La
sveglia suonò tre volte, quattro, cinque. La sesta era
quella buona
e una mano pallida si sporse dal copriletto per spegnerla. Era
sveglia da un po', in realtà, ma non le andava proprio di
alzarsi
dal letto. Si scoperchiò lentamente e sbadigliò
pacata, girandosi
dall'altro lato. Ancora cinque minuti, forse venti, e finalmente
poggiò i piedi a terra. Ancora cinque minuti, forse dieci, e
si
portò in piedi. Il corpo era pesante, le gambe si muovevano
a fatica
e, prima di allontanarsi troppo dal letto, ci si ributtò
sopra a
peso morto. Fissò il lampadario con aria assente e le mani
le
scivolarono sul fianco sinistro, così Siobhan Smythe
sollevò la
canotta del pigiama in raso che indossava, passando due dita delicate
sul vistoso cerotto. Fece una smorfia, e si rialzò.
Aveva
smesso di farle male, così avevano detto i medici. L'avevano
aperta,
tolto il proiettile, ricucita, così la pelle si era
cicatrizzata e
rinata sotto una nuova forma, stava bene. Andò in bagno,
aprì il
mobiletto sopra il lavello e prese una scatola di cerotti. Si
alzò
la canotta di nuovo e si staccò il cerotto vecchio,
lasciando
prendere aria alla cicatrice. Era pulita, neanche troppo grande,
poteva andarle peggio. La ricoprì subito col nuovo cerotto.
Odiava
vederla. Aveva smesso di farle male, così avevano detto i
medici, ma
al diavolo i medici!
Lo borbottò per sé, perché a lei quel
segno ancora troppo rosso
sulla pelle faceva male, faceva male eccome. «Mica ce l'hanno
loro»,
continuò a borbottare. «Non sono loro a sentirlo,
a essere stati
sparati».
Ignorò
i rumori dei camion che passavano sotto il suo appartamento e
così
anche il piccione che quotidianamente si adagiava sul davanzale di
una finestra. Andò in cucina che era ancora scalza e in
pigiama,
aprendo il piccolo e ammaccato frigo. Era pieno: sua madre le aveva
fatto la spesa giusto il giorno prima, ma non le andava di prepararsi
qualcosa che afferrò la scatola del cibo cinese da asporto
avanzato
dalla notte e le bacchette, sedendo davanti alla tv. Mangiò
in
fretta e non guardò nulla, la lasciò spenta. Una
volta finito,
lasciò tutto sul tavolo e andò a cambiarsi di
fretta. Scese le
scale lentamente e aprì il portone dell'edificio guardando
al
traffico con occhi sgranati. C'erano molte, molte macchine. Molte,
molte persone. Una coppia le passò davanti e si
tirò indietro,
prendendo grossi bocconi d'aria. Andava tutto bene. Chiuse il portone
e ricercò le chiavi dell'auto in borsa.
«Buongiorno,
signorina Smythe. Ha bisogno di aiuto?». Grembiule sporco di
macchie
nere, affacciato dalla porta sul retro, il ragazzo
del ristorante cinese sotto casa era ancora più apprensivo
da quando
seppe della sparatoria alla CatCo.
Lei
allungò una mano verso la sua direzione per fargli cenno
negativo,
camminando a tentoni nel viottolo. Lo sentì rientrare e si
spaventò
quando la porta sbatté, saltò quando
passò un gatto e si mantenne
contro un muro quando suonò un clacson. Andava tutto bene.
Prese
altri grossi e lenti respiri profondi, appiattendosi contro la
parete. Si toccò là dove le avevano sparato e
scivolò a terra,
piegando le ginocchia. Altri respiri profondi. Gli occhi lucidi, le
labbra secche tirate, i denti stretti. Le lacrime.
Ore
prima…
L'alto
cancello di villa Luthor-Danvers si aprì e Indigo mise via
il
cellulare in tasca, tirando meglio il cappuccio della felpa sulla
testa e rientrando. Corse verso il portone, mentre il cielo si
accendeva a nuovo giorno.
Il
cellulare vibrò sul comodino e Kara si sporse dal letto per
prenderlo, stropicciandosi un occhio appiccicato e sbadigliando. Si
mise un poco seduta e pigiò sullo schermo, accigliandosi
improvvisamente.
«Cos'è
successo?», le domandò Lena con la voce impastata,
al suo fianco,
reggendosi con un gomito sul materasso. Sbadigliò subito
anche lei,
coprendosi con un palmo.
«Alex.
È-È Alex… Faora Hui è
morta», deglutì Kara, guardando grave
l'altra che si portò una mano sul viso. «L'hanno
uccisa questa
notte».
«Hanno
detto così? Sono stati i medici dell'ospedale
o…?».
«No.
Alex ha detto che è stata uccisa, non si sa ancora niente,
al
momento. Ha parlato con una dottoressa che si occupava di lei e
dicono già che il suo corpo era provato, che si erano
sbagliati a
dichiararla fuori pericolo», prese fiato e rimise il
cellulare sul
comodino, rimettendo la testa sul cuscino mentre Lena l'avvolgeva con
un braccio, baciandole una spalla. «Ma è chiaro
che l'hanno uccisa,
no? Loro. La polizia. Zod. Diranno che è stato per il colpo
inferto
da Alex, ma…».
«Alex
è già stata scagionata, non la incolperanno di
omicidio».
«Parlavo
dei genitori di Faora. E Alex… Anche lei penserà
che una parte di
questo sia colpa sua».
Lena
la baciò ancora, lasciandosi stringere a sua volta.
«È a casa,
adesso?».
«Ha
detto che tornava a casa perché ha il turno in boutique
questa
mattina, ma… non lo so», sospirò.
Alex
strinse i pugni e, appena lo vide arrivare dalla corsia davanti,
decise di andargli incontro con rabbia. «È
così che risolvete le
cose?», urlò e la voce rimbombò nel
silenzio del reparto. Spinse
Adrian Zod appena lo ebbe sotto tiro e lui, con un gesto,
fermò i
poliziotti pronti a intervenire per allontanarla. «L'hai
fatta
ammazzare perché era un peso? Sei un bastardo, e un
vigliacco», lo
spinse ancora.
«La
prego, agente Danvers», mormorò Zod.
«Cosa?»,
sputò di rabbia, «Mi
prende per qualcuno che non sono?
Sono
diverso?
La
conoscevo e le volevo bene?
Cosa?». Stava per colpirlo di nuovo, tenuta d'occhio dai
poliziotti
intorno, che si sentì tirare indietro. Maggie
uscì dalla cuccetta
di Faora Hui sentendola gridare e riuscì a spostarla grazie
anche
all'aiuto di Carina Carvex, l'agente D.A.O. che doveva fare da
guardia e si trovava ancora lì dalla notte.
«Alex,
Alex», Maggie le prese il viso e riuscì a farsi
guardare, mentre
scuoteva la testa. C'erano poliziotti, i medici che uscivano dagli
altri reparti e restavano immobili, alcuni pazienti: tutti guardavano
lei, e ascoltavano. «Fermati, vai a casa. Sei stanca, qui ci
penso
io».
«Ma
ti senti?», bisbigliò, ingigantendo gli occhi.
«Vuoi dargli corda?
Ha ammazzato Faora così come avrà ucciso quella
coppia, o pensi
davvero che li abbia lasciati andare perché glielo hai detto
tu?»,
strinse i denti, inspirando pesantemente.
Maggie
scosse la testa e si riguardò intorno, mentre l'agente
Carvex si
metteva tra loro e Zod. Erano tornate insieme al box, non erano
passate le quarantotto ore che l'uomo aveva descritto come il tempo
di prenotazione, ma avevano trovato tutto pulito, nessuna traccia
della loro presenza. Riguardò il suo capitano con la coda
dell'occhio e poi di nuovo la compagna. «Guardati, renditi
conto di
dove sei. Vai a casa, ti prego. Ti prego», la
supplicò e Alex
abbassò gli occhi, portandosi una mano sulla fronte. La
tenne
d'occhio mentre si allontanava con l'agente Carvex e dopo
lanciò uno
sguardo a Zod, che ricambiò.
Appena
arrivate dentro l'ascensore, Alex spinse Carina Carvex contro la
parete, chiedendo spiegazioni.
«Non
ho visto niente e non mi sono allontanata», sbottò
lei in difesa.
«Ero da sola e non potevo fidarmi dei poliziotti, per questo
sono
andata in bagno una volta sola». Alex si allontanò
e sospirò,
portandosi una mano in fronte e poi sui capelli. «Ma quando
sono
tornata, ho controllato e Faora Hui era ancora viva. Pensavo non
sarebbe successo niente e speravo soltanto arrivasse in fretta la
mattina per il cambio».
«Ci
hanno giocato», soffiò Alex, arrendevole.
«Avevo richiesto più
uomini ma a nessuno importava».
«Non
era importante quanto Rhea Gand», scrollò le
spalle l'altra. I suoi
occhi castani squadrarono Alex. «E Jonzz non ha avuto voce in
capitolo, ci ho parlato anch'io. Credi che…?».
«No»,
Alex scosse la testa, puntando gli occhi al soffitto. «No, se
qualcuno dell'organizzazione comandasse al D.A.O., avrebbero
già
sospeso l'indagine». Senza contare che se Maggie aveva
ragione ed
era lei il vero obiettivo di Zod, faceva tutto solo per arrivare a
quell'indagine contro di lui. Forse era così. Era una
possibilità…
Diede un pugno contro la parete più vicina.
«Cosa
ti turba, Danvers?», strinse le labbra, seria.
«Faora Hui non era
una tua responsabilità».
«Lo
so, è che…», si appoggiò
spalle alla parete appena colpita,
sospirando. La guardò, prima di decidere di confidarsi.
