VI
Capitolo
Una volta nel suo quartiere Tom lasciò come al solito la macchina nel
parcheggio del ristorante di Tony. Passò un attimo dal suo palazzo, per
vedere se il portiere avesse dei messaggi per lui e poi uscì per il
pranzo. James non si era ravveduto, non si era pentito del suo
comportamento e non gli aveva lasciato un messaggio di scuse. Cocciuto
bastardo.
Passeggiò fino alla tavola calda. Comprò il giornale a un’edicola e
diede un’occhiata all’articolo sul ritrovamento del corpo di Andrew
Butler, scomparso dal mercoledì precedente. Il giornale non indicava
elementi degni di nota.
Tom finì di leggerlo dopo essersi accomodato a un tavolo, prima di
ordinare. Mabel, una delle cameriere, gli riempì una tazza di caffè e
prese la sua ordinazione. Posato il giornale, Tom chiacchierò un po’
con alcuni vicini.
La tavola calda era un punto di ritrovo al pari della Pantera Blu, per
gli abitanti del quartiere. C’era anche qualcuno che era stato cliente
suo o di Butch, negli anni passati.
In pratica, la tavola calda era identificabile con un rifugio, per Tom,
allo stesso modo del cinema, o del ristorante di Tony. L’intero
quartiere era una casa per lui.
Fu quindi uno shock non da poco quando la sedia di fronte alla sua
venne scostata di malo modo e il tenente Abel Kuntz si sedette di
fronte a lui.
“Ho tenuto d’occhio il palazzo dove c’è il tuo ufficio, ma non ho
lasciato messaggi. Spero che la cosa non ti crei problemi, Ludlow.”
“Kuntz?!”
“Pensavi che avrei sopportato una tua intromissione sulla mia scena del
crimine senza dire neanche una parola?”
“Direi che ieri sera di parole ne hai spese parecchie,” fece Tom,
appoggiando la schiena allo schienale della sedia, mettendo
inconsciamente più distanza possibile tra sé e il suo avversario. “E
comunque, non avevo idea che fosse la tua scena del crimine finché non
ti sei girato e hai cominciato a fare il pazzo. Come funziona? Le scene
con cadaveri occultati sono tue di diritto? Come le balene appartengono
al re perché la regina abbia sempre stecche di balena di scorta per i
corsetti?”
Kuntz si piegò sul tavolo, annullando lo spazio che Tom si era
ritagliato.
“Sempre spiritosi, voi finocchi. Voglio sapere cosa diavolo sai di
questa storia, e voglio saperlo prima di decidermi a sbatterti nella
prigione della contea con gli stupratori e i violenti. Pensi che ti
troveresti a tuo agio?” gli ringhiò in faccia.
Tom gli sorrise: “Ma ce l’ho già il mio uomo violento di fiducia, Abel.
Non ti cambierei con nessuno al mondo.”
Kuntz fece scattare la mano e lo afferrò per il bavero della giacca,
trascinandolo in piedi.
Mabel, la cameriera, lanciò un grido. Diversi avventori si alzarono in
piedi, compreso un gruppo di quattro uomini seduti alle spalle di Tom.
“Tom, va tutto bene?” chiese uno di loro, Jeffrey Meier.
Aveva una ditta di costruzioni e si era rivolto a Tom dopo aver subito
una serie di furti di attrezzatura nei suoi cantieri. Tom lo aveva
aiutato a individuare i responsabili, due operai licenziati tempo
prima, e a recuperare parte della merce trafugata. Si trovava alla
tavola calda per pranzare con i suoi capicantiere.
Kuntz distolse lo sguardo dal viso di Tom e lo fece scorrere su tutti
gli avventori del locale.
“Sei a casa mia, ora. E sbaglio, o sarebbe la seconda volta che perdi
il controllo in un luogo pubblico?” gli sussurrò Tom.
Kuntz lo spinse indietro e tirò fuori il distintivo.
Lo sventolò alla folla, gridando: “Polizia! Si può sapere che cosa
avete da guardare? Tornate al vostro pranzo! Non sta succedendo niente
di niente!”
“Va tutto bene, Jeffrey, ti ringrazio,” disse Tom, sistemandosi la
giacca.
L’uomo annuì e si sedette lentamente, imitato dai suoi dipendenti.
Quando Tom si fu seduto, Mabel, dopo un’occhiata insieme terrorizzata e
furiosa a Kuntz, si slanciò verso il detective privato: “Signor Ludlow!
Si sente bene?”
“Sì, certo, Mabel, non ti preoccupare. Come procede la mia ordinazione?”
“Arriva, signore!” rispose lei e scomparve in cucina.
