Era
appena pomeriggio quando Bruce Wayne lasciò la Wayne
Enterprises
vantandosi pacato, con chi gli capitava sott'occhio, di avere
quell'oggi un appuntamento importante e di doversi preparare. Da
giorni a quella parte tornava presto, ma non con quel sorriso
stampato sulle labbra che destò varie curiosità e
chiacchiericci,
per i corridoi, che riguardavano lui e Lena Luthor. La voce doveva
girare in fretta. Lo avevano salutato tutti e gli avevano augurato
una buona giornata; nessuno lo aveva guardato in modo diverso, o
seguito, se non altro lì dentro. Sapeva che la signorina
Kyle si
divertiva a stargli dietro da qualche giorno, ma aveva già
deciso di
non affrontarla: quella ragazza lo rendeva nervoso e non sapeva bene
perché. Era silenziosa e si appostava come un animale in
agguato, ma
non faticava ad immaginare come fosse lì sotto suggerimento
di Lena
Luthor o della sua sorellastra per tenerlo d'occhio, quindi si era
semplicemente deciso a sopportarla.
Il
sorriso gli si spense non appena tornò in villa. Si
ritirò nel
vecchio studio dei suoi genitori, rimasto intatto da allora, e si
accomodò su uno dei divanetti, poggiando e aprendo un
portatile
proprio sul tavolino davanti. In tempo per accettare una
videochiamata su Skype:
«Come
si sente, signorino Wayne?»,
domandò l'anziano con uno spiccato accento inglese,
dall'altra parte
dello schermo. «La
vedo… sofferente. Non dovevo partire».
Alfred
era via da appena mezza giornata e già si sentiva in piena
apprensione da mamma chioccia, pensò Bruce. Ma dopotutto,
era l'uomo
che si era preso cura di lui per tutti quegli anni, che lo aveva
cresciuto e temprato, gli concedeva ogni tanto di esasperarlo come
avrebbe fatto un genitore. «Alfred, avevi promesso di
smetterla con
questo signorino;
sono grande, penso tu lo sappia».
«È
un uomo adulto, me ne rendo conto eccome, me ne dispiace»,
si scusò in fretta, «Tendo
a vederla ancora come un bambino e a non arrendermi al tempo che
passa inesorabile, signori- emh,
signor Wayne».
«Grazie»,
per poco non gli sfuggì un sorriso, ma solo per poco.
«Sto bene,
Alfred. Credo di essere solamente un po' stanco perché non
dormo di
nuovo bene, ultimamente».
«Si
faccia preparare una rilassante tisana alle erbe, prima di sdraiarsi.
Le farà bene; personalmente la prendo sempre appena prima di
addormentarmi o rischio di non chiudere occhio»,
sorrise e Bruce lo ringraziò.
Non
gli aveva accennato del pericolo che correva, non voleva far
preoccupare Alfred e soprattutto non voleva che rinunciasse al suo
viaggio: era la prima volta che incontrava il suo gruppo di amici di
birdwatching del continente. Quell'uomo non prendeva mai una vacanza,
non avrebbe potuto essere così egoista nei suoi confronti. E
poi
sarebbe rimasto via solo tre giorni, poteva sopravvivere.
Bussarono
alla porta e diede l'ordine di entrare: vide uno dei nuovi membri del
personale che trascinava dentro lo studio un carrello e il giovane
deglutì, abbassando il volto fin quando l'uomo non gli porse
una
tazza e gli versò la tisana davanti ai suoi occhi e a mezzo
schermo
di Skype.
«Come vedi, la tisana è già
qui», disse allo schermo, prendendo
la tazzina. Ringraziò l'uomo e lasciò che
trascinasse di nuovo
fuori il carrello.
«Mi
sono premurato di lasciare dei consigli allo staff in mia assenza, in
modo da non farle mancare nulla, signorino- mi scusi, signor Wayne.
Mi ci vorrà qualche tempo»,
aggiunse subito. «E
adesso la lascio, così riposa. Buona continuazione».
«Buona
giornata, Alfred». Alzò la tazza e
sembrò lì per berla ma, appena
la chiamata staccò, la rimise sopra il sottobicchiere in
argento,
abbassando lo schermo. Avrebbe voluto seguire il consiglio ma non si
sentiva ancora così disperato da bere quella roba,
così guardò
l'ora e si accoccolò sul divano, riprendendo la sua partita
a Candy
Crush.
In
realtà, Lena e Kara non erano del tutto sicure che ci
sarebbero
riuscite: l'idea di sbloccare quella situazione era venuta in mente a
Kara quando Lena le aveva raccontato di come Bruce Wayne fosse certo
che qualcuno stesse tentando di ucciderlo. Ed era un'idea sciocca, o
così le aveva detto Selina quando l'aveva chiamata per
sentire se
voleva partecipare al grande piano. Da quel momento lo aveva seguito,
ma le era sembrato tutto nella norma.
So
chi vuole ucciderlo.
Le aveva scritto per messaggio. Io.
È noioso: le scimmie di mare che allevavo a dieci anni hanno
fatto
una vita più interessante della sua! Sono stanca di star
dietro a un
boy scout ricco.
Ma
a Lena l'idea era piaciuta così tanto che era stata lei a
convincere
Bruce Wayne a farsi aiutare.
«No,
Luthor»,
aveva provato a declinare per telefono. «Non
voglio che vi mettiate in mezzo. È una cosa di cui mi
occuperò da
solo».
«Uh,
dunque tu puoi chiedere a una persona di mentirmi perché hai
arbitrariamente deciso che fosse il meglio per me, ma io non posso
aiutarti chiedendotelo?», la voce si era fatta dura.
«Non ti
permetterò di crogiolarti nell'autocommiserazione come un
cavaliere
solitario. Abbiamo deciso, Wayne».
Lo
aveva sentito sbuffare. «Tu
e chi altro?».
«Ti
farò sapere».
Non
era della stessa opinione Alex, che sapevano sarebbe stata impegnata
e non volevano altro da lei se non consigli. E quelli erano arrivati
di certo:
«Lasciate
fare alla polizia», aveva strabuzzato gli occhi.
«Se fosse davvero
in pericolo, secondo voi non si sarebbe già riempito l'aria
di
guardie del corpo?».
«Non
sai com'è fatto», aveva ansimato Lena.
«E
non si può esattamente contare sulla polizia, a
Gotham», aveva
fatto una smorfia Kara.
«Leggete
anche voi i giornali, ogni tanto? Esce quasi ogni sera con una nuova
ragazza, non mi sembra in pericolo di vita», aveva ribattuto
Alex.
«Il vero unico consiglio che posso darvi è:
lasciate perdere».
In
quei giorni era particolarmente su di giri poiché quella
povera di
Faora Hui si era appena risvegliata dal coma e stava lavorando per
farle ottenere una scorta dal D.A.O., quindi non diedero peso a come
avesse trattato la cosa con superficialità. Bruce Wayne
usciva ogni
sera per crearsi una routine e dare modo ai suoi aggressori di
costruire un piano d'attacco mentre lui si teneva pronto: era stata
Kara a capirlo secondo ciò che le aveva raccontato Selina
Kyle da
quando aveva iniziato a seguirlo, non che si fosse confidato, di
sicuro. Ma il suo piano si basava completamente sulla fiducia in se
stesso. Ed erano contente di sapere che il giovane non mancava di
autostima però, senza qualcuno ad aiutarlo, poteva rivelarsi
molto
rischioso giocare al bersaglio in quel modo. Loro avrebbero costruito
le condizioni adatte per farsi sorprendere, ma sarebbero state anche
pronte a intervenire. O almeno speravano, imprevisti permettendo.
In
primo luogo, si erano fatte descrivere perché era convinto
che
qualcuno volesse ucciderlo. In secondo, si erano fatte dire chi e
quali luoghi frequentasse abitualmente. In terzo, si erano fatte dare
di nuovo nomi e luoghi da Selina Kyle per essere sicure.
Quell'avventura a Gotham sarebbe stata una buona distrazione
dall'imminente scarcerazione di Astra Inze e dall'assassinio di
Lionel Luthor ancora avvolto nel mistero.
E
ora si trovavano finalmente lì, a poco dall'obiettivo.
A
Gotham City il cielo era più scuro, colmo di nuvoloni e
nebbia che
sembrava costantemente portatrice di sfortuna. Il pilota ci mise non
poco a trovare il modo di atterrare e, quando aprirono il portello
per scendere, dovettero tutte fermarsi per indossare una giacchetta.
Bruce Wayne era là, a metri da loro sul tetto della Wayne
Enterprises, che le aspettava.
«Quale
strega cattiva ha maledetto Gotham?», brontolò
Siobhan reggendosi
le braccia per il freddo, mentre raggiungevano il giovane.
«Dunque
volete farlo per davvero», esclamò lui, forse
ancora sorpreso.
«Dubbi?»,
domandò Lena, scambiando uno sguardo complice con Kara.