Conosceva
Carvex da quando era entrata al D.A.O., una sola settimana dopo di
lei; avevano parlato spesso, erano spesso nella stessa squadra,
poteva dire di conoscerla abbastanza. Ma fidarsi? «Sento che
stiamo
perdendo e loro vincendo. Ho accettato il lavoro per proteggere mia
sorella e dare la caccia a persone che si nascondevano nell'ombra e
adesso che non si nascondo più e stanno
contrattaccando», puntò in
alto gli occhi lucidi, visibilmente provata, «sento che non
riesco a
starci dietro. E Maggie, ciò che sta facendo… Mi
preoccupa,
Carina. Non è che non voglia credere in lei, ma lui le entra
nella
testa, lo so, lo vedo…». L'altra annuì,
sospirando e mettendo le
braccia a conserte. «Va tutto male…»,
proseguì Alex. «Ogni cosa
che faccio va male. I dati lasciati dai terroristi di Rhea negli
uffici pubblici non portano a niente di concreto e i collegamenti a
Zod sembrano forzati, altre chiavette non si trovano e… Non
sono
nemmeno riuscita ad ottenere il nome di una persona che… oh,
lascia
perdere», si asciugò gli occhi con le dita,
ripensando al garante
di Indigo che restava una figura ignota poiché il direttore
di Fort
Rozz, infastidito dalla sua visita, aveva richiesto un mandato che
non avrebbe potuto avere. Si sentiva davvero con le spalle al muro.
«Alex»,
la chiamò per nome, poggiandole una mano su una spalla.
«Ti aiuto
io con quei dati, va bene? All'università ero brava, in
questo
genere di cose. Posso dare una mano. Ma tu non vorrai lasciarti
andare, vero? Perché è l'ultima cosa che ci
serve».
«Sì»,
sorrise all'improvviso, «Hai ragione».
«Lo
so che ho ragione», rise e contagiò anche l'altra,
mentre si
aprivano le porte dell'ascensore.
Tornò
a casa e diede le disposizioni alla babysitter, controllando che
Jamie ancora dormisse. Accidenti. Tutto andava male ma,
pensò,
guardando la piccola che stringeva i pugnetti mentre bofonchiava nel
sonno, non si sarebbe arresa. Quello mai. Iniziò a cambiarsi
per
andare in boutique, pensando per l'ennesima volta che avrebbe dovuto
rinunciare a quel lavoro, che lesse i messaggi di Kara in cui le
chiedeva se si sarebbero potute vedere quel pomeriggio.
Ansimò.
Sapeva che sua sorella avrebbe voluto tirarle su il morale dopo
ciò
che era successo a Faora, ma non si sentiva pronta ad affrontarla,
non era il caso: non voleva che Kara leggesse il fallimento che
provava dai suoi occhi. Le disse di dover lavorare dopo aver lasciato
la boutique che, appena prima di mettere via il cellulare, le
capitarono sott'occhio i primi articoli online che parlavano di Astra
Inze e della sua possibile scarcerazione: spuntavano i primi nomi di
chi la vorrebbe di nuovo in servizio, dichiarando che aveva
già
pagato abbastanza per reati non commessi. E anche su quello, sembrava
proprio che stessero vincendo…
Anche
Kara ne lesse uno e poi sbuffò, mettendo via il telefono sul
bancone
della cucina. Non voleva pensarci, non voleva pensarci proprio e
prese una padellina. Bene. Ora toccava a lei: guardò il
piano di
cottura, poi la padellina, decidendo di aprire pensili a caso fino a
trovare gli ingredienti necessari per i pancake. Aveva tutto, adesso,
ma… come si accendeva? La fiamma non ci sarebbe stata su
questa
cosa? Non ne aveva mai usata una fatta in quel modo.
Le
braccia nude di Lena si infilarono sotto le sue e
l'abbracciò,
facendola sorridere. «Stai preparando la
colazione?».
«Diciamo
che l'idea era quella, ma…».
«È
a induzione», rise, staccandosi, «Lasciami fare, ti
faccio vedere».
Oh,
non sembrava difficile. Ancora in canotta e pantaloncini Kara, in
camicia da notte Lena, si appoggiarono contro il bancone e si
baciarono in un abbraccio, prendendo del tempo per guardarsi e
sorridersi finché non notarono che il pancake stava
bruciando. Lena
rise e scosse la testa, iniziando ad apparecchiare per la colazione e
pensando che avrebbe dovuto svegliare Indigo in modo che mangiasse
con loro. Solitamente si svegliava presto, era strano che non fosse
ancora uscita dalla camera degli ospiti che le aveva affidato. Oh, ma
c'erano i giornali sul bancone, forse era già in piedi e non
si
erano incrociate. Sarebbe stato meglio andarsi a cambiare, allora. Ne
prese uno e lesse un trafiletto, con soddisfazione.
«Ehi,
tesoro», la chiamò, facendola voltare,
«È iniziato».
Bruce
Wayne e Lena Luthor: nuovo appuntamento in vista?
Kara fece una smorfia, leggendo il titolo. «Bruce Wayne ha
sparso la
voce, quindi… lo facciamo davvero?».
«Uh,
non essere gelosa del mio finto appuntamento», si
avvicinò il tanto
per baciarla, rapida. «Portiamo allo scoperto chi cerca di
ucciderlo, niente di che», rise.
«Niente
di che?
Ma sentila. Ci stai prendendo gusto, per caso? Nelle situazioni
pericolose?», scrollò le spalle e la vide farle
una smorfia con le
labbra, così Kara pigiò il pulsante sulla piastra
per spegnere e
sollevò velocemente Lena, di sorpresa, facendola sedere sul
mobile
della cucina accanto al piano cottura.
«Oh.
Ma buongiorno», sorrise e Kara ricambiò.
«Buongiorno»,
la baciò a fior di labbra, continuando a sorridersi.
«È
stasera che devi andare alla festa di Siobhan Smythe?».
Kara
annuì. «Da domani l'avrò di nuovo tra i
piedi alla CatCo.
Perché?». La vide piegare le labbra e guardare
altrove, mormorando
un verso.
«Ma
nulla, sai, rientrerai tardi… Le giornate si fanno sempre
più
piccole…».
«Pensavo
di andare a dormire al campus, se mi lasciano entrare».
«Ah».
«Per
non disturbarti e lasciarti dormire», finì la
frase con una risata,
vedendo l'espressione imbronciata di Lena. «Ma non sembri
d'accordo,
okay, devo tornare qui?».
La
ragazza sorrise, stringendo le braccia intorno alle sue spalle e
baciandola di nuovo. «Non posso pensare che non ti
avrò questa
notte…», le sussurrò, guardandola negli
occhi.
«Puoi
avermi adesso o», arrossì, «quando vuoi.
Per fortuna quella Indigo
dorme ancora. Non svegliamola, restiamo così fino al momento
di
uscire».
L'altra
strabuzzò lo sguardo, allontanandosi dal suo viso.
«Non è già in
piedi?».
«No.
Dormiva nella sua nuova cameretta quando sono passata per scendere le
scale, ho aperto la porta».
«E
allora chi ha portato dentro i giornali?».
Entrambe
si voltarono e provarono un brivido di freddo. Occhi spalancati,
faccia bordeaux, una mano che stringeva un annaffiatoio: la
giardiniera Ingrid veniva ogni due giorni per annaffiare le piante e,
com'era prevedibile, se n'erano completamente dimenticate.
Non
voleva pensare a sua zia, non voleva proprio. Controllò i
libri che
aveva tra le braccia, proseguendo per il corridoio. Non voleva
pensare a sua zia, ma forse tutti gli altri lo facevano: a ogni
passo, sembrava che i colleghi alla Sunrise la seguissero con i loro
sguardi ora più che mai. Non era la sua immaginazione,
nemmeno si
sforzavano di distogliere l'attenzione quando si girava a guardarli.
Ricontrollò i suoi libri e, quando sollevò la
testa, sobbalzò,
portandosi indietro. «Megs? Potevi farmi venire un
infarto». Megan
era apparsa all'improvviso, ma il suo sguardo attento su di lei
sembrava nascondere altro rispetto al resto dell'istituto. Non fosse
per il sorrisetto sulle labbra.
«Dunque
tutto bene, eh?».
«Tutto
bene cosa?».
Iniziarono
a camminare, scendendo le scale. Megan non rispose subito, ma
continuò a fissarla e Kara arrossì.
«Dunque tu e
e-emh-
Lena…», si lasciò andare a un finto
colpo di tosse, «vi
appartate di nuovo?».
«C-Che
cosa vuoi di-».
«Ehi,
almeno una delle due fa sess-».
«Shh»,
Kara si voltò e rivoltò indietro, facendole segno
di tacere,
«Abbassa quella voce. È così
evidente?». Tutti la seguivano con
lo sguardo, mancava poco che ascoltassero le sue conversazioni.
«Ragazza,
hai il sorrisetto da beatitudine e non resti a dormire al campus da
quando sei tornata da Star City. Non ci vuole molto a fare due
più
due». Risero un poco e Kara arrossì di nuovo.
«Non
hai fatto ancora pace con il tuo e-emh-
tipo?». Arrivate al piano terra tutti si voltarono nella loro
direzione e Megan pensò di alzare le braccia per intimidirli
neanche
fossero dei passerotti. Però funzionò.
«Se
con pace»,
ridacchiò, scrollando gli occhi, «intendi che
abbia ripreso a
dargliela, allora no. Ogni tanto parliamo, non come prima,
ma… non
lo so, voglio farlo soffrire, credo», la guardò
negli occhi e Kara
aggrottò la fronte. «Non soffrire
soffrire, è chiaro, lo amo anche se mi ha
mentito… Vorrei solo che
capisse che ha sbagliato, non mi pare di chiedere troppo».
Si
fermarono quando scorsero proprio John Jonzz, attraverso una
finestra, che si allontanava dallo stabile con uno scatolone tra le
braccia. Corsero fuori e lo bloccarono, sbalordite. Non potevano
crederci che…
«Ho
perso il mio incarico come coach», forzò un
sorriso, i suoi occhi
malinconici raccontavano meglio di lui cosa stava succedendo.
«Lo
sceriffo vuole che mi dedichi a tempo pieno all'indagine
sull'organizzazione, ma in ogni caso era questione di tempo»,
guardò
Kara, «Ero qui per tenere d'occhio te e, adesso che Rhea Gand
è
agli arresti, la mia presenza non serve». Sorrise a una e poi
all'altra, abbassando gli occhi solo un momento.
«Ma
non puoi andartene», Megan scosse la testa pian piano,
visibilmente
delusa. Lo guardò negli occhi e lui le regalò un
lungo sorriso, per
poi annuire.
«Ve
la caverete, il nuovo coach arriverà presto. Tenete a mente
ciò che
vi ho insegnato».
«Non
parlo del lacrosse».
