori mi porteranno contro la mia volontà
anche
se sono maggiorenne da uno strizzacervelli cattolico che non
farà
che torturarmi fino a quando non mi convincerò che non mi
piacciono
le donne. Bella cosa, vero? Non sono autosufficiente, hanno il
coltello dalla parte del manico. Se potessi pensare, caro Diario, so
dove la mente ti porterebbe: James Sawyer. È l'unico con cui
abbia
un po' di rapporto e sembra un bravo ragazzo. Inoltre anche lui
è
cattolico e i miei genitori non devono scoprire che non sono
più
vergine, quindi… accidenti, caro Diario, riuscirò
a trovare una
soluzione prima che vogliano farmelo sposare? Ho come la sensazione
che, di questo passo, sarò incastrata a vita.
I
suoi sospetti erano fondati. Doveva aspettare la fine dei quattro
anni dell'accademia di polizia per essere se stessa? Non lo aveva
pensato anche per la fine del liceo? Per la sua nuova vita a Gotham?
Alla fine dell'accademia, cos'altro ci sarebbe stato a impedirle di
vivere la sua vita? Perché i suoi genitori non potevano
semplicemente capire e accettare?
Con
immenso gaudio da parte loro, in special modo di suo padre, Maggie
aveva iniziato a vedersi con James Sawyer anche fuori dall'accademia.
Era un ragazzo gentile, intelligente e talvolta spiritoso; le portava
davvero i fiori e le prestava la sua giacca quando fuori faceva
più
freddo. Baciarlo non le dava più sensazioni di baciare un
cagnolino,
ma ci stava facendo l'abitudine. E l'abitudine, probabilmente, era
una cosa ancora più pericolosa.
«Ehi,
ti è caduto…», quella ragazza aveva
lasciato la frase a mezz'aria
e Maggie si era distratta, guardandola di sfuggita e poi il pavimento
di lamiera che sballottava: ormai si stava abituando alla metro di
Gotham e a quella vita frenetica. «Lascia, faccio
io». Si era
inchinata e le aveva raccolto il libretto, porgendoglielo con un
sorriso.
Maggie
lo aveva strappato con foga, neanche quella ragazza avesse voluto
rubarglielo. Era il suo Diario, quello. Il suo amato Diario, volume
sesto. Lo aveva iniziato da poco, da quando James Sawyer le aveva
chiesto di andare a vivere con lui.
«Oh,
dev'essere importante», era rimasta inchinata, a sorriderle
in quel
modo, tenendosi al suo sedile.
«Lo
è».
«Allora
occhio a non perderlo ancora», le aveva fatto l'occhiolino e
Maggie
aveva alzato gli occhi al cielo e sospirato. «Non ci
sarà sempre
una bella ragazza a porgertelo».
Non
le aveva risposto, anzi era scattata fuori appena il mezzo si era
fermato, spostandola con forza per passare. Tutti stavano uscendo,
pensava di essersene liberata, invece l'aveva raggiunta poco dopo,
ghignando.
«Il
tuo nome? Posso? Mi sembri una persona interessante da
conoscere».
«Senza
offesa, non è reciproco», aveva scrollato le
spalle, continuando a
camminare, uscendo dalla stazione con lei dietro.
Aveva
subito riso, mettendo le mani nelle tasche del suo giubbotto.
«Per
fortuna ho molta stima di me, o mi avrebbe fatto male. Allora provo a
indovinare? Sole? Marisol?».
Maggie
aveva strabuzzato gli occhi, continuando a camminare, attraversando
una strada.
«No?
Allora proviamo con Isabel? Aurelia? È Flora? Allora
forse-».
A
quel punto si era fermata, scuotendo la testa e ridendo.
«Stai
tirando fuori dal repertorio ogni nome latino che ti viene in
mente?».
La
ragazza aveva scrollato le spalle, annuendo con soddisfazione.
«Troppo razzista?».
«Offensivo»,
aveva scrollato gli occhi. «Mi chiamo Maggie».
«Oh,
bene, Maggie».