Siobhan
si presentò da sola prima che Kara potesse farlo e
lasciarono il
tetto. Bruce, per mano a Lena come indicava il loro piano, fece fare
un giro panoramico all'interno alle ospiti, ricevendo non poche
occhiate e strette di mano. Erano molti i dipendenti eccitati che
correvano a salutarla. Kara era quasi sollevata di non essere al
centro dell'attenzione per una volta, se non che quella stessa
attenzione era rivolta alla sua ragazza che doveva fingere di uscire
con un altro. E, all'improvviso, erano di nuovo solo
sorellastre.
«Dunque
la tua sorellastra, con cui stai insieme, deve far finta di stare
insieme al rampollo», Siobhan indicò una e poi
l'altro, parlando a
bassa voce, dietro di loro, «e di essere semplicemente la tua
sorellastra?».
«Precisamente»,
rispose a denti stretti, annuendo a stento.
«E
in questo bel quadretto di famiglia, io chi dovrei rappresentare?
Cosa ci faccio qui?».
«Me
lo stavo chiedendo anch'io; precisamente».
Furono
interrotte da alcuni soci del giovane Wayne che vennero anche loro a
salutare e conoscere Lena Luthor: sguardi felici, arrossati, denti
bianchissimi e sorrisi pieni di finta gioa che non potevano passare,
a un occhio attento, per qualcosa di diverso. Lena e Bruce
presentarono Kara come sorellastra della ragazza e Siobhan come amica
e collega di quest'ultima, facendola ghiacciare: amica,
in effetti, era davvero un parolone e fece sghignazzare Kara. Non
mancarono di fare loro domande sul loro possibile fidanzamento, da
quanto tempo si stessero frequentando, se intendevano fare sul serio
e alcuni di loro già prevedevano una fusione futura tra la
Wayne
Enterprises e la Luthor Corp. Correvano più veloci di quanto
avrebbero fatto loro se la cosa fosse stata reale.
«Il
nostro piccolo Wayne potrebbe essere una nuova brillante aggiunta per
la Luthor Corp», disse a un certo punto uno di loro
sorridendo da
orecchio a orecchio, tenendo le mani cicciotte nelle tasche dei
pantaloni. Voleva sbarazzarsene? «Lex Luthor dovrà
cominciare a
tremare», rise e fece ridere con lui tutto il gruppo, mentre
tra
loro si scambiavano uno sguardo impacciato.
«La
stessa Lena dovrebbe, vorrai dire»: Bruce parlò
sopra le loro
risate, interrompendoli. «Lena prenderà il comando
della Luthor
Corp di National City per le sue capacità, non
perché è stata
adottata. Avrebbe dura concorrenza dal suo stesso… mh, ragazzo?»
sorrise e guardò lei che sorrise a sua volta, stringendo
più forte
il suo braccio.
Smisero
di ridere poco a poco, guardandosi. «Ma
ovviamente», rispose l'uomo
facendo l'occhiolino alla Luthor, appiattendo la cravatta rosa lungo
la rotondità del suo pancione. «Non volevo dire
che… Anche una
donna può tremare
per questo», sottolineò la parola riprendendo a
ridere, contagiando
qualche altro.
«Beh,
è tempo che questo piccolo
Wayne
venga via con me, adesso. È stato un piacere. Ma ve lo
riporterò
intero per domattina, non temete», rise, «La Luthor
Corp non ha
intenzione di sottrarlo ai suoi obblighi per la Wayne
Enterprises».
A
quel punto il suo sorriso sembrò farsi tiepido, intanto che
altri li
salutavano con altre strette di mano e baci di convenienza. Diedero
loro le congratulazioni e, mettendosi a parlottare, li lasciarono.
Avevano tempo prima dell'appuntamento vero e proprio: era il momento
di mettersi in mostra in giro per Gotham, e per dividersi.
Kara
e Siobhan li salutarono e lasciarono soli a bere in un localino. La
prima e Lena si erano scambiate una lunga occhiata prima di
separarsi, sapendo di non potersi lasciar andare ad alcuna effusione.
Da
L! a Me
Mi
manchi già.
Kara
sorrise e arrossì, leggendo il messaggio.
«Lena
Luthor?», domandò Siobhan, camminando a fianco a
lei sul
marciapiede. «Davvero? Oh cielo, vi siete lasciate neanche un
minuto
fa», borbottò con una smorfia di disgusto mentre
Kara continuava a
sorridere, digitando la risposta. «Siete delle adolescenti in
preda
agli ormoni, forse? Ehilà? Terra chiama Kara Danvers!
Nulla?»,
annuì, stringendo le labbra, «Nulla. Oh, bene, ho
sempre pensato
fossi infantile, Danvers, te lo devo dire, ma Lena
Luthor…».
Siobhan
strabuzzò gli occhi e Kara finalmente sollevò i
suoi dallo schermo
del cellulare. «Stai parlando con me?».
Si
fermò così anche l'altra. «Stai
scherzando?».
«Che
cosa?».
«Uff»,
gonfiò le guance. «Cammina».
«No,
davvero, cosa stavi dicendo?», scrollò le spalle e
la raggiunse ma
si fermò di nuovo, improvvisamente, nel ritrovarsi davanti
ai propri
passi una ragazza intenta a sistemare molto velocemente un piccolo
quadernetto di appunti. Quasi non guardava dove andava. Dietro di lei
un'altra ragazza, e un ragazzo, un altro dietro trascinava una
videocamera, e un altro ancora una fotocamera, pulendo l'obiettivo.
Lei e Siobhan si portarono a un lato del marciapiede per farli
passare e Kara si nascose il viso con una mano, abbassandosi il
giusto.
«Sono
qui per loro?».
Annuì,
rivolgendole uno sguardo. «Il piano sta funzionando: abbiamo
attirato l'attenzione. Vieni, dobbiamo incontrare una
persona». Se
ricordava bene la strada, dovevano esserci quasi. Oh, quello era il
parchetto dei bimbi rovinato e abbandonato, più in
là c'erano delle
aiuole e dei robusti alberi, e un capannone in disuso, ciò
che
cercava. Le inviò un messaggio per dirle che era arrivata e
si
avvicinarono.
«Quindi?
Chi stiamo aspettando qui?», chiese Siobhan, una smorfia di
disapprovazione perenne nello sguardo. «Non so tu, ma io
sento odore
di pipì e uova. O uova e basta. Uova marce che sanno di
pipì.
Gotham è pulita quanto i bagni alla stazione di servizio
dopo il
passaggio di motociclisti ubriachi», sbottò e
l'altra la guardò.
«Cosa c'è?», arrossì,
«Non ho sempre fatto la reporter, sai?».
«Okay…
ma non dire questa cosa dell'odore davanti a lei», strinse i
denti.
Siobhan
stava per ribattere che, inaspettato, qualcosa cadde in mezzo a loro
in picchiata e lei si sbalzò talmente indietro dallo
spavento che,
urlando, inciampò in un'aiuola e finì sopra a un
cespuglio.
«Dirmi
cosa?». Selina Kyle si rimise dritta con la schiena e si
voltò per
aiutare la poverina caduta all'indietro, mentre Kara fermava a stento
le risa, andando anche lei in suo soccorso.
«Ma
sei un puma o ti credi un Fantasma dell'Opera in incognito?»,
gridò
Siobhan e, mentre agitava le braccia, dietro di lei, rossa fino a
scoppiare, Kara non riusciva più a trattenersi.
«Calmati
, non è-».
«Non
dirmi di calmarmi». Guardò in alto, cercando di
capire la dinamica
per cui era sopra un tronco e poi era scesa come se niente fosse.
Selina
allora scrollò le spalle. «Mi sto allenando.
Faccio parkour.
Piacere, Selina. Selina Kyle». Le porse una mano ma Siobhan
fissò
lo sporco di terriccio sul palmo e i polpastrelli, irrigidendo le
labbra.
«Sì.
Siobhan Smythe. Come se ti avessi toccato, scusa, ho la
fobia».
Kara
finalmente scoppiò a ridere di colpo e Siobhan si
irrigidì. «Hai
il sedere pieno di foglie», indicò nascondendo il
sorriso e lei
sbiancò, provvedendo subito a pulirsi, imbarazzata, e dopo
passandosi il gel igienizzante nelle mani. Pensò di offrirlo
a
Selina ma lei, dopo aver rifiutato, se le spolverò battendo
i palmi.
«Niente
di nuovo», mormorò poco più tardi,
sedute sopra una panchina di
pietra nel parchetto; Siobhan non faceva che riguardarsi intorno e
odorare nell'aria come un animale. Selina tirò fuori il suo
cellulare e sfogliò la galleria con le foto che aveva
scattato in
quei giorni seguendo Bruce Wayne. «Tizi che lavorano con lui;
non mi
sono potuta avvicinare per fotografarli meglio e nemmeno
tutti»,
specificò, mostrando una foto con un gruppo di persone
distanti,
oltre un cancello. «Ho notato che lo guardano con insistenza
quando
lui è distratto. E gli parlano dietro, è certo.
Alcuni di loro
fumano e li ho beccati fuori a prenderlo in giro. Ridevano. Non mi
sono potuta avvicinare neppure lì, peccato».
«Questo
lo conosco», Kara indicò il viso gonfio e
incredibilmente rosa
dell'uomo che sembrasse non vedere l'ora di sbarazzarsi di Wayne e
che amava fare battute ridicole.
