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Autore: Ghen    28/02/2019    4 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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40. Caro Diario


Caro Diario,
L'ho rivista questa mattina. Veramente ci siamo salutate, mi ha anche sorriso ed è stato bello. È bello che sappia della mia esistenza. Non mi aspetto molto altro, anche se
Aveva smesso di scrivere, ascoltando dei rumori fuori dalla sua finestra.
anche se siamo nella stessa classe di letteratura e informatica da un anno e mezzo e abbiamo fatto le stesse scuole. Non può ricordarsi di tutti, giusto? Probabilmente non ricorda di quando le ho prestato un libro, né dei soldi della merenda, o di quando a pallavolo
«Uff», aveva smesso di nuovo, poggiando la penna da un lato del foglio e, con faccia imbronciata, portarsi una mano in fronte. «Davvero non si ricorda di me?».
Sai che c'è, caro Diario? Alla fine chi se ne importa. Io ho una cotta stupida e lei ha un ragazzo, neanche uscirebbe con una come me. Neanche io uscirei con una come me.
Aveva poggiato di nuovo la penna e chiuso il diario, ascoltando di nuovo i rumori fuori dalla finestra della sua stanzetta. Una macchina si stava avvicinando. Sì, era quella giusta. Aveva lasciato la scrivania e corso fuori dalla camera, percorrendo le scale verso il piano inferiore, con un pronto sorriso stampato sul viso. La porta si era aperta e un uomo alto e un poco brizzolato era entrato: il tempo di chiudere dietro di lui, che la ragazzina gli era saltata addosso, tutta eccitata. «Com'è andata a lavoro? Hai arrestato dei criminali? Ti sei appisolato nel tuo ufficio? Ti hanno portato le ciambelle?».
Lui aveva riso e se l'era scrollata di dosso con qualche difficoltà, rimettendola a terra e sistemandole la salopette. «Cos'è che si dice per prima cosa quando papi torna a casa?».
«Bentornato a casa, papi».
«Brava la mia bambina», le aveva strapazzato le guance là dove si formavano le fossette e lei si era tirata indietro.
«Non esagerare, ho quasi quindici anni».
«Sei tu quella che mi è saltata addosso». L'uomo aveva lasciato il cappello all'ingresso insieme al giaccone bianco, ed entrando in cucina con la figlia a seguito aveva risposto prontamente punto per punto a ogni sua domanda, compresa quella sulle ciambelle.
«E i criminali erano criminali veri con le pistole?».
«Il solito ubriaco», si era seduto stanco su una sedia vicino al tavolo in cucina, mentre sua moglie si era spostata dai fornelli solo per dargli un bacio. «Siamo in paese, mija. Non è come essere a Gotham, qui la criminalità te la devi quasi cercare», aveva ridacchiato e la figlia lo aveva guardato confusa.
«Allora torniamo a Gotham! Mi piaceva stare lì».
«Ti piaceva perché eri poco più che in fasce, ecco perché», aveva scherzato sua madre.
La giovane Maggie aveva messo su una smorfia, seccata, poco prima di riguardare sua padre e sorridere di nuovo, eccitata. «Beh, chi se ne frega di Gotham, qui sei diventato sceriffo! Hanno capito il tuo valore». Lo aveva abbracciato ed era tornata di sopra, intanto che sua madre le gridava che era quasi pronto per cena. Il tempo di superare il penultimo scalino che le risa di suo padre l'avevano bloccata, sedendo lì solo per ascoltare.
«Cosa? Anche qui?», aveva sentito chiedere sua madre, starnazzando.
«Sì, sì… Ero al comune per sbrigare delle cose, salutavo degli amici, e spuntano questi froci all'improvviso, in branco come animali e vestiti da pagliacci, sai, tutti colorati da froci, per chiedere il permesso di sfilare».
Maggie aveva stretto le labbra, continuando ad ascoltare.
«Ma basta, non se n'è può più! Qui siamo tutti cristiani, non basta che queste pagliacciate le fanno in città, non sono mai contenti», aveva replicato sua madre con una punta di acidità nella voce. «Dio li punirà».
Suo padre aveva ridacchiato ancora. «Ma lasciali perdere, che sono malati, quelli. Non volevo parlarne davanti a Maggie».
«Certo, è giusto. Ci manca solo di essere influenzata da quelli là».
Aveva sentito abbastanza: si era tirata su con forza ed era tornata in silenzio in camera sua, prima che continuassero a parlarne. Già, non dovevano farlo davanti a lei, che era nell'età dello sviluppo e sia mai che avessero potuto contagiarle quella orribile malattia. Ah, ogni volta che li sentiva parlare di quello, le faceva male qualcosa dentro. Da quando aveva capito che le piaceva una sua compagna di scuola, era stata una lotta continua con se stessa. Era normale provare una cosa del genere per una ragazza, essendo lei stessa una ragazza? Non aveva dovuto chiedere ai suoi genitori per sapere cosa ne pensassero, le era chiaro da sempre, e anche la televisione diceva che era sbagliato, e le riviste. Un'insegnante a scuola però era stata di un'opinione differente, cogliendo l'occasione di far tacere due ragazzi che prendevano in giro un loro compagno per parlare di omosessualità. Era allora che quel sentimento aveva trovato un nome. L'insegnante era riuscita a convincerla che non ci fosse nulla di male in ciò che provava ma, da quando lei era stata trasferita, le cose si erano di nuovo fatte difficili. Poteva davvero considerarsi una persona normale? Era una domanda che la tormentava da tempo.
Caro Diario,
Forse ciò che provo non è che sia sbagliato, ma è passeggero. Un giorno mi sveglierò che non ci penserò più e potrò trovarmi un ragazzo come le altre della mia scuola. Un ragazzo potrebbe innamorarsi di me? Lo spero.
Era stato quello il suo obiettivo al tempo: non voleva far arrabbiare i suoi genitori, men che meno Dio, così si era messa in testa di provare a farsi piacere dai ragazzi. L'idea era quella, per lo meno, prima di trovarsi davanti al cancello della scuola e ricordarsi, venendo vista e indicata da tutti mentre le ridevano in faccia, che lei era quella sfigata. Una ragazza l'aveva salutata e poi aveva piegato le dita per mostrarle quello medio. Un gruppetto le era passato davanti ognuno sul proprio skateboard e per poco non la facevano cadere di proposito. Sentiva di essere osservata e dovunque posava il suo sguardo, vedeva qualcuno voltato verso di lei che sghignazzava come in un vecchio cartone animato. Non bastava la sua cotta per una ragazza a farla sentire diversa, era comunque sempre stata diversa per ragioni a lei sconosciute. Forse perché non si truccava? Perché non aveva mai indossato una gonna e le piacevano gli scarponi? Ah, a loro non sarebbe andata bene in ogni caso. Forse quelle cose non le sarebbero mai piaciute; che male c'era a essere diversa? E poi c'era lei, Elisa. La ragazza per cui aveva una cotta. Elisa non era come le altre: non solo non la prendeva in giro, era una tipetta che se ne stava piuttosto per le sue, con pochi amici ma giusti. Un po' come lei, e un po' come loro. Perché Elisa era rispettata, se non altro. E si truccava, da non sottovalutare.
Maggie era convinta che Elisa non l'avrebbe mai degnata di vere attenzioni ed era anche solo felice quando i loro sguardi si incrociavano per errore e si metteva in imbarazzo, così niente avrebbe potuto prepararla a ciò che sarebbe successo a pochi giorni da quella pagina di diario. Confusa per la sua cotta verso una ragazza, da giorni aveva approfittato della lezione di informatica per cercare informazioni su quella che definiva un'omosessualità passeggera e suggerimenti per velocizzare il processo. In verità, dopo due siti porno che si erano accidentalmente aperti, ne aveva trovato uno dove una ragazza, una ragazza proprio come lei, parlava di una cotta per una sua compagna di classe ai tempi del liceo. Si era incantata a leggere e così aveva scrollato la pagina per altre testimonianze, e altre, trovando quel conforto in cui non sperava: le persone omosessuali erano felici. Una di quelle, però, era molto diversa: un ragazzo era stato forzato dalla famiglia a seguire un percorso religioso per guarire da quella che, come suo padre, definiva una malattia. Si era persa nel leggere delle atrocità che gli avevano inflitto per convincerlo di poter guarire; quante situazioni al limite della tortura aveva dovuto subire, quanti danni psicologici, quante sofferenze fino a rendersi conto di non aver nulla da cui guarire e ricominciare la sua vita daccapo. Maggie aveva sentito i brividi dalle cosce alla schiena, preoccupata che i suoi genitori sarebbero potuti arrivare a tanto, se lo avessero scoperto. Certo, loro le volevano bene, ma anche i genitori di quel ragazzo glielo ripetevano spesso.
«Ehi, hai un fazzoletto da prestarm-».
Si era bloccata. Lei, Elisa, era alle sue spalle, sporta dal suo banco, e si era bloccata guardando il suo monitor. Maggie era diventata color pomodoro e, cercando di chiudere la pagina in fretta, aveva finito per cliccare su cose che non aveva fatto in tempo a vedere, aprendole pagine dopo pagine di siti porno. Se era rimasta perplessa nel vedere le icone di piccoli uomini che si baciavano e innocenti bandierine arcobaleno, chissà cosa doveva aver pensato di peni in movimento in primo piano. La sua agitazione nel chiudere tutte le pagine aperte in simultanea aveva attirato la curiosità del professore, ma era stata inaspettatamente Elisa a prendere tempo rivolgendogli una domanda, quello necessario per chiudere tutto e ritrovare i compiti che stavano svolgendo.
«Elisa», l'aveva chiamata a fine lezione, raggiungendola fuori dalla porta. Aveva la tachicardia al pensiero di parlare con lei. «Mi hai salvato la vita, non so se te ne rendi conto».
Lei aveva riso e l'aveva invitata a seguirla in un corridoio, per non bloccare il via vai di studenti. «A casa tua non avete un computer?».
«No», aveva risposto subito, sforzandosi per guardarla negli occhi. «Mio padre è della vecchia scuola e mia madre pensa che siano pericolosi».
Lei aveva riso di nuovo, con più gusto. Era facile capire per Maggie che quella cotta non se ne sarebbe davvero andata così facilmente come credeva. «In effetti, con tutte le pubblicità che si aprono, è pericoloso davvero».
Maggie aveva tremato; aveva cercato di calmarsi, ma le era venuto da sudare. «Sì, mh, me ne sono accorta».
Elisa l'aveva salutata ed era uscita. Non aveva fatto in tempo a chiederle se aveva visto cosa stava guardando, ma era stato perfetto così. Le aveva parlato, anche se alla fine non le aveva prestato quel fazzoletto. Una volta a casa, aveva subito scritto la novità sul suo diario; pensava che sarebbe rimasto un ricordo felice e sporadico chiuso nel cassetto, invece Eliza le aveva rivolto la parola più volte in quel periodo, si era seduta vicina a lei a lezione di letteratura e ogni tanto la chiamava per farsi aiutare in informatica. Neanche Maggie era bravissima, senza contare che, senza farsi notare, continuava a cercare testimonianze sul suo argomento preferito, ma in due riuscivano a cavarsela. Erano diventate amiche senza che se ne rendessero conto, scambiandosi libri e andando a chiudersi in aula audiovisiva per guardarsi dei film quando non avevano lezione o, meglio ancora, quando avevano voglia di saltarne una. A un certo punto, Maggie si era convinta che la sua cotta per Elisa fosse stata inglobata nell'affetto che provava per lei come amica, fino a quando proprio in quell'aula, intanto che entrambe svuotavano i propri zaini per far vedere all'altra che film si erano portate da casa, si era persa a fissarla: gli occhi concentrati, il pesante tocco di eyeliner nero sulle ciglia, le guance rosa dal fard, le labbra lucide, che schiudeva mentre sussurrava i titoli. Aveva avuto un così forte desiderio di baciarla. Era tutto tornato a galla, o forse era sempre rimasto lì e non ci aveva dato peso. Un così forte desiderio che, a un tratto, semplicemente lo aveva fatto: Elisa aveva rialzato la testa per chiederle qualcosa, non aveva mai saputo cosa, e si era avvicinata tanto in fretta da appoggiarle la mano su una spalla e toccarle le labbra con le proprie. Era stato rapido quel suo primo bacio. Il cuore aveva battuto così forte e aveva provato così tanta paura che, come in fretta si era avvicinata, in fretta si era spostata, presa dal panico. Si erano guardate a lungo, non sapeva quanto. Elisa era esitante. Forse. Ma non così tanto da negarle un altro bacio: era stata lei a prenderla per una spalla e ad appoggiare le sue labbra calde. Non si era fermata e l'aveva guidata verso un bacio più serio, muovendosi, staccandosi poco e piano, riprendendosi con delicatezza.
«Tu… hai un ragazzo», le aveva ansimato quando si erano prese una pausa per respirare.
Elisa aveva scrollato le spalle. «Ci siamo lasciati». Doveva aver notato la perplessità nello sguardo di Maggie. «Appena adesso».
Oh, avevano deciso che poteva andare bene e si erano baciate di nuovo. Non si erano più viste un film e l'aula audiovisiva era diventata presto il loro nascondiglio per stare insieme.
Si erano messe insieme davvero. Ed erano due ragazze. Maggie aveva scoperto con quei baci che, più efficaci di mille testimonianze, non c'era nulla di male in ciò che provava.