«È
Margarita, veramente», le era sfuggito in un brusio,
riprendendo a
camminare.
L'altra
rise, correndole dietro. «Ci stavo arrivando, era in lista!
Va bene,
allora. Piacere di conoscerti, io sono Kate. Kate Kane».
Kate
le piaceva. Le era piaciuta fin da subito e lo starle vicino, giorno
dopo giorno, non aveva fatto altro che confermarglielo. Era
ricambiata, lo sapeva, Kate non era esattamente qualcuno che
riusciva, né voleva, nascondere certe cose, ma Maggie con
lei era
stata chiara fin da subito: aveva un ragazzo e stavano per andare a
vivere insieme, quindi tra loro non ci sarebbe stato niente se non
amicizia. Anche Kate abitava in un loft lì a Gotham, due
strade
prima del centro. Da quelle parti diceva di avere un appartamento che
condivideva con suo padre, ma era un colonnello e, per fortuna, aveva
detto, stava via parecchio tempo da Gotham e da lei.
«Non
siete in buoni rapporti, sembra», le aveva detto quella sera,
quando
Kate l'aveva invitata da lei per bere qualcosa. «Anch'io
sono… di
nuovo ai ferri corti con mio padre».
Kate
aveva ridacchiato, appoggiandosi a un mobile e bevendo un sorso di
birra dalla bottiglietta. «Sono tornata a Gotham da pochi
giorni,
ero nel Corpo dei Marines», l'aveva vista fare un'espressione
sorpresa e aveva continuato. «Mi hanno espulsa per aver
scoperto la
mia relazione gay»,
aveva virgolettato con le dita, «con una
commilitone».
«Oh,
capisco».
«E
mio padre… beh, non ha preso bene l'espulsione».
«E
capisco anche questo».
Se
da una parte, con James Sawyer, avevano appena pagato la caparra per
un appartamento più grande con cui costruire una nuova vita
insieme,
dall'altro, Maggie si stava rendendo sempre più conto,
stando vicino
a Kate, quanto sarebbe stato bello poter
vivere
davvero. Amava i suoi genitori e avevano sempre fatto tutto per lei,
non voleva deluderli o abbandonarli, ma quello che stava per fare con
lui, come le diceva Kate, era come deludere e abbandonare se stessa.
Con Kate aveva scoperto meglio chi era e i suoi desideri, tanto che
una settimana dopo era riuscita a convincerla a partecipare con lei
alla parata del Pride che si era svolto a Gotham. Quella che i suoi
genitori definivano una pagliacciata, era per lei un fiume di gente
colorata, sorridente che non aveva paura di giudicare e essere
giudicata. Aveva detto di essere gay per la prima volta lì,
lo aveva
urlato, e tutti erano stati pronti per abbracciarla e farla sentire
al sicuro. Aveva conosciuto un uomo poco più grande di suo
padre
che, per aver dichiarato di essere gay, aveva perso la famiglia, tra
cui dei figli, e il lavoro, finendo a vivere per strada aiutato dai
centri lgbt. Lui aveva perso tutto ma il suo sorriso era
così libero
che la sua libertà aveva contagiato anche lei. Era triste
pensare a
ciò che aveva dovuto subire, ma aveva invidiato il suo
coraggio. Una
volta finito il Pride, il suo mondo si era di nuovo spento.
«Ehi»,
James le aveva sorriso, una volta aperta la porta di casa.
«Festeggiamo?». Maggie ricordava gli scatoloni
ovunque e che lui
aveva aperto una bottiglia di champagne, mettendo due bicchieri sul
tavolo.
Si
era guardata intorno e si era chiesta tante e troppo volte, varcando
l'ingresso fino a raggiungerlo in cucina, se era davvero quella la
vita che voleva fare. Aveva chiesto al suo caro Diario se una vita al
suo fianco non sarebbe stata probabilmente più simile a una
trappola
per lei e a un imbroglio per lui, che pensava di essere amato e non
lo era. Non stava forse condannando entrambi?
