Campagna
di Promozione Sociale – Messaggio No Profit:
Dona
l’8% del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai
felici milioni di scrittori (©
elyxyz)
(Chiunque
voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)
Childhood’s
End di pebbeyrene
Traduzione
a cura di _Madame_
Capitolo
2: Vespro
Le
porte di Old Yharnam vibrarono e gemettero quando Eileen spinse il
suo peso contro di loro.
Le
lasciò aperte quel tanto da permettere a se stessa e alle
bambine di
scivolarvi attraverso, poi le richiuse di nuovo. Si fermò un
momento, appoggiando le mani contro il legno marcio, per riprendere
fiato. Non che lì fosse molto più sicuro rispetto
all’altro lato
della porta, ma le era di conforto sapere d’essersi chiusa
alle
spalle tutto ciò che avrebbe potuto tender loro un agguato.
Avevano
corso in tutta fretta attraverso le fogne ed erano tornate in
superficie non appena avevano trovato una scala, coprendo poco
più
della metà del percorso che Eileen aveva sperato
inizialmente. Si
erano fermate ad una fontana per lavarsi gli stivali
nell’acqua
salmastra e riordinare le idee. Era stato sciocco da parte di Eileen
perdere la testa, ed era andata avanti a maledirsi mentalmente mentre
avanzavano lentamente per le strade. Il ghoul l’aveva colta
di
sorpresa – non aveva mai visto belve in quella parte delle
fogne –
ma non era una valida scusa. E lei aveva permesso alla mancanza della
maschera di destabilizzarla ulteriormente. La maschera offriva
protezione dalla piaga, certo, ma lei cominciava ad aggrapparsi a
quell’oggetto come un bambino alla sua coperta preferita, e
questo
era inammissibile; aveva
avuto
abbastanza
bambini
da rendersene conto. Tuttavia, l’aveva
nuovamente indossata
non appena erano state al sicuro. Domani, aveva giurato a se stessa,
domani si sarebbe impegnata per spezzare il suo attaccamento alla
maschera: ma prima avrebbero dovuto superare la notte.
Laure
e Adele osservavano i cadaveri carbonizzati delle belve con gli occhi
sgranati, mentre avanzavano verso il punto panoramico.
«Aspettate,
ragazze», le richiamò Eileen. «Non
muovetevi.» Scrutò
l’orizzonte trovando la vecchia torre, il suo quadrante
brillava
enigmaticamente negli ultimi raggi cremisi del sole. Non riusciva a
distinguere alcuna figura sulla cima, naturalmente, ma non aveva
dubbi sul fatto che Djura fosse lì, né che avesse
già notato
l’invasione nel suo territorio.
«Laure,
sta ferma un attimo»
si
inginocchiò per afferrare per la vita la bambina
più piccola e la
sollevò, abbastanza in alto da sederla sulla sua spalla; le
sue
vecchie ossa gemettero per lo sforzo.
«Che
stai facendo?» chiese Adele, mentre Laure si lasciava
sfuggire un
gemito sorpreso.
Eileen
teneva lo sguardo fisso sulla torre. «Assicurandomi che Djura
veda
chi c’è.»
Lei
era assolutamente inconfondibile, con il suo mantello e copricapo, ma
dubitava che Djura le avrebbe garantito un passaggio sicuro in nome
dei vecchi tempi. Dubitava, anche, che fosse in grado di riconoscere
le bambine Gascoigne da quella distanza, e dopo così tanto
tempo. Ma
che le riconoscesse o meno, era certa che il vecchio pazzo non
avrebbe mai aperto il fuoco su dei bambini.
Tenne
in alto Laure un altro po’. Djura non gridò,
perlomeno,
probabilmente ancora scioccato dalla vista della loro strana
combriccola. Posò a terra Laure e fece un cenno ad Adele.
«Vedete
la torre, laggiù? Andremo là. Ovviamente ci
saranno belve anche qui
– saremo rapide e silenziose, e cercheremo di non
combatterle.»
Non
appena attraversarono il ponte, Djura finalmente ritornò in
sé. La
sua voce echeggiò sui tetti: «Eileen! Qualunque
cosa tu stia
architettando, stai lontana dalle mie belve. Se le ferisci...»
Cosa,
Djura? Pensò Eileen. Mi abbatterai, e
queste povere bambine
con me? Improbabile. Djura non terminò la sua
minaccia,
consapevole d’esser stato messo all’angolo.