«A
lui piace molto prenderlo per i fondelli, solo alle spalle»,
confidò, alzando lo sguardo dal cellulare. «Mi
sono avvicinata
appostandomi dietro il cancello, quando era abbastanza vicino: gli
piace trattarlo come se fosse ancora un poppante e non lo vuole in
mezzo alle cose
da grandi.
Gira una brutta aria, ma a parte questo, non mi sembra così
grave da
minaccia di morte». Cambiò foto e ancora, svelta e
a disagio,
quando si imbatté in quelle scattate proprio a Bruce Wayne.
«Ignorale», disse ridacchiando, «Mi
sembrava strano, qui, per
quello ho fotografato anche lui. E… ignora anche
lei», aggiunse
con disappunto, passando una, due, quattro, sette, undici foto del
faccione di Harley che faceva le boccacce. «Non mi sono
accorta
prima di questi selfie…», dichiarò
imbarazzata.
«Avete
stilato dei profili per ognuna di queste persone?»,
domandò
Siobhan, facendosi finalmente interessata. «Escludendo
lei… mi
pare chiaro», indicò la dodicesima foto di Harley,
con
l'occhiolino.
«Lena
ed io abbiamo letto su di loro, ci ha aiutate In… un'amica»,
Kara si zittì. «A-Abbiamo fatto una ricerca in
rete, ma non hanno
nemmeno una multa non pagata. Sono solo ricchi e antipatici»,
ansimò.
«Tanto
per cambiare», sghignazzò Selina.
«Magari le multe non pagate se
le sono fatte sparire dagli amichetti nei posti giusti. È
così che
fanno i ricchi». Sfogliò rapidamente altre foto di
Harley
promettendo che le avrebbe cancellate tutte e si fermò su
altri
scatti interessanti. «Sono persone che ogni giorno hanno a
che fare
con lui: l'autista, il clochard che soggiorna vicino a un bar dove
prende il cappuccino, le persone che lavorano nel bar, un cliente
abituale con cui scambia qualche parola, e- no, eddai,
basta», brontolò, ritrovando l'ennesima foto di
Harley. Nella foto
successiva aveva ripreso per metà la sua faccia e, in primo
piano
dietro di lei, il sedere di Ivy sotto una gonna attillata, quando era
inchinata. In quella dopo ancora erano insieme e sorridevano
abbracciate. Poi si baciavano. In un'altra le facevano la linguaccia.
«Secondo te è perché sono in cerca di
attenzioni? Pensi che non le
prenda abbastanza in considerazione?», sbuffò
appoggiando il mento
contro il palmo di una mano, mandando avanti l'ennesima foto in cui
entrambe si sollevavano il naso, allargando le narici.
«Forse
è una richiesta di aiuto», rifletté
Kara.
«Sì,
potrebbe. Non c'è altra spiegazione».
«No,
non c'è», continuò annuendo mentre
Siobhan, sempre più
infreddolita, iniziò a camminare intorno alla panchina su
cui erano
sedute, sperando di scaldarsi.
«Queste,
invece, sono del personale a villa Wayne», ritrovò
le foto giuste e
cercò di zoomare sui loro volti sfocati. «Anche
qui non ho potuto
avvicinarmi molto. Sono passata oltre il cancello, anche se alto non
è stato difficile, ma questi tizi e tizie escono raramente
fuori e
non lo fanno nemmeno tutti. Non fumano, quindi…»,
allargò le
spalle.
«Ti
sono sembrati strani? Qualche comportamento particolare?».
Selina
annuì, con disinvoltura. «Sì, questa
tizia», indicò una donna
bassa dietro le foglie di un albero, «Lei ha una relazione
con
quest'altro», sfogliò due foto indietro, indicando
un ragazzo alto.
«Si baciano sotto il pesco quando non li vede nessuno, si
danno
appuntamento», guardò Kara e fece spallucce,
«ma non credo che una
relazione nascosta sia pericolosa per Wayne. Oh, e
quest'altro».
Indicò un uomo più grande. «Raccoglie
foglie, credo ne faccia una
collezione. Ma anche questo non sembra pericoloso per Wayne…
E
quest'altro, questo». Indicò infine un altro uomo,
più anziano.
«Questo tizio se n'è andato questa mattina e non
è più tornato.
Mi è sembrato di capire sia il capo del
personale», gonfiò le
guance, pensando, «Forse è andato in vacanza,
aveva una macchina
fotografica appesa al collo e una valigia. Quindi… non mi
sembra-».
«Pericoloso
per Wayne», finì per lei.
«Se
qualcuno è pericoloso o no per Wayne lo possiamo stabilire
mentre ci
incamminiamo da qualche parte?», sbottò Siobhan
d'un tratto,
stringendo le braccia contro il petto. «Ho freddo e si sta
mettendo
vento».
«Perché
ti sei messa una minigonna se hai freddo?»,
domandò Selina in una
bassa risata, ma Siobhan la ignorò, ricominciando a
passeggiare
intorno a loro. «Ma dove l'hai pescata questa
tipa?», continuò a
ridere.
Kara
sbuffò, dando una nuova occhiata alle foto.
«Lasciamo perdere, per
il momento. Speriamo che salti fuori qualcuno oggi che siamo qui o
dovremo piazzare una nuova trappola», sfogliò
ancora la galleria e
sorrise, richiamando l'attenzione di Selina.
«Questo
è troppo», aggrottò la fronte lei:
nelle altre foto era lei la
protagonista e stava dormendo seduta con le braccia incrociate su un
banco e prima Harley finge di abbracciarla con espressione estasiata,
dopo le mette sulla testa un foglio con su disegnato un fumetto e la
scritta io
puzzo;
in quella successiva era Ivy a tenere un cartello con su disegnato un
balloon e la scritta Bruce
Wayne
accanto a un cuore. «Io le ammazzo».
«Adesso
ce ne possiamo andare? Per favore?».
Si
alzarono, ma solo dopo essersi fatte due selfie per i loro rispettivi
account Instragram
e
facendo gridare Siobhan per l'esasperazione. Decisero di portarla a
casa di Ivy, dove si era trasferita da poco. Si erano dirette in
centro, camminando velocemente nelle vie che puzzavano di fritto e di
carne bruciata. Si fermarono solo perché Selina salutasse un
gruppo
di ragazzi e dopo percorsero una stradina in mezzo a due palazzi,
iniziando a salire su per una scala antincendio. Siobhan non
mancò
di farsi risentire presto:
«Dobbiamo
davvero passare per questo ricettacolo di batteri? Anche i miei
sandali si ammalano a contatto con questi scalini
appiccicosi».
Kara
era decisa a starsi zitta e ignorarla, ma Selina Kyle non fu dello
stesso avviso e, qualche scalino più su, si voltò
bruscamente,
seccata. «Senti, principessa, le cose che puoi fare adesso
sono due:
o attraversi con noi questo ricettacolo di batteri e dai ai tuoi
preziosi sandali un antibiotico, oppure resti qui fuori a far
prendere freddo al tuo delicato sedere principesco. Ci siamo
intese?», sorrise e riprese ad andare, mentre Kara si girava
indietro; forse doveva essersi sentita in colpa per averla portata
con lei a Gotham. Dopotutto la loro non era una gita di piacere,
avevano un piano da portare avanti e lei, lì, era di troppo.
Ma non
avrebbe voluto che si sentisse in quel modo, non voleva che fosse di
nuovo triste.
«Dammi
la mano, dai», le allungò la mano destra, che
Siobhan adocchiò con
titubanza. «Così non devi toccare le
inferriate». Allora gliela
prese e strinse forte, mentre Kara la faceva passare avanti.
Stava
per fare un passo che si voltò di scatto: «Se ne
parli a qualcuno»,
sollevò le loro mani unite, «sei morta,
Danvers».
«Non
c'è di che», rispose, sorridendo appena.
Alzò gli occhi al cielo
quando ripresero a salire.
Passarono
attraverso una finestra lasciata aperta e sia Kara che Siobhan
spalancarono la bocca entrando all'interno di una spaziosa camera
piena di vasi con piante e fiori. Ce n'erano davvero di tutti i tipi:
grossi, piccoli, alti, piantine adagiate sotto l'altra finestra,
colorati, senza fiori, con foglie larghe e sottili, spessi, con spine
e senza; sembrava di essere entrate in un giardino botanico al chiuso
e Siobhan si grattò sotto il collo ancor prima che una
zanzara
potesse pungerla. Kara sapeva che a Pamela Isley piacevano le piante,
ma quello… Oh, c'era anche qualche scatolone impilato,
più a
fondo: davanti a tutto quel verde, sembrava più incredibile
vedere
un elemento del genere. Selina si raccomandò loro di stare
attente a
dove avrebbero messo i piedi, aggiungendo che, una volta sistemato,
quello sarebbe diventato un salotto.
«Un
comune salotto a Jumanji»,
bisbigliò Siobhan guardando in basso e Kara sorrise.
Sorpassarono
i vasi e uscirono dalla sala, incrociando Ivy con in braccio una pila
di libri. «Ehi, ragazze! Che bello, le prime ospiti! Sono
emozionata». I capelli rossi erano raccolti con una pinza
sulla nuca
e indossava una tuta verde da ginnastica, una gamba del pantalone su
e l'altra scesa, camminando con le sole calze antiscivolo ai piedi.