Si
erano seduti sul divano e avevano guardato la loro casa, battendo i
bicchieri e iniziando a bere. Lui era felice, lei spaventata, tanto
che la gola le si era chiusa e aveva faticato a mandare giù
lo
champagne. Avevano preso a parlare, James le aveva chiesto dov'era
stata e dopo se aveva trovato traffico per via dei gay. Avevano
lasciato i bicchieri su un tavolino e lui si era avvicinato.
Avvicinato troppo.
«Stavo
pensando che… stiamo insieme da un po'
e…».
Maggie
aveva deglutito e si era sentita svuotare il corpo, come se gli
organi avevano deciso all'improvviso di liquefarsi, salendole il
panico: voleva fare… sesso?
«Aspetta…
Pensavo fossi cattolico».
«Lo
sono».
«Ma…
e la prima notte di nozze?».
«Oh,
non dirmi che credi a queste cose?», aveva strabuzzato gli
occhi.
«Non voglio offendere la tua fede e in effetti non ne abbiamo
mai
parlato prima, ma non pensavo che… adesso siamo in una casa
nostra
e-».
«Va
bene». Maggie aveva deglutito e così accettato. Le
era venuta
voglia di vomitare tutti i suoi organi liquefatti, ma quella era la
sua occasione definitiva per capire se poteva realmente stare con lui
o mandare tutto al diavolo. Si erano stesi, dopo spogliati, e lui
aveva iniziato a baciarla. Le aveva fatto schifo. Non lo voleva, il
suo corpo non era riuscito a reagire come avrebbe dovuto, ma aveva
cercato con ogni mezzo di controllarsi, di fingere che stava andando
tutto bene. Di amarlo, almeno un poco.
Caro
Diario,
Non
ce la faccio. Come posso vivere così? James ed io siamo
stati a
letto insieme ed è stata la peggiore decisione della mia
vita! Lui è
stato paziente, ha cercato di coinvolgermi, ma deve aver capito che
la cosa non mi è piaciuta. Se dovessi chiedere un consiglio
agli
omofobi, loro direbbero che devo iniziare a mentire anche a lui, in
modo che alla fine riuscirò a mentire anche a me stessa? Non
andrò
dall'amico di Don Metthew, con questo ho chiuso davvero. Non possono
obbligarmi perché sono maggiorenne e perdere una casa e
l'accademia
di polizia, a questo punto non mi spaventa più. Niente
è più
spaventoso di una vita con un uomo che non amo! Per questo l'ho
lasciato. Era ora, vero, caro Diario? Non volterò di nuovo
le spalle
a me stessa. Mai più. Per questo, quando ho lasciato James,
ho
bussato alla porta di Kate.
Kate
aveva aperto. Maggie l'aveva spinta dentro e l'aveva baciata, avevano
preso fiato e si erano baciate di nuovo. Kate l'aveva presa in
braccio e l'aveva lasciata sul tavolo, aiutata a spogliarsi, sotto i
loro gemiti caldi, stringendosi, senza dirsi una parola. La prima
l'aveva ripresa tra le sue braccia ma avevano tirato la tovaglia.
Erano finite per fare l'amore sul pavimento, con metà
tovaglia
avvolta in una gamba di Maggie e con polvere di biscotti sui capelli.
Questa
volta avrebbe potuto funzionare. Maggie si era trasferita il giorno
stesso da Kate, ma non aveva ancora detto nulla ai suoi genitori, che
in quel periodo erano in paese. Avevano iniziato una serena
convivenza mentre proseguiva l'accademia per il tempo che le era
concesso e cercava lavoro, spargendo la voce tra gli amici di Kate e
quelli conosciuti stando con Mary. Doveva tagliare il cordone
ombelicale prima che lo avrebbe violentemente fatto suo padre. Erano
passati quasi sette giorni, James le rivolgeva ancora la parola ma
era freddo e non poteva chiedergli di mentire con suo padre, se lo
avesse visto o sentito. All'ottavo giorno della sua vera vita, aveva
trovato un lavoro come lavapiatti in un ristorante. Era felice di
iniziare e aveva imparato a districarsi tra il lavoro, l'accademia e
Kate. Stavamo insieme quando potevamo, ogni minuto era importante per
dimenticare di aver potuto seriamente pensare di passare la sua vita
con James Sawyer. Al decimo giorno della sua vera vita,
però, si era
sentita male al lavoro. Le era salita la nausea a stare a contatto
con tutti quegli odori e non aveva potuto proseguire. Era tornata a
casa che aveva bassa la pressione e temeva di aver preso la febbre.