Maggie frequentava una scuola cattolica. I suoi genitori erano dichiaratamente omofobi. E aveva una ragazza. Forse era il senso di proibito che la faceva uscire di casa, la mattina, con un grande sorriso sulle labbra. Era in quel periodo che aveva capito che i ragazzi non le interessavano ed era convinta che Elisa fosse la sua anima gemella con cui sarebbe rimasta per tutta la vita. Si salutavano, si sfioravano le dita delle mani di nascosto, si regalavano sorrisi e, una volta entrambe in quell'aula, da sole, si baciavano e abbracciavano, restavano unite. Al suo diario, in estrema confidenza, raccontava di Elisa ogni sera quando tornava a casa. Era un periodo felice e non le interessava avere il mondo contro, se stava con lei. Tuttavia, più passavano i mesi e più quel senso di proibito iniziava a farle paura: nella sua scuola, un ragazzo un anno più grande aveva fatto coming out come bisessuale davanti alla sua intera classe e non solo molti ragazzi avevano cominciato a prenderlo di mira e a bullizzarlo, ma i professori non avevano mosso un dito per difenderlo. Da quando quella insegnante aveva parlato di omosessualità per prima e poi si era trasferita, nessuno aveva voluto affrontare di nuovo l'argomento che era tornato a essere tabù e, la cosa ben peggiore, era che sembrava che a nessuno in realtà interessasse davvero affrontarlo. Erano in cortile quando il ragazzo, a ora di uscita, era stato accerchiato da altri ragazzi per poterlo offendere con epiteti omofobi. Maggie ed Elisa erano vicine. Appena la prima aveva visto quella scena per l'ennesima volta, si era detta che poteva bastare, che ne aveva abbastanza. Perfino il suo omofobo padre sarebbe intervenuto vedendoli in quattro contro uno per insultarlo e lei, che lo prendeva come esempio, aveva ignorato Elisa che le aveva detto di non farlo e si era messa in mezzo. Sapeva cosa sarebbe potuto succedere a farsi avanti in quel modo se neppure lei, che sapevano era la figlia dello sceriffo, aveva fermato i ragazzi e le ragazze della scuola dal prenderla in giro, ma in quel momento non le era importato.
«Prendi le sue parti? Ma lo sai che quelli come lui si impestano di malattie?», le aveva gridato uno dei quattro, «Sta con un ragazzo e poi voglio vedere se ci staresti, dopo che lo ha messo in culo a lui». Erano volate varie risatine a quell'uscita ma Maggie non aveva risposto. «Cosa c'è, giochi anche tu per l'altra squadra, per caso?».
Era da quel giorno che la voce che lei era lesbica si era diffusa per tutta la scuola. Senza contare che il ragazzo che aveva cercato di difendere le aveva gridato che non gli serviva il suo aiuto e dopo un po' di tempo aveva iniziato a prenderla in giro anche lui. Ed Elisa… beh, aveva perso Elisa.
Caro Diario,
Sono ancora triste. È già passata una settimana da quando Elisa non mi rivolge più la parola. Mi ha detto che non vuole che stiamo insieme perché ha paura che gli altri studenti pensino che stavamo insieme. Non voleva che scoprissero la verità. Ci trovo dell'ironico. Ha paura di scoprirsi come me? Cosa c'è di sbagliato a essere come me?