«Perché
non vuole che feriamo le belve?» sussurrò Adele.
«Le
protegge. Silenzio,» disse, frenando il fiume di domande che
vedeva
frullarle in testa. Tenne le bambine vicino alle pareti mentre
superavano una belva ancora in parte umana. Non appena questa si
avventurò più vicina, Eileen afferrò
un pezzo di legno da una
delle pire ancora in fiamme e la tenne d’innanzi a loro. La
belva
balzò all’indietro, piagnucolante, emettendo un
gemito gutturale e
sofferente. Eileen non avrebbe mai capito perché Djura
considerasse
un atto di clemenza lasciarli in quello stato, barcollanti e deformi,
quando un rapido fendente della sua lama avrebbe potuto liberarli per
sempre dalla loro miseria.
Tenne
sempre le bambine celate lungo i bordi delle strade, trascinandole
attraverso vicoli e edifici bruciati per evitare di attraversare i
percorsi delle belve che vagavano per Old Yharnam. Non aveva senso
inimicarsi Djura, e in ogni caso – beh, le bambine avevano
visto
abbastanza sangue quella sera da bastargli per il resto della vita.
Perlomeno, il quartiere abbandonato era più tranquillo
rispetto a
quelli superiori: niente urla, risate isteriche, né echi di
lame che
graffiavano sulla pietra. Solo i lamenti e i ringhi delle belve e il
crepitare delle fiamme. La cenere ricopriva ogni cosa.
Attutì i loro
passi, si posò sui capelli e sulla pelle delle bambine.
Eileen tenne
loro i colletti sulla bocca dov’era più fitta, per
evitare che la
respirassero.
Era
lì la notte in cui era bruciata. Tutti lo erano. Era stata
una mossa
disperata, nemmeno poteva definirla una scommessa – non
c’erano
stati calcoli né valutazioni accurate delle
probabilità. Era stato
l’attacco delirante di un animale messo all’angolo.
Oh, la Chiesa
ne aveva fatto un trionfo, l’aveva proclamata una santa e
nobile
crociata. Ma tutti si erano resi conto che la piaga non stava
regredendo, che le belve iniziavano a superare di numero gli uomini
–
specialmente lì, in quel quartiere maledetto già
decimato dal
sangue cinereo. E guarda chi ha vinto quella notte, sotto
quell’ultraterrena luna rossa, a causa della folle e
sanguinaria
violenza dei cacciatori: le belve governavano le strade lì,
adesso,
non gli uomini. Alcuni cacciatori erano morti quella notte, altri
erano scomparsi; altri avevano incominciato a spezzarsi. Djura lo era
certamente. Tutto per nulla.
Eppure,
Eileen ricordava tutto con una certa indifferenza. Ciò che
è fatto
e fatto. Ci avevano provato, avevano fallito, e poco a poco erano
caduti a pezzi. Ciò che trovava più difficile da
accettare, ora,
era il fatto che avessero sempre creduto di poter strappare una
vittoria definitiva e assoluta in quella lotta. Era da tanto che non
si aspettava altro che minimi successi: quella guerra infinita tra
ordine e caos si riduceva allo schianto delle sue lame contro quelle
del suo avversario ebbro di sangue. E anche quelle vittorie su scala
umana non erano più così ovvie come un tempo.
Mentre
camminavano il sole scivolò sotto l’orizzonte, il
cielo si colorò
di viola e per le strade le ombre s’infittirono e si
allungarono
avidamente per inghiottire tutto quel che potevano raggiungere.
Avevano
quasi raggiunto la base della torre quando una figura incappucciata
emerse dall’oscurità tagliando loro la strada.
Eileen imprecò
quasi ad alta voce.
«Ferma
dove sei» disse l’uomo. La portò
all’interno, le bambine
accanto a lei. «Cosa ti porta qui?»
Pareva
familiare, ma solo vagamente.; sangue nuovo, suppose, arruolato
quando ormai tutto stava collassando, non uno dei vecchi veterani che
avrebbero frequentato la casa dei Gascoigne. Sapeva che Djura aveva
plagiato alcuni devoti alla sua folle crociata, ma non ne aveva mai
incontrato uno e nemmeno si era aspettata di trovarsi il passaggio
precluso. Doveva essersi ritirato sulla torre quando aveva scoperto
la presenza di un intruso.