Oh, sarebbe stata una tragedia! Aveva appena iniziato un lavoro che
non poteva neppure coinvolgerla quanto avrebbe dovuto per via
dell'accademia e il suo capo l'aveva guardata storto, ma quello che
aveva allora era ben peggiore. Prendere a pugni il lavello in bagno
era stata la sua prima reazione alla novità. Dopotutto, come
altro
avrebbe dovuto prenderla? Era giovane, aveva a fatica deciso di voler
vivere tranquilla, e ora, senza soldi da parte dei suoi genitori,
quasi in mezzo alla strada se non fosse stato per Kate, come avrebbe
fatto?
Caro
Diario,
Non
mi sono fatta sentire da tanto e credo che da oggi in poi
scriverò
sempre meno. Sono incinta. Di sette mesi. Una volta con un ragazzo e
sono stata fregata, bella cosa, eh? Non ho scritto da un po' e ci
sono stati tanti cambiamenti. Ora ti racconto! Per prima cosa, l'ho
detto a James. Ovviamente avrei dovuto dirlo subito a lui.
«Cosa…?
No… Ho usato il… mi hai visto».
Lui
era talmente impietrito che non era riuscito a parlare. Forse il
preservativo si era rotto e non ci avevano fatto caso, dopotutto lui
era stato molto preso e Maggie aveva avuto la testa altrove. Era
andata. James non sembrava pronto a fare il padre; era appena pronto
per convivere, era troppo presto. Lo capiva, perché era
troppo
presto anche per lei.
James
non farà parte della vita di mio figlio, o figlia, caro
Diario. Mi
ha consigliato di abortire e anche io, all'inizio, ero orientata
verso quell'idea. In fondo non stavamo neanche più insieme e
un
figlio ci avrebbe tenuti legati per sempre. L'ho lasciato andare e
non me ne pento. Quando il mio bambino sarà grande, forse
vorrà
conoscerlo e ci sarà il tempo per farlo, lo spero.
La
seconda novità, tieniti forte: non sto più con
Kate. È stato bello
con lei, non potrei mai descrivere quanto, ma sentivo che non era
adatta a me, alla vita che volevo.
Stava
rientrando a casa dall'accademia, quella sera. Aveva scoperto di
essere incinta da due giorni e non era ancora riuscita a dirglielo.
Aveva paura di come avrebbe reagito, ma sentirla parlare attraverso
il telefono, una volta rientrata e poggiato le chiavi, le aveva
aperto gli occhi.
«Ti
fanno impazzire, lo so», aveva riso con gusto, alle sue
spalle. «Io?
Oh, per carità, mi ci vedi con dei marmocchi? So appena
badare a me
stessa, al momento».
Quando
aveva chiuso la telefonata, l'aveva accolta e abbracciata. Glielo
aveva detto il giorno dopo, aggiungendole che l'avrebbe lasciata. La
loro relazione era iniziata da poco, ma era evidente che non erano
destinate a stare insieme. Kate aveva provato a riconquistarla, a
farle capire che se anche aspettava un figlio non le cambiava niente,
ma forse era Maggie quella che stava cambiando. Non se l'aveva presa
per ciò che aveva detto al cellulare, era solo una battuta e
a volte
le cose escono senza pensarci, ma sentirglielo dire le aveva fatto
capire che non voleva stare con Kate.
Lei
mi ha aiutato e continua ad aiutarmi molto in questo periodo, caro
Diario. È lei che paga la maggior parte delle mie visite
ginecologiche e mi ha dato un tetto sulla testa anche se l'avevo
lasciata. È ricca, sì, ma mi vergogno che mi
aiuti in questo modo.