«Ehi, mija, cos'hai?». C'era freddo quella sera e stava piovendo. Suo padre era tornato a casa da pochi minuti e vedendo che sua figlia non faceva altro se non guardare davanti alla finestra l'acqua che scendeva, si era avvicinato e l'aveva abbracciata, portandola contro il suo petto sedendosi accanto, sulla poltrona.
«Ahi», aveva sbattuto la testa contro qualcosa e suo padre aveva riso, sfilando il distintivo.
«La legge fa male, eh?», aveva continuato a ridere con divertimento, per poi infilarlo sulla maglia del pigiama di lei. Si erano sorrisi e l'uomo le aveva toccato il naso, soddisfatto. «Ecco, così ti voglio vedere. Chi ti ha fatto soffrire? Un ragazzo? Devo andarlo a trovare, da bravo sceriffo?». L'aveva vista scuotere la testa e poi abbassarla, così, pensando di aver toccato un tasto dolente, aveva pensato di cambiare di nuovo discorso, indicando il distintivo. «Un giorno questo potrebbe essere tuo. Che ne dici?».
«Che è troppo, per me».
«Troppo? Che vuol dire?».
Maggie aveva riguardato verso la finestra, soffermandosi sulle goccioline di acqua che battevano e scendevano lungo il vetro. «Che non sarò mai abbastanza brava, abbastanza capace, abbastanza tutto».
«Ehi, no», lui aveva aggrottato la fronte, forzando il suo viso a girarsi verso di lui. «Mija, chi ti dice queste cose? Fin da bambina volevi diventare poliziotto come me, perché adesso hai cambiato idea?».
Lei aveva sbuffato, ritrovando la forza per guardare di nuovo la finestra. «Ho paura che sarò una nullità, che se ci provo… Che se ci provo, poi, finirò per deluderti».
«No, no».
«Io non so cavarmela come te, forse non ne ho la stoffa». Aveva difeso un ragazzo ma non era stata capace di controbattere a chi lo prendeva in giro e, in quel modo, quel ragazzo invece di ringraziarla si era arrabbiato e, cosa più importante, non aveva più Elisa. Tutto perché aveva voluto seguire il suo istinto, quello che pensava che un giorno l'avrebbe portata a fare la poliziotta. Suo padre aveva cercato di tirarle su il morale, ma quella negatività era troppo radicata per starlo a sentire, o per stare a sentire sua madre quando li aveva raggiunti.
«Non dire assurdità», le aveva detto lei, «Tu puoi fare tutto quello che vuoi e quelli che oggi non credono in te, domani ne saranno invidiosi».
«Ha ragione tua madre, mija. Tu sei sangue del mio sangue e hai la mia stessa stoffa per questo lavoro», le aveva detto con convinzione, prendendole le spalle. «E da domani, ti racconterò meglio tutti i miei casi; ti terrò allenata per quando farai l'accademia».
Di certo quello aveva aiutato nel farle tornare il buon umore, finalmente: ogni giorno le descriveva un caso diverso della sua carriera e insieme cercavano di risolverlo. Cominciava a sentirsi tanto pronta per quel lavoro che la sicurezza che le offriva aveva iniziato ad accompagnarla a scuola, imparando ad ignorare le offese che riceveva puntualmente. Per di più, quelle voci sulla sua presunta omosessualità l'avevano aiutata a conoscere un'altra ragazza: si chiamava Mary, frequentava l'ultimo anno e mancava poco che compisse diciotto anni. Mary era più sicura riguardo il suo orientamento e non le importava che qualcuno la credesse la ragazza di Maggie Sawyer: camminavano vicine per il corridoio, si scambiavano quasi carezze davanti agli armadietti quando non passavano gli insegnanti ma fregandosene di chiunque altro le guardasse. Chiunque, perfino Elisa. Maggie l'aveva vista abbassare lo sguardo e andare oltre, ma aveva sentito la sua gelosia nell'aria; non che volesse importarle molto, all'epoca. Non voleva. Ma accidenti se le importava: per quanto era stata bene con Mary, nella sua testa c'era ancora Elisa.
«Posso chiederti scusa?». Elisa l'aveva rincorsa per il corridoio, con in braccio i libri che le servivano.
Era l'inizio del nuovo anno scolastico, Mary non c'era più e si erano separate, ma Maggie faceva finta che di Elisa non le importava. Non per niente, aveva passato un'intera estate a lavorare con suo padre e mandare all'acqua i tentativi della ragazza di vedersi con lei. Dopotutto, Elisa l'aveva ferita, quante probabilità c'erano che lo avrebbe fatto ancora?
«Ti prego, possiamo parlare? Da sole?». Un'occhiata di Maggie, ferma davanti al suo armadietto, l'aveva fatta sospirare. «Va bene anche qui», aveva annuito poi, adocchiando con la coda dell'occhio gli studenti che camminavano avanti e indietro nel corridoio. «Volevo, emh… chiederti scusa per come mi sono comportata. Non ho fatto altro che pensare a te, che pensare a te sempre».
«Quindi?». Aveva preso i libri e chiuso l'armadietto. «Quindi cosa vuoi?».
Elisa aveva riabbassato gli occhi e si era guardata di nuovo intorno. «Volevo… Quando stavi con quella cinese».
«Mary è coreana».
Elisa aveva annuito. «Quando stavi con lei, io… Lo sai che», aveva sussurrato, guardandosi intorno un'altra volta, «penso di essere innamorata di te». Si era fermata. Forse pensava di ottenere da parte sua una qualche reazione, ma vedendola impassibile, aveva continuato: «Voglio che torniamo insieme, Maggie. Dai, ci siamo solo noi due, lo sai», le aveva preso di sfuggita una mano, accarezzandola un attimo e lasciandogliela in fretta. «Non ci credo che mi hai dimenticato per… la coreana», si era ricordata all'ultimo, prima di sbagliare. L'aveva guardata così come avrebbe fatto un cane bastonato e Maggie le aveva detto che era ora di andare a lezione, sentendo la campanella suonare. L'aveva lasciata lì, ferma davanti agli armadietti, intanto che si allontanava in fretta.
Caro Diario,
Elisa mi ama!! Mi ama!! Hai capito? Fatico a crederci, veramente, lei ha detto che mi ama. Che sforzo restare ferma mentre dentro di me urlavo MI AMA. Sono felicissima, caro Diario! Ho deciso di darle un'altra possibilità, ovviamente, come posso dirle di no? Mi ama! E io amo lei. Finalmente siamo di nuovo noi due, solo noi due. Questa volta niente dovrà andare storto.
Ci credeva davvero. Niente doveva andare storto: anche se Elisa aveva ancora timore a stare con lei, diceva sul serio quando parlava di stare insieme. Avevano ritrovato facilmente le vecchie abitudini e, una mattina, si erano spinte un po' più a fondo. Tra le due, la prima volta che sono state insieme, era Elisa ed essere più esperta in relazioni, ma ora la situazione si era capovolta: non solo stando con Mary, che era più grande, Maggie aveva imparato ad avere più sicurezza, ma aveva anche scoperto il proprio corpo e seppure con lei non fosse arrivata a fare sesso, ci era comunque andata molto vicina. Si erano spogliate e, rimaste col solo intimo addosso, avevano iniziato a baciarsi e scoprire lentamente l'una il corpo dell'altra. In quei mesi di esplorazione avevano ritrovato un'intimità particolare. Erano davvero di nuovo solo loro due. Cosa poteva andare storto? La direttrice della scuola.
Una ragazza aveva denunciato alla direzione che l'aula audiovisiva era spesso chiusa a chiave e, quando il professore di attività sportiva che custodiva il duplicato di ogni chiave era andato ad aprire, aveva ritrovato Maggie ed Elisa sedute sul divanetto e abbracciate, con il reggiseno in mostra e le gonne calate. La notizia si era sparsa in fretta in tutta la scuola e la direttrice aveva richiamato entrambe e i loro genitori.
«Non accetto simili comportamenti nella mia scuola», aveva detto la donna, rossa in viso come il suo maglioncino; aveva tremato e neanche riusciva a sedersi. «Solo parlando con i vostri genitori, capirò se sia il caso di espellervi». Le aveva avvertite tutte e due ma poi aveva concentrato il suo sguardo su Maggie, davvero arrabbiata. «Tuo padre è lo sceriffo della contea, ma non ti vergogni? Che genere di pubblicità gli fai, facendo certe porcherie».
«Mio padre è fiero di me».
«Oh, dubito lo sarà adesso, cara. Questo è oltraggioso e schifoso».
«Non lo è», l'aveva sfidata ed Elisa le aveva riservato una lunga occhiata. «Noi ci amiamo».
«No, bella mia, quello che fate è contro natura. Un uomo e una donna si amano, voi state solo offendendo Dio».
«Dio ci ha fatte così».
«Non bestemmiare», aveva urlato ancora. Per fortuna, o sfortuna che fosse, erano arrivate le loro famiglie e la donna le aveva fatte uscire dall'aula per parlare con loro a quattrocchi. Poi aveva fatto uscire i suoi genitori ed entrare Elisa. Suo padre e sua madre, in quel momento, avevano spiccicato poche parole, per lo più in spagnolo, ma il tanto era bastato per farla sentire male e a disagio. Poi Elisa e i sui genitori erano usciti; incrociandosi con i suoi avevano litigato e gridato, e così avevano fatto a cambio, entrando loro tre in direzione. La direttrice era stata molto pesante nel far capire quanto disgusto avesse provato nel sapere che due ragazze si erano strusciate nella sua aula audiovisiva.
Caro Diario,
Oggi è successo un guaio. Ci hanno beccate, a me ed Elisa. Ho provato a difendere quello che proviamo, ma non è servito. Elisa non lo ha fatto, comunque. Ero da sola contro tutti e lei se ne stava in silenzio. Sono arrabbiata con lei, ma spero ancora che possiamo stare insieme. Anche qui a casa adesso non si respira una buona aria. È come se mio padre e mia madre stessero cercando di scoprire cosa dirmi e cosa vogliono che faccia. Adesso non lo sanno ma sono sicura che mi diranno presto qualcosa. Già conosco i loro discorsi e non ho voglia di litigare. Mi chiedo se mio padre vorrà ancora espormi i suoi casi, adesso che sa che sono stata con una ragazza. Non ho ancora diciassette anni, cosa potrebbero farmi? Sono un po' spaventata, è vero! Ho letto troppe cose brutte, per non esserlo. Anche Mary mi aveva raccontato qualcosa su alcuni amici fuori dal paese. Il mondo vuole che siamo tutti eterosessuali, caro Diario. E io, da sola, cosa posso fare?