Tirò
le bambine più vicine a sé. «Ho una
consegna per Djura.»
«So
che genere di consegna rechi, Cacciatore di Cacciatori.»
Eileen
rise forte. «È di questo che si tratta? Non ho
alcun interesse per
il tuo maestro. Finché se ne resta qui buono nella sua tana
non è
affar mio. Queste bambine sono le figlie di un amico comune e
necessitano della sua protezione. Non appena saranno al sicuro, me ne
andrò.»
Il
cacciatore studiò le bambine cautamente. «Old
Yharnam non è posto
per bambini.»
«Yharnam
non è posto per bambini. Soprattutto stanotte. Non
permetterete alla
caccia di venire qui – quale posto più sicuro di
questo, allora?»
Il
cacciatore soppesò le sue parole, i suoi occhi scintillavano
da
sotto il suo cappuccio mentre guardava Laure e Adele. Eileen
pregò
che quel genere d’uomo che avrebbe sacrificato la sua vita
per la
causa di Djura fosse anche quel genere d’uomo che si sarebbe
lasciato intenerire da una coppia di bambine spaventate, e
silenziosamente sperò che le ragazzine apparissero dolci ed
indifese
come non mai. Alla fine lui disse: «Parlerò con
Djura. Aspettate
qui.»
Salì
la scala. Le bambine rimasero curiosamente silenziose
nell’attesa,
schiacciate contro Eileen, le loro teste chine come se la stanchezza
avesse avuto il sopravvento su di loro; Adele giocherellò
distrattamente con le piume del mantello della cacciatrice.
Finalmente il
subalterno
di Djura fece ritorno.
«Eileen,
ha detto che parlerà con te. Lascia qui le
bambine.»
«Le
bambine vengono con me» rispose Eileen con fermezza. Prima
che
l’uomo potesse ribattere, approfittò del suo
vantaggio spingendole
verso la scala. Bella mossa, Djura,
pensò. Immagino ti
sentiresti molto meno in colpa
a scaraventarmi
giù dalla torre senza bambini
lì a guardare, vero?
O forse pensavi che vedere le loro faccine avrebbe reso troppo
difficile rifiutare?
Le
bambine si allarmarono messe davanti alla scala.
«Fin
lassù?» chiese Laure debolmente, allungando il
collo.
«Siete
delle ragazzi grandi ormai», disse Eileen. «Salite
la scala. Avanti
– andate per prime, io sarò proprio dietro di voi.
Così se
doveste cadere avrete un bel atterraggio morbido.»
Non
risero, ma Laure si fece coraggio e s’incamminò,
Adele la seguì.
Salirono ad un ritmo costante, e
Eileen le
tenne d’occhio
controllando
che
non
scivolassero.
Quando Laure raggiunse finalmente la cima, si sollevò in
un’esplosione d’energia esclamando tutto
d’un fiato:
«Ti-prego-Zio-Djura-possiamo-stare-quì?»
Eileen
si arrampicò subito dietro ad Adele e con qualche sforzo
riuscì a
rimettere la terra sotto i piedi. Laure si era congelata a
metà del
tetto, come se avesse iniziato a correre verso Djura ma poi ci avesse
ripensato, e Eileen non la biasimò. Tanto
per
cominciare, il
ricordo
di lui della
bambina doveva essere confuso,
e persino ad
una
rapida occhiata nella luce morente appariva
emaciato
e in
uno stato pure
peggiore versava
il
vestiario:
abiti a
brandelli e
sbiaditi, i capelli scarmigliati.
Ovviamente aveva perso la benda sull’occhio e
l’aveva sostituita
con una fasciatura
non troppo pulita. Adele indugiò alle spalle di
sua sorella,
ugualmente esitante; prese la mano di Laure.
Djura,
da parte sua, non sembrò meno sorpreso.
«Eileen» disse infine,
«che diavolo sta succedendo?»
«Ricordi
le figlie di Gascoigne» disse Eileen con calma. Da dietro la
maschera scrutò il perforatore che portava sul braccio
destro:
un’arma goffa, secondo i suoi calcoli, ma Djura non se ne
separava
mai, e gli spazi stretti lì in cima alla torre gli avrebbero
permesso di usarlo a proprio vantaggio. «Gascoigne
è sparito, e
Viola l’ha seguito. Le bambine erano sole in casa. Ho del
lavoro da
fare stasera, forse più di quel che credevo: non possono
stare con
me.»