«E
io chi dovrei essere?», sbottò Selina.
«Tu
fai parte della famiglia».
«Fai
poco la carina: ho visto le foto in galleria», Selina non
mancò di
guardarla truce e Ivy sorrise.
«Ops».
Riprese a camminare nel corridoio, accanto ad altre piante in vaso.
«Statemi dietro. Harley sta sistemando la libreria in camera
da
letto. E chi è la ragazza nuova? Carne fresca?».
«Come,
prego?».
«Shh»,
Kara fece segno di non replicare, «Le piace
scherzare».
Anche
la camera da letto era spaziosa, ma soprattutto luminosa: le due
finestre erano spalancate e da quel lato non c'erano palazzi
abbastanza alti da oscurare il panorama urbano di Gotham City. Kara
presentò Siobhan come sua collega alla CatCo e, quando Ivy
adagiò i
libri che aveva sottobraccio sul pavimento, le strinse una mano,
guardandola attentamente negli occhi com'era solita fare. Harley si
alzò da terra dove stava sistemando i libri nell'ultimo
ripiano di
una libreria e scansò la compagna per stringerle anche lei
la mano e
presentarsi.
Lena
non le aveva fatto inviato altro, ma Kara sapeva che, a quest'ora,
lei e Bruce sarebbero andati a cena. Fino a quando erano insieme era
probabile non sarebbe successo niente, pensò, o l'eventuale
assassino avrebbe già avanzato un'offesa durante le sue cene
precedenti con altre ragazze. Però, ammetteva, un po' di
ansia la
provava lo stesso: e se Lena fosse stata in pericolo a restare con
lui? Sbuffò e si sedette sul materasso appoggiato a terra,
senza
doghe. Siobhan la imitò e, rigida come uno stecco da gelato,
quasi
cadde all'indietro.
«E
i tuoi si sono decisi?».
Kara
si distrasse, ascoltando Selina che parlava con Harley nel frattempo
che Ivy era sparita per andare a prendere altri libri.
«Ti
trasferisci qui?».
«Beh,
non ancora…», scrollò le spalle,
mettendo su uno sguardo
avvilito. «Non voglio litigare con loro ma non sono
maggiorenne
dall'altro ieri, quindi aspetterò ancora un pochino per
vedere se
cambiano idea».
«Altrimenti?».
«Altrimenti
scappo di casa. Non
sono loro prigioniera»,
rise fin quando non si accorse di aver messo i libri di mezza fila al
contrario, «Oh,
no»,
ricominciando daccapo.
Kara
la guardò con un'aria interrogativa e scese dal materasso
per
aiutarla, intanto che Selina decise di spiegarle come i genitori di
Harley non vedessero di buon occhio la relazione tra lei ed Ivy,
preoccupati per lei e la sua salute da quando era uscita da quella
con il suo ex. Kara guardò l'altra con la coda dell'occhio
fin
quando non si voltò per sorriderle:
«Lascia
stare, lo so cosa pensi. E cosa pensano loro, cioè che sono
matta,
ma io non sono matta, o non più matta di loro, almeno:
dormono con
le calze ai piedi», sottolineò. Sentì
addosso lo sguardo stranito
di Siobhan e si voltò in fretta per sorriderle.
«Sono solo
eccentrica perché mi piace ridere e sono pazzamente
innamorata».
Selina
si alzò di fretta. «Ben detto. Beh, adesso devo
andare». Andò a
scombussolare i capelli di Harley raccolti in alto. «Ho visto
la
galleria del telefono e me la paghi».
L'altra
rise a squarcia gola. «Ti sono piaciute, lo so».
Scambiò
uno sguardo con Kara una volta raggiunta la porta e fatto passare
Ivy. «Ti aggiorno se c'è qualcosa di diverso,
Supergirl».
Annuì.
Sapeva che stava andando a tenerli d'occhio e presto sarebbe andata
anche lei.
Selina
uscì salutando tutte e Siobhan prese il rimbalzo per
alzarsi,
chiedendo dove fosse il bagno.
«Oh,
non è difficile», rispose dolcemente Ivy,
«esci di qui e giri a
destra, la porta davanti».
Uscì
dalla camera borbottando: «Spero di non dover contendere il
wc con
Bagheera».
Era
stato Bruce a scegliere il locale della cena: era la seconda volta
che ci andava e la prima ne era rimasto talmente entusiasta che
portare lì Lena Luthor lo rendeva orgoglioso. Ancor prima di
sedere
al tavolino prenotato, le elencò già tutti i
piatti che le
consigliava. La sala era era piena di tavoli vuoti, prenotati tutti
in modo da avere più privacy; una bella facciata per il
grande
bluff. I giornalisti e i blogger scattavano foto attraverso le
vetrate del locale e loro fecero finta di niente, sorridendo al
sommelier quando portò loro il vino scelto anche secondo le
sue
indicazioni.
«A
dispetto di questo bislacco tentativo per far uscire allo scoperto
chi tenta alla mia vita, sono contento di poter cenare fuori con
te»,
le sorrise, alzando il bicchiere col vino bianco prima di assaggiarne
un sorso. «E sei bellissima, stasera».
Lena
sorrise di rimando, assaggiando un sorso a sua volta. Si era cambiata
prima di andare a cena, indossando un lungo abito da sera, sul rosso
granata, certamente più adatto all'occasione. «Lo
dici a tutte le
ragazze che cenano con te?», sorrise ed entrambi si
fermarono,
scambiandosi un'occhiata, quando il primo chef portò a
tavola il
primo a base di pesce, augurando loro buon appetito.
«A
qualcuna sì», confessò.
«È buona educazione e mi piace pensare
di essere un gentiluomo. Ma tu mi fai restare senza fiato,
Lena…
L'educazione mi impone di dirlo, ma per quanto riguarda te è
pura
verità».
«Allora…
grazie», arrossì. «Abbiamo una
teoria», riprese la sua attenzione
mentre assaggiavano il loro piatto, gustando il sapore a occhi
chiusi. Si sentivano osservati, ma era quello che speravano di
ottenere. «Uscivi con quelle ragazze per creare una tua
routine e
prepararti a qualsiasi cosa?».
Lui
sorrise. «Mi avete scoperto. Per inciso, le ragazze sapevano
fin da
subito che le cene erano in amicizia. Un po' come la nostra».
«Non
proprio come la nostra».
Lui
finì di ingoiare, riportando alle labbra il bicchiere.
«Si sono
divertite e ci hanno guadagnato dei like
su Instagram»,
poggiò il bicchiere. «Non mi interessa cosa dicono
i giornali,
lasciano il tempo che trovano. Ora come ora, non è
importante.
Alfred non è concorde, ma…».
«Alfred?».
«Il
mio maggiordomo», si affrettò a spiegare.
«Vorrebbe che mettessi
la testa a posto, che trovassi la donna da avere al mio fianco per
più di una sera. Ma trovare quella giusta non credo sia
così
semplice», ridacchiò. «Per uscire una
sera non ci vogliono chissà
quali standard, ma per la vita… Oh»,
sospirò, «A parlare così, mi sembra di
essere lui. E tu cosa ne
pensi, Lena?», le scoccò un'occhiata.
«La ricerca della persona
giusta mi è sempre sembrata un po' come il mito di Babbo
Natale:
incanta i bambini ma, quando cresci, ti accorgi che era solo
fantasia», proseguì, indugiando a lungo su un
boccone.
Disilluso:
Lena conosceva quella espressione e quei sentimenti. Li conosceva
molto bene. «Io spero sia reale», spezzò
il silenzio che si era
creato e Bruce le alzò di nuovo gli occhi, incuriosito.
«Sono
impegnata. Ho trovato… la mia persona giusta».
«Oh,
non ne me ne avevi parlato. Beh, immagino che la percezione cambi
quando si è innamorati», poggiò la
forchetta, complimentandosi a
bassa voce con lo chef. «Ed era d'accordo con questa
cena?»,
domandò poco dopo, passandosi il fazzoletto di stoffa sulle
labbra.
«Spero di non imbattermi in un ragazzo furioso dalla gelosia,
perché
i giornali», si voltò verso la vetrina
più vicino, «non
parleranno d'altro almeno per un po'».
Lena
abbozzò una risata, scuotendo un poco la testa e arrossendo.
«Un
po' gelosa lo è, ma… la tengo a bada»,
scherzò. «In realtà
l'idea è stata sua quando le ho raccontato che qualcuno
voleva
ucciderti, anche se non la cena, quella è stata una mia
idea»,
sorrise di nuovo quando lo vide aggrottare la fronte, cercando di
capire. «È una ragazza, Bruce. Ed è
venuta con me, oggi».
Lui
spalancò le labbra dalla sorpresa. «Non sembrava
che… Bene. Ed è
in carriera. Spero si sia ripresa bene per ciò che
è successo,
prima non mi sembrava una cosa carina da ricordarle, ma-», si
bloccò, quando la vide accigliarsi. «La reporter
della CatCo,
giusto? Quella Siobhan Smythe?».
«Oh
no, no, no, no», scosse la testa, iniziando a gesticolare,
«Mi ero
dimenticata- no! Intendo Kara».