«I tuoi ti hanno sgridata?». Aveva riprovato a parlare con Elisa, tre giorni dopo, quando i suoi genitori avevano deciso che poteva tornare a scuola. Non le avevano sospese, lo sceriffo aveva convinto la direttrice e, anche se non erano neppure state punite, non per questo non avevano sofferto di dure conseguenze: a scuola non si parlava d'altro e tutti, dal primo all'ultimo studente arrivato, non facevano che fissarle, ridacchiare, fare loro gestacci e scrivere sui loro armadietti parolacce, oltre a lasciare i loro bigliettini con disegni sconci e battute omofobe.
Elisa le aveva riservato un'occhiata e poi l'aveva superata, senza risponderle.
«Perché fai così? Non è certo colpa mia se ci hanno beccate, almeno ho tentato di difenderci».
«Difenderci?», aveva starnazzato, bloccandosi a metà corridoio, attirando l'attenzione di tutti gli alunni che passavano. «Hai peggiorato la situazione», le aveva gridato, a pugni stretti. Non aveva aspettato che le rispondesse: «Non ti rendi conto? I miei adesso pensano che sono lesbica e vogliono farmi andare a vivere da mia nonna, in montagna! In montagna, Maggie! Non conosco nessuno, lì».
«E non lo sei?».
«Che cosa?».
«Lesbica».
«Oddio, no», aveva roteato gli occhi, «Quella parola mi fa schifo. Io ero solo curiosa, va bene? Ho visto che cercavi siti di omosessuali a informatica e volevo capire se ci stavi, è tutto».
Maggie aveva preso un respiro profondo e l'aveva fissata senza espressione, intanto che gli studenti intorno ridevano. «I tuoi ti hanno detto di dirlo? Te lo hanno messo in testa loro?».
«Non dare la colpa ai miei», aveva stretto i denti. «Ti ho presa in giro, va bene? Volevo vedere come ci si sentiva e adesso ne pagherò le conseguenze. Lasciami in pace».
Se n'era andata e Maggie aveva sentito il cuore spezzarsi, mentre nel petto le si infondeva una sensazione di perdita. Aveva provato le vertigini, tutto insieme. Allora ci aveva creduto, certo che ci aveva creduto. Sul suo Diario aveva scritto pagine e pagine di odio verso Elisa, aveva pianto notti intere e capito di essere sola, senza di lei e senza il supporto dei suoi genitori. L'amava e lei le aveva fatto del male di proposito. Aveva passato il resto dell'anno scolastico a pensarci e l'ultimo anno del liceo a provare a uscire con dei ragazzi che ricambiavano interesse per lei; ogni tanto qualcuno le aveva chiesto se le piacevano ancora le ragazze e lei negava. Era stata sua madre a suggerirglielo, una sera sedute intorno alla tavola, sorseggiando una tazza di tè fumante.
«Io l'ho capito che lo facevi solo per attirare l'attenzione, sai?», le aveva sorriso con gentilezza. «Stavi passando un momento in cui eri insicura e volevi provare cose nuove, magari è stata quella Elisa a mettertelo in testa… Anche tuo padre in fondo lo ha capito, ma lo sai com'è lui, così orgoglioso che non lo ammetterà mai. Se vuoi riavvicinarti a quella testa di legno, prova a fargli capire che sei cambiata, che stai crescendo e dimenticando quella fase… beh, quella fase che chiameremo esplorativa. Adesso sai che non si deve fare e l'importante è questo».
Maggie si sentiva sola e sconfitta, non poteva far altro che provare a fingere di avere un'attrazione che non aveva. Accettava le uscite dei ragazzi, si mostrava incuriosita nei loro confronti, e suo padre era felice di vedere che sua figlia stava riprendendo la giusta strada, ricominciando a parlare con lei e a coinvolgerla nelle sue attività. Maggie si stava riappropriando di una parte felice e importante della sua vita, anche se capiva quanto in quel modo ne stava perdendo un'altra. Un ragazzo diverso la volta, solo baci, un solo appuntamento per uno. Uno specchio per le allodole mentre raccontava al suo Diario di questi ragazzi e dei loro interessi, cercando gli aspetti positivi e ridendo dei più strampalati. Uno di loro aveva provato ad allungare le mani una volta, ma era bastato ricordargli che era la figlia dello sceriffo per farlo tornare al suo posto. Suo padre stava rientrando a pieno titolo nella sua vita, tanto era vero che lei lo andava a trovare in ufficio, qualche volta. Quella sera, ad esempio: era appena tornata da un orribile appuntamento e, più di non farsi riaccompagnare a casa da quel tizio, era corsa in stazione di polizia. Purtroppo là fuori c'era un tempo terribile, tra pioggia, vento e nebbia. Suo padre era fuori con la maggior parte degli agenti per una rissa in un bar che era sfociata in un tentato omicidio, così uno dei pochi colleghi rimasto le aveva detto che poteva aspettarlo nel suo ufficio, immaginando che non sarebbe tornato prima di ore. Si era rilassata nel piccolo divanetto, seduta sulla sedia della scrivania immaginando fosse il suo posto, guardato la foto di famiglia incorniciata e curiosato nei cassetti, trovando spille, post-it e una scatolina di pallottole. Il lavoro del poliziotto era qualcosa di serio, si chiedeva se avevo caricato la pistola prima di uscire dall'ufficio quando, a un certo punto, una voce conosciuta aveva attirato la sua attenzione. Era uscita dalla porta e fermandosi in corridoio, aveva intravisto in portineria proprio Mary, che non vedeva da tanto. L'aveva salutata e l'aveva fatta accomodare nell'ufficio quasi fosse suo.
«Dovevo ritirare dei documenti per mio padre, non volevo che uscisse con questo tempo, ma oggi sembra una stazione fantasma».
Lei aveva riso, guardandola dalla sedia della scrivania mentre si sedeva adagio sul divanetto. «Sono tutti fuori per un tentato omicidio».
«Scherzi? Qui?».
Aveva annuito, accavallando le gambe, attirando l'attenzione di Mary. Dopotutto, indossava una gonna. «Da quando te ne sei andata, questo postaccio sta diventando come Gotham City in quanto a criminalità», avevano riso insieme.
«Sto vivendo a Gotham, mi aiutano alcuni amici, e devo dire che in effetti qui l'aria che si respira è molto peggio», avevano riso di nuovo, guardandosi.
«E perché sei tornata?».
«Settimana di vacanza. Ho scelto il momento giusto, pare», aveva guardato dalla finestrella alta la pioggia che, aiutata dal forte vento, sbatteva sul vetro, tanto che a volte non si sentiva nient'altro. Maggie aveva accavallato le gambe nell'altro senso e Mary aveva abbassato lo sguardo. «E tu? Non avrei mai immaginato che avrei potuto vederti indossare una gonna».
«La odio».
«E allora?».
«Ero a un appuntamento. Con un ragazzo», aveva inclinato la testa da un lato, serrando le labbra.
«Oh», l'altra aveva aggrottato la fronte, curiosa. L'aveva fissata intanto che distendeva le gambe. «È andato male?».
«Tanto male». Maggie si era alzata dalla sedia e si era avvicinata a Mary sul divanetto, tanto vicino, per poi baciarla. Era stata la sua prima volta, lì, nell'ufficio di sceriffo di suo padre. Mary si era trattenuta quella settimana soltanto e durante tutto il periodo erano state insieme più volte, in macchina, a casa di Mary in camera sua, nello scantinato a casa di Mary accanto alla lavatrice, in camera sua quando i genitori non erano in casa, e di nuovo accanto alla lavatrice. Con lei aveva potuto parlare di Elisa, di quanto era successo a scuola, dei suoi genitori omofobi e di come non vedeva uscita, di come non riusciva più a sopportare i ragazzi con cui era costretta ad avere appuntamenti per provare ad avere un'assurda parvenza di normalità.
«Quando finisci la scuola, vieni a Gotham», le aveva detto. «Potrai essere te stessa e mandare a fanculo questa merda».
Allora, era stata l'unica buona idea che avrebbe potuto tenerla in piedi fino alla fine del liceo.