John
aprì la bocca ma non disse nulla, per poi sospirare.
«Credete nelle
vostre capacità e nel gioco di squadra»,
proseguì e Megan scosse
la testa, guardando dopo Kara al suo fianco.
«Supergirl», lui la
chiamò. «Occhi sempre ben aperti: anche se lei
è fuori dai giochi, il resto della squadra non
accetterà sconfitte
e tu non devi perdere la calma. Una nuova giocatrice tornerà
presto
in campo e ti metterà a dura prova». Kara si
accigliò, mentre
l'uomo si rivolgeva a Megan. «Miss Martian! Andrò
dai verdi
per il fine settimana, se… se ti andasse di fare quattro
chiacchiere, sai dove puoi trovarmi». Sorrise di nuovo a
entrambe e
si allontanò, sollevando la scatola con le sue cose.
«Verdi?»,
domandò Kara, «Parlate in codice,
adesso?».
Megan
abbozzò una risata, tenendo d'occhio l'uomo che raggiungeva
il
cancello del Sunrise. «È una lunga storia. E tu?
Parlava
dell'organizzazione, non è vero?».
«Di
mia zia», sospirò. «Parlava di mia
zia».
Non
voleva pensare a sua zia, ma tutto non faceva che vertere di nuovo a
lei. E forse non poteva scappare da questa cosa come avrebbe voluto,
dopotutto. Chiudere gli occhi, pensare ad altro e girarsi dall'altra
parte, non avrebbe fatto sparire il suo problema. Avrebbe voluto solo
perdersi in Lena e pensare a come costruire una relazione con lei nel
loro strambo ambiente familiare, studiare e farsi assumere alla
CatCo, uscire la sera ogni tanto, giocare a lacrosse e vincere il
campionato. Avrebbe voluto pensare a come costruirsi una vita felice
adesso che Rhea Gand era in prigione, ma la morte di Faora Hui e
l'uscita imminente da Fort Rozz di sua zia erano qualcosa di troppo
grande per essere ignorato. La verità era che aveva paura di
scoprire, rivedendo Astra, quanto nonostante tutto le volesse bene.
Voleva essere arrabbiata con lei, ma la sola idea di poterla toccare
le scombussolava lo stomaco. Accidenti. Forse non poteva ignorare
tutto troppo a lungo, ma poteva provarci fino allo stremo. Dopotutto,
le veniva bene poiché la sua distrazione rendeva il mondo
più
giusto.
Da
Vaniglia a Me
Questa
notte ordiniamo italiano? Se proprio insiste, potrà mangiare
con noi
anche Indigo.
Lena
sorrise, spegnendo il monitor del cellulare e lasciandolo sul banco.
Le ragazze a cui faceva da tutor accanto a lei sorrisero a loro
volta, scambiandosi uno sguardo malizioso. Lena non se lo
lasciò
sfuggire. «Su, non lasciatevi distrarre»,
commentò svelta,
riprendendo tra le mani il tomo che aveva lasciato sulle gambe. Le
tenne d'occhio: una riga scritta sui loro bloc notes e una nuova
occhiata, riprendendo a sogghignare. «E va bene.
Cos'è successo di
tanto importante da non poter andare avanti?».
Le
ragazze erano esitanti, adesso. Ma una di loro si fece coraggio,
iniziando a parlare senza guardarla negli occhi troppo tempo:
«Gira
una voce, signorina Luthor», scambiò rapida uno
sguardo con l'amica
a fianco. «Gira voce che lei sia la fidanzata nascosta di
Bruce
Wayne, il più ricco di Gotham».
Ah.
Lena aprì la bocca, ma non fece in tempo a dir nulla che
ripresero a
parlare, svelte:
«È
carino? Da vicino? Mia cugina dice che è il suo
tipo», ridacchiò
la seconda.
«Quindi
è vero che lei è la sua fidanzata nascosta? Era
suo il messaggio?»,
chiese la prima.
«Mia
cugina dice che anche lei è il suo tipo,
però», ridacchiò di
nuovo la seconda.
«Anche
io vorrei un fidanzato nascosto», si perse nei pensieri la
prima,
«Meglio ancora se ricco, ovvio».
«Ragazze,
ragazze», le fermò, prima che potessero riprendere
a viaggiare con
la fantasia. Non erano mai state così disinvolte, prima
d'ora.
«Bruce Wayne ed io siamo solo amici. Mi duole deludervi, ma
la voce
che gira è solo questo: una voce». La guardarono
con sconfitta, ma
fortunatamente pian piano riuscì a farle riprendere un
minimo di
concentrazione. Si domandava cosa ne avrebbero pensato quando
avrebbero scoperto che era gay e la sua fidanzata nascosta una
ragazza. Fidanzata nascosta.
Almeno una cosa la voce che girava l'aveva azzeccata: era impegnata,
ma solo di nascosto. Se ci riuscivano. E andava bene così,
ora come
ora.
Le
tenne d'occhio fino a quando non lasciarono la biblioteca,
salutandole un'ultima volta. Almeno avrebbe avuto un po' di tempo per
se stessa. Si accomodò su un divanetto vicino a una finestra
a prese
il cellulare, rispondendo a Kara. C'era anche un messaggio di Indigo
che le chiedeva quando sarebbe tornata a casa. Oh, le sembrava di
avere non solo una fidanzata nascosta, ma anche una figlia nascosta a
carico. E quella? Una chiamata persa di Lillian, non ci
voleva… E
se la chiamava da Aruba doveva essere importante. Sperava solo che
non fosse per sapere di Faora Hui perché non avrebbe proprio
saputo
cosa dirle. Partì una nuova chiamata e Lena
sbuffò.
«Finalmente
ti sei decisa a rispondermi, Lena»,
sentì dall'altra parte, sopra un fruscio fastidioso.
«Non
puoi richiamare più tardi? Sono molto occupat-».
«So
di te e Kara».
Lena
si zittì, mordendosi il labbro inferiore.
«… Ingrid?».
«Ma
figurati, le lascio lo stipendio all'ingresso per non dover parlare
con me»,
la sentì sospirare ed era come vederla. «Gloria
Harris. Mi ha chiamata Gloria Harris».
Lena
spalancò gli occhi. «… la padrona di
Proiettile?».
«È
andata a ritirare un capo su misura da Felipe e lui si è
lasciato
sfuggire il gossip. Lo ha saputo da Marielle».
Lena si portò una mano contro la bocca, ascoltando sua madre
che
sembrava esasperata. «Naturalmente
è stata Ingrid a dirlo a Marielle questa mattina.
Così ho dovuto
prima convincere Gloria Harris che Felipe ha capito male. Ho dovuto
minacciare Felipe che avrei distrutto la sua carriera se avesse messo
in giro quella menzogna. Ho chiamato Marielle e ha pianto, giurandomi
che non lo avrebbe detto a nessuno. E infine ho dovuto telefonare
Ingrid, che ho intuito essere ancora in linea e non svenuta solamente
dai sospiri pesanti di paura».
Lena
abbozzò una risata, trattenendosi. «Ingrid lo ha
detto a Marielle
che lo ha detto a Felipe che lo ha detto a Gloria Harris? Lei lo
avrà
detto al cane. Lo ululeranno per tutto il vicinato», rise di
nuovo,
tappandosi un poco di più la bocca.
«Non
è divertente, Lena. Non è il momento per fare di
spirito, mi
sembra. Sono certa che potete evitare di dare spettacolo come animali
in calore di fronte al personale».
«Come
sei premuro-».
«Inutile
dire come me lo aspettassi».
«E
il viaggio di nozze come sta andan-».
«Evitate
almeno di fare certe cose in cucina».
«Eliza
come st-».
«Il
bancone è fatto per cucinare, Lena».
«C'è
vento o sei davanti al condizio-».
«Voglio
sperare che non abbiate fatto sesso in cucina».
«Che
bei discorsi madre-fi-».
«Sono
molto preoccupata per le condizioni igieniche di quella cucina,
Lena».
«Discorso
davvero edificante, lo terrò a men-».
«Se
proprio volete fare sesso, non comportatevi come conigli e aspettate
di essere in luoghi più consoni allo scopo».
«Devo
andar-».
«Il
letto, Lena. Il letto»,
proseguì imperterrita.
«Non quello in camera di Kara, che ci ha dormito zio Leo in
tempo di
guerra. Il tuo letto, se proprio…».
«Davvero.
Devo andare».
Lillian
sospirò, sopra a tutto quel fruscio. «Devo
solamente sperare che Gloria Harris, come mi ha giurato, non lo abbia
detto a nessuno e
non parlo del suo dannato cane»,
aggiunse velocemente. Sembrava davvero così preoccupata.
Lena
scosse la testa. «Tu lo sai che questa resta una cosa
temporanea e
che un giorno, si spera non troppo lontano, Kara ed io usciremo allo
scoperto come coppia, vero?». Finalmente, sua madre non le
parlò
sopra e, anzi, non disse più una parola. «Apprezzo
il silenzio»,
sorrise. Dopo poco staccò la chiamata. Sapeva che Lillian
avrebbe
dovuto pensarci su prima di avere una risposta seria da darle.
Sperava ne avrebbe parlato con Eliza, se non altro.
Da
Me a Vaniglia
Mi
spiace: mia madre sa.
Inviò
e si sistemò meglio sul divanetto, appoggiando la testa
stanca.
Lanciò uno sguardo alla borsa che aveva sistemato vicino e
sospirò
pesantemente, chiudendo gli occhi. Non sapeva come dirglielo. E
doveva farlo. Doveva farlo presto. Proprio perché volevano
essere
una coppia seria, e un giorno fidanzarsi ufficialmente, non poteva
nasconderle della pistola di suo padre che portava con sé.
Secondo
ciò che le aveva detto Alex il pomeriggio prima, si
aspettava di
dover litigare con lei e questo le metteva ansia.
«È
per un discorso generale sulle armi o non vorrebbe che io fossi
armata?», aveva domandato alla ragazza che, intanto, aveva
colto
l'occasione per scambiarsi velocemente uno sguardo con Maggie,
vicino. Erano andate al poligono e avevano aiutato Lena a impugnare
la pistola e a sparare. Le avevano dato il porto d'armi in fretta in
modi non proprio legali, dopotutto, e non aveva avuto modo di
imparare col giusto tempo.