«Vuoi
che le tenga qui?»
Djura
spostò rapidamente lo sguardo tra lei, le bambine e il tetto
stesso
più volte, probabilmente considerandone
l’inadeguatezza come
asilo.
«Saremo
bravissime, Zio Djura» disse Laure sottovoce, insolitamente
timida.
«Solo
fino al sorgere del sole» aggiunse Eileen.
«E
poi cosa?»
«E
poi il sole sarà sorto, e le cose potrebbero sembrare
diverse. O
forse no. Ad ogni modo, tornerò per loro.»
Djura
sembrava ancora vagamente scettico, ed Eileen quasi lo
compatì:
tagliato fuori da ogni
umana
compagnia per anni,
per poi far entrare lei con due bambine al seguito chiedendogli
di giocare
a far la tata
per la notte.
«Ti
prenderai cura di loro? Non hanno nessun altro posto in cui
andare.»
Ci
fu una pausa. Poi, finalmente: «Lo farò.»
L’ultima
fievole luce stava lasciando il cielo e gli edifici sottostanti erano
avvolti nell’ombra; era ora di andare. Eileen
carezzò dolcemente
la testa a Laure e Adele.
«Siete
state molto coraggiose stasera, entrambe. Date retta a Djura, adesso,
vi rivedrò domattina.»
Laure
cercò la sua mano. «E tu troverai Mamma e
Papà, vero?»
Eileen
strinse le piccole dita. «Farò tutto il
possibile.»
Prima
di ridiscendere la scala, si fermò voltandosi.
«Dovesse
succedere qualcosa – potrai trovarmi a Cathedral Ward questa
notte.»
Quindi
avvolse
il suo mantello e
scese.
Djura
rimase a guardare le sue due responsabilità, rigido e
impacciato
nella disperata ricerca di qualcosa da dire. Le bambine Gascoigne lo
guardavano timidamente, raggomitolate una vicino all’altra
come in
cerca di calore. Il silenzio si dilatò tra loro, pesante e
vuoto,
finché lui alla fine non decise di azzerare la distanza e
sollevò
delicatamente il mento di Adele con la mano libera.
«Allora,
che diamine vi ha fatto, eh?» disse. «Sembrate dei
piccoli
spazzacamini.»
E
venne ricompensato da due brevi, esitanti sorrisi.
«Zia
Eileen ci ha detto di sporcarci di cenere» disse Laure
«Ci rende
più difficili da vedere.»
«Ah,
ingegnoso.»
Sotto
la fuliggine ora riconosceva i volti familiari delle bambine che
conosceva da quando erano in fasce. Tempo
in cui teneva
sempre dei dolci in tasca ogni volta che sapeva sarebbe passato dalla
casa dei Gascoigne, infilandoli nelle loro piccole dita cicciottelle
quando i loro genitori non stavano guardando. Ma, ora,
sembravano un po’ troppo grandi per venir corrotte con un
pezzo di
liquirizia.
«Vi
siete alzate di parecchio da che vi ho viste l’ultima
volta»
disse, sforzandosi di conversare. «Non fa male, crescere
così in
fretta?»
«Non
ti abbiamo più visto per anni» lo
corresse Laure, in tono di
rimprovero. «Sei stato qui tutto il tempo?»
«Beh
– sì.»
«Perché?»
chiese lei.
«Io
– Io proteggo le belve.»
«Ma
perché?» ripeté lei.
«E cos’è quella?» –
indicando
la Gatling. «E perché è tutto bruciato?
E chi era quello sotto?»
Djura,
annaspando, non abituato a quel genere di conversazione,
guardò
impotente Adele.
«Zia
Eileen non ci dice mai il perché»
spiegò la più grande, a
giustificazione di sua sorella. «Ci dice solo di fare cose e
poi
“Silenzio”».
«Silancio1»
disse Laure tranquillamente, imitando l’accento di Eileen.
Adele
improvvisamente ridacchiò. «Silancio»
ripeté lei. «Silancio.»
Entrambe
le bambine presero a ridacchiare, silanciandosi l’un
l’altra a
turno. C’era
un vigore
morboso
in ciò,
una
disperata valvola
di sfogo per tutte
le
prove
che avevano dovuto
affrontare
per arrivare fin lì – il che non doveva essere stato
poco, pensò Djura, tracciando mentalmente il
percorso dalla
loro casa fino al vecchio quartiere.