Caro Diario,
Mi sono informata spesso ultimamente, anche se già sapevo che era buona: l'accademia di polizia a Gotham ha recensioni molto positive. Mio padre è stato formato lì e lui è un ottimo poliziotto. Tra qualche giorno potrò fare domanda: lui ha detto che mi prenderanno per certo, è sicuro. Ho paura che manderà le sue referenze ma se vuole farlo non posso proibirglielo, anche se mi vergogno: l'unico modo sicuro che ho di lasciarmi indietro questo posto, è entrare in quell'accademia. Poi starò a Gotham e sarò più libera di essere me stessa. Non ho scelta, caro Diario, non biasimarmi.

Ce l'aveva fatta. Suo padre forse aveva fatto qualche telefonata, forse no, ma non aveva importanza: l'accademia di Gotham aveva accettato la sua domanda. Si era trasferita in città quasi subito dopo il liceo, per iniziare ad ambientarsi alla vita di quel posto molto più caotica di quella di paese. I suoi genitori avevano insistito per pagarle la caparra di un loft ed erano rimasti con lei per due settimane in modo da aiutarla, poi aveva potuto cominciare ad organizzare la sua vita da giovane aspirante poliziotta. Aveva iniziato a frequentare la palestra, correva tutte le mattine e, naturalmente, si era rivista con Mary. Oh, si era rivista spesso con Mary, tanto che restava con lei per la notte. Tante notti. Avevano iniziato ad avere una relazione più o meno stabile; Mary voleva fare la fotografa e aveva iniziato un corso nello stesso periodo in cui Maggie aveva iniziato a frequentare l'accademia. In quel periodo era difficile riuscire a vedersi tutti i giorni, spesso Maggie doveva restare via per settimane ma, quando si rivedevano, ciò che stava nascendo tra loro era diventato più forte di prima. E poi c'era James.
Caro Diario,
La mia vita qui a Gotham è davvero così diversa da quella che facevo prima che stento a crederci. Ma volevo parlarti anche oggi di James Sawyer. Passano le battute sul cognome che abbiamo in comune, ora sembra davvero interessato a conoscermi e ho paura che Mary lo scopra. Non che Mary sia gelosa, ma non voglio rischiare di rovinare quello che stiamo facendo anche solo un po'. Se mio padre non venisse ogni tanto in accademia per parlare della mia formazione, magari potrei semplicemente rifiutarlo, ma così attiro troppo l'attenzione. Potrei rifiutarlo e dire che non mi interessa, ma l'ho visto parlare con lui. È così rischioso che possa entrare in contatto con la mia vita libera con Mary. Caro Diario, pensavo davvero che sarebbe stata più libera di così. La mia vita. Potrò nascondermi per sempre? A che prezzo?
No, non poteva nascondersi per sempre e in fondo lo sapeva. Come aveva sempre saputo che neanche ciò che di bellissimo stava vivendo con Mary sarebbe durato per sempre. E così, proprio com'era successo quando al liceo stava con Elisa, le avevano scoperte. Era bastato un bacio per strada, un bacio solo, fugace, di saluto, perché sua madre, che l'aveva vista, avesse gridato contro suo padre che la loro figlia era perduta.

Era scoppiato il putiferio in poco tempo. I suoi genitori erano andati a trovarla e l'avevano costretta a sorbirsi un lungo discorso sull'importanza del rapporto dell'uomo con la donna che generava la vita, in paragone a quello della donna con la donna promosso dal diavolo che non generava vita, che la cessava, che non era approvata da Dio, e che le avrebbe aperto la porta per l'inferno. E lei che stava pensando che lo stava già vivendo… Quando Mary era rientrata, perché aveva le chiavi, li aveva trovati tutti riuniti insieme a un prete, che parlava al centro. Ma Mary indossava delle borchie, una croce celtica al collo e aveva diversi piercing sul viso, così sua madre aveva gridato, suo padre era rimasto bloccato sulla sedia e il prete era caduto ai loro piedi, quasi svenuto. La ragazza se n'era andata sbattendo la porta quando il prelato aveva iniziato a dire l'ennesima preghiera per salvare la sua anima a distanza di pochi minuti dall'ultima.
«No, perché dovrei fermarmi?», le aveva gridato quando Maggie le era corsa dietro. «È chiaro che non sono la benvenuta qui! Credevo ti fossi lasciata questa… questa cosa alle tue spalle, venendo a Gotham».
«Non è così semplice».
«Lo è, Maggie! Sono gay. Dillo! Ti basta dirlo e te li potrai lasciare alle spalle, se davvero lo vuoi».
Maggie l'aveva fissata per lunghi attimi, ma non era riuscita a fare quel passo. Era ancora troppo distante da lei e aveva aperto la bocca appena, non sufficiente per far restare Mary. Era l'ultima volta che la vedeva.
«Adesso basta», le aveva detto sua madre, irosa. «Adesso basta, va bene? Davvero basta, è troppo! Tutto questo è inaccettabile; tu non sei così, non ti abbiamo cresciuto per essere così. Devi smetterla, e se non vorrai farlo, saremo costretti a chiedere aiuto», le aveva parlato la mattina successiva, una domenica. «Credevamo che… Va bene, va bene, non voglio arrabbiarmi ancora, ma questa è l'ultima chance che hai, Margarita», l'aveva fissata negli occhi. «Tuo padre vuole toglierti i soldi per il loft, vuole toglierti il pagamento per l'accademia, finirai in mezzo a una strada. Ma io sono riuscita a farlo ragionare».
Maggie aveva sentito il terreno mancarle sotto ai piedi. Suo padre voleva farle quello? E lo voleva solo perché stava con una ragazza, invece di un ragazzo? Era davvero così importante, per loro? Più importante della loro figlia? Si era dovuta mantenere contro un mobile, per non cadere.
«Stai con un ragazzo. Stacci seriamente insieme, però! Non parlo di un appuntamento e basta, Maggie, devi sentire com'è stare con un ragazzo, così non vorrai più stare… con una lei». Oh, non riusciva nemmeno a dirlo. «Fatti portare fuori a cena, dare dei fiori, tutte le cose che fanno i ragazzi, insomma, come… come riscaldarti con la sua giacca, per esempio», le aveva detto piano, con convinzione, come se fossero realmente solo cose che poteva fare un ragazzo. «Se non lo fai», le aveva guardata con monito, «Proveremo a portarti da uno specialista».
«Un cosa?», aveva strabuzzato gli occhi.
«Un signore che lavora con la chiesa, lo conosce Don Matthew».
«Lo stesso Don Matthew che voleva esorcizzare la mia ragazza?».
La donna aveva portato gli occhi al cielo e una mano sul cuore. «Non era… la tua ragazza, Maggie, questa è… confusione mentale, quello che cercavo di dirti. Il diavolo ti sta tentando, lo dice anche Don Matthew. Pensi che dovremo portarti subito da lui? Ha aiutato molti ragazzi a guarire, sa quello che fa».
Maggie l'aveva guardata a lungo, senza sapere cosa dire. Non aveva avuto davvero parole, era solamente… sconcertata. Sua madre era seria ed era sicura di quello che le stava dicendo e Maggie sapeva di non avere scelte.
Caro Diario,
E così successo ciò che temevo. Non ho molte opzioni: o dico a tutti che sono gay e vado a vivere per strada, rinunciando al mio sogno e correndo il rischio di non rivedere mai più i miei genitori, oppure frequento un ragazzo. Una relazione vera, caro Diario. Mi mancano gli specchi per le allodole, ora. Se mi rifiuto di frequentare un ragazzo, i miei genitori mi porteranno contro la mia volontà anche se sono maggiorenne da uno strizzacervelli cattolico che non farà che torturarmi fino a quando non mi convincerò che non mi piacciono le donne. Bella cosa, vero? Non sono autosufficiente, hanno il coltello dalla parte del manico. Se potessi pensare, caro Diario, so dove la mente ti porterebbe: James Sawyer. È l'unico con cui abbia un po' di rapporto e sembra un bravo ragazzo. Inoltre anche lui è cattolico e i miei genitori non devono scoprire che non sono più vergine, quindi… accidenti, caro Diario, riuscirò a trovare una soluzione prima che vogliano farmelo sposare? Ho come la sensazione che, di questo passo, sarò incastrata a vita.
I suoi sospetti erano fondati. Doveva aspettare la fine dei quattro anni dell'accademia di polizia per essere se stessa? Non lo aveva pensato anche per la fine del liceo? Per la sua nuova vita a Gotham? Alla fine dell'accademia, cos'altro ci sarebbe stato a impedirle di vivere la sua vita? Perché i suoi genitori non potevano semplicemente capire e accettare?
Con immenso gaudio da parte loro, in special modo di suo padre, Maggie aveva iniziato a vedersi con James Sawyer anche fuori dall'accademia. Era un ragazzo gentile, intelligente e talvolta spiritoso; le portava davvero i fiori e le prestava la sua giacca quando fuori faceva più freddo. Baciarlo non le dava più sensazioni di baciare un cagnolino, ma ci stava facendo l'abitudine. E l'abitudine, probabilmente, era una cosa ancora più pericolosa.
«Ehi, ti è caduto…», quella ragazza aveva lasciato la frase a mezz'aria e Maggie si era distratta, guardandola di sfuggita e poi il pavimento di lamiera che sballottava: ormai si stava abituando alla metro di Gotham e a quella vita frenetica. «Lascia, faccio io». Si era inchinata e le aveva raccolto il libretto, porgendoglielo con un sorriso.
Maggie lo aveva strappato con foga, neanche quella ragazza avesse voluto rubarglielo. Era il suo Diario, quello. Il suo amato Diario, volume sesto. Lo aveva iniziato da poco, da quando James Sawyer le aveva chiesto di andare a vivere con lui.
«Oh, dev'essere importante», era rimasta inchinata, a sorriderle in quel modo, tenendosi al suo sedile.
«Lo è».
«Allora occhio a non perderlo ancora», le aveva fatto l'occhiolino e Maggie aveva alzato gli occhi al cielo e sospirato. «Non ci sarà sempre una bella ragazza a porgertelo».
Non le aveva risposto, anzi era scattata fuori appena il mezzo si era fermato, spostandola con forza per passare. Tutti stavano uscendo, pensava di essersene liberata, invece l'aveva raggiunta poco dopo, ghignando.
«Il tuo nome? Posso? Mi sembri una persona interessante da conoscere».
«Senza offesa, non è reciproco», aveva scrollato le spalle, continuando a camminare, uscendo dalla stazione con lei dietro.
Aveva subito riso, mettendo le mani nelle tasche del suo giubbotto. «Per fortuna ho molta stima di me, o mi avrebbe fatto male. Allora provo a indovinare? Sole? Marisol?».
Maggie aveva strabuzzato gli occhi, continuando a camminare, attraversando una strada.
«No? Allora proviamo con Isabel? Aurelia? È Flora? Allora forse-».
A quel punto si era fermata, scuotendo la testa e ridendo. «Stai tirando fuori dal repertorio ogni nome latino che ti viene in mente?».
La ragazza aveva scrollato le spalle, annuendo con soddisfazione. «Troppo razzista?».
«Offensivo», aveva scrollato gli occhi. «Mi chiamo Maggie».
«Oh, bene, Maggie».
«È Margarita, veramente», le era sfuggito in un brusio, riprendendo a camminare.
L'altra rise, correndole dietro. «Ci stavo arrivando, era in lista! Va bene, allora. Piacere di conoscerti, io sono Kate. Kate Kane».