«Kara
preferisce sistemare le cose in altro modo, non le piacciono le armi.
Potrebbe non prenderla affatto bene», le aveva detto
sinceramente.
«Ti direi di spiegarglielo in modo che capisca come ti
senti».
Lei
aveva arcuato un sopracciglio e scosso appena la testa. «Come
mi
sento?», domandò, non certa di aver intesto cosa
intendesse.
«Come
ti senti dall'attacco terroristico di Rhea».
Dall'attacco
terroristico? Lei pensava che- No. Insomma, non aveva paura. Se
chiudeva gli occhi, non rivedeva nessuno che cercava di ucciderla.
Stava bene. Lei e James Olsen avevano corso e un proiettile era
passato vicino alle loro teste, ma ce l'avevano fatta. Quando era
entrata all'interno dell'ufficio di suo padre, il suo assistente Winn
era riverso sul pavimento, aveva immesso la password in un cassetto
della scrivania, impugnato la pistola ed era corsa fuori
perché
James stava lottando contro due di loro. Due di quei terroristi coi
passamontagna. Quando era uscita, uno di loro era a volto scoperto.
Rivide il suo volto fra quelli delle persone arrestate. Lena aveva
seguito quasi ogni processo, alcuni dei quali accanto a Kara. Ma
stava bene. Come la faceva sentire? Non aveva paura, ma era vero che
si sentiva più sicura con la pistola vicino. Con la pistola
puntata
si erano fermati. Ma non per questo aveva paura, era solo per
sicurezza e impugnare la pistola le infondeva quella sicurezza.
Nessuno la rincorreva quando- Riaprì gli occhi di scatto e
prese un
grosso respiro. Si guardò intorno e dopo la borsa. Non aveva
paura
adesso, ma non voleva rischiare di averne mai più.
Maggie
guardò Charlie Kweskill con la coda dell'occhio, seduto sul
sedile
del passeggero mentre lei guidava. Si erano appena rimessi in strada
dopo aver controllato due attività di nuova apertura e lui,
solitamente molto loquace, quasi non aveva emesso fiato. Quanto bene
conosceva Faora? Il ragazzo era rimasto con lei come aveva potuto ma
non ieri notte, pensò. Maggie sospirò e
girò il volante, tenendolo
ancora una volta d'occhio. «Abbiamo qualche minuto di pausa,
ti va
un burrito? Conosco un posticino non lontano che fa al caso
nostro».
Notò come si fosse sforzato per sorriderle e annuire.
Parcheggiò
vicino ad altre auto e si sedettero sugli sgabelli di un bancone
davanti al chiosco che, nell'insegna, aveva un grande burrito in
verticale con tanto di scarpe e braccia che, sorridente, assaggiava
un altro burrito più piccolo. Si sarebbe aspettata qualche
battuta
di Charlie su come il disegno sembrasse sdoganare il cannibalismo,
invece restò zitto, forse nemmeno lo notò.
Ordinarono e Maggie
scambiò qualche battuta con l'anziano proprietario, prima di
dedicarsi di nuovo a lui: decise di sorridergli, sperando si
confidasse. «Offro io», disse, inclinando la testa
da un lato.
Lui
si accigliò. «Mi vedi messo così
male?».
Maggie
sorrise di nuovo. «Avevi una storia con lei? Con
Faora?».
Charlie
ingigantì gli occhi, diventando paonazzo. «No,
certo che no! Faora
era come una sorella, per tutti i burrito. Ho altri gusti»,
rise,
per poi addentare con foga il suo burrito e ringraziarla mormorando
con la bocca piena.
«Condoglianze».
Lui si limitò a un cenno e Maggie
sospirò appena,
nascondendo la bocca dietro il burrito. «Dev'essere
difficile.
Proprio quando non c'eri per il turno di notte», scosse la
testa,
«Cos'è successo, a proposito? Mi sarei aspettata
di trovarti in
ospedale quando sono arrivata questa mattina». Un morso e
guardò la
sua espressione. Oh, era così triste. In lutto, non c'erano
dubbi.
«Beh…
non- Non voglio parlarne», azzardò una risata
soffocata dall'aria
terribilmente triste che attraversò il suo sguardo. D'un
tratto gli
occhi lucidi. «È ancora presto, capisci? E-Era
come mia sorella e
adesso… e adesso è troppo presto».
Il
tempo di finire il burrito, bere dei sorsi d'acqua, pagare e
rimettersi in auto che Maggie decise di non mollare la presa: si
dispiacque per lui, era un bravo ragazzo, ma l'organizzazione in cui
stava aveva ucciso quella sorella che amava e doveva rendersene
conto. Non mise in moto e si voltò verso Charlie che, in
fondo,
aspettava di risentirla, tenendo la testa bassa.
«È stato lui, lo
so», bisbigliò e il ragazzo la guardò
negli occhi, sorpreso. «È
per forza stato lui, ha mandato qualcuno a ucciderla ma tu non eri
d'accordo, vero? Per questo ti ha costretto restare a casa,
stanotte?».
«No»,
scosse la testa, increspando la fronte, «No, no, no! Sono
rimasto a
casa perché volevo dormire dato che avevamo il turno
stamattina. Lui
chi? Chi intendi?».
«Zod»:
Maggie non si trattenne di certo. «È stato lui ad
aver spostato il
turno a stamattina, così sapeva saresti rimasto a casa a
riposare!
Tu non eri d'accordo con lui, vero?».
Charlie
si portò le mani sulla fronte all'improvviso e
gettò all'indietro
la testa, appoggiandosi con sconfitta sul sedile. «No che non
ero
d'accordo! Non me lo hanno detto, okay? Non ne sapevo
niente».
Maggie lo fissò attonita e lui diede un calcio in avanti con
frustrazione. «Ma il Generale non voleva», scosse
la testa, «Non
dipendeva da lui; non ogni cosa che succede dipende da lui».
«Lo
stai difendendo? Charlie? Faora è morta e-».
Lui
la interruppe, brusco: «E non è colpa
sua», ringhiò. «Smettila!
Non dire queste cose, non le dire! Ancora non sei una di noi, non sai
come funzionano le cose. Faora non doveva affidarsi a Rhea Gand e sai
cosa? Se lo aspettava. Me lo ha detto. Ma non abbiamo potuto farci
niente», scosse la testa. «Il Generale voleva bene
a Faora; non lo
conosci e non conoscevi lei. E adesso andiamocene, per
favore».
Maggie
girò la chiave nel quadro e si allontanarono dal chiosco.
Lui era a
pezzi. Era chiaro come Charlie Kweskill stesse soffrendo e cercasse
goffamente di trovare giustificazioni a ciò che era
successo. Aveva
trovato il punto debole su cui spingere per portare il ragazzo dalla
sua parte, ma era incredibile il suo attaccamento a Zod e
pensò a
lungo, durante il loro giro, a come spezzare quel legame. Se voleva
riuscire nella sua missione, doveva far soffrire Charlie, per quanto
brutto fosse anche solo il pensiero di doverlo fare. Ma era lavoro,
no? Si chiese, guardando lui con la coda dell'occhio mentre scuoteva
la testa e si riportava una mano sulla fronte. Era solo lavoro.
Lavoro.
Alex allungò lo sguardo verso una cliente e
assottigliò gli occhi.
«Signorina? Signorina, può accarezzare il
pellicciotto a casa con
tutta calma, se lo vuole. È in sconto come tutto
l'abbigliamento
invernale. Non deve-». Oh, la cliente la guardò
male e si
allontanò, nascondendosi dietro le stampelle di una corsia.
Accidenti. Che avesse perso il suo tocco? Forse non aveva
più
pazienza per stare dietro a tutto, pensò esasperata. O forse
perché
ormai le andava male qualsiasi cosa e il suo lavoro in boutique non
faceva eccezione. Ecco: la cliente sgusciò via dalla porta
principale quando non stava guardando. «Buona giornata anche
a lei,
eh», sbottò. Si accomodò sulla sedia
girevole e sbadigliò;
ripensò a Faora Hui un momento, solo un momento, rivedendo
quello in
cui le aveva sparato salvando Kara. Il suo cellulare vibrò,
distogliendola da quel pensiero. Oh, la segretaria di Max Lord: una
delle chiamate che più aspettava, finalmente. Forse qualcosa
stava
ricominciando a girare per il verso giusto. «Si è
liberato un posto
in agenda? Ma non mi dica», rispose sarcastica.
«No, no, non me lo
passi, non me lo- Ehi»,
forzò un sorriso e si portò un ciuffo di capelli
rossi dietro un
orecchio d'istinto, non poteva vederla. «La tua segretaria mi
stava
dicendo- Sì, sì, va bene. Oh, se spargessi la
voce ai dipendenti
sulla pennina usb te ne sarei grata. Sì, sono in
difficoltà… Non
così
in difficoltà, non ti allargare»,
sussurrò a denti stretti,
grattandosi sopra un occhio, «Ricorda che sono impegnata,
già. E
gay, già», ascoltò e gonfiò
le guance proprio in direzione di una
coppia appena entrata in boutique. Arcuò le sopracciglia e
scosse
una mano perché capissero che la scocciatura non era rivolta
a loro,
aggiungendo anche un dito verso l'apparecchio, ma loro dovevano aver
capito l'esatto opposto e tornarono sui propri passi, uscendo.
Sbuffò. «No, non mi stai annoiando: due clienti
hanno frainteso»,
serrò le labbra, «Lascia perdere.
Allora… sì, ci vediamo
presto». Chiuse la chiamata che lui la stava ancora
salutando.
«Signorina,
quanto viene questo?».
Alex
si girò brusca. «Che, non lo sa leggere il
cartellino?». Oh,
fantastico, si era giocata un'altra cliente: la donnina
abbassò la
testa, mise su una smorfia e tornò indietro; pian piano,
Alex la
seguì con lo sguardo mentre si avvicinava sempre
più alla porta
fino a uscire. Forse doveva considerare l'idea di non essere
più
tagliata per quel lavoro. Anzi, di non esserlo mai stata. Le sembrava
di essere diventata Kara. Sbuffò e riprese il telefono:
probabilmente doveva accettare quella chiacchierata con sua sorella,
dopotutto. Strinse gli occhi e compose un numero, appoggiandosi al
banco con un gomito. «Lena. Ehi, senti… non ho il
numero di
Indigo, se puoi recapitarle un messaggio per me… Lei
è brava e un
aiuto mi servirebbe. Se potessi prelevarla questo pomeriggio,
così
posso farle anche qualche domanda», giocò a
piegarsi le labbra con
le dita, nervosa, fissando un punto vacuo del negozio. Non che ci
fosse qualcosa di male in Carina Carvex che le aveva proposto il suo
aiuto ma, non sapeva bene perché, il suo istinto le diceva
che prima
avrebbe fatto meglio a cercare di arrangiarsi per conto proprio.