Tom rialzò lo sguardo su Kuntz, ancora in piedi di fronte al tavolo,
che fissava torvo ora Tom, ora gli altri avventori. Tom gli fece cenno
di accomodarsi con la mano. Lentamente, senza smettere di cercare di
fermagli il cuore con lo sguardo, Kuntz si sedette di nuovo.
“E così, da queste parti sei un grand’uomo, eh?” fece, sistemandosi la
sedia.
Tom fece una smorfia esasperata: “Sei venuto perché volevi qualcosa,
Kuntz? O sei davvero qui solo per litigare, ficcarti in qualche
scandalo, e giocarti la nomina a capitano?”
Kuntz parve calmarsi: “Sarò presto al centro di uno scandalo. E proprio
a causa di questo stramaledetto caso.”
Tom lo fissò con sguardo attento: “Di che si tratta?”
“Hai detto, ieri sera, che Andrew Butler aveva dei legami con il
crimine organizzato. Da dove veniva questa informazione?” chiese Kuntz,
invece di rispondergli.
“Ho le mie fonti. Una molto affidabile, corroborata da una non proprio
raccomandabile. Hai fatto fare dei controlli più approfonditi?”
Kuntz si accese un sigaro: “Sì, li ho fatti fare alla mia squadra.
Salta fuori che Andrew Butler era legato a Herbert Star, che a sua
volta lavorava per Marcus Collins. Un pezzo grosso, che gestisce un
sacco di traffici. Ha una rete di scagnozzi che ultimamente si sono
dati alle rapine a mano armata. A volte arrestiamo qualcuno, ma sono
sempre pesci piccoli e non riusciamo mai a collegarli a Collins e ai
suoi luogotenenti.”
“E cosa hai fatto di queste informazioni?” gli chiese Tom.
Mabel gli servì in quel momento l’arrosto con verdure che aveva
ordinato e Kuntz fece una pausa.
Il tenente riprese quando la ragazza si fu allontanata: “Alcuni di
questi soggetti ci sono noti. Quando ho saputo che Butler aveva dei
collegamenti con questa organizzazione, ho mandato i miei a fare
qualche domanda e a invitare qualcuno da noi per la colazione. Ma non
abbiamo trovato nessuno da pizzicare. Nessuno. Ci siamo mossi in
fretta, ho mobilitato tutta la squadra, ma niente. Come se fossero
stati avvertiti.”
“Chi può essere stato?”
“Solo uno dei miei. Nessun altro alla stazione era coinvolto o era
stato messo al corrente di quello che avevo chiesto. L’unica
spiegazione è che uno dei miei uomini ˗i miei uomini, capisci? ˗ abbia
avvertito quella feccia di non farsi trovare.”
“Non puoi esserne certo…” obbiettò Tom, aggrottando le sopracciglia.
“Vuoi dire che non lo posso dimostrare. Ne sono certo eccome. Ci sono
anche altri indizi, altre questioni, che mi hanno portato a questa
conclusione. Per il momento, e sottolineo per il momento, non ci posso
fare niente. Ma come posso indagare sul caso Butler se non so di chi
posso fidarmi?”
“E sei venuto da me?” gli chiese Tom incredulo. “Aspetta, aspetta: tu
sei venuto da me, a casa mia, per chiedermi aiuto, e mi hai preso per
il collo?!”
Era un comportamento da pazzi, decisamente.
Kuntz sbuffò: “Quante storie. Avrai visto di peggio.”
“Spesso per merito tuo. Sei venuto per chiedermi aiuto?”
“Vuoi sentirmelo dire per soddisfazione personale?” ringhiò Kuntz.
“No. Intendo dire: perché proprio da me? Non ci sono altri colleghi di
cui ti fidi?”
“Sono venuto da te perché stamattina ho letto il rapporto del dottor
Thompson. L’arma del delitto è una colt M1911, il proiettile un calibro
45. L’arma in dotazione all’esercito.”
Tom finse di non aver già parlato dell’argomento con il medico legale
solo un’ora prima.
“Un calibro militare, come avevo detto. Credi anche al resto?”
“Non ci credevo affatto. Un assalto a un convoglio! Sembra uno di
quegli stupidi film, tipo Giungla d’asfalto. Ma dopo aver letto il
rapporto del medico legale mi è venuto qualche dubbio. Ho chiamato un
amico che lavora nell’ufficio dello sceriffo, giù nella contea di
Encino. A quanto pare, la sera del 31 i militari si sono fatti portare
via da sotto il naso un carico di armi e munizioni. L’ufficio dello
sceriffo ha condotto le indagini nel più stretto riserbo, ma non hanno
concluso nulla, né trovato uno straccio di pista da seguire.