Kate le piaceva. Le era piaciuta fin da subito e lo starle vicino, giorno dopo giorno, non aveva fatto altro che confermarglielo. Era ricambiata, lo sapeva, Kate non era esattamente qualcuno che riusciva, né voleva, nascondere certe cose, ma Maggie con lei era stata chiara fin da subito: aveva un ragazzo e stavano per andare a vivere insieme, quindi tra loro non ci sarebbe stato niente se non amicizia. Anche Kate abitava in un loft lì a Gotham, due strade prima del centro. Da quelle parti diceva di avere un appartamento che condivideva con suo padre, ma era un colonnello e, per fortuna, aveva detto, stava via parecchio tempo da Gotham e da lei.
«Non siete in buoni rapporti, sembra», le aveva detto quella sera, quando Kate l'aveva invitata da lei per bere qualcosa. «Anch'io sono… di nuovo ai ferri corti con mio padre».
Kate aveva ridacchiato, appoggiandosi a un mobile e bevendo un sorso di birra dalla bottiglietta. «Sono tornata a Gotham da pochi giorni, ero nel Corpo dei Marines», l'aveva vista fare un'espressione sorpresa e aveva continuato. «Mi hanno espulsa per aver scoperto la mia relazione gay», aveva virgolettato con le dita, «con una commilitone».
«Oh, capisco».
«E mio padre… beh, non ha preso bene l'espulsione».
«E capisco anche questo».
Se da una parte, con James Sawyer, avevano appena pagato la caparra per un appartamento più grande con cui costruire una nuova vita insieme, dall'altro, Maggie si stava rendendo sempre più conto, stando vicino a Kate, quanto sarebbe stato bello poter vivere davvero. Amava i suoi genitori e avevano sempre fatto tutto per lei, non voleva deluderli o abbandonarli, ma quello che stava per fare con lui, come le diceva Kate, era come deludere e abbandonare se stessa. Con Kate aveva scoperto meglio chi era e i suoi desideri, tanto che una settimana dopo era riuscita a convincerla a partecipare con lei alla parata del Pride che si era svolto a Gotham. Quella che i suoi genitori definivano una pagliacciata, era per lei un fiume di gente colorata, sorridente che non aveva paura di giudicare e essere giudicata. Aveva detto di essere gay per la prima volta lì, lo aveva urlato, e tutti erano stati pronti per abbracciarla e farla sentire al sicuro. Aveva conosciuto un uomo poco più grande di suo padre che, per aver dichiarato di essere gay, aveva perso la famiglia, tra cui dei figli, e il lavoro, finendo a vivere per strada aiutato dai centri lgbt. Lui aveva perso tutto ma il suo sorriso era così libero che la sua libertà aveva contagiato anche lei. Era triste pensare a ciò che aveva dovuto subire, ma aveva invidiato il suo coraggio. Una volta finito il Pride, il suo mondo si era di nuovo spento.
«Ehi», James le aveva sorriso, una volta aperta la porta di casa. «Festeggiamo?». Maggie ricordava gli scatoloni ovunque e che lui aveva aperto una bottiglia di champagne, mettendo due bicchieri sul tavolo.
Si era guardata intorno e si era chiesta tante e troppo volte, varcando l'ingresso fino a raggiungerlo in cucina, se era davvero quella la vita che voleva fare. Aveva chiesto al suo caro Diario se una vita al suo fianco non sarebbe stata probabilmente più simile a una trappola per lei e a un imbroglio per lui, che pensava di essere amato e non lo era. Non stava forse condannando entrambi?
Si erano seduti sul divano e avevano guardato la loro casa, battendo i bicchieri e iniziando a bere. Lui era felice, lei spaventata, tanto che la gola le si era chiusa e aveva faticato a mandare giù lo champagne. Avevano preso a parlare, James le aveva chiesto dov'era stata e dopo se aveva trovato traffico per via dei gay. Avevano lasciato i bicchieri su un tavolino e lui si era avvicinato. Avvicinato troppo.
«Stavo pensando che… stiamo insieme da un po' e…».
Maggie aveva deglutito e si era sentita svuotare il corpo, come se gli organi avevano deciso all'improvviso di liquefarsi, salendole il panico: voleva fare… sesso?
«Aspetta… Pensavo fossi cattolico».
«Lo sono».
«Ma… e la prima notte di nozze?».
«Oh, non dirmi che credi a queste cose?», aveva strabuzzato gli occhi. «Non voglio offendere la tua fede e in effetti non ne abbiamo mai parlato prima, ma non pensavo che… adesso siamo in una casa nostra e-».
«Va bene». Maggie aveva deglutito e così accettato. Le era venuta voglia di vomitare tutti i suoi organi liquefatti, ma quella era la sua occasione definitiva per capire se poteva realmente stare con lui o mandare tutto al diavolo. Si erano stesi, dopo spogliati, e lui aveva iniziato a baciarla. Le aveva fatto schifo. Non lo voleva, il suo corpo non era riuscito a reagire come avrebbe dovuto, ma aveva cercato con ogni mezzo di controllarsi, di fingere che stava andando tutto bene. Di amarlo, almeno un poco.
Caro Diario,
Non ce la faccio. Come posso vivere così? James ed io siamo stati a letto insieme ed è stata la peggiore decisione della mia vita! Lui è stato paziente, ha cercato di coinvolgermi, ma deve aver capito che la cosa non mi è piaciuta. Se dovessi chiedere un consiglio agli omofobi, loro direbbero che devo iniziare a mentire anche a lui, in modo che alla fine riuscirò a mentire anche a me stessa? Non andrò dall'amico di Don Metthew, con questo ho chiuso davvero. Non possono obbligarmi perché sono maggiorenne e perdere una casa e l'accademia di polizia, a questo punto non mi spaventa più. Niente è più spaventoso di una vita con un uomo che non amo! Per questo l'ho lasciato. Era ora, vero, caro Diario? Non volterò di nuovo le spalle a me stessa. Mai più. Per questo, quando ho lasciato James, ho bussato alla porta di Kate.
Kate aveva aperto. Maggie l'aveva spinta dentro e l'aveva baciata, avevano preso fiato e si erano baciate di nuovo. Kate l'aveva presa in braccio e l'aveva lasciata sul tavolo, aiutata a spogliarsi, sotto i loro gemiti caldi, stringendosi, senza dirsi una parola. La prima l'aveva ripresa tra le sue braccia ma avevano tirato la tovaglia. Erano finite per fare l'amore sul pavimento, con metà tovaglia avvolta in una gamba di Maggie e con polvere di biscotti sui capelli.