Forse Indigo poteva arrivare dove loro non arrivavano. Forse, non che
non si fidasse di Carina Carvex, ma se c'era davvero un infiltrato al
D.A.O. era meglio aspettare. «Ah, sì, di' a Kara
che sono molto
impegnata e adesso che Faora… voglio dare il massimo. La
chiamerò
questa sera sul tardi! Quindi siete tornate insieme?»,
aggrottò la
fronte. «No, beh, mi pare di capire… Stai facendo
le veci del suo
avvocato. No, no, dicevo così per- Va bene, devo andare,
passo a
prendere Indigo alla fine del turno in boutique. Saluta
Kara».
Sbuffò a chiamata conclusa, scoprendo un cliente a fissarla,
davanti
al banco. «Scusi, diceva?».
«Ancora
niente, ma vorrei pagare. Da quasi cinque minuti».
«Oh,
sì». No, non era tagliata per quel lavoro.
Indigo
sembrò riluttante ad andare con Alex, all'inizio. Guardava
il suo
cellulare ancora più in continuazione, come sperasse in un
permesso
scritto, ma alla fine si convinse a sedere con lei in macchina,
intanto che Lena le salutava dalla porta. Quest'ultima notò
come si
comportasse ancora più stranamente da quando lasciarono Star
City,
ma immaginò dovesse essere perché adesso che lei
e Kara erano
tornate insieme, considerava l'idea di non avere più
speranze. Che
fosse per quello o no, era davvero strana. Chiuse la porta e
guardò
l'ora: presto sarebbe arrivata Kara per studiare insieme, glielo
aveva promesso.
Da
Me a X
Alex
Danvers vuole che l'aiuti con alcuni dati che i terroristi di Gand
hanno lasciato in giro. Cosa devo fare a riguardo, angelo custode?
Da
X a Me
Puoi
procedere. Aiutala, ma avvertimi su ogni cosa nel dettaglio e mi
raccomando, Indigo, stai attenta a ciò che fai o dici:
è in gamba.
Alzò
la testa dal cellulare e sbirciò sul sedile davanti Alex che
guidava. «Finalmente quella chiacchierata promessa,
eh?».
Alex
la guardò dallo specchietto. «Fai un buon lavoro e
potrei mettere
una buona parola per te».
«Quale
onore», ingigantì gli occhi.
L'altra
non disse più nulla. In realtà, pensava davvero
che abbassarsi a
chiedere aiuto a quella ragazza era la riprova del suo sentirsi alle
strette. E se Indigo facesse parte dell'organizzazione? O il suo
garante e fosse ancora in contatto con lui? Proprio adesso le
venivano in mente quei pensieri terribili? Era tardi e il suo aiuto
sarebbe stato davvero utile… Avrebbe dovuto farle fare un
test,
forse. Ma prima le domande. «Dove hai detto che ti teneva
rinchiusa
il tuo garante? Hai detto che eri rinchiusa e sei scappata,
giusto?».
Guardò la strada e lei, la strada e di nuovo lei. Non se lo
aspettava e stava tergiversando, pessimo segno.
«Oh,
in un… vecchio magazzino. Sembrava un garage,
puzzava».
«Di
cosa?».
«Eh?».
«Di
cosa puzzava?».
Indigo
scrollò le spalle, guardando fuori dal finestrino.
«Di vernice».
«E
dov'era? Possiamo andare a darci un'occhiata, per capire se troviamo
indizi sul tuo garante misterioso».
«No,
senti…», guardò in avanti, sporgendosi,
tirando la cintura di
sicurezza. «Ho già spiegato a Lena-».
«E
io voglio che lo ripeti». Indigo sembrò scocciata
e Alex
assottigliò gli occhi.
«Come
ho
già spiegato a Lena»,
rimarcò, «sono scappata senza guardarmi indietro.
Non ricordo dove
diavolo ero, solo che mi trovavo nei dintorni delle vecchie
palazzine, dove abitavo da bambina. Ho dovuto manomettere una
centralina e sono uscita da una serranda».
«Quindi
non ricordi dov'eri, ma ricordi che eri nei dintorni delle vecchie
palazzine?».
«Sì.
Lo so che non mi credi, lo leggo dalla tua faccia, sorella
poliziotta, ma è così. Sono scappata di corsa e
quando mi sono
fermata ho notato di conoscere alcune strade: ecco perché le
palazzine», sorrise e riguardò fuori.
Non
un sussulto: analizzò Alex. Dopo un primo impatto
disorientato,
parlò con una naturalezza sfacciata e Alex non era certa
fosse la
verità, quasi come se dire bugie e la verità
fossero in fondo la
stessa cosa, per lei.
Da
Me a X
Non
crede a una parola di quello che dico, ma vorrà che l'aiuti
lo
stesso perché è stressata. Sicuramente non dorme
bene, ha le borse
sotto gli occhi. Questa indagine contro l'organizzazione la sta
consumando.
Da
X a Me
Tieni
per te le tue supposizioni e fa' il tuo lavoro. Non ti ho fatto
uscire di prigione per leggere le tue teorie. Non farmi ripetere,
Indigo.
Lei
alzò gli occhi dal telefono e gonfiò le guance,
seccata. Non
è divertente lavorare per te
scrisse velocemente, ma si trattenne dall'inviarlo.
«Scrivi
a lui?», aspettò che la guardasse, «Al
tuo garante?».
«Giocavo.
La nostra discussione era morta, e
così…».
Veloce,
pensò. Indigo aveva la risposta pronta.
La
portò a casa sua, dove era riuscita a portare una buona
parte del
lavoro. C'erano le chiavette recuperate dagli attacchi agli uffici
pubblici e alcune cartelle gialle, tra cui quella che volevano
lasciare alla CatCo. Aveva dovuto contrattare con Cat Grant per
averla, offrendole alcuni dettagli non troppo specifici da poter
divulgare. Avrebbe comunque preso quella cartella, lo diceva la
legge, ma aveva avuto paura dello sguardo minaccioso della donna.
«Abbiamo interrogato Rhea Gand su questa roba, ma come
è ovvio non
ha detto una parola», scrollò le spalle,
avvicinandosi al tavolo
con esasperazione. «Abbiamo interrogato i terroristi uno per
uno e
la solfa si è ripetuta. E lì dentro non
c'è nulla di
confermabile».
«Beh,
se non c'è lo scoprirò presto. Mi pare di capire
di essere qui
apposta, sorella poliziotta».
Alex
annuì, prendendo una chiavetta in particolare dal tavolo e
mostrandogliela. «Prima questa», le sorrise,
«È pieno di dati sul
capitano della polizia, ma nulla che lo incastri».
«Ci
penso io. Passami un computer».
Alex
la tenne d'occhio quando Indigo le strappò le chiavetta
dalla mano
per andarsi a sedere: era una delle sue pennine personali, ci aveva
raccolto vario materiale su Zod e lo teneva aggiornato costantemente.
Ma conteneva anche file compilati da lei e Maggie su vecchie
supposizioni, ormai superate, e dati obsoleti che ancora non si era
presa la briga di cancellare. Il tempo di mettersi a lavoro che
suonarono il campanello.
«La
tua tipa?».
«Ha
le chiavi», rispose, alzandosi dalla sedia.
Impugnò la pistola
lasciata sulla fondina appesa sulla spalliera e si avvicinò
cautamente, allungandosi per osservare dallo spioncino.
Sospirò e la
mise via appoggiandola su un mobiletto, aprendo la porta.
«Carina!
Cosa fai qui?».
Carina
Carvex mise su una smorfia con la bocca, alzando le spalle.
«Passavo
di qui e ho pensato che magari avremmo potuto lavorare a quei dati
insieme, se non hai altro da fare», sorrise. «Sei
con la fidanzata?
Ho interrotto qualcosa?», due passi e guardò
dentro, inquadrando la
ragazza che, senza battere ciglio, trafficava davanti a un monitor.
Guardò la bionda e poi Alex, tornando indietro.
«Oh, vedo, occupata
lo sei di sicuro. Credo che toglierò il disturbo»,
ridacchiò e
l'altra contrasse le sopracciglia, seguendola fuori.
«Ehi,
Carina! Credo ci sia un malinteso, quella…»,
indicò verso la
porta e l'altra agente rise, incurvando la schiena.
«Non
lo dirò mica a Maggie Sawyer», sorrise.
«Non fosse altro ma la
conosco appena, sei fortunata».
«No,
no, no, no, io e quella… no»,
rise anche lei, lasciandosi contagiare dall'altra fino a quando non
agitò una mano. «No, è
un'amica».
«Okay!
Non sono un prete, non aspetto una confessione». Rise e anche
Alex.
«Può essere chi vuoi».
Alex
chiuse la porta e perse subito il sorriso. Non le piaceva come si
fosse improvvisata a casa sua. Forse iniziava a diventare paranoica
anche lei… Sospirò, rimettendo via la pistola.
Lena
aveva insistito perché studiassero in cucina, a quell'ora
passava
più luce. E il fatto che Lillian fosse tanto preoccupata per
l'igiene di quell'area della villa era… sì, in
effetti era stato
piuttosto rilevante nella sua decisione. Portò un bicchiere
d'acqua
a Kara e lo poggiò vicino a un libro, rispondendo al suo grazie
con un sorriso. La vide controllare il telefono e rimetterlo sul
bancone.
«Siobhan
non ha risposto. Volevo la conferma sull'orario»,
bofonchiò; si
mise una penna in bocca mentre prendeva in mano un libro e lo
appoggiava su un altro che aveva sulle cosce, seguita dallo sguardo
di Lena: tolse la penna e giocherellò con quella tra le
dita, mise
su una smorfia con le labbra rosa, aggrottò la fronte, si
passò la
lingua tra i denti. «Me lo passi-», si
bloccò quando alzò la
testa e incontrò il suo sguardo, arrossendo.