È solo che non ho scelta, fino a quando non potrò
davvero
sistemarmi.
Infine,
l'ho detto ai miei genitori. Con loro è stato più
difficile, ma ce
la sto facendo, caro Diario. Sono fuori dalla vita che loro avevano
programmato per me.
«Ti
sei lasciata con James? E sei incinta?», sua madre era
sbiancata e
suo padre aveva dovuto reggerla per evitare che cadesse.
«Ho
deciso che terrò il bambino».
«Certo
che lo terrai», aveva ribattuto suo padre. «Sarebbe
un peccato
contro Dio! E adesso richiama quel povero ragazzo, convincilo a
riprenderti, o chi tirerà su tuo figlio?».
Maggie
già sapeva che quella sarebbe stata la discussione
più difficile
della sua vita. «Io. Io tirerò su mio
figlio».
«Cosa
dici?», sua madre le aveva picchiettato una spalla.
«Devi sposarti,
prima che la pancia cresca troppo».
Non
bastava che, per troppi anni, erano riusciti a convincerla a vivere
una vita che non voleva, ora avrebbero tirato dentro sia James che il
figlio che doveva ancora nascere? No. Non avrebbe più
accettato
simili compromessi per se stessa, e di certo non l'avrebbe fatto per
la creatura che le cresceva in grembo. Non le avrebbe fatto vivere
una bugia. «Non sposerò James», aveva
scosso la testa e sua madre
si era portata una mano contro la bocca.
«Servono
un padre e una madre per crescere dei figli, mija», suo padre
aveva
aggrottato la fronte. Cominciava ad arrabbiarsi.
«Serve
l'amore per crescere dei figli, papi», aveva deglutito,
inclinando
la testa. «Voi mi avete dato l'amore, non perché
eravate uomo e
donna, ma perché i miei genitori. Io darò tutto
l'amore necessario
al mio bambino».
Sua
madre si era di nuovo avvicinata e aveva provato a guardarla con
biasimo, sfiorandole un braccio. «È James che non
vuole sposarti?
Lo ha detto lui?».
«No»,
si era scrollata la sua mano di dosso, facendo preoccupare la donna.
«È una mia decisione», si era toccata il
petto. «Mia,
va bene? Non lo amo. Adesso sarò io a scegliere della mia
vita».
«Vuoi
tornare dalla tua amichetta con gli spilli e i buchi in
faccia?».
«No!
Mary non- non è un'amichetta e non ci sentiamo
più da… Posso
anche stare da sola».
A
quelle parole, sua madre si era dovuta sedere e suo padre si era
messo una mano sulla fronte. Non capivano. Forse non lo avrebbero mai
fatto. «Non si crescono i figli da soli, né tra
due donne».
«Non
è vero», gli aveva replicato con pazienza, pur
mantenendo con forza
le sue ragioni. «Molte lo fanno già. Il mondo va
avanti anche senza
i vostri preconcetti! Non importa se starò da sola, ma se
dovessi
avere qualcuno accanto, beh, allora quel qualcuno sarà una
donna»,
aveva di nuovo inclinato da un lato la testa, cercando di sorridere a
entrambi. «Sono gay. Dovete accettarlo».
Suo
padre si era messo entrambe le mani nei capelli e sua madre aveva
emesso un verso spaventato di angoscia. «Devi andartene,
allora»,
le aveva detto suo padre, all'improvviso. Si era messo le mani sui
fianchi e l'aveva fissata con sfida. «Non sei la figlia che
ho
cresciuto e siamo stati fin troppo ragionevoli con queste… cose.
Non avrai più nulla da noi, non sei nostra figlia, devi
andartene».
«No,
papi», aveva scosso la testa, con occhi lucidi.
«Non mi stai
mandando via, hai sbagliato: perché me ne sono
già andata».
Aveva
recuperato il suo giubbotto e si era avviata verso la porta. Mentre
suo padre era rimasto fermo a guardare, sua madre si era rialzata di
corsa e le aveva gridato per fermarsi, ma Maggie l'aveva ignorata.