«Kara?
Ma è la tua-», vide Lena annuire, distogliendo lo
sguardo con un
sospiro. «Bene. Sono felice per voi, allora. L'aveva esclusa
perché,
sai, tua madre e sua madre…», sorrise,
«Solo non avevo capito che
tu… Che insomma, tu», aggrottò la
fronte di nuovo, imbarazzato.
«Mi
piacciono le donne», prese una piccola pausa, vedendolo
annuire.
«Non è una cosa pubblica, al momento».
«Non
preoccuparti». Si sporse per versarle altro vino e lo
versò dopo al
suo bicchiere, guardando con la coda dell'occhio i fotografi che non
accennavano a placarsi, scattando da diverse angolazioni. Il suo
aspirante assassino poteva perfino essere uno di loro,
pensò.
Deglutì. Era stata una grande idea quella di farsi avvistare
in
pieno giorno a bere qualcosa, in questo modo chi tentava alla sua
vita avrebbe scoperto il locale nello stesso istante in cui lo
avrebbero fatto i reporter che, ovviamente, avrebbero dato
aggiornamenti su di loro in diretta. Non avrebbe avuto il tempo di
entrare nella troupe del ristorante e avvelenare il suo cibo, ci
avevano pensato; anche per questa ragione ne sceglieva uno nuovo ogni
sera. L'assassino e il suo committente potevano essere chiunque e
ovunque; dovevano tenere alta la guardia.
«Hai
qualche idea?», domandò lei dopo che il primo chef
portò a tavola
il secondo. «Su chi possa volerti morto?».
Bruce
abbozzò una risata. «Ti sarà difficile
crederlo, ma non sono
apprezzato da tutti».
«E
chi lo è?».
«Da
bambino, ho visto i miei genitori morire davanti ai miei occhi. Un
balordo li ha sparati durante una rapina, in un vicolo, uscendo dal
cinema. Da quel momento, diventai il bambino di troppo per
molti»,
si appoggiò contro lo schienale della sedia, puntando i suoi
occhi
sul tavolo dove giocava con due dita a piegare un fazzoletto di
stoffa. «Essere figlio dei miei genitori mi rendeva un
bambino amato
ma, una volta che loro non c'erano più, sono diventato
discendente
di un'eredità troppo grande e troppo complessa per la mia
giovane
età; tante persone si sono offerte di dare una mano, sono
stato
messo da una parte, costretto a vendere fette del mio patrimonio se
volevo che la Wayne Enterprises avesse un futuro. Alfred mi
è stato
accanto, mi ha cresciuto come un figlio e ha cercato di darmi il
meglio e il meglio dell'educazione per poter riprendere un giorno
tutto ciò che mi spetta come Wayne, ma», si
fermò per riprendere
fiato, «chi fino a questo momento si è occupato di
tutto alle mie
spalle, non è felice del mio nuovo ruolo in questo ambiente.
È
difficile, Lena…», sospirò.
«Penso che a volermi morto possa
essere chiunque qui a Gotham», si lasciò andare a
uno spento
sorriso e Lena ansimò, lasciando la forchetta sul piatto.
«Senza
dimenticare…».
«Parlami
di loro», lo fissò, «Come ti hanno
contattato? Quando? Chi?».
«Un'email
al mio account. Lo uso per lavoro, è pubblico, ma non mi
aspettavo…», sospirò, scuotendo un poco
la testa, «Non mi
aspettavo affatto niente del genere». Prese il cellulare e
cercò
ciò che gli interessava, passandolo alla ragazza. Sentirono
addosso
i flash delle fotocamere.
Lena
lesse con attenzione, portandosi una mano contro la bocca.
«Vogliono
collaborare… È incredibile».
«L'organizzazione
è sicura che mi riprenderò l'intero patrimonio di
famiglia e
vogliono aprirsi la strada a progetti futuri insieme», si
riprese il
telefono. «Sarebbero anche disposti ad aiutarmi, qual
premura».
«Vogliono
espandersi».
«Probabilmente»,
annuì il giovane. «Stanno riprendendo potere e
immagino vogliano
assicurarsi sbocchi fuori da National City. Un'email simile
è stata
inviata a Oliver Queen e a chissà chi altro».
«Vogliono
ricostruirsi una rete».
«Se
hanno inviato qualcuno a spaventarmi per spingermi ad accettare la
loro proposta, non mi stupirebbe».
Se
ne restarono in silenzio quando arrivò il dessert. Ma era
ovvio come
entrambi stessero macinando nuove idee e approfondendo il discorso
per conto proprio, non per niente, Bruce non tardò a
spezzare quella
calma apparente:
«Che
cosa sai di questa gente, Lena? Non ti hanno contattato come
è
successo a me, giusto?».
«No.
No e non so se… Sto cercando di smascherarli,
Bruce», lo fissò
negli occhi. «Ho nomi, alcune piste, non sono la sola
e-».
Lui
la interruppe, dopo aver ingoiato: «Lo fai per tuo
padre?».
«Sì.
Anche», annuì decisa. «Voglio arrivare a
chi lo ha ucciso. So che
mio padre stava cercando di fare esattamente lo stesso, di
raccogliere dati per incastrali e smontare l'organizzazione, ma non
è
riuscito in tempo e voglio portare al compimento ciò che lui
ha
iniziato».
«Mi
dispiace di aver cercato di ostacolarti… Devi comprendere il
mio
punto di vista, Lena: ho perso i miei genitori anch'io e crescendo ho
compreso l'importanza di custodire ricordi sereni e le belle cose di
loro. Non volevo che scoprissi brutte cose su tuo padre
perché»,
sospirò, sorridendo, «non vorrei che lo odiassi.
Non fraintendermi:
non per lui, ma per te. Non meriti di stare male, ma di ricordarlo
come l'uomo che era quando eri bambina». Lena si perse nei
suoi
occhi, trattenendo il fiato. «Non sai quanto darei per avere
altri
ricordi felici da custodire sui miei genitori».
E
in un attimo, Bruce non c'era più. Lena era tornata
indietro: aveva
un piatto pieno davanti, sul tavolo, ma non ricordava cosa c'era e
sapeva solo che non voleva mangiarlo. Si sentiva stanca e triste. Suo
padre era seduto davanti e leggeva un giornale: aveva la barba
ruvida, gli occhi sottili, i capelli leggermente spettinati.
«Lena?
Non stai mangiando», si era imbronciato. «Devi
finire tutto».
Lei
si era tenuta la pancia e guardato un punto distante. «Non
voglio
farla arrabbiare, però…». La sua voce
era bassa, impastata.
«E
allora provaci, su». Si era alzato e seduto sulla sedia
accanto a
lei, composto. Aveva preso la forchetta e provato ad imboccarla, ma
lei aveva serrato le labbra. «Lena… Se non mangi,
non diventerai
grande. Facciamo in questo modo: un boccone tu e un boccone io fin
quando non finisce il piatto. Non lo diremo a Lillian, sarà
il
nostro segreto», aveva aggiunto in fretta, quando la piccola
si era
sporta di nuovo per guardare. «Inizio io». Si era
messo il boccone
tra i denti e la faccia nauseata non si era fatta attendere.
«Oh, ma
è disgustoso», aveva tirato in fuori la lingua e
Lena si era messa
a ridere, «Faticheremo a finirlo tutto». Aveva
preso un'altra
forchettata e gliela aveva messa davanti alla bocca: Lena aveva
subito strizzato gli occhietti, emettendo anche lei un verso
schifato.
Avevano
finito il piatto. Ricordava di non aver mangiato tutto quello che le
spettava poiché non ce l'aveva fatta, ma suo padre si era
spazzolato
il resto e non aveva detto nulla a Lillian, come promesso.
Ma
le cose non potevano essere così semplici. Forse era stato
un buon
padre per lei, ma era importante avere un quadro completo dell'uomo
che l'aveva messa al mondo e non glielo aveva detto, fingendo di
averla adottata come Lillian. Le aveva nascosto di essere la sua
figlia biologica, le aveva nascosto di far parte di un'organizzazione
criminale, le aveva nascosto che stava rischiando la vita per
distruggerla. E così era morto. Gli voleva bene e sempre
gliene
avrebbe avuto, non sarebbe cambiato. Probabilmente no, non sarebbe
cambiato.
«In
qualunque caso», la voce di Bruce la riportò alla
realtà e
spalancò gli occhi. «Distruggere un'organizzazione
come quella, che
rinasce dalla propria cenere come una fenice»,
spiegò, serio, «è
rischioso quanto difficile. Hai idea di cosa potrebbe succederti se
ti scoprono? Scusa», chiuse gli occhi un attimo.
«Tuo padre.
Un'idea ce l'hai». Lena sembrava così rapita dai
suoi pensieri,
adesso. «Hai trovato la persona giusta con cui condividere la
vita e
vuoi rischiarla in questo modo? È una fortuna più
unica che rara,
Lena. Goditi tutto questo, è il mio consiglio», le
sorrise,
avvicinandosi al tavolo intanto che la fissava, quasi potesse
leggerle la mente attraverso gli occhi lucidi. «Ci
sarà tempo per
fare gli eroi».