Ovviamente, l’opinione pubblica è stata tenuta all’oscuro di tutto.
Purtroppo lo eravamo anche noi, che potremmo ritrovarci quelle armi nel
giardino di casa.”
‘La sera del 31! Finalmente conosco la data di quel maledetto assalto!’
esultò tra sé e sé Tom.
Per l’eccitazione si sporse in avanti sul tavolo: “La notte del 31,
Andy Butler era fuori città con il suo camion per fare una consegna non
lontana dal confine della contea. Risulta dal suo ruolino delle
consegne. Ecco tutti i collegamenti: il luogo, la data, l’arma del
delitto. Andy Butler era l’autista che ha guidato il mezzo militare
trafugato!”
“Poi le armi sono state trasferite sul suo mezzo e lui le ha portate in
città. Ma dove sono ora? Abbiamo perquisito tutti i ritrovi noti di
Collins e dei suoi e non abbiamo certo trovato armi militari. Non
abbiamo trovato proprio nulla.”
“Se qualcuno li ha avvertiti, non hanno certo lasciato le armi perché
voi le trovaste. Inoltre, se hanno una talpa nella tua squadra, già
sapevano quali delle loro proprietà vi erano note. Non le avrebbero mai
usate come magazzino,” fece notare Tom.
“Quindi devono essere nascoste da un’altra parte.” L’espressione di
Kuntz si fece decisa: “Veniamo al punto, Ludlow! So che stai lavorando
per quelli di Encino. Come avresti potuto sapere che cos’era successo,
altrimenti? Quello che ti propongo è una collaborazione: trova dove
sono nascoste le armi e io li arresto tutti. La base mantiene un ruolo
defilato, possiamo fare passare tutto come una strategia per
smantellare un’organizzazione criminale, invece che il maldestro
tentativo di ritrovare quello che si sono fatti portare via come dei
perfetti imbecilli. Tu vieni pagato, quelle armi non uccidono nessuno
e…”
“E tu ti prendi il merito. Nessuno potrebbe toglierti la promozione a
capitano,” concluse Tom.
Kuntz annuì: “Una volta ripulita la mia squadra, sì. E dividerei la
gloria con l’investigatore che ha partecipato alle indagini.”
“Divideresti la gloria con me? Vieni a chiedermi aiuto, mi offri metà
del profitto. Sei proprio tu, Abel?”
“Ti diverti tanto a farmi saltare i nervi, eh? Ti lamenti tanto quando
ti metto le mani addosso, ma non pensi mai che te le cerchi?”
Tom reclinò la testa da un lato: “Potrebbero avermi già fatto qualche
critica del genere, in effetti.”
“Allora? Quelli di Encino accetteranno?”
Che Kuntz credesse che Tom lavorasse per i militari era un comodo
equivoco. Un discreto colpo di fortuna, davvero. Gli avrebbe permesso
di tenere James fuori dalla faccenda.
“In realtà, non sono tenuto a dirti per chi lavoro,” disse a Kuntz,
prendendo un sorso di caffè. “Ma ti serve tanto saperlo? Se accettano,
sta pur certo che lo saprai. Altrimenti, che facciano pure la figura
dei cretini. A me non importa più di tanto: sono più preoccupato di
quello che gente come Collins potrebbe fare con quelle armi. Tu no?”
Kuntz rabbrividì: “Sì, anch’io. Non riesco a pensare ad altro che a
fucili puntati contro i poliziotti, in strada. Se Collins stesse
armando i suoi, il suo primo obbiettivo sarebbero quelli che gli hanno
dato più fastidio: un sacco di bravi poliziotti. Potrebbe scatenarsi
una guerriglia urbana. Sarebbe una catastrofe.”
Tom annuì: “Quindi siamo d’accordo. Bisogna trovare dove sono nascoste
quelle armi. Suggerimenti?”
Kuntz si strinse nelle spalle: “Abbiamo già controllato i magazzini
noti, di proprietà di Collins o dei suoi prestanome. Deve trattarsi di
un luogo ampio, cui possa avere accesso un camion, come quello di
Andrew Butler.”
Tom tamburellò le dita sul ripiano del tavolo in formica: “Ci penserò.
E se trovo il posto?”
“Chiama. Arriverò con i rinforzi. Farò il possibile per individuare le
mele marce dal mio gruppo da subito. Alla peggio, mi circonderò di
agenti semplici. Sono troppo in basso perché qualcuno si prenda la
briga di corromperli.” Kuntz si alzò: “Aspetterò notizie, Ludlow.”
Uscì senza aggiungere nulla. E senza neanche offrirgli il pranzo.