«N-Non ho qualcosa tra
i denti, vero?».
«No»,
Lena sorrise, scuotendo lievemente la testa. Si leccò le
labbra e
Kara avvampò, deglutendo.
«Pensavo
davvero che avremmo studiato».
«Anch'io.
Dopo».
«Senza
Indigo… Senza
Ingrid»,
rise Kara, serrando i denti.
«Tornerai
tardi, stanotte».
«Già…
Po-Possiamo almeno mangiare qualcosa, prima? Ho fame
e…».
Lena
annuì. Si alzarono e sistemarono i libri da un lato del
bancone ma,
quando Kara si stava appena spostando, Lena l'agganciò tra
lei e il
mobile, facendola sussultare.
«Non
hai intenzione di lasciarmi andare, immagino». La vide
scuotere la
testa, mentre si avvicinava e le mordeva sotto un orecchio.
«O-Okay!
Volevo mangiare, ma-».
«Penso
che mangerò prima io».
Kara
rise con un tono di voce inaspettatamente alto.
«B-Beh». Voleva
prenderle un polso che Lena la bloccò di nuovo.
«Qui? Non è perché
tua madre al telefono-».
«No».
«No?».
«Ovviamente
no. Per chi mi hai presa?!».
Si
guardarono e Kara scoppiò a ridere. Nemmeno il tempo di
capire se
stesse dicendo sul serio che lei la baciò. Si baciarono e
ribaciarono. Lena la spinse contro il bancone e le sbottonò
la
camicetta, baciandole sopra un seno. Capì che stava per
sganciarsela
dai pantaloncini e la fermò con le mani sui polsi: non era
necessario. Salirono sul bancone e Lena, su di lei, la spinse in
basso; dopodiché arcuò la schiena e si
passò il top tra le braccia
e la testa, gettandolo a terra. Kara non fece in tempo a deglutire
che Lena era di nuovo su di lei per baciarla, strusciarsi addosso,
sbottonarle i jeans corti. Le prese i polsi e le tirò in
alto le
braccia, poggiandole i gomiti sul bancone.
«Queste
restano qui», le mise una mano sull'altra e
arrossì, sorridendo.
«O-Okay…».
Non oppose resistenza e Lena le baciò il braccio sinistro in
più
punti, stringendolo con forza. Non nascondeva di certo quanto le
piacessero le sue braccia. Le strinse davvero forte i bicipiti e
scese fino a spalancarle la camicetta, passando un dito sinuoso lungo
la giugulare e Kara trattenne il fiato. Le faceva entrare i brividi
ma… erano brividi belli. Lena poggiò la bocca
bollente appena
sollevò l'indice e Kara sentì un fuoco pervaderle
il corpo.
«Lo-Lo-Lo sai che- emh»,
aspettò che la guardasse ma lo fece a stento per forse due
secondi,
riprendendo a passarle il dito, e poi la bocca, lungo il corpo.
«Ce-Certo che lo sai, te lo RI-»,
si fermò, avendo alzato troppo la voce quando Lena le
abbassò il
reggiseno per giocare con un capezzolo. «Dicevo, che te lo
ricorderai-».
«Mi
piace quando sei nervosa», sorrise, leccandole l'ombelico.
«Non
sono nervosa».
«Inizi
a parlare. Cosa stavi dicendo?». Le spinse in basso i
pantaloncini e
Kara sollevò le braccia così che Lena la
sgridò, aggrottando la
fronte. «Rimettile lì», le
puntò il dito severamente e si sollevò
su di lei per rimetterle le mani una sopra l'altra. «O verrai
punita». Rise, osservando la faccia sgomenta di Kara.
«…
p-punita
in che senso?».
«Ti
piacerebbe scoprirlo». La vide spalancare gli occhi e infine
emettere un verso gutturale, forse nel disperato tentativo di
ritrovare la lucidità. «Allora, stavi
dicendo?», si morse un
labbro, «Io ricordo cosa stavo facendo». Le
punzecchiò la pancia e
poi la morse, facendola ansimare.
«…
ah, sì. Sì. Dicevo che tra poco, sì,
tra pochi giorni, sarà un
anno che-», alzò la testa e con occhi sgranati di
nuovo quando la
avvertì morderle un po' più forte.
«Tu… Tu sei ben consapevole
che io mi vendicherò, giusto?».
«Ah-ah.
Immagino di sì. Sarebbe un tuo diritto»,
bisbigliò.
Kara
scosse la testa, in un sorriso. «Sarà un anno che
ci conosciamo»,
riuscì a dire e spalancò la bocca quando Lena
infilò una mano
sotto i suoi slip.
«Dovremo
festeggiare», sorrise, abbassandosi di nuovo per morderle un
fianco.
Sì,
era decisamente meglio che pensare a sua zia. Il processo continuava
e anche quello di suo marito Non, lo zio con cui non aveva mai avuto
un grande legame poiché era sempre fuori per lavoro. O
così
dicevano. Kara ci ripensò anche fosse solo per poco mentre
era al
locale dove si teneva la festa per il ritorno alla CatCo di Siobhan
Smythe. C'era un grande televisore a schermo piatto sul muro sopra il
bancone e trasmisero un aggiornamento, e dopo anche quello sulla
morte di Faora Hui. Accese lo schermo del suo cellulare, ma Alex non
le aveva fatto sapere niente. Si voltò sentendo Leslie
Willis urlare
di avere altro da mettere nel bicchiere e altri colleghi intorno la
imitarono, ridendo e battendo sui tavoli. Erano palesemente ubriachi,
constatò. Almeno tenevano ancora sulla testa i cappellini
colorati e
a punta della festa. Ma dov'era Siobhan? Si voltò e
rivoltò e, oh,
non l'aveva notata prima: era sul bordo di un tavolo, da sola, con
una bottiglia e un bicchiere davanti. Non aveva una gran bella cera.
«Ehi,
biondina! Psst».
Stava per andare a raggiungerla che qualcuno la chiamò e si
voltò:
quell'uomo ruttò e le mostrò una rivista,
aprendola e indicandole
una foto. «Non sei tu questa qui?».
Kara
sbiancò: sotto gli articoli che parlavano di sua zia Astra
citavano
lei e i Luthor, notava dalle altre foto. Fantastico: avevano di nuovo
i giornalisti alle costole; e si lamentava lei che avrebbe
esattamente voluto fare la giornalista. La signora Grant
però era
stata chiara: era sua,
non poteva parlarne con nessuno. Scosse la testa e sperò che
fosse
troppo ubriaco per insistere, così si allontanò.
«Credo che siamo
le uniche non ubriache della festa», si sforzò per
sorridere,
sedendo vicino a Siobhan. Ma lei non la degnò di
un'occhiata. «Emh,
vero? Oppure la metà che manca te la sei scolata da
sola?», indicò
la bottiglia. Sperò di avere una sua reazione. Una
qualsiasi,
accidenti.
«Ti
ricorda una festa, questa qui?», finalmente parlò,
anche se con una
voce finissima, non quasi da lei.
«Non
lo è?», temette quasi a chiedere. Siobhan
finalmente alzò lo
sguardo dal tavolo, mostrando i suoi occhi segnati da profonde
occhiaie. Doveva aver bevuto eccome, ma forse si era limitata a un
bicchiere poiché sembrava troppo lucida e ricordava com'era
avere a
che fare con lei da ubriaca. Una cosa era certa: a quella festa,
Siobhan non si stava divertendo affatto. La ragazza borbottò
qualcosa di troppo basso da captare anche per lei, ma Kara non era
sicura che in fondo fosse qualcosa di senso compiuto e rizzò
le
orecchie.
«Aveva
ragione», disse e alla fine lo sentì. Siobhan si
versò da bere
fino all'orlo del bicchiere e l'altra la guardò con
sconcerto. «Sono
qui solo per far baldoria, quelli lì! Non per me! Aveva
ragione lui:
non sto simpatica a nessuno». Si portò il
bicchiere alle labbra con
fatica, gocciolando sul tavolo e sulla mano, e non lo lasciò
fino a
quando non ci fu più che una sola goccia sul bordo.
«Chi
aveva ragione? Non ti farà male bere
così?».
«E
non seccarmi, mamma»,
sbottò. Oh, quello lo faceva capire chiaramente.
«McBrown. Aveva
ragione McBrown: l'aveva detto che non sarei mancata a
nessuno»,
rise e si versò un altro bicchiere: Kara cercò di
allontanarglielo,
ma era abbastanza lucida da riuscire a morderle una mano.
«McBrown
quello che ti ha sparato?», aggrottò la fronte,
«Dai retta a
quello lì?».
Siobhan
sorrise intanto che cercava di alzarsi, scolato il bicchiere.
Sbarellò ma la spinse appena tentò di avvicinarsi
per aiutarla.
«Sei come una zecca, Danvers. 'dio,
vai a succhiare sangue altrove».
Kara
la tenne d'occhio mentre, ondeggiando, andava verso i bagni. Prese
Leslie Willis da una parte e provò a farle notare come
Siobhan fosse
esclusa e stesse male, ma non sembrò averla convinta o non
le
avrebbe fatto quella risata sorda di divertimento, per poi urlare
davanti a tutto il locale.
«Ehi,
Smythe». Tutti si girarono a guardarle. «Vuoi un
aiuto per
pisciare, fiorellino?».
Siobhan
alzò un braccio e le mostrò il dito medio; il
rapido gesto la portò
cadere all'indietro su un uomo che giocava a biliardo, facendolo
sbagliare. Kara la tenne d'occhio ancora per assicurarsi che entrasse
in bagno senza essere aggredita.
«Vedi?
Non lo vuole il mio prezioso aiuto», esclamò
Leslie prima di
ricominciare a ridere.
Possibile
che avesse ragione Siobhan? A nessuno in quella festa importava di
lei? La tirò via quando uscì dal bagno e prese a
pomiciare senza
motivo con l'uomo cui era caduta addosso. Le stava mettendo le mani
dappertutto e si stava aggregando l'altro giocatore, quando lei non
si era accorta di niente. Non era entusiasta della sua intromissione,
ma come poteva permettere che si facesse trattare in quel modo?
«Non
dovevi succhinare
sangue altrove?», si fermò da sola per mettersi a
ridere.