Kara
se n'era andata da almeno mezzora e lei non sapeva cosa fare in
quella casa piena di piante, umidità e insetti. La padrona
di casa,
quella Ivy, era uscita per comprare qualcosa da mettere in frigo,
così disse, però per farlo si era vestita come
una donna di facili
costumi e non aveva fatto domande. L'aveva salutata con un sorriso
raggiante e si era intrattenuta con quella che pareva essere la sua
ragazza, per almeno sette minuti davanti alla porta. Sette minuti,
accidenti, e aveva sentito rumori, cominciando a salirle il panico:
si stavano baciando o esaminando l'esofago a vicenda? L'altra, tale
Harley, si era addormenta proprio accanto a lei sul letto,
all'improvviso, come se non esistessero regole di cos'era giusto o
sbagliato fare con ospiti in casa. Aveva conosciuto persone di Gotham
prima e avrebbe giurato non erano così. Oh, non avrebbe
dovuto
seguire Kara Danvers perché si sentiva sola, che stupida. Si
stava
approfittando di lei e della sua gentilezza? Non era una bambina,
poteva rialzarsi anche se qualcuno non le teneva la mano. Forse.
Forse
no.
A volte sentiva di farcela e di essere normale, quella di sempre, ma
altre… altre aveva solo voglia di bere e scappare da non
sapeva
cosa. Forse aveva ragione Kara Danvers: non era più quella
di prima.
Se ci pensava, le saliva il panico perché lei amava
la se stessa di prima. Non aveva mai avuto bisogno di nessuno, aveva
creato un muro intorno a sé e aveva sempre potuto contare
sulle sue
sole forze, e ora si sentiva sola?
Ma non poteva essere l'alcol il suo rimedio a tutto e dopo la notte
prima… Aveva proposto a Kara Danvers una cosa
che… che avrebbe
tanto voluto dimenticare. E che le faceva senso.
Forse. Scosse la testa, accigliandosi. Sperava se non altro che lo
avesse dimenticato Kara. Che stupida, che stupida. Poi
perché lei?
Perché non c'era nessun altro? Era così
disperata? Basta bere:
aveva deciso. Avrebbe dovuto prendersi più cura di se stessa
e… E
qualcosa. Fare qualcosa per uscire da quel tunnel buio. Qualcosa di
concreto, che… Si sollevò la maglia il tanto per
controllare il
cerotto sulla cicatrice e, come sentiva, si era sfortunatamente
staccato da una parte e non aveva ricambi. E adesso come avrebbe
fatto? Doveva aspettare il ritorno della tizia coi capelli rossi per
sapere se aveva un cerotto da darle? Poteva controllare da sola.
Siobhan si mosse per alzarsi dal letto, pian piano per non svegliare
l'altra; mise forza sulle gambe e-
«Cosa
hai fatto lì?».
Cadde
di nuovo, reggendosi il petto dallo spavento. Schiaffeggiò
la mano
destra di Harley quando le alzò la maglia per controllare.
«È
una cicatrice? Sembra proprio bella».
«Bella?
Sei suonata? Ho rischiato la vita, mi hanno sparato»,
sbottò,
urlandole nelle orecchie.
Harley
non fece caso al suo temperamento e, con la maglia ancora sollevata,
le strappò il cerotto, gettandolo indietro. «Beh,
a me piace. Ha
una bella forma e si vede che hai rischiato grosso», rise.
Ma
Siobhan era paralizzata dalla paura: le aveva tolto il cerotto e non
aveva altro, non aveva altro per proteggerla, era scoperta, come
avrebbe fatto adesso? Si sentiva vulnerabile, e fine,
e piccola. Provava freddo. Guardò la cicatrice come
ipnotizzata,
spalancando gli occhi, ascoltando i battiti del cuore accelerati. Le
mancava la sua pelle liscia, lì. Le mancava qualcosa che,
forse,
andava al di là di questo.
Harley
ci passò il dito e dopo il naso, odorando la parte
interessata.
«Che
stai facendo?», si tirò indietro disgustata.
«Cercavo
di capire perché portavi quel cerotto: sembra pulita,
chiusa. Sei
strana».
«Non
sono io quella strana», urlò.
Perché
sentiva come se, con quel colpo, Philip Mcbrown non le avesse
lasciato solo un segno esteriore? Sì, forse il suo corpo era
meno
bello con quella, ma c'era dell'altro, le aveva lasciato una
cicatrice dentro, dal colpo mortale che le aveva inferto prima di
sparare: sei
superficiale,
non
hai niente di speciale,
non
mancherai a nessuno.
Era così vero. Si toccò la cicatrice. Era
così vero.
«Mi
hai mostrato la tua, io ti mostro la mia», disse fiera
Harley,
alzando la maglietta. C'era una cicatrice in un fianco, sotto
l'ombelico, quasi nello stesso punto in cui si trovava quella di
Siobhan. Aveva la pelle piegata e rosa in un segno più lungo
del
suo; erano evidenti i punti di dove l'avevano ricucita.
Siobhan
si incantò e le tremò la voce:
«Come… Come ci stavi lasciando le
penne?».
Harley
rispose con una naturalezza disarmante: «È stato
il mio ex».
«Il
tuo ex? Saw
l'Enigmista?».
Harley
la fissò e, d'un tratto, non trattenne più una
risata e Siobhan si
lasciò contagiare, cadendo entrambe con la schiena sul
materasso.
«Mi piaci, ragazza strana abbandonata qui da Supergirl! Ma un
enigmista proprio no, anzi, dirò che è stato
piuttosto chiaro:
voleva guardarmi negli occhi mentre mi accoltellava e scoprire se
cambiavano. Ma non voleva uccidermi», specificò
gonfiando gli
occhi, «poi ha smesso».
«E
sarei io quella strana?». Harley rise di nuovo e Siobhan con
lei,
scuotendo la testa. Stava ridendo, non credeva a se stessa: non le
serviva bere per perdere la ragione.
Bruce
abbassò gli occhi e Lena ansimò: era arrivato il
momento che
attendevano. Uno sguardo mal interpretato, un gesto di troppo e la
ragazza si alzò bruscamente dalla sedia, urlandogli contro.
La
reazione del giovane fu immediata e indicò il tavolo dove
avevano
consumato da poco il dessert, gesticolando con pugni di rabbia.
«Adesso
basta! Pago la mia parte del conto e me ne vado»,
urlò lei, facendo
impallidire il cameriere più vicino.
«Devi
per forza fare così? Questa scenata è
necessaria?», controbatté
Bruce. «È pieno di giornalisti, là
fuori».
Lena
si fermò il tempo di guardarlo un'ultima volta, stringendo
le labbra
con rimprovero. «Ci vediamo, Bruce».
Lei
uscì per prima come stabilito e, sempre come stabilito, la
vide
portarsi dietro quasi tutti i giornalisti con la promessa di dire
loro, in lacrime, perché avessero litigato. Appena
sbocciata, la
loro relazione si stava già appassendo. Bruce si
rifugiò in bagno
per darle uno stacco, dopodiché pagò e
uscì dalla porta sul retro,
ringraziando lo staff per averglielo concesso. Adesso era solo e
turbato, vagava senza destinazione e fuori dalla sua routine: se
qualcuno voleva ucciderlo, era il momento buono per provarci.
Intanto,
Lena camminò velocemente sui suoi tacchi il più
possibile,
nascondendo il volto con una mano. I giornalisti la tempestavano di
domande sulla sua serata e, quando pensava di essere andata
abbastanza lontano, si fermò, passandosi due dita in mezzo
agli
occhi. «Andatevene, per piacere! È
finita».
«La
sua relazione con Bruce Wayne è finita?»,
domandò una ragazza
vicina e lei si tirò indietro, piegando le labbra e
nascondendo di
nuovo gli occhi.
«Non
lo so, io… Ho cambiato idea, non riesco a dire niente in
questo
istante, per favore… Andate via».
Riuscì a convincerli ad
allontanarsi, e dopo averle scattato delle foto, solo quando
minacciò
di chiamare la polizia. Non era certa che non ce ne fossero ancora
appostati da qualche parte però si sentiva scoperta e sola e
tanto
bastava per farle salire la tachicardia, ricordandosi di avere la
pistola di suo padre in borsetta. Per fortuna, Kara non si
lasciò
attendere troppo: l'aveva seguita da quando lasciò il locale
e si
limitò a dirle che era fatta, così Lena finse di
piangere sulle sue
spalle, non mancando di approfittarne per stringerla un po'
più del
dovuto, rivedendo suo padre che metteva in bocca una forchettata per
lei.