Tom osservò Kuntz uscire dalla tavola calda, incredulo della piega che
avevano preso gli eventi.
Il tenente Kuntz che si rivolgeva proprio a lui. E lui che
accettava, e di buona grazia, per giunta. Indubbiamente, James sarebbe
stato fiero di lui: pareva che la guerra tra Tom e Kuntz fossi finita.
O quantomeno che si fosse stabilita una tregua duratura. Ecco un altro
filo che si avvolgeva intono a Tom: stavolta il suo colore era il blu
profondo delle uniformi della polizia, che lui non aveva mai indossato
ufficialmente. Tom rifletté che ormai non avrebbe potuto svincolarsi e
dimenticare la faccenda neanche se lo avesse voluto: dubitava che Kuntz
glielo avrebbe permesso.
Tornò in ufficio.
Scoprì che Kuntz era passato di lì: di nuovo non aveva lasciato
messaggi, ma ad attenderlo c’era un plico di fogli con il timbro della
polizia statale infilati in una busta marrone. Salì fino all’attico per
studiarli.
Si trattava dei rapporti delle attività della scorsa notte, con gli
indirizzi dei nascondigli noti di Collins e dei suoi e il resoconto dei
sopralluoghi compiuti da Kuntz e dagli uomini della sua squadra.
Tom non credeva che gli sarebbero stati tanto utili, ma almeno sapeva
che cosa escludere dalla sua ricerca.
O forse potevano servirgli a qualcosa, si disse, colpito da
un’ispirazione improvvisa. Agguantò le fotografie fatte
nell’appartamento di Andy Butler e il suo ruolino delle consegne e
passò diversi minuti a cercare, imprecando copiosamente, uno stradario
della città di Los Angeles.
Quando finalmente lo trovò, si mise a confrontare tutti i documenti in
suo possesso. Confrontando il ruolino di Andy e gli appunti trovati nel
suo appartamento, aveva notato che le consegne in cui Andy aveva
accumulato dei ritardi corrispondevano a quelle che l’uomo aveva
evidenziato. Tom aveva supposto che lo avesse fatto perché erano quelle
più vicine al luogo dove aveva consegnato la merce di contrabbando.
Chissà se…
‘Cavolo, sì!’ esultò Tom.
Alcuni degli indirizzi visitati dalla squadra di Kuntz non erano molto
distanti dal luogo delle consegne ‘speciali’ di Andy. In quei posti la
polizia non aveva trovato nulla, ma non era improbabile che ce ne
fossero altri che non erano noti agli investigatori, magari proprio nei
dintorni delle consegne speciali di Andy.
Tom si preparò un elenco delle consegne da controllare, si armò di
stradario per controllare gli indirizzi e si piazzò al telefono.
Telefono a un’agenzia immobiliare, il cui titolare era stato suo
cliente in un caso di speculazione immobiliare. Chiese di Clive
Crawford e attese che l’uomo venisse al telefono, arrotolandosi
nervosamente il cavo del telefono introno alle dita.
Finalmente Crawford rispose. Per fortuna si ricordava di Tom.
Si trattava di un uomo sulla cinquantina, calvo e gioviale, il
prototipo del perfetto agente immobiliare: ottimista, con la risposta
pronta, capace di vendere un a villa da trecento metri quadri a una
famiglia di tre persone. Era rimasto favorevolmente impressionato dal
lavoro del detective Ludlow (e ci mancherebbe: Tom si era addirittura
fatto sparare, per quel caso) e si dichiarò disposto ad aiutarlo fin
dal primo momento.
Tom gli spiegò di cosa aveva bisogno: Crawford gli avrebbe reso un
grande servizio se avesse potuto controllare se, nei dintorni degli
indirizzi che Tom gli avrebbe fornito, c’erano dei depositi, dei
magazzini o comunque delle proprietà di grandi dimensioni, e se gli
avesse potuto fornire il nome dei proprietari di tali edifici.
“Mi andrebbero bene anche fabbriche in disuso, o imprese fallite da
qualche tempo. Più difficile che si tratti di locali commerciali aperti
al pubblico, come falegnamerie o imprese edili, ma non si mai,”
concluse.
Sperava di trovare qualche indirizzo promettente, adatto a nascondere
un carico di armi. Dato che le consegne di Andy si concentravano nella
zona ovest della città, anche le ricerche di Crawford avrebbero dovuto
rivolgersi prima di tutto ai fabbricati sorti da quelle parti.
Andy aveva effettivamente consegnato parte delle armi nei luoghi che
Kuntz aveva fatto controllare, ma aveva effettuato diverse consegne
tutte nelle stesse zone: aveva avuto quindi la possibilità di spostare
la merce, forse su consiglio della talpa nella squadra di Kuntz. O
forse i gangster avevano finito per concentrare tutto il carico nello
stesso luogo, se prima o dopo la morte di Andy Butler Tom non avrebbe
saputo dirlo con certezza. Valeva la pena controllare.