«Succhinare, Danvers. Succhinare! Vai a
succhinare», continuò a
ridere. «Ho bisogno di un altro bicchiere».
«Hai
bisogno di tornare a casa».
«E
perdermi il divertimento della mia splendida festa?».
Sapeva
che in quel modo Siobhan si stava autodistruggendo, ma più
di
controllarla e dirle che sarebbe stato meglio andarsene non poteva
fare. Pian piano tutti i loro colleghi se ne andarono e Leslie, nel
farlo, si nascose una delle bottiglie ancora chiuse in borsa: non
aveva tempo anche per lei e lascio correre, sbuffando. Promise a
Siobhan di riaccompagnarla a casa e inviò un messaggio a
Lena per
dirle che avrebbe fatto tardi e ad Alex… ah, la stava
ignorando,
per caso? Non si era fatta sentire per tutto il giorno. Decise di
lasciarle il suo tempo, riguardando l'altra che si leccava le dita
infilate in una bottiglia vuota.
Lena
lesse il messaggio e sorrise, per poi sospirare.
«Kara
farà tardi, uh?», domandò Indigo. Erano
sdraiate sugli sdraio in
giardino, osservando le stelle e ascoltando i grilli cantare. Avevano
entrambe una copertina e in mezzo un tavolino con succhi di frutta.
Lena
non le rispose, chiudendo gli occhi. «Che cosa vorresti fare
in
futuro?».
L'altra
si voltò a fissarla. «Intendi domani o un futuro
approssimativo?».
«Che
cosa hai sempre voluto fare, Indigo? Non hai mai avuto un sogno?
Un'aspirazione?».
Indigo
restò ferma a pensarci per un tempo lunghissimo, osservando
una
stella brillare. «Non lo so». Era sincera: non
aveva mai pensato a
una cosa del genere, probabilmente per aver sempre vissuto alla
giornata.
«Un
mestiere che da bambina avresti voluto fare una volta
grande?».
«Non
lo so».
Lena
accettò quella risposta, stando zitta. Lena lo sapeva, lo
aveva
sempre voluto: essere come suo padre. Rivedeva la sé bambina
che
prendeva una mano di Lionel ma, una volta grande, con più
consapevolezza, lo lasciava andare. Aveva la pistola in mano, adesso.
Non sapeva se avesse mai conosciuto veramente quell'uomo. Non
conosceva sua madre, quella biologica. Chi erano e la loro storia,
quale la sua…
«Chi
sono io?», chiese Siobhan e Kara si avvicinò
meglio contro il
tavolo. La ragazza era di nuovo in fase depressa. «Ho come la
sensazione di stare buttando la mia vita… Ques… to
lavoro è tutto ciò che ho e adesso ho paura di
metterci piede e…
La ferita brucia e quegli stupidi dei medici che-», prese
fiato,
deglutendo ciò che le era rimasto in gola. «Sono
sola, Fanvers.
Davers.
Danvers», si tenne la testa con le mani, lasciandosi andare
di peso
sul tavolo. «Ho speso tutto il mio tempo, tuuutto
per sentirmi realizzata e non ho mai… mai davvero notato
quanto mi
stessero lontano le persone. Stavo bene come ero prima della
sparatoria, okay? E adesso… E adesso invece… non
lo so più,
Fanvers.
Ho amici ma», si girò, alzando le spalle,
«dove sono loro, adesso?
Mi manca avere qualcuno. Forse. Che siano gelose o meno del mio
successo non-non mi interessa, dai, peggio per loro…
Però… Però
aveva ragione lui: sono sola».
«Ci
sono io».
Siobhan
si lasciò scappare una risata, rimettendo un dito nel collo
della
bottiglia e leccandolo. «Lo so! Ti tratto male e sei sempre
qui. Non
lo meriti… Sei come un cane», annuì e
rise, facendole allontanare
la testa quando provò ad accarezzarla con una mano pesante,
imitando
un verso. «Ho paura, Fanvers.
Danvers. Ho paura perché morirò sola…
senza sapere chi diavolo
sono o potevo essere».
«Dai,
ti riaccompagno a casa». Si alzò e le
allontanò la bottiglia,
meritandosi una parolaccia.
Riaccompagno
Siobhan: è ubriaca e non si regge in piedi. Poi sono da te! Inviò
a Lena, gonfiando le guance.
Era
vero che non si reggeva in piedi, ma di certo non si aspettava di
dover combattere con lei: il momento depressione era finito e ora non
faceva che ridere, cercare di sporgersi per correre da qualche parte
e aveva perso un tacco, di inchinarsi per raccogliere monete che
vedeva solo lei, e di baciarla. Accidenti, aveva provato a baciarla
già due volte da quando lasciarono il locale e poi si
metteva a
ridere di gusto, attirando gli sguardi dei pochi passanti.
Pensò che
oramai avrebbe pomiciato con chiunque, impestando l'aria di alcol
ogni qual volta che apriva la bocca.
«Voglio
baciarti, Fanvers.
Danvers. Il tuo cognome è così luungo».
«Ti
pentirai di quello che stai dicendo e facendo, quando tornerai in te
dopo la sbornia».
«È
qui che ti sbagli, dolcezza», rise, reggendosi al suo collo.
«Vuoi
salire?».
«Io
porto su te», puntualizzò. Quando Kara si
fermò davanti al portone
che il navigatore diceva fosse di casa sua, cercò di
lasciarla in
piedi ma barcollava troppo.
«Tu
te ne pentirai se non- Tutti vorrebbero me»,
proseguì, mentre l'altra cercava di aprire con lei
attaccata. Cercò
di baciarla di nuovo e Kara scansò la testa tirando il collo
indietro più che poté.
«Va
bene». La lasciò un attimo, riuscì ad
aprire e- Siobhan cascò a
terra come un sacco di patate. La trascinò per le scale
sentendola
ripetere che se ne sarebbe pentita. Aprì la porta e diede
un'occhiata veloce, allora la accompagnò sul letto, dove si
gettò
di peso.
«Resti
a farmi compagnia?».
«Siobhan…
Se dovessi raccontarti domattina quello che mi stai
dicendo-».
«E
fai come vuoi, Fanvers.
Danvers. Poi non ci sarò più. Perché
quando sarò lucida, il mio
culetto uscirà da quella porta e-».
«Questo
è il tuo appartamento. E quella una finestra».
«Stai
cambiando discorso».
«No».
Scrollò le spalle, «Hai bevuto troppo».
«Peggio
per te… E quando ti ricapita?», esclamò
in un singhiozzo, «Poi
ti odierò di nuovo perché sei perfettina
stupidina…
È la mia prima esperienza con una ragazza»
«Okay,
m-ma noi non-».
«A
parte al liceo», rise, stirando il braccio destro e
ondeggiando una
mano per aria. «Gira tutto, guarda le orbite»,
rise, ributtando la
mano con peso morto sul materasso. «Al liceo era diverso,
capisci? I
ragazzi facevano i ragazzi, no, le ragazze, e le ragazze
facevano…
ho perso quello del discorso».
«Il
filo».
«Sì»,
rise di nuovo, «Al liceo bevevo di brutto».
«Credo
tu abbia un problema con l'alcol. O con la tua omofobia
interiorizzata».
Alzò
la testa di scatto, reggendosi con i gomiti sul materasso.
«Chi è
interiore,
scusa? Come ti permetti? E io che ti ho anche invitata a fare sesso
con-», si bloccò, gonfiò le guance e
sgranò gli occhi, Kara
corse, stava cercando un cestino o un recipiente che Siobhan alla
fine si portò una mano contro la bocca e riprese a ridere,
gettandosi sul materasso. «Falso allarme, Fanvers.
Danvers», disse, continuando a ridere.
Kara
sospirò e si portò le mani sui fianchi.
«Sai, anche se non fossi
impegnata, e anche se fossi una persona più…
diciamo tranquilla,
non sarei comunque venuta a letto con te. E non perché sei-
beh,
no-non sei brutta, ma… sei ubriaca, Siobhan»,
strinse i denti e
scosse la testa. Lei era zitta, adesso, ma le notava gli occhi
aperti. «Chi verrebbe a letto con te in queste
condizioni?».
«Tutti».
Non poteva vederla, ma Kara scrollò gli occhi. «E
io sono
meravigliosa, lo so che sono meravigliosa, nessuno si è mai
tirato
indietro».
«Dovresti
trattarti meglio», sbottò. «Puoi andare
a letto con tutti quelli
che ti pare, ma non così, Siobhan. Non così, non
ne sei in grado».
Riprese la borsa lasciata sul bordo del letto e se la rimise in
spalla, «Devo andare, riguardati».
«Aspetta»,
la chiamò con una voce di nuovo bassa e Kara si
fermò: aveva smesso
di ridere? «Non sono meravigliosa davvero…
è per questo che lui
aveva ragione, lo sappiamo tutte e due. E tu sei… sei
così…
così», cercò le parole, impastando la
bocca, «perfettina
stupidina
che… Come faccio a essere più simile a te? Tutti
amano Kara, non
Siobhan».
«Proverai
a baciarmi ancora se mi siedo?», aspettò un suo
verso contrariato
prima di avvicinarsi, scrivendo a Lena che ci avrebbe messo ancora un
po'. «Non devi essere simile a me, Siobhan. E non sono
affatto
perfetta, e non tutti mi amano! Tu non sei sbaglia- Sei un
tipo
di persona, ma hai un sacco di pregi», si fermò
quando la sentì
singhiozzare, voltandosi. «Stai piangendo?».
«Sto
perdendo acqua, certo che sto- Devo vomitare». Si
alzò di corsa a
occhi sgranati e Kara con lei, standole dietro fino ad arrivare al
bagno. La seconda la aiutò a piegarsi ma le
scacciò una mano quando
premette sul cerotto. Tirò lo sciacquone e si
sfilò la maglia corta
davanti a lei, togliendosi il cerotto e aprendo il mobile per
prendere la scatola.
«Non
hai- Siobhan!», scosse la testa, «Non hai bisogno
di quello».
«Sì
che ne ho bisogno».
«No,
vedi, non hai più-».
«Lasciami»,
si divincolò e applicò il cerotto pulito. Storto,
ma lo applicò.