Ad
un tratto Adele dominò se stessa, tirando la mano di sua
sorella.
«Non dovremmo scherzare» disse, combattendo contro
il suo stesso
sorriso. «Non è carino.»
Ah,
piccola seriosa Adele. Djura ricordava ancora quando era una bimbetta
grande abbastanza da reggersi a malapena in piedi: Viola la teneva
seduta in grembo mentre riceveva gli ospiti in salotto, e Adele li
squadrava tutti con la fronte corrugata e un’aria di
sospetto.
Henryk era l’unico, oltre ai suoi genitori, che riusciva a
farla
sorridere o ridere; amava afferrare le penne che gli ornavano il
cappello. Allora c’era un altro cacciatore, Albert,
malizioso,
impudente e libertino; frustrato dal successo di Henryk, aveva
tentato ogni genere di trucchetto riportato nei libri per ottenere da
lei un’identica risposta solo per scontrarsi con un muro di
pietra.
Avevano ululato dalle risate – Ha
capito il tuo gioco,
eh? Ragazza sveglia!
E
poi era arrivata Laure, diversa dalla sorella come il giorno e la
notte.: sorridente e solare, affettuosa, avventurosa, e nemmeno in
minima parte così esigente. Quando si arrabbiava,
però, era
imperdibile: si gettava sul pavimento inarcando la schiena, paonazza
in viso, agitando braccia e gambe; i suoi genitori si preoccupavano
sempre che potesse farsi del male. Crescendo, i suoi scoppi
d’ira
si erano fatti meno frequenti ma comunque formidabili. Una volta,
prima che la Chiesa avesse posto fine a questo genere di cose, Djura
si era fermato alla casa per lasciare alcuni piani d’azione,
ma
quando un Gascoigne dall’aria esausta era venuto ad aprire la
porta, aveva sentito gli strilli e le urla di Laure.
«Due
ore e mezza» aveva detto Gascoigne, sbattendogli
l’uscio in
faccia.
Con
tutti gli altri cacciatori, però, Laure e Adele erano delle
bambine
d’oro, e perché non avrebbero dovuto esserlo?
Erano i piccoli
tesori di tutti. Le mani callose e sfregiate dalla battaglia si
allungavano sempre per accarezzargli i capelli o dare loro dei
regali, e ricevevano tutto a buona ragione. Pochi cacciatori avevano
avuto figli. Meno ancora sarebbero stati in grado di allevarli in un
simile idillio domestico. E tra la gente comune, molte giovani
famiglie avevano preso a fuggire da Yharnam, preferendo tentare in un
nuovo posto sconosciuto piuttosto che rischiare la vita dei propri
cari nelle strade infestate dalle belve. Solo Gascoigne sembrava
invulnerabile al marciume dilagante di Yharnam: marito, moglie e due
figlie sane e felici vivevano le loro giornate in una casa calda e
accogliente, belve o meno. E dopo lunghe notti di stragi,
c’erano
ben pochi cacciatori che non volessero fuggire in quel mondo per un
po’, chi non avrebbe voluto godere della
possibilità di
dimenticare i suoi problemi per un’ora o due tra le allegre
chiacchiere di una ragazzina? Djura non li visitava spesso
né si
tratteneva a lungo come certi altri, ma gli piaceva pensare
d’essersi
fatto apprezzare dalle bambine come consulente ingegneristico per le
loro fortezze quando giocavano ai cavalieri e castelli, portando loro
in dono piccoli ingranaggi e involucri brillanti di proiettili per le
decorazioni.
«Questa
è una mitragliatrice Gatling», disse Djura.
«Vieni a darle
un’occhiata.»