Questa volta avrebbe potuto funzionare. Maggie si era trasferita il giorno stesso da Kate, ma non aveva ancora detto nulla ai suoi genitori, che in quel periodo erano in paese. Avevano iniziato una serena convivenza mentre proseguiva l'accademia per il tempo che le era concesso e cercava lavoro, spargendo la voce tra gli amici di Kate e quelli conosciuti stando con Mary. Doveva tagliare il cordone ombelicale prima che lo avrebbe violentemente fatto suo padre. Erano passati quasi sette giorni, James le rivolgeva ancora la parola ma era freddo e non poteva chiedergli di mentire con suo padre, se lo avesse visto o sentito. All'ottavo giorno della sua vera vita, aveva trovato un lavoro come lavapiatti in un ristorante. Era felice di iniziare e aveva imparato a districarsi tra il lavoro, l'accademia e Kate. Stavamo insieme quando potevamo, ogni minuto era importante per dimenticare di aver potuto seriamente pensare di passare la sua vita con James Sawyer. Al decimo giorno della sua vera vita, però, si era sentita male al lavoro. Le era salita la nausea a stare a contatto con tutti quegli odori e non aveva potuto proseguire. Era tornata a casa che aveva bassa la pressione e temeva di aver preso la febbre. Oh, sarebbe stata una tragedia! Aveva appena iniziato un lavoro che non poteva neppure coinvolgerla quanto avrebbe dovuto per via dell'accademia e il suo capo l'aveva guardata storto, ma quello che aveva allora era ben peggiore. Prendere a pugni il lavello in bagno era stata la sua prima reazione alla novità. Dopotutto, come altro avrebbe dovuto prenderla? Era giovane, aveva a fatica deciso di voler vivere tranquilla, e ora, senza soldi da parte dei suoi genitori, quasi in mezzo alla strada se non fosse stato per Kate, come avrebbe fatto?

Caro Diario,
Non mi sono fatta sentire da tanto e credo che da oggi in poi scriverò sempre meno. Sono incinta. Di sette mesi. Una volta con un ragazzo e sono stata fregata, bella cosa, eh? Non ho scritto da un po' e ci sono stati tanti cambiamenti. Ora ti racconto! Per prima cosa, l'ho detto a James. Ovviamente avrei dovuto dirlo subito a lui.
«Cosa…? No… Ho usato il… mi hai visto».
Lui era talmente impietrito che non era riuscito a parlare. Forse il preservativo si era rotto e non ci avevano fatto caso, dopotutto lui era stato molto preso e Maggie aveva avuto la testa altrove. Era andata. James non sembrava pronto a fare il padre; era appena pronto per convivere, era troppo presto. Lo capiva, perché era troppo presto anche per lei.
James non farà parte della vita di mio figlio, o figlia, caro Diario. Mi ha consigliato di abortire e anche io, all'inizio, ero orientata verso quell'idea. In fondo non stavamo neanche più insieme e un figlio ci avrebbe tenuti legati per sempre. L'ho lasciato andare e non me ne pento. Quando il mio bambino sarà grande, forse vorrà conoscerlo e ci sarà il tempo per farlo, lo spero.
La seconda novità, tieniti forte: non sto più con Kate. È stato bello con lei, non potrei mai descrivere quanto, ma sentivo che non era adatta a me, alla vita che volevo.
Stava rientrando a casa dall'accademia, quella sera. Aveva scoperto di essere incinta da due giorni e non era ancora riuscita a dirglielo. Aveva paura di come avrebbe reagito, ma sentirla parlare attraverso il telefono, una volta rientrata e poggiato le chiavi, le aveva aperto gli occhi.
«Ti fanno impazzire, lo so», aveva riso con gusto, alle sue spalle. «Io? Oh, per carità, mi ci vedi con dei marmocchi? So appena badare a me stessa, al momento».
Quando aveva chiuso la telefonata, l'aveva accolta e abbracciata. Glielo aveva detto il giorno dopo, aggiungendole che l'avrebbe lasciata. La loro relazione era iniziata da poco, ma era evidente che non erano destinate a stare insieme. Kate aveva provato a riconquistarla, a farle capire che se anche aspettava un figlio non le cambiava niente, ma forse era Maggie quella che stava cambiando. Non se l'aveva presa per ciò che aveva detto al cellulare, era solo una battuta e a volte le cose escono senza pensarci, ma sentirglielo dire le aveva fatto capire che non voleva stare con Kate.
Lei mi ha aiutato e continua ad aiutarmi molto in questo periodo, caro Diario. È lei che paga la maggior parte delle mie visite ginecologiche e mi ha dato un tetto sulla testa anche se l'avevo lasciata. È ricca, sì, ma mi vergogno che mi aiuti in questo modo. È solo che non ho scelta, fino a quando non potrò davvero sistemarmi.
Infine, l'ho detto ai miei genitori. Con loro è stato più difficile, ma ce la sto facendo, caro Diario. Sono fuori dalla vita che loro avevano programmato per me.
«Ti sei lasciata con James? E sei incinta?», sua madre era sbiancata e suo padre aveva dovuto reggerla per evitare che cadesse.
«Ho deciso che terrò il bambino».
«Certo che lo terrai», aveva ribattuto suo padre. «Sarebbe un peccato contro Dio! E adesso richiama quel povero ragazzo, convincilo a riprenderti, o chi tirerà su tuo figlio?».
Maggie già sapeva che quella sarebbe stata la discussione più difficile della sua vita. «Io. Io tirerò su mio figlio».
«Cosa dici?», sua madre le aveva picchiettato una spalla. «Devi sposarti, prima che la pancia cresca troppo».
Non bastava che, per troppi anni, erano riusciti a convincerla a vivere una vita che non voleva, ora avrebbero tirato dentro sia James che il figlio che doveva ancora nascere? No. Non avrebbe più accettato simili compromessi per se stessa, e di certo non l'avrebbe fatto per la creatura che le cresceva in grembo. Non le avrebbe fatto vivere una bugia. «Non sposerò James», aveva scosso la testa e sua madre si era portata una mano contro la bocca.
«Servono un padre e una madre per crescere dei figli, mija», suo padre aveva aggrottato la fronte. Cominciava ad arrabbiarsi.
«Serve l'amore per crescere dei figli, papi», aveva deglutito, inclinando la testa. «Voi mi avete dato l'amore, non perché eravate uomo e donna, ma perché i miei genitori. Io darò tutto l'amore necessario al mio bambino».
Sua madre si era di nuovo avvicinata e aveva provato a guardarla con biasimo, sfiorandole un braccio. «È James che non vuole sposarti? Lo ha detto lui?».
«No», si era scrollata la sua mano di dosso, facendo preoccupare la donna. «È una mia decisione», si era toccata il petto. «Mia, va bene? Non lo amo. Adesso sarò io a scegliere della mia vita».
«Vuoi tornare dalla tua amichetta con gli spilli e i buchi in faccia?».
«No! Mary non- non è un'amichetta e non ci sentiamo più da… Posso anche stare da sola».
A quelle parole, sua madre si era dovuta sedere e suo padre si era messo una mano sulla fronte. Non capivano. Forse non lo avrebbero mai fatto. «Non si crescono i figli da soli, né tra due donne».
«Non è vero», gli aveva replicato con pazienza, pur mantenendo con forza le sue ragioni. «Molte lo fanno già. Il mondo va avanti anche senza i vostri preconcetti! Non importa se starò da sola, ma se dovessi avere qualcuno accanto, beh, allora quel qualcuno sarà una donna», aveva di nuovo inclinato da un lato la testa, cercando di sorridere a entrambi. «Sono gay. Dovete accettarlo».
Suo padre si era messo entrambe le mani nei capelli e sua madre aveva emesso un verso spaventato di angoscia. «Devi andartene, allora», le aveva detto suo padre, all'improvviso. Si era messo le mani sui fianchi e l'aveva fissata con sfida. «Non sei la figlia che ho cresciuto e siamo stati fin troppo ragionevoli con queste… cose. Non avrai più nulla da noi, non sei nostra figlia, devi andartene».
«No, papi», aveva scosso la testa, con occhi lucidi. «Non mi stai mandando via, hai sbagliato: perché me ne sono già andata».
Aveva recuperato il suo giubbotto e si era avviata verso la porta. Mentre suo padre era rimasto fermo a guardare, sua madre si era rialzata di corsa e le aveva gridato per fermarsi, ma Maggie l'aveva ignorata. Chiusa la porta di casa, l'aveva sentita ancora urlare contro suo padre, dire che era incinta, che non la poteva sbattere fuori, e di nuovo che era la sua bambina e che era incinta.
Non voglio mentirti, caro Diario, non l'ho mai fatto: andarmene è stato durissimo quel giorno. Ero tornata in paese solo per quello, sapevo come sarebbe finita, ma sono andata avanti a testa alta. Mi sono continuata a pagare l'accademia di polizia con qualche lavoretto qua e là di pulizia, attenta a non esagerare, perché non volevo che Kate pensasse anche a quello. Ho imparato ad arrangiarmi alla giornata e sono davvero fortunata che mi abbiano concesso di continuare le lezioni, per quanto il corpo mi permetta. Mi hanno consigliato di fare una sospensione, ma lo farò solo se strettamente necessario. Non voglio restare indietro. Mi sto gonfiando e più la data si avvicina, più diventare madre mi terrorizza. Ma farò tutto il possibile per dare a questo bambino, o bambina, la vita che merita.