Chiusa la porta di casa, l'aveva sentita ancora urlare contro suo
padre, dire che era incinta, che non la poteva sbattere fuori, e di
nuovo che era la sua bambina e che era incinta.
Non
voglio mentirti, caro Diario, non l'ho mai fatto: andarmene
è stato
durissimo quel giorno. Ero tornata in paese solo per quello, sapevo
come sarebbe finita, ma sono andata avanti a testa alta. Mi sono
continuata a pagare l'accademia di polizia con qualche lavoretto qua
e là di pulizia, attenta a non esagerare, perché
non volevo che
Kate pensasse anche a quello. Ho imparato ad arrangiarmi alla
giornata e sono davvero fortunata che mi abbiano concesso di
continuare le lezioni, per quanto il corpo mi permetta. Mi hanno
consigliato di fare una sospensione, ma lo farò solo se
strettamente
necessario. Non voglio restare indietro. Mi sto gonfiando e
più la
data si avvicina, più diventare madre mi terrorizza. Ma
farò tutto
il possibile per dare a questo bambino, o bambina, la vita che
merita.
E
così, più in fretta di quanto pensasse, la data
era arrivata ed era
nata una bambina. L'aveva chiamata come l'uomo che le aveva regalato
quel sorriso di libertà al Pride di Gotham: Jamie. Jamie
sarebbe
stata libera. Quella bimba così piccina era appena diventata
tutto,
per lei.
Kate
le aveva portato un mazzo pieno di palloncini colorati. Aveva
guardato la piccola, aveva salutato entrambe ed era uscita dalla
cuccetta per un caffè. Maggie l'aveva in braccio e la
fissava,
rivedeva se stessa e la sua paura di crescerla riflessa negli
occhietti castani. Ora sarebbe cambiato tutto. All'improvviso aveva
sentito bussare e si era sporta per controllare. Aveva visto altri
palloncini e un mazzo di fiori, ma il suo entusiasmo era scemato
quando aveva visto che, a portarglieli, erano stati i suoi genitori.
«Mija»,
suo padre era entrato per primo e, dietro di lui, sua madre, che era
sembrata titubante.
Caro
Diario,
Loro
sono rientrati a far parte della mia vita. Non preoccuparti: le
regole sono mie, adesso. Hanno deciso che non vogliono perdermi e non
vogliono perdere la possibilità di veder crescere la loro
nipote.
Sì, ho avuto una bambina, Jamie. Non li ho perdonati del
tutto, ma
hanno accettato di far parte di un gruppo di genitori di persone
lgbt, così impareranno, magari, ad aprire le loro vedute.
Era il mio
prezzo, se volevano avere a che fare di nuovo con me. E questo, devo
dire, mi porta una qualche soddisfazione. Sono già passati
diversi
mesi e pare che la cosa possa funzionare. Sto continuando a lavorare
e a frequentare l'accademia, loro si offrono di tenermi Jamie ogni
tanto, quando decido di lasciare in pace la babysitter. Anche Kate
l'ha guardata spesso, all'inizio. Ho freddato il mio rapporto con
lei, caro Diario, perché è successo
ciò che temevo: ha cercato di
baciarmi, ha detto di voler stare con me, di volere anche mia figlia.
Non sono innamorata di lei e non voglio ricadere in un altro errore.
E Kate… Kate non vuole dei figli, caro Diario. Non posso
costringerla a fare questa vita, non sarebbe diversa da James Sawyer.
Però mi sono vista con altre donne, in questo periodo.
Alcune di
loro erano come me, in cerca di uno sfogo per poi tornare a casa e
forzare un'eterosessualità che non c'è. Spero per
loro di uscirne
presto. Intanto, sto pensando se non sia il caso di trasferirmi,
appena avrò finito l'accademia. Gotham mi piace, ma non so
se voglio
crescere qui Jamie. Starei più lontana dai miei genitori, da
James e
da Kate. Non lo so. Ho voglia di innamorarmi seriamente, ma al
momento, il mio unico amore è quella bambina. La mia vera
vita è
questa, caro Diario. L'ho cercata a lungo ed è arrivata come
non me
la aspettavo, ma ho intenzione di godermela in ogni istante!