Crawford promise che gli avrebbe fatto sapere tutto al più presto.
Tom lo pregò di farlo entro sera.
“Non c’è problema, signor Ludlow. Siamo molto orgogliosi della nostra
efficienza,” lo rassicurò Crawford.
Tom lo ringraziò sentitamente, e attaccò il telefono. Ora non gli
restava che aspettare. Sarebbe stato difficile, rimanere ad aspettare
lo squillo del telefono. Aggiornò il dossier del caso Butler,
includendo gli ultimi avvenimenti, compreso l’incontro con il tenente
Kuntz, ma tacendo di quello con il dottor Thompson. Quello sarebbe
stato incluso solo nella versione non ufficiale che Tom non avrebbe
mostrato a nessuno.
I documenti ufficiali potevano servire a Kuntz, o agli uomini di
Encino, una volta che tutto si fosse concluso.
‘O alla commissione, per dare una mano a James.’
A distrarre Tom dalla routine in cui era sprofondato dopo un’ora di
attesa ˗guardare il telefono, sistemare un po’ di fogli, sistemarsi
sulla sedia, guardare il telefono e così via˗ arrivò una cliente.
Era una donna sulla sessantina, con l’aria particolarmente seccata.
Tom la fece accomodare davanti a sé.
La donna lo ringraziò concisamente e chiarì che cosa l’aveva portata
sotto gli occhi di Tom, distogliendolo dal riordino dei documenti del
suo archivio (ma non dalla sorveglianza del telefono).
“Mio marito è morto,” annunciò la donna, con voce stentorea e tono
piccato, come se la cosa, più che dolore, le procurasse tanti fastidi
da non poterne più.
Tom le fece le sue condoglianze, in tono abbastanza neutro, perché gli
sembrava evidente che la signora Wallowitz, questo era il suo nome, non
era una vedova affranta in cerca di consolazione.
Tom, sebbene molto tentato di rifiutare l’incarico, promise alla fine
che il lunedì successivo avrebbe cominciato a cercare il testamento di
Arthur Wallowitz.
Accompagnò la signora Wallowitz, molto soddisfatta, ora, fino alla
porta di ingresso e poi si precipitò di nuovo in ufficio, accanto al
telefono.
E la stessa cosa fece dopo essere andato in bagno. Ma ancora il
malefico aggeggio si ostinava a non strillare.
Tom si versò da bere e marciò per la stanza, per sgranchirsi le gambe.
Ormai erano quasi le cinque e decise di ordinare la cena da asporto dal
ristorante di Tony.
Gliela consegnò il ragazzino che si occupava della manutenzione della
sua macchina.
Tom lo avrebbe immaginato riluttante di vederlo, dato che l’ultima
volta gli aveva gridato dietro con l’intento di spaventarlo, ma quello
sembrava piuttosto allegro e curioso.
“Non avevo mai visto il suo ufficio, signor Ludlow!” esclamò, facendo
qualche passo nell’ingresso mentre Tom prendeva il portafoglio. “Deve
incontrare un sacco di persone interessanti,” continuò, allungando il
collo per curiosare in giro. “Per quanto riguarda la macchina, signore,
io…” cominciò, quando Tom riapparve e gli cacciò i soldi in mano.
Poi prese in una mano la borsa che conteneva la sua cena, con l’altra
agguantò la spalla del ragazzo e lo buttò fuori, quasi di peso.
“Tieni il resto!” gli gridò, chiudendo la porta.
Non gli piacevano i bambini, soprattutto quelli invadenti. E in ogni
caso non era consigliabile che quel ragazzino ˗Manuel, gli pareva che
si chiamasse˗ si comportasse con tanta confidenza. Le malelingue erano
sempre pronte a scatenarsi e in quel caso il pettegolezzo sarebbe stato
davvero odioso.
Aveva appena finito di cenare quando finalmente il telefono squillò.
Tom quasi si strozzò con il sorso di caffè che stava bevendo. Riuscì a
rispondere tra un colpo d tosse e l’altro.
“P-Pronto?”
“Signor Ludlow? Si sente bene? Sono Clive Crawford, dell’agenzia…”
“Sì, sì, signor Crawford, va tutto bene. Aspettavo la sua chiamata.
Cos’ha per me?” gli chiese, al culmine dell’impazienza.
“Beh, ho parecchie cosa per lei, signor Ludlow. Sette indirizzi
compatibili con quello che mi aveva chiesto solo nella zona ovest, e
una quindicina in tutto.”