Un
poco della tanto agognata quiete avanzò attraverso la torre
mentre
l’oscurità s’infittiva. Laure si era
dimostrata un po’ troppo
interessata alla Gatling, pensando cocciutamente che le sarebbe stato
concesso di provarla; Djura era riuscito a distrarla solamente
offrendole del cibo. Si era diretto verso la botola ed aveva frugato
nel suo deposito di conserve scavato tra le case incenerite
sottostanti. Sebbene le bambine dicessero di star morendo di fame,
non era riuscito a convincerle su di una scatola di fagiolini, che
gli era sembrato un qualcosa di sano da offrire a dei bambini in
piena crescita. Dopo
averli
piluccati
di malavoglia per qualche minuto, guardandolo
con occhi
malinconici,
si era visto costretto a gettare la spugna, finendo col
mangiare lui i fagioli e dando loro un barattolo di marmellata
appiccicosa. Vi avevano immerso le sue gallette, e rosicchiare e
lottare con il biscotto duro combattendo per ottenere un morso le
aveva tenute occupate abbastanza a lungo affinché Djura
potesse
rimuovere il suo perforatore, accasciarsi su si una sedia, e
domandarsi in che razza guaio, per gli Dei celesti, era andato a
cacciarsi.
Quando
ebbero finito, le bambine vollero risalire a guardare il panorama, e
si erano sistemate con soddisfazione sul bordo del tetto. Djura aveva
la vaga sensazione che forse non avrebbe dovuto permetter loro di
sedersi con le gambe a penzoloni sopra una caduta letale, ma
sembravano abbastanza stabili, e Adele aveva una buona presa sulla
sorella. Laure sembrava sul punto di addormentarsi, con la testa
appoggiata contro la spalla di Adele.
Djura
non era certo di che fare con se stesso. Era abituato a trascorrere
le sue notte in silenzio meditativo, tamburellando ritmi distratti
sulla Gatling o riparando amorevolmente le sue armi, venendo
interrotto solamente da un occasionale, sciocco cacciatore che aveva
ignorato i suoi avvertimenti; dormiva durante il giorno, soprattutto,
e usava la luce del sole per andare a frugare per le strade quando le
belve erano più tranquille. Le sue giornate avevano un ritmo
semplice per le bambine: inconscio, automatico, quasi – ci
aveva
riflettuto più di una volta, con un sorriso ironico
– onirico.
Riusciva a malapena a ricordare il sogno, solo vaghe immagini: un
campo di fiori, un paio di mani bianche e gelide. Abbastanza
piacevole, rispetto ai sogni che aveva ora di fumo e sangue che
gocciolava dalle sue dita.
Il
ritmo della sua vita lì teneva tutto ciò
lontano dalla sua mente vigile, tenendolo
dolcemente
sospeso
sull’orlo
della
sua consapevolezza:
ma quelle due piccole figure appollaiate sul bordo del tetto lo
avevano completamente destabilizzato. Camminò rigidamente
avanti e indietro, scrutando l’orizzonte,
prestando ascolto
ad ogni suono di disordine sottostante, timido e nervoso.
Guardò di
nuovo le bambine, e alla fine, sospirando, le raggiunse.
Si
sistemò maldestramente vicino ad Adele. Era alla sua destra,
nel suo
punto cieco; dovette voltare la testa per guardarla. Lo stava
osservando con quella sua espressione buffa e grave, ma quando la
sorprese a fissarlo lei distolse lo sguardo. Ma dopo un attimo di
silenzio, finalmente parlò:
«Perché
non vuoi che qualcuno ferisca le belve?»
Quante
volte aveva tentato di spiegare quel concetto prima di ritirarsi
definitivamente a Old Yharnam – non ultimo al padre della
bambina?
Ma era passato tanto tempo da che aveva dovuto dar spiegazioni. Aveva
dimenticato come si faceva. Tuttavia, cercò le parole e alla
fine
arrivarono, maldestre
e
schiette.
«Sono
persone» disse stancamente. «Sono solo persone.
Sono malate, Adele,
hai capito? Non vogliono fare del male. Non sanno quel che fanno. Non
è giusto ucciderle, solo per questo.»
«Oh»
disse Adele. Fece una pausa, rigirando la domanda. «E se ti
attaccassero? È sbagliato ferirle, se stai solamente
cercando di
scappare?» Il suo tono era pensoso, filosofico, non polemico.
«Abbiamo dovuto combatterne alcune, sulla nostra strada fin
qui.
Avrebbero potuto ucciderci se non l’avessimo fatto.»
Djura
si sforzò intensamente per non immaginarselo – le
bambine in balia
di una qualche belva, la belva in balia delle lame di Eileen
– ma
non poté farne a meno.
«È
solo – la caccia. Non l’hai mai vista. Inviare
cacciatori armati
fino ai denti, notte dopo notte – non è giusto.
Sono solo
persone.»