Bruce
ansimò pesantemente, continuando ad avanzare. La luna era
alta e il
cielo scoperto, senza una nuvola: illuminava la via solitaria. Si
sentiva il traffico distante, un cane abbaiare, risate provenire da
chissà dove. C'era afa dovuta ai condizionatori degli
esercizi
pubblici accesi, odori stantii. Un lampione era rotto e
inspirò
ancora più pesantemente. Quando aveva accettato quel piano,
non
aveva accennato alla sua paura dei luoghi bui. E perché poi
avrebbe
dovuto? Si girò velocemente indietro, ma non c'era nessuno;
non
c'era freddo ma aveva i brividi e si passò le mani sulle
braccia
coperte dalla giacca. Basta, doveva smetterla: non era un debole, lo
sapeva. Lo aveva dimostrato quando, da bambino, si era arrampicato
sul cornicione di una finestra solo per il brivido di farlo. Lo aveva
dimostrato quando i bulli lo picchiavano a scuola e si era sempre
rialzato. Lo aveva dimostrato quando il suo maestro di arti miste,
Ra's al Ghul, lo aveva gridato per dirgli che era negato e anni dopo
gli aveva tenuto testa. Non avrebbe permesso che un trauma lo
segnasse. Non lo avrebbe permesso, no- Delle voci. Due uomini si
stavano avvicinando alle sue spalle, sentiva i passi pesanti e
scoordinati. Il committente aveva mandato due persone? Non aveva
paura e prese fiato, aggrottando la fronte. Avrebbe dovuto avvertire
con un messaggio Lena Luthor, ma se ne sarebbe occupato da solo.
Perché era così che lui sistemava sempre le cose:
da solo.
I
due uomini a un certo punto ridacchiarono e accelerarono il passo,
iniziando a chiamarlo con appellativi offensivi. Pestarono una
cartaccia, calciarono una lattina vuota, presero dalle tasche dei
coltelli a serramanico. Uno dei due lo fermò per il colletto
e lo
avvicinarono al muro, urlando di farsi consegnare i soldi.
Dei
balordi. Troppo grande per una coincidenza: quel qualcuno aveva
mandato ad ucciderlo dei balordi fingendo una rapina, proprio com'era
accaduto quando era bambino ed erano morti i suoi genitori.
«No»,
disse serio e i due lo afferrarono per la giacca e lo spinsero
più
forte contro il muro, senza che lui desse loro soddisfazione.
«Non
avrete i miei soldi».
«Certo»,
aveva detto invece suo padre allora, nei suoi ricordi. «Tutto
quello
che vuoi». Aveva tirato indietro lui, che era bambino, e
aveva fatto
lo stesso sua madre, riparandolo col suo corpo.
Bruce
ricordava il batticuore violento di quel giorno, gli occhi
spalancati, le labbra che tremavano di paura. Era buio, in un vicolo
come quello, il balordo aveva una pistola. Aveva stretto le dita sui
cappotti dei suoi genitori e poi tutto era successo molto in fretta:
loro gli avevano dato tutto ciò che avevano quel giorno e
lui li
aveva sparati lo stesso, entrambi, di fretta, nascondendo le cose di
valore sotto il cappotto. Bruce era rimasto di pietra accanto ai loro
corpi che si accasciavano sui ciottoli. Ma aveva guardato lui, il
balordo. Aveva fissato i suoi occhi tremanti mentre gli puntava la
pistola alla tempia. Lo aveva lasciato lì, non aveva
sparato, gli
aveva già tolto tutto quello che aveva. Il se stesso bambino
si era
abbassato sui loro corpi e, ancora senza versare nemmeno una lacrima,
aveva provato a svegliarli. Si era toccato il petto e aveva
continuato a scuoterli per ore, al buio, da solo, prima che arrivasse
la polizia.
«Devi
darci i soldi o ti facciamo la pelle, questa notte», quella
voce
dura lo riportò al presente e Bruce lo guardò
senza energie, come
se non gli importasse. «Diciamo sul serio».
«Davvero?»,
gli domandò, guardando prima uno e poi l'altro. Doveva
bloccarli e
interrogarli in modo che gli dicessero chi li aveva mandati ma, non
avrebbe saputo bene esprimere perché, in quel momento non
gli
interessava abbastanza. Voleva tornare a casa e riprendere in mano
una vita che, da anni, aveva cercato con fatica di costruirsi,
però,
guardando i loro volti di rabbia mentre sputavano parole che
odoravano di vino scadente, si chiese se, in fondo, ne valesse la
pena. Non voleva morire, ma era strana la sensazione che gli
comprimeva il petto e gli sussurrava di interrogarsi sulla sua vita.
Gli faceva ancora male, era quella la verità: nonostante gli
anni
passati, nonostante il balordo non gli avesse sparato, gli aveva
lasciato una cicatrice dentro che, ora e sempre, bruciava. Bruciava
da matti.
Fu
la sirena della polizia a far scappare i due, mollandolo con le
spalle appoggiate contro il muro. La macchina e la sua sirena
passarono di corsa sulla strada vicina al vicolo e Bruce
fissò loro
prima che sparissero, poi riguardò dalla parte opposta
quando scorse
con la coda dell'occhio un'ombra muoversi veloce: la ragazza
balzò
da una scala antincendio, mostrandogli il cellulare.
«Ho
allertato la polizia di una rapina qui vicino. Ha
funzionato».
Bruce
Wayne la guardò e riguardò più volte,
scuotendo appena la testa.
Che cosa gli era preso? Li aveva lasciati andare, non voleva
crederci. Si era-
«Pietrificato»,
disse Selina Kyle nel buio, accigliandosi. «Ti ho visto
combattere,
Wayne, mi aspettavo qualcosa e restavo lì ad aspettare fino
a quando
non mi sono resa conto che non avresti fatto un bel niente».
La
sua voce era così dura. «Li hai lasciati
scappare», replicò,
«Avevo tutto sotto controllo, non avevi il diritto
di-».
«Salvarti
il fondoschiena, vuoi dire?», si avvicinò,
mettendo via il
cellulare.
Bruce
aprì la bocca ma non seppe cosa dire, squadrandola da capo a
piedi
appena fu invasa da un cono di luce; era diversa da solito: indossava
dei bizzarri occhialetti da aviatore sulla fronte e sopra una
coroncina con due orecchie da gatto, i soliti ricci erano ordinati da
un lato, si era messa sulle labbra un rossetto rosso vivace; aveva
degli stivali alti, pantaloni neri e aderenti riflettevano la luce,
come il top che- rialzò gli occhi, rendendosi conto di
averle
guardato troppo a lungo il seno decisamente gonfio.
Gonfio, pensò. Non aveva sinonimi; aveva appena dimenticato
l'intero
vocabolario che sfoggiava nelle discussioni con gente altolocata. Non
che non avesse sempre pensato che fosse una bella ragazza,
ma…
«Quella è in latex?». L'aveva chiesto
davvero?
Selina
lo guardò negli occhi e non poté fare a meno di
sorridere un po',
alzando un angolo della bocca. Gli appoggiò la mano sinistra
contro
il petto e passò la mano destra sulla sua nuca, stringendo i
capelli
corti, così si spinse sulla punta dei piedi e lo
baciò. Veloce,
chiuse gli occhi e lui ricambiò, spingendola da
sé solo un momento,
quel tanto che bastava per guardarsi e capovolgere la situazione: la
afferrò per le spalle e la sbatté contro il muro
mettendosi su di
lei e affondando la bocca nella sua. Selina gli passò le
braccia
intorno al collo e si aggrappò, ignorando il suo cuore che
scalpitava furente contro il petto.
«Scusa,
era…», lui si distanziò di poco,
borbottando con gli occhi
semichiusi, «era troppo-».
«Zitto»,
sussurrò lei e gli tirò un labbro,
così Bruce le strinse i
fianchi, baciandosi di nuovo, a lungo.
Harley
mise su un'espressione triste quando anche Siobhan si
intristì, mano
ancora sulla sua cicatrice, per coprirla. «Non ti piace
proprio,
eh?». Lei non rispose e così si
avvicinò strisciando sul
materasso, allungando le labbra in una smorfia. «Non capisco
perché».
«Perché?»,
urlò e l'altra si tappò per un attimo le
orecchie, «Sei seria,
biondina? È il segno che mi ricorda come stavo per morire e
quanto
la mia vita faccia schifo. Naturalmente sto intraprendendo un
percorso di successo, e non per vantarmi, ma alcuni miei pezzi sono
davvero forti e i più letti degli ultimi anni», le
puntò contro un
dito, «Ma non c'è davvero altro di me
e… stavo per morire. Stavo
per morire».
Harley
piegò le labbra in un'altra smorfia, mettendosi a pancia in
giù sul
materasso. «Però sei viva, no?»,
battibeccò, appoggiando la testa
su una mano retta dal gomito sul materasso. «Quante lagne!
Stavi per
morire, l'ho capito, ma non è successo e puoi ancora fare
tutto
quello che ti pare! Se la tua vita fa così schifo, felicitazioni,
sei in tempo per rimediare», spalancò la bocca per
un gran sorriso.
«È questo il bello delle cicatrici: ti ricordano
che stavi per
crepare malissimo e che non è successo. Puoi sfoggiarla come
un
trofeo di guerra, come ti pare, ragazza strana che urla
troppo».
Siobhan
corrugò la fronte pronta per ribattere ma, non venendole in
mente
niente di pungente, si zittì, fissando il soffitto bianco.