Tom si sentì sprofondare: quindici indirizzi da controllare? Non ce
l’avrebbe mai potuta fare entro il giorno successivo.
Nessuno gli aveva chiesto di farlo, ma nella sua mente l’incontro di
James con la commissione d’inchiesta aveva assunto l’aspetto di un
capolinea, di una linea rossa che segnava l’ultimo momento in cui era
sicuro saltare dal treno.
Non che la cosa avesse un senso: in fin dei conti, l’autista del camion
e Andy Butler non erano stati al sicuro neanche prima.
Ma Tom, inconsciamente forse (o forse solo non voleva ammetterlo ad
alta voce), si sentiva come se lavorasse per James. Non più per Maria e
non per Kuntz: la risoluzione del caso dal suo punto di vista era la
salvezza dell’amico.
Non era il caso di abbattersi.
Quindici indirizzi erano molti, ma avrebbe cominciato da quelli nella
zona ovest, i più promettenti. Tra quei sette ce ne sarebbe stato
sicuramente qualcuno che il suo istinto gli avrebbe indicato come
inutile e Tom si sarebbe affidato ad intuito ed esperienza.
Comunicò a Crawford che era pronto per prendere appunti e si segnò
tutti gli indirizzi, con la descrizione che l’agente immobiliare gli
fornì di ogni fabbricato, magazzino o rimessa di dimensioni sufficienti
per ospitare dei mezzi pesanti.
Dopo che ebbe trascritto anche l’ultimo indirizzo, ringraziò Crawford
per la collaborazione e gli promise che non appena ne avesse avuto il
tempo lo avrebbe invitato a cena per sdebitarsi. Poi, con il fedele
stradario alla mano si segnò con precisione tutti i luoghi cui aveva
intenzione di rendere visita quella notte.
Come aveva previsto, il suo intuito si fece sentire immediatamente.
Alcuni dei posti indicati da Crawford erano affacciati sulle strade
principali e Tom li escluse senza esitazione: non era pensabile che le
armi fossero state scaricate in un magazzino che era visibile dalla
strada. Anche a notte fonda, il rischio che qualcuno di passaggio
notasse che il carico recava i timbri dell’esercito era troppo grande.
Inoltre, scaricare delle munizioni richiedeva una certa prudenza. Era
un lavoro da fare con la massima tranquillità.
Tra gli indirizzi rimasti, uno era stato controllato dagli uomini di
Kuntz, e un altro era decisamente troppo vicino a quello noto alla
polizia. Se Tom fosse stato un gangster, avrebbe evitato di possedere
due edifici troppo vicini in cui stoccare la merce di contrabbando.
Gli ultimi due indirizzi sembravano perfetti per operazioni illegali e
rischiose come il traffico d’armi: si trattava di una vecchia fabbrica
in disuso, fallita circa cinque anni prima, che era stata acquistata da
un certo Helmut Weimar da meno di dodici mesi; l’altro edificio era
invece un magazzino di stoccaggio di vecchi container: il nome del
proprietario anche in questo caso non diceva nulla a Tom.
Forse Kuntz ci avrebbe capito qualcosa, ma non era il momento di starci
a riflettere più di tanto, era il momento di muoversi e dare una
controllata.
Tom si preparò, prendendo la pistola e infilando nella tasca interna
del soprabito lo stradario, anche se aveva ormai memorizzato
l’ubicazione dei luoghi da controllare. Esitò un attimo, prima di
uscire. Se avesse auto un collega gli avrebbe comunicato dove stava
andando, affidandogli il compito di avvertire Kuntz se non fosse
tornato entro l’alba. Ma lavorava da solo. E in quel momento la cosa
gli pesava.
Dato che Kuntz sospettava una talpa nella squadra, Tom non poteva
semplicemente chiamare la stazione di polizia e lasciargli un
messaggio. Rimase un istante a pensare, poi prese il telefono e chiamò
l’albergo di James, solo per sentirsi rispondere per l’ennesima volta
in pochi giorni che il Maggiore Biggs era uscito. Riattaccò.
Uscì dal palazzo, salutando distrattamente un paio di vicini e si
diresse da Tony.
“Mi serve la macchina, Tony, per favore. Un po’ in fretta,” gli disse
serio.
Tony dovette capire che non era una serata in cui ci si potesse
permettere di perdere tempo scherzando o ricordando il passato. Spedì
immediatamente Manuel a prendere la vecchia Olds.
Il ragazzino parcheggiò la macchina sul marciapiede di fronte al
ristorante a tempo di record, ma quando scese finse di non vedere
neppure Tom. Probabilmente era offeso per il trattamento ricevuto solo
poco prima.