Dopo
un momento di pensoso silenzio, Adele disse: «Ho
visto mio padre, quando torna dalla caccia.»
Djura
aspettò, ma lei non disse altro, e non riuscì a
capire se fosse
d’accordo con lui o meno.
Dalla
loro postazione potevano vedere le luci delle finestre della
città
alta, moltiplicarsi sempre più ad ogni momento che passava.
Non ce
n’erano così tante ora come lo erano state sei
mesi prima. Ma se
comparata
ai
quartieri alti,
Old Yharnam ai loro piedi era un completo
deserto,
buio e
compatto che risuonava con echi delle
grida delle belve.
«Sono
malate come Papà?» chiese
Laure.
«Che
cosa?» mormorò
Djura, sorpreso: pensava
che Laure si fosse addormentata.
«Le
belve» disse Laure. «Anche Papà
è malato, ma lui e la Mamma non ci vogliono dire cosa
c’è che non
va, non proprio, e Addie dice che non dovrei chiedere perché
li
rattrista. È malato come loro? Perché
a volte ci dimentica, e lui non sa – » proruppe
in un
piccolo strillo
acuto.
«Addie,»
disse, afferrando il braccio di sua sorella. «Addie
– il
carillon.»
Adele,
vicina
a lui, si
fece di pietra.
«Deve
averlo preso» disse, «deve, se ne ricorderebbe
– »
«Era
sulla mensola!» la
contraddisse
Laure, la
sua voce si alzò per il
panico. Si rialzò in piedi – «Attenta,
Laure» gridò Adele nello
stesso momento in cui Djura urlava
«Ferma» – ma lei aveva trovato il
suo appoggio
e cominciò
a strattonare con urgenza sua sorella. «Era sulla mensola del
caminetto, Addie, al piano di sopra, dove siamo andate a prendere la
cenere – l’ho visto, ne
sono certa,
era lì – »
Adesso
anche Adele era in piedi, con gli occhi sgranati. «Non
l’ha preso
con sé?» disse freneticamente.
«Quand’è uscita stamattina –
ha preso la pistola ma non il carillon, ed è grosso, avrebbe
dovuto
tenerlo in mano, ce ne saremmo accorte – »
«Zio
Djura, Zio Djura» chiamò
Laure, «dobbiamo tornare indietro – Mamma
non ha il carillon.»
«Il
carillon» biascicò
Djura alzandosi i piedi, di fronte alle bambine agitate. Non aveva la
benché
minima
idea di che stessero parlando, ma non le aveva mai viste
così
spaventate – un conto sarebbe stato se fosse stata solamente
Laure
ad agitarsi, ma Adele sembrava sul punto si svenire – e una
scheggia ghiacciata aveva preso a scivolargli giù per la
spina
dorsale da che Laure aveva chiesto se le belve fossero malate
come
Papà.
«Suona
la canzone preferita di Papà» spiegò
Laure
con urgenza, «e
quando ci dimentica la suoniamo per lui così che ricordi
– non
intende far del male a nessuno, no, ma è come hai detto tu,
a volte
non sa quel
che fa
– ma se Mamma non l’ha con sé
– potrebbe – potrebbe – »
Laure non finì
la
frase. Non ne aveva bisogno.
Che
Dio fosse maledetto.
Gascoigne,
di tutte le persone – quell’uomo era una roccia,
un’ancora;
c’era una ragione se i cacciatori si erano avvicinati a lui,
si
erano radunati a casa sua, adottato le sue figlie e non
c’entrava
nulla la cucina di Viola. Lui e Djura non erano mai stati quelli che
Djura avrebbe potuto chiamare amici, anche prima che iniziasse la
discesa verso l’inferno, ma c’erano state molte
cacce nelle quali
Djura si era sentito confortato nel avere Gascoigne come alleato. Era
stato tutto ciò che un cacciatore avrebbe dovuto essere,
devoto e
invincibile – il che significava che era stato tutto
ciò che Djura
disprezzava da che aveva capito ciò che era
davvero
la caccia. E
anche così, fu scosso dal pensiero che quell’uomo
avesse ceduto
alla piaga.
Ma
c’era anche qualcos’altro, un interruttore che
cercava di
scattare nel suo tormentato cervello – continuava a distrarsi
pensando a Viola che vagava indifesa possibile preda del suo stesso
piagato marito, e che fossero maledetti gli Dei, a lui piaceva
Viola, non che questo facesse molta differenza – ma no, non
era
quello – che aveva detto Eileen?