***


E così, più in fretta di quanto pensasse, la data era arrivata ed era nata una bambina. L'aveva chiamata come l'uomo che le aveva regalato quel sorriso di libertà al Pride di Gotham: Jamie. Jamie sarebbe stata libera. Quella bimba così piccina era appena diventata tutto, per lei.
Kate le aveva portato un mazzo pieno di palloncini colorati. Aveva guardato la piccola, aveva salutato entrambe ed era uscita dalla cuccetta per un caffè. Maggie l'aveva in braccio e la fissava, rivedeva se stessa e la sua paura di crescerla riflessa negli occhietti castani. Ora sarebbe cambiato tutto. All'improvviso aveva sentito bussare e si era sporta per controllare. Aveva visto altri palloncini e un mazzo di fiori, ma il suo entusiasmo era scemato quando aveva visto che, a portarglieli, erano stati i suoi genitori.
«Mija», suo padre era entrato per primo e, dietro di lui, sua madre, che era sembrata titubante.
Caro Diario,
Loro sono rientrati a far parte della mia vita. Non preoccuparti: le regole sono mie, adesso. Hanno deciso che non vogliono perdermi e non vogliono perdere la possibilità di veder crescere la loro nipote. Sì, ho avuto una bambina, Jamie. Non li ho perdonati del tutto, ma hanno accettato di far parte di un gruppo di genitori di persone lgbt, così impareranno, magari, ad aprire le loro vedute. Era il mio prezzo, se volevano avere a che fare di nuovo con me. E questo, devo dire, mi porta una qualche soddisfazione. Sono già passati diversi mesi e pare che la cosa possa funzionare. Sto continuando a lavorare e a frequentare l'accademia, loro si offrono di tenermi Jamie ogni tanto, quando decido di lasciare in pace la babysitter. Anche Kate l'ha guardata spesso, all'inizio. Ho freddato il mio rapporto con lei, caro Diario, perché è successo ciò che temevo: ha cercato di baciarmi, ha detto di voler stare con me, di volere anche mia figlia. Non sono innamorata di lei e non voglio ricadere in un altro errore. E Kate… Kate non vuole dei figli, caro Diario. Non posso costringerla a fare questa vita, non sarebbe diversa da James Sawyer. Però mi sono vista con altre donne, in questo periodo. Alcune di loro erano come me, in cerca di uno sfogo per poi tornare a casa e forzare un'eterosessualità che non c'è. Spero per loro di uscirne presto. Intanto, sto pensando se non sia il caso di trasferirmi, appena avrò finito l'accademia. Gotham mi piace, ma non so se voglio crescere qui Jamie. Starei più lontana dai miei genitori, da James e da Kate. Non lo so. Ho voglia di innamorarmi seriamente, ma al momento, il mio unico amore è quella bambina. La mia vera vita è questa, caro Diario. L'ho cercata a lungo ed è arrivata come non me la aspettavo, ma ho intenzione di godermela in ogni istante!
























***

Un capitolo sul passato di Maggie sembra quanto di più stand alone possa esserci, in questo momento, ma esplorare il suo personaggio e la nascita di Jamie è importante proprio in questo punto della storia.
Spero non vi abbia annoiato! Questo capitolo è così pregno di dramma omofobo che sono felice di averlo scritto, ahah!
Abbiamo potuto notare il rapporto di Maggie coi suoi genitori, la sua crescita personale, il suo rapporto con le altre donne e come queste l'abbiano influenzata. Perché Maggie ha chiamato sua figlia Jamie e perché non ha un padre. Ah, certo, abbiamo anche scoperto che ha avuto una storia, seppure breve, con Kate Kane! Non mi sono lasciata sfuggire l'occasione anche se, ehi, Kate non è e non sarà un personaggio regolare o importante ai fini della trama. A meno di nuovi sviluppi, resta una guest XD

Veniamo alle note ~
- Nelle note allo scorso capitolo, avevo scritto di aver usato e tenuto un nome dalla serie sul passato di Maggie per un personaggio è quel personaggio è Elisa. Nella serie, una certa Elisa era il primo amore di Maggie da che ho capito, solo che era stata rifiutata e le aveva spezzato il cuore. Beh, nella mia storia ho voluto giocare con questa cosa e farla ricambiare, con la differenza che Elisa non ha “le spalle larghe” di Maggie per attutire i colpi, ha troppa paura e scappa da se stessa e la verità. Comunque le spezza il cuore.
- Sempre nelle note allo scorso capitolo, avevo scritto di aver costruito un personaggio secondo le indicazioni che avevo dello stesso personaggio sulla serie, e questo è il padre di Maggie. Quando mi è stato spiegato di quell'episodio in cui era comparso il padre di Maggie, io avevo già buttato le prime idee di questo stand alone e me lo sono fatta raccontare per aiutarmi a delinearlo, sta di fatto che caratterialmente lo avevo già immaginato molto simile, quello che mi aveva sorpreso era l'aspetto! Quando ho cercato su Google ci sono rimasta male, perché me lo aspettavo più basso, cicciotto e con il riporto, invece me lo ritrovo alto due metri e quasi col fisico da rivista XD Allora niente, l'aspetto della serie ha “vinto”, e scrivendo il capitolo, mi sono immaginata quell'omone lì. Spero di averlo reso bene caratterialmente, ma non ne sono sicura.
- La cosa curiosa del giorno: non mi piace Ruby Rose ma a suo modo, nel crossover di quest'anno delle serie dell'Arrowverse, mi ha un pochetto convinta e per immaginarmi Kate Kane ho preso proprio il suo aspetto
- Per chi non lo sapesse, mija è usato nello slang ed è la forma abbreviata dello spagnolo mi hija, mia figlia. Lo avrete sentito mille volte nelle serie tv!
- James Sawyer. Allora, premettiamo che io di fumetti ne so davvero poco, a volte cerco info quando mi servono o se sono curiosa su qualcosa in particolare, ma cercando il padre di Jamie mi era uscito questo James, poliziotto, che di cognome è Sawyer. Io non so se Maggie ha tenuto il suo cognome anche da divorziata (nei fumetti sono divorziati, no?), oppure se era James ad aver preso il suo (poco probabile), ma nella serie tv è Maggie ad avere questo cognome per certo e anziché impazzire per trovarne un altro che si addicesse al ragazzo, ho preferito lasciare Sawyer anche per lui. Non è così strano conoscere qualcuno che ha il nostro stesso cognome, su :P (Averne una quasi storia è un altro discorso, ma...)    

E ora ricordatevi com'è finito lo scorso capitolo, che tutto riprenderà là dov'è rimasto! A sabato 9 con il capitolo 41 che si intitola Noi contro loro.



   
 
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