Tom si complimentò con se stesso per l’ottimo risultato raggiunto e
salì in macchina. Troppo tardi si ricordò che avrebbe potuto almeno
telefonare a Winnie.
‘Oh, beh, se non mi vedranno tornare se ne faranno tutti una ragione,’
si disse, con in piccolo ghigno.
Scelse di controllare per prima la fabbrica acquistata l’anno prima dal
signor Weimar. Aveva pensato che un colpo come quello realizzato da
Marcus Collins e dai suoi uomini aveva sicuramene richiesto molta
preparazione e lungimiranza: forse quei gangster, cui certo non mancava
il senso degli affari, erano arrivati al punto di procurarsi apposta un
nuovo magazzino in vista della necessità di nascondere le armi.
Secondo questa ipotesi, Helmut Weimar sarebbe stato un prestanome.
Lasciò la macchina sufficientemente lontana da non dare nell’occhio,
nei dintorni di un negozio aperto ventiquattr’ore su ventiquattro dove
avrebbe potuto trovare un telefono se ne avesse avuto bisogno.
Si incamminò a piedi verso la fabbrica, cercando di stare lontano dalla
zona di carico e scarico merci, che avrebbe potuto essere affollata.
Fece il giro completo del perimetro del fabbricato, ma non vide nessun
movimento, né luci. A quanto pareva, fuori non c’era nessuno di
guardia.
Dato che l’interno era buio (non che l’esterno fosse illuminato in
maniera soddisfacente), decise di arrischiarsi a sbirciare da una
finestra. Le vetrate erano alte e dovette arrampicarsi su una pila di
casse.
Uno sguardo all’interno lo lasciò quanto mai deluso: la fabbrica era
completamente vuota. Tom aveva una visuale perfetta dell’ambiente
principale dell’edificio e anche con la scarsissima luce che filtrava
dalle vetrate poteva vedere che non c’erano né casse, né macchinari né
alcun genere di materiale. Probabilmente il misterioso Helmut Weimar
aveva acquistato la fabbrica solo i macchinari e le attrezzature, e non
per utilizzarla come magazzino per i suoi amici mafiosi.
‘Beh, tanto meglio per Helmut Weimar e tanto peggio per me,’ si disse
Tom, saltando a terra.
Si spazzolò la polvere dalle mani e rimase un attimo a fissare i muri
di mattoni della costruzione, incredulo del gigantesco flop del suo
sesto senso. Finalmente fece spallucce e si rincamminò verso la
macchina.
Per fortuna non aveva perso troppo tempo. Guardò il suo orologio: le
otto. Aveva ancora tempo.
L’indirizzo che gli era più comodo raggiungere da dove si trovava in
quel momento era uno di quelli che aveva escluso facendo affidamento
sul fatto che era troppo vicino a quello noto a Kuntz. Era di strada e
anche se fosse stato un altro fiasco avrebbe quanto meno escluso con
certezza un altro punto della sua lista.
Salì in macchina e raggiunse il posto in circa venti minuti. Ma anche
in questo caso non ebbe fortuna: l’edificio era occupato e in pieno
fermento, in totale antitesi con la fabbrica che Tom aveva appena
controllato.
L’investigatore rimase un quarto d’ora ad osservare il via vai di
persone e dovette alla fine arrendersi e ammettere che si trattava di
una innocente e assolutamente onesta panetteria-pasticceria; i
dipendenti si stavano dando alle pulizie e al rinnovo dei locali,
nell’unico momento a loro disposizione, a quanto pareva.
Fumando e imprecando furiosamente Tom tornò di nuovo alla macchina.
Cominciava a sentirsi piuttosto frustrato.
Decise infine per il magazzino dei container.
Ancora una volta lasciò la macchina abbastanza distante da non essere
notata (anche se, in fin dei conti, un’auto come la sua in una zona
industriale come quella poteva essere notata in ogni caso) e si
avvicinò al posto a piedi.
Fu certo di essere nel posto giusto quasi subito.
Il magazzino era ancora più defilato degli altri che aveva controllato.
Aveva un piccolo parcheggio privato, vicino alla sezione riservata agli
uffici, che ospitava un paio di macchine scure. Davvero improbabile che
a quell’ora, le dieci e qualcosa, ormai, ci fossero ancora operai
volenterosi. O che degli operai guidassero macchine come quelle.
Tom girò l’angolo e si avvicinò all’area retrostante, da dove poteva
vedere la zona di carico e scarico merci. Le gigantesche saracinesche
erano abbassate, ma da sotto di esse filtrava un filo di luce.
‘Bingo…’ fece Tom, sgattaiolando più vicino.