Un
capitolo sul passato di Maggie sembra quanto di più stand
alone
possa esserci, in questo momento, ma esplorare il suo personaggio e
la nascita di Jamie è importante proprio in questo punto
della
storia.
Spero
non vi abbia annoiato! Questo capitolo è così
pregno di dramma
omofobo che sono felice di averlo scritto, ahah!
Abbiamo
potuto notare il rapporto di Maggie coi suoi genitori, la sua
crescita personale, il suo rapporto con le altre donne e come queste
l'abbiano influenzata. Perché Maggie ha chiamato sua figlia
Jamie e
perché non ha un padre. Ah, certo, abbiamo anche scoperto
che ha
avuto una storia, seppure breve, con Kate Kane! Non mi sono lasciata
sfuggire l'occasione anche se, ehi,
Kate non è e non sarà un personaggio regolare o
importante ai fini
della trama. A meno di nuovi sviluppi, resta una guest
XD
Veniamo
alle note ~
-
Nelle note allo scorso capitolo, avevo scritto di aver usato e tenuto
un nome dalla serie sul passato di Maggie per un personaggio
è quel
personaggio è Elisa.
Nella serie, una certa Elisa era il primo amore di Maggie da che ho
capito, solo che era stata rifiutata e le aveva spezzato il cuore.
Beh, nella mia storia ho voluto giocare con questa cosa e farla
ricambiare, con la differenza che Elisa non ha “le spalle
larghe”
di Maggie per attutire i colpi, ha troppa paura e scappa da se stessa
e la verità. Comunque le spezza il cuore.
-
Sempre nelle note allo scorso capitolo, avevo scritto di aver
costruito un personaggio secondo le indicazioni che avevo dello
stesso personaggio sulla serie, e questo è il padre
di Maggie. Quando mi è stato spiegato di quell'episodio in
cui era
comparso il padre di Maggie, io avevo già buttato le prime
idee di
questo stand alone e me lo sono fatta raccontare per aiutarmi a
delinearlo, sta di fatto che caratterialmente lo avevo già
immaginato molto simile, quello che mi aveva sorpreso era l'aspetto!
Quando ho cercato su Google ci sono rimasta male, perché me
lo
aspettavo più basso, cicciotto e con il riporto, invece me
lo
ritrovo alto due metri e quasi col fisico da rivista XD Allora
niente, l'aspetto della serie ha “vinto”, e
scrivendo il
capitolo, mi sono immaginata quell'omone lì. Spero di averlo
reso
bene caratterialmente, ma non ne sono sicura.
-
La cosa curiosa del giorno: non mi piace Ruby Rose ma a suo modo, nel
crossover di quest'anno delle serie dell'Arrowverse, mi ha un
pochetto convinta e per immaginarmi Kate Kane ho preso proprio il suo
aspetto
-
Per chi non lo sapesse, mija
è usato nello slang ed è la forma abbreviata
dello spagnolo mi
hija,
mia
figlia.
Lo avrete sentito mille volte nelle serie tv!
- James Sawyer. Allora,
premettiamo che io di fumetti ne so davvero poco, a volte cerco info
quando mi servono o se sono curiosa su qualcosa in particolare, ma
cercando il padre di Jamie mi era uscito questo James, poliziotto, che
di cognome è Sawyer. Io non so se Maggie ha tenuto il suo
cognome anche da divorziata (nei fumetti sono divorziati, no?), oppure
se era James ad aver preso il suo (poco probabile), ma nella serie tv
è Maggie ad avere questo cognome per certo e
anziché impazzire per trovarne un altro che si addicesse al
ragazzo, ho preferito lasciare Sawyer anche per lui. Non è
così strano conoscere qualcuno che ha il nostro stesso
cognome, su :P (Averne una quasi storia è un altro discorso,
ma...)
E
ora ricordatevi com'è finito lo scorso capitolo, che tutto
riprenderà là dov'è rimasto! A sabato
9 con il capitolo 41 che si
intitola Noi
contro loro.
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