Ho
del lavoro da fare stasera, forse più di quel che credevo.
Non
possono stare con me.
Merda.
Merda.
Eileen
stava inseguendo Gascoigne. Certo. I suoi soliti bersagli erano i
cacciatori ebbri di sangue, non le belve, ma solo gli Dei sapevano
che razza di danno avrebbe potuto arrecare un chierico potente come
Gascoigne se mutato, e per qualche folle motivo Eileen probabilmente
sentiva essere una sua responsabilità finire il suo vecchio
amico.
Djura si tolse il cappello passandosi una mano fra i capelli,
scompigliandoli freneticamente.
«Questo
carillon» disse. «Dite che aiuta quando
lui…?»
«Sì»
disse Adele con urgenza. La sua espressione era più seria
che mai, i
suoi occhi lo perforavano; poteva sentire quanto intensamente stesse
cercando di convincerlo a prendere la cosa sul serio. «Per
favore,
Zio Djura, dobbiamo tornare indietro a prendere il carillon, e
trovare Mamma – »
Djura
non sapeva come trovare Viola; cercare di rintracciare una donna sola
per la città, senza dubbio abbastanza intelligente da
evitare di
lasciare tracce, sembra un’impresa folle. Ma un Gascoigne
ammattito
sarebbe potuto essere più semplice da individuare
– sicuramente
Eileen doveva averci
pensato
–
e se le bambine conoscessero un modo per salvare loro padre dalle
lame di un cacciatore…
Era
una follia, certo. Pensare di tornare indietro attraverso la
città,
con due bambine al seguito – lasciando Old Yharnam incustodita
– beh, non del tutto incustodita – ma sicuramente
sarebbe stata
più sicura con due guardiani
anziché
uno –
Laure
scattò in avanti afferrandogli la mano. «Ti
prego, Zio
Djura, dobbiamo salvare la mamma» supplicò. Le sue
piccole dita
erano calde nel
suo
palmo,
dai suoi occhi
iniziavano a scendere lacrime esasperate, e Djura sapeva per cosa era
fatto.
«Datemi
un minuto» disse, «datemi un minuto, per preparare
questo posto
– »
Aprì
la botola, prendendo le sue armi, la polvere da sparo e tutto
ciò di
cui aveva bisogno per andare ai “piani alti”.
1
Silancio:
non sapendo bene come tradurre l’”Hoosh”
(Hush) di Eileen per
mantenere la battuta sul suo accento, ho deciso di usare la parola
Silenzio imbastardendola con una sorta di pronuncia francese (in
francese “Silenzio” si dice
“Silance”, da qui Silancio). Non
mi fa troppo impazzire come soluzione, ma non me ne venivano in mente
altre – tutti i consigli sul come rendere al meglio la cosa
sono
ben accetti, perciò non siate timidi.
Note
della traduttrice (_Madame_)
Oddio,
quasi non mi sembra vero d’avercela fatta.
Capitolo
secondo, ovvero, dove Djura si ritrova inaspettatamente a dover fare
il baby sitter.
Ricordo
che quando lessi per la prima volta questo capitolo,
m’invaghii
completamente del personaggio di Djura. Adoro come lo ha costruito
Pabbeyrene, è così dannatamente naturale da
sembrar fuoriuscito
direttamente dal gioco. È lui! E poi è troppo
spassoso il suo
rapporto con le bambine. Adorabile. Semplicemente adorabile.
Tenetevi
forte perché sta per arrivare il bello…
Ringrazio
tutti voi lettori a nome mio e dell’autrice originale, e vi
invito
a lasciare anche solo un breve commento per farci sapere se la storia
vi sta piacendo, se avete dei consigli da dare (alla sottoscritta,
soprattutto per quanto concerne la traduzione), se vi piacciono i
personaggi di questa storia, quello che volete, insomma.
Mi
sono resa conto d’essere stata imprecisa nello scorso
capitolo e di
non aver aggiunto una nota che, a mio parere, avrebbe potuto rendere
la lettura più semplice e comprensibile. Perciò,
d’ora in poi, mi
premurerò di chiarire ogni cosa con delle piccole
annotazioni – e,
sì, aggiungerò anche quella dello scorso capitolo.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla
prossima.
|