Cercò di rimanere il più possibile in ombra, camminando addossato alle
pareti in cemento grezzo. Quando fu vicino alle saracinesche percepì
dei movimenti all’interno del magazzino. Superò la zona di carico e
scarico, in cerca di un’entrata. Poco più avanti trovò una porta che
permetteva l’ingresso ai dipendenti a piedi.
Non c’era nessuno in vista, nello stretto budello in cui si era
infilato.
Si addossò alla porta e provò la maniglia. Quella si abbassò.
Con cautela, Tom aprì la porta e scivolò dentro.
Quello che Tom si trovò davanti aveva un che di inaspettato, anche se
forse la prudenza avrebbe dovuto indurre l’investigatore a mettere in
conto l’evenienza che la porta fosse sorvegliata.
L’uomo di guardia si voltò a guardarlo con un’espressione leggermente
stolida sulla faccia larga.
Aveva una sigaretta tra le labbra e si frugava la tasca interna del
giubbotto da aviatore con una mano, in cerca dei fiammiferi. L’altra
mano era tranquillamente infilata nella tasca dei pantaloni.
Anche lui doveva trovare la vista di Tom piuttosto inaspettata.
Ma Tom non gli diede il tempo di riprendersi: balzò in avanti e afferrò
l’uomo, stringendogli un gomito intorno al collo, bloccandogli l’altro
braccio dietro la schiena.
Quello strinse le labbra intorno alla sigaretta, prima di lasciarla
cadere a terra, ma l’unico suono che ne uscì fu un gemito senza fiato.
Per sua fortuna Tom era più alto e riuscì a sollevare di peso l’uomo,
appoggiandosi la sua schiena contro lo stomaco. Nel farlo, bloccò del
tutto l’afflusso di ossigeno al cervello dell’uomo, che cominciò a dare
segni di cedimento.
Quando smise di scalciare nel vuoto e si afflosciò tra le sue braccia,
Tom lo depose silenziosamente a terra. Il pacchetto di fiammiferi tanto
agognato scivolò fuori dalla tasca interna del giubbotto dell’uomo,
ormai inutile.
Allarmato, Tom si guardò freneticamente intorno.
L’area centrale del magazzino era sgombra, ma lungo le pareti erano
addossate decine di container, che creavano una serie di anfratti e
corridoi che limitavano la visibilità. Da qui la necessità di
posizionare un uomo di guardia alla porta, la quale tuttavia rimaneva
nascosta dietro un container di metallo dipinto di colore arancione.
Nessuno accorse ad armi spianate. I rumori che provenivano dalla zona
antistante le saracinesche continuarono indisturbati.
Probabilmente nessuno aveva sentito nulla. E lui era riuscito persino a
non perdere il cappello.
Tom cercò di tirare in piedi l’uomo svenuto, ma dovette accontentarsi
di trascinarlo fino all’entrata del container vicino alla porta. Lo
trasportò dentro e chiuse le porte metalliche cercando di fare il minor
rumore possibile. Poi si girò e raccolse i fiammiferi e la sigaretta
spiegazzata per poi infilarseli in tasca.
Avanzò verso i rumori e, badando di restare nascosto alla vista,
sbirciò da un angolo per farsi un’idea della situazione.
Davanti alla saracinesca era parcheggiato un enorme camion, che un paio
di uomini stavano caricando di casse voluminose e dall’aria molto
pesante, a giudicare dai loro movimenti e dagli sbuffi e grugniti che
emettevano.
A sorvegliare il loro operato stavano tre uomini, radunati intorno a
una cassa di legno chiaro che veniva usata come tavolo o piano
d’appoggio per delle carte. Ogni tanto uno di loro lanciava agli
scaricatori un avvertimento o la raccomandazione di fare piano.
Tom si avvicinò ulteriormente, prendendo la pistola e sfruttando la
fortunata posizione dei container e delle svariate casse sparse per il
magazzino.
Infine si accucciò dietro un cassone abbastanza vicino da permettergli
di vedere quello che stava cercando: la dicitura U.S. Army stampigliata
sui contenitori che venivano caricati sul camion.
Aveva trovato il deposito usato dagli uomini di Collins per le armi
sottratte al convoglio militare della base di Encino.
Si preparò a strisciare nuovamente verso la porta da cui era entrato
per andare a chiamare Kuntz e i rinforzi che aveva promesso prima che
il tizio che aveva stordito si riavesse.
Ma poi, uno dei tre uomini diede le spalle al camion e alle operazioni
di carico per gettare uno sguardo cupo alle carte appoggiate al tavolo,
e Tom riconobbe il Maggiore James Biggs.
Note:
Ehehehe. ScusateXD
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