Neanche sentì che metà cicatrice era rimasta
fuori. Non le faceva
male: era altro a farlo. Si portò a tentoni di nuovo sul
letto e
Kara riprese il telefono, allontanandosi dalla camera da letto:
«Lena,
farò davvero tardi: sta male e aspetto almeno che si
addormenti, che
si riprenda un po'».
«È
meglio se resti, Kara, non lasciarla sola»,
le consigliò con voce calda, «Buonanotte.
Ti amo».
Kara
era un po' dispiaciuta, ma sapeva anche lei che era la cosa giusta da
fare. «Buonanotte e ti amo anch'io». Chiuse e si
andò a sedere a
terra, con spalle contro il materasso. Alzò gli occhi e si
spostò
quando si accorse di essere in direzione di vomito.
«Pensavo
a una cosa… da un po'…»,
mormorò e Kara stette a sentire.
«Sarei dovuta morire… quando mi ha
sparato?».
«Non
dirlo neanche per sogno!», alzò la voce e Siobhan
si tirò in su
con spavento, reggendosi il petto.
«Sei
ancora qui, tu? Oddio, credevo di parlare da sola».
Kara
non riuscì a fare a meno di ridere, convincendola a tornare
a
sdraiarsi. Le confidò così di essere stata sua
fan un tempo, come
lei fosse stato il suo esempio. Nascondendole di esserlo stato solo
fino a prima di conoscerla, almeno. Se faticava a capire chi era,
poteva fare lei un esempio.
Parlarono
finché non si addormentò. Poi la
accompagnò di nuovo a vomitare e
di nuovo a letto. Quando la sentì russare,
giocherellò col
cellulare per restare sveglia ancora un po' e lesse di altre notizie
riguardanti sua zia, dei processi in vista su chi aveva ucciso
materialmente i suoi genitori e come la citassero spesso. Come la
stava vivendo all'interno della famiglia Luthor, ora che ne faceva
parte? Accusavano Lillian ed Eliza di essere partite in viaggio di
nozze, lasciando lei ad affrontarlo da sola. Spense lo schermo del
telefono e appoggiò la testa contro il materasso, sbuffando.
Astra
sarebbe tornata nella sua vita molto presto. Era sua zia e, da
qualche parte, le voleva bene. I suoi genitori erano morti e lei
voleva bene a chi in parte ne era stata la causa: che razza di
persona era? Astra l'aveva cresciuta. Chi sarebbe diventata, un
giorno, Kara Danvers?
Nel
frattempo, Alex era seduta sul letto, con il cellulare in mano e le
dita quasi sullo schermo: doveva chiamare Kara, ma ormai era tardi.
Intravide con la coda dell'occhio Maggie che si rivestiva di corsa
dall'altro lato del letto, infilando un jeans. «Sei sicura
che devi
andare?».
«Sì.
Voglio
andare», specificò, infilando una maglia corta e
dopo le scarpe,
saltellando sul tappeto. «Chiama tua sorella, ti sta
aspettando. E
se si sveglia Jamie, sono andata a comprare il gelato»,
sorrise.
Alex
sospirò. «Chiamami per qualsiasi problema e arrivo
subito». Poi ci
pensò, quando lei era già alla porta:
«Il gelato? A quest'ora?».
«Funziona
sempre», richiuse e corse. Prese la macchina e, quando
arrivò sotto
al ponte, vicino al bar segnalato dal ragazzo, notò che
c'era Adrian
Zod con lui. Charlie era riverso sui ciottoli, fra la puzza: era
sporco, piegato su se stesso, piangeva e gridava. Maggie
sentì
subito un forte odore di alcol nell'aria. Non sapeva perché
aveva
chiamato lei invece di chiunque altro e non mancò di pensare
che
fosse una sorta di trappola per portarla dalla loro parte, ma quel
pensiero svanì non appena scorse i suoi occhi e ci lesse la
disperazione: nessuno poteva fingere in quel modo.
«Guarda,
Charlie, è arrivata Maggie. Maggie Sawyer».
Lo
sguardo del giovane la pugnalò dritta al petto. Parlare a
Charlie di
Faora Hui era solo lavoro, giusto? Farlo soffrire lo era?
L'organizzazione andava fermata a qualunque costo, era esatto?
Riuscirono
a portare Charlie sui sedili posteriori dell'automobile del Generale
e lui, incredibilmente, si fermò per ringraziarla.
«Non ha più
nessuno, Sawyer. Con i suoi non parla da tempo e sua sorella, quella
vera, è morta da bambina. Lei era malata. Aveva ritrovato
con Faora
qualcosa di simile, per questo lui… Per questo te lo sto
dicendo.
Non vorrei che si legasse a te in quel modo, adesso».
«Non
è un problema, per me», rispose lei, svelta. I
suoi occhi scuri,
pensò Maggie: i suoi occhi scuri erano tristi, soffriva.
Anche lui
era in lutto. Come poteva? L'organizzazione era più
importante della
vita di quella ragazza, per non aver fatto niente per impedirlo?
«Condoglianze anche a lei, signore».
Lui
annuì, distogliendo lo sguardo. «Sembra difficile
immaginarlo, non
è vero? Mi vedono tutti dal basso all'alto come se
fossi… non lo
so», si resse la fronte e sospirò: anche lui aveva
bevuto, a
giudicare dall'alito. «Sono una persona anch'io, Sawyer. Non
ho
potuto salvare Faora quando potevo, non avrò mai…
non avrò mai»,
sospirò di nuovo, «una confessione da parte di
Rhea Gand e mi
sento… non lo so, perso. Forse. Nessuno lo capisce,
questo», serrò
le labbra e Maggie si incuriosì, inclinando la testa da un
lato.
«Una
confessione su cosa», deglutì,
«Generale? Sull'omicidio di Lar
Gand?». Aveva fatto una registrazione in cui lo diceva, come
poteva
essere?
«Le
saresti piaciuta, lo so», annuì più a
se stesso che a lei,
scorgendo Charlie Kweskill che si era addormentato sdraiato su quei
sedili. «A Petra. Saresti piaciuta a Petra».
«Petra…
la sua fidanzata, Generale?». Ricordava di aver letto di lei,
Lena
Luthor aveva detto qualcosa a riguardo ad Alex e a lei. Cosa
significava che voleva da Rhea una confessione? Non era sua sorella?
«Mi dispiace per Petra, signore».
Lui
annuì ancora, le diede una pacca su una spalla e
aprì la portiera
della macchina, svegliando Charlie con un sussulto. Si portò
al
volante ma, prima di mettere in moto, si passò una mano
sulla fronte
sudaticcia. «Passi il tempo a sperare in una confessione per
poterle
dare l'ultimo saluto ma hai paura che se accadrà, non
sarà come ti
aspettavi e non vuoi lasciarla davvero andare. Ha senso per te,
Sawyer?».
Li
guardò andare via ed entrò nella sua automobile
con la tachicardia.
Pestò il volante e dopo strinse gli occhi, appoggiando la
testa sul
sedile. Non sapeva cosa fare, cosa pensare, come muoversi, come
affrontare la sua infiltrazione e come ingannarli. Come avrebbe
potuto? Chi
avrebbe potuto?
Kara
rispose subito al cellulare quando lesse il suo nome, non potendo
fare a meno di formare un sorriso. «Finalmente ce l'hai
fatta».
«Scusa,
sorellina. Stavo per non farlo. Non avrei voluto
farlo…»,
confessò Alex. «Mi
sento una fallita, in questo momento e non volevo che, per
te…».
«Lo
so», mormorò Kara. «Per questo avresti
dovuto chiamarmi subito,
invece, scema. Tu non hai fallito proprio niente, non potevi fare
più
di ciò che hai fatto… anche per Faora. Ma se
davvero credi di aver
fallito in qualcosa, allora rialzati. Ci si rialza sempre e lo sai
più di chiunque altro», si fermò quando
la sentì piangere. «Sei
la migliore di tutte, Alex», sorrise ancora, «La
mia sorellona è
sempre la migliore».
E
finalmente Alex! All'ultimo, proprio all'ultimo, ma sei riuscita a
chiamare Kara!
Faora
Hui è stata uccisa alla fine dello scorso capitolo e ha
lasciato
alcuni personaggi disorientati.
Alex
in primo luogo perché è stata quella che le ha
sparato per
proteggere Kara (cap 37), la madre della ragazza l'ha accusata in
ospedale e, soprattutto, la voleva proteggere dall'organizzazione.
Che poi non è un bel periodo per la maggiore delle Danvers,
considerando che, ogni cosa che fa, non mostra risultati: dalla
protezione di Faora alle indagini con le chiavette, per concludersi
con il suo appuntamento dal direttore di Fort Rozz che ha deciso di
chiederle un mandato se vuole sapere del garante di Indigo (a
proposito, se volete leggere il pezzo tagliato, potete farlo qui). È
un bel pasticcio e ora teme perfino che ci siano spie di Zod
all'interno del D.A.O.: non riesce a fidarsi completamente di Carina
Carvex, anche se la conosce da diverso tempo, ma questo la porta a
dare una chance a Indigo.
Charlie
Kweskill è crollato sotto il peso del lutto e Maggie Sawyer
si trova
ora davanti a un bivio: è il punto debole del ragazzo, ma
sarà
disposta a fargli del male pur di fare il suo lavoro? Quale tipo di
persona lo farebbe? Che poi è il tema del capitolo: che
persona sono e sarò destinata a diventare?
Kara
ripensa a sua zia ed è alle strette, Lena a volte sente di
non avere
radici e porta con sé una pistola, Siobhan si
è persa nel suo
trauma.
Ma
non ci sono solo cose drammatiche, su! Kara e Lena stanno vivendo
insieme (a Indigo) in villa e sono… ah,
sono state scoperte! Ops.
Volevano tenere per loro la relazione e invece la giardiniera Ingrid
lo ha detto a Marielle che lo ha detto a Felipe che lo ha detto a
Gloria Harris, la proprietaria del famoso Proiettile, che non ha
perso tempo per dirlo a Lillian anche se in questo momento si trova
ad Aruba! E Lillian ora starà saltando dalla gioia! Mi
sembra quasi
di vederla!
Capitolo
lungo, lo so, ma era difficile farci star tutto >__<
Il
prossimo capitolo, tremendamente di passaggio, si intitola Di
piani segreti e traumi di cristallo e
sarà pubblicato il 19 settembre! Tremendamente e
drammaticamente
di passaggio, pare dal titolo °°
|