Alla
fine, il piano non sembrò funzionare. I balordi che avevano
aggredito Bruce Wayne quella sera erano solo quello, dei balordi, non
lavoravano per nessuno e, quando più tardi lui, Selina e
Lena e Kara
li rintracciarono, dovettero lasciarli andare. Quando avevano
raggiunto i due, le ragazze li ritrovarono già sulle tracce
degli
aggressori. In ogni caso, Selina Kyle era convinta che nessuno
minasse per davvero alla vita del ragazzo che, per lei, era solo
paranoico. Se ne andò e presto lo fecero anche Kara e Lena
per
andare a recuperare Siobhan da casa di Ivy. La ritrovarono che,
seduta con loro intorno a un tavolo, rideva e scherzava mangiando
cibo giapponese. Questa era nuova: Kara scambiò uno sguardo
sorpreso
con Lena poiché per poco non riconosceva la collega con quel
sorriso
sincero stampato in viso senza aver bevuto. Per esserne sicura
domandò conferma ad Ivy e, quando lei portò a
tavola altri piatti
di sashimi, si convinsero a restare, inviando un messaggio ad Alex
per dirle che avrebbero cenato fuori e di farlo sapere a Indigo. Ne
ordinarono da asporto quando Kara non sembrò sazia. Non era
mai
sazia.
Nel
frattempo, Bruce era già tornato a villa Wayne. Era stanco e
aveva
il cervello altrove, frastornato per aver rivissuto un momento
traumatico e, allo stesso tempo, dalla passione e coinvolgimento
inaspettato che si era ritrovato a provare con Selina Kyle. Non
capiva cosa gli aveva fatto, era… Gli piaceva. Gli piaceva?
Quella?
Non se n'era mai reso conto, prima. Accese il portatile e si
trascinò
fino al vecchio studio dei suoi genitori, sul divano. Forse Alfred
aveva voglia di parlare un po' con lui, se non gli era di disturbo.
Bussarono alla porta e diede l'ordine di entrare.
«Signor
Wayne, le preparo la tisana alle erbe, come suggerito da Alfred prima
di partire».
Lui
lo guardò pensandoci, finché non sentì
un rumore provenire da
fuori, attraverso le finestre aperte, e sorrise. «Sai cosa
dico?
Questa notte voglio provare qualcosa di diverso, rilassarmi. Va bene,
berrò quella tisana. Ma prima che tu vada», lo
fermò, «se potessi
farmi un favore: apri il portone e chiedi all'ospite in giardino se
vuole entrare invece di vagabondare come una ladra».
L'uomo
annuì pacato e richiuse la porta dietro di lui.
Quella
Selina Kyle non credeva che qualcuno stesse tentando di ucciderlo,
quindi perché continuare a seguirlo se non fosse che aveva
ancora
voglia di vederlo? O voglia di baciarlo, magari. Sì, la
tisana gli
avrebbe allentato la tensione e magari proibito di pensare di nuovo
al vicolo buio, così da concentrarsi… su altro.
La porta si aprì
e Bruce prese un grosso boccone d'aria vendendola entrare e
richiudere. Era sempre stata così sensuale o…?
Ah, doveva
smetterla di sentirsi come un dodicenne.
Lei
si appoggiò alla porta, scuotendo piano la testa.
«Io sono una
ladra, Wayne».
Lui
rise. «Mi hai sentito o te l'ha detto?».
«Me
l'ha detto?
Me lo ha gridato aprendo il portone: non
fare la ladra che il signore ti vuole vedere»,
fece a voce grossa, avvicinandosi lentamente. Si guardò
intorno con
attenzione. «Come sapevi che ero qui fuori?»,
raggiunse il divano
più vicino, accarezzando la stoffa pregiata.
«Questo posto è
praticamente un museo», ridacchiò.
«Mi
segui da giorni, Selina Kyle, lo so. Sentivo la tua presenza qua
fuori. Tendi ancora a sottovalutarmi».
Lei
scosse la testa, arrossendo. Si rese conto che forse era vero che gli
piaceva lui, oltre al suo denaro. E quelle labbra, quella lingua,
quei capelli sottili fra le proprie dita, il petto marmoreo che la
spingeva contro il muro e non le lasciava respiro, le sue mani
grandi, come l'aveva guardata… Deglutì,
abbassando lo sguardo.
«Perché
sei qui, Selina?».
Ne
voleva ancora, era abbastanza ovvio e lo sapeva anche lui.
Bussarono
alla porta e lei tirò un sospiro di sollievo. L'uomo
tirò dentro il
carrello e i due si stettero zitti mentre adagiava il sottobicchiere
sul tavolino, la tazzina e versò la tisana, senza guardarli
negli
occhi. Infilò nella tazzina il cucchiaino e la
avvicinò al ragazzo,
riprendendo il carrello.
Selina
lo adocchiò attentamente intanto che si allontanava.
«Bevi spesso
questa roba?». Bruce sembrò spaesato:
guardò lui e di nuovo l'uomo
del personale che apriva la porta per uscire. C'era un odore strano
nell'aria e lo sentì da quando fu versata quella tisana.
In
centro, le ragazze ringraziarono per la compagnia e si alzarono per
andarsene. Era tardi ed era meglio richiamare l'elicottero della
Luthor Corp che Siobhan, presa da un momento di loquacità,
chiese
cosa ne era stato del loro piano e di Bruce Wayne. Le raccontarono
degli aggressori, della cena, dei giornalisti, ma di persone che
volevano ucciderlo per un qualche complotto neanche l'ombra.
«Forse
è ancora presto», disse Harley in una risata.
«Se volessi uccidere
il riccone, ci penserei due volte dal farlo totalmente a
caso».
Siobhan
la indicò, scrollando le spalle. «Avete
ricontrollato i membri del
personale che lavorano per lui? La biondina dalla risata
schizofrenica ha ragione», si portò le braccia a
conserte. «Un
assassino rispetta i suoi tempi e per farlo si infila nella sua
quotidianità. Sveglia, Danvers»,
schioccò le dita, «Il
maggiordomo! È sempre il maggiordomo».
Kara
e Lena si scambiarono uno sguardo e non ci misero molto a prendere
ciò che serviva e precipitarsi a villa Wayne. Lena
provò a
chiamarlo per cellulare ma non rispondeva e questo non faceva che
dare più credibilità all'ipotesi di Siobhan.
Quando non si mosse
nessuno neppure al campanello davanti al cancello, allora chiamarono
la polizia, decidendo di fare irruzione. Passarono da una finestra
aperta, ringraziando che non avesse installato le zanzariere, e
corsero con foga all'interno. Quel posto era un labirinto ma
sentirono delle voci e le seguirono. Una delle voci era di Selina?
«Voi
cosa ci fate qui?», Selina spalancò gli occhi.
«Come
siete entrate?», domandò Bruce.
Il
personale della villa era intorno alla sala mentre al centro, accanto
a Bruce e alla ragazza, un uomo era legato a una sedia, reo di aver
provato ad avvelenare il giovane Wayne. Harley abbassò la
mazza da
baseball, prese il cellulare e scattò una bella foto
ricordo.
La
polizia scortò in centrale il membro del personale che
tentò di
uccidere l'ereditiero, interrogando per almeno tre quarti d'ora
Bruce, Selina Kyle e il resto del personale alla ricerca di un
possibile complice. Una donna bassa pianse tutto il tempo, ripetendo
come lo amasse e come lui l'avesse presa in giro per costruirsi una
copertura. Le avrebbe fatto male per un tempo lunghissimo.
Bruce
non era entusiasta dell'arrivo della polizia poiché lui e
Selina
avevano appena iniziando a interrogarlo e, in special modo la
ragazza, ebbe un brivido quando loro irruppero in scena. La notizia
sarebbe apparsa ovunque adesso, forse spaventando chi lo voleva
morto. Il nome sarebbe saltato fuori in ogni caso, era questione di
ore o, considerando che si trattava di un Wayne, minuti. E alla fine
Bruce ebbe modo di assaggiare la famosa tisana durante la sua
videochiamata con il maggiordomo Alfred, spaventato che al suo
signorino
sarebbe potuto succedere qualcosa di male in sua assenza. Selina Kyle
attese nel divanetto vicino che finisse di parlare con lui, provando
Candy
Crush.
Le
ragazze se n'erano appena andate quando videro le volanti della
polizia precipitarsi in villa. Raggiunsero insieme casa di Ivy per
recuperare le loro cose e poi lasciarono lei e Harley, andando a bere
qualcosa in un bar lì vicino. Sentirono di aver bisogno di
assestarsi un attimo prima di chiamare l'elicottero che le venisse a
prendere. Lena prese qualcosa di appena alcolico, Kara un analcolico
e Siobhan, con gran sorpresa, decise di non bere niente che non fosse
un bicchiere d'acqua fredda, dandosi a qualche nocciolina
finché non
si accorse di conoscere un gruppo di ragazzi a un tavolo e andare a
parlare con loro. Kara la tenne d'occhio per un po', cercando di
capire se fosse veramente tranquilla o se stesse fingendo. D'altra
parte, anche Lena si comportava un po' stranamente da quando
andò da
lei dopo la cena con Bruce Wayne.
«Ti
senti bene?», Kara le poggiò una mano su un polso
e Lena alzò lo
sguardo per adocchiare il barman, notando che non era minimamente
interessato a loro: era come se fossero due persone qualsiasi in un
luogo qualsiasi e non capitava spesso.
«Sì»,
le sorrise. «Sì, sono solo un po' stanca.
Pensavo».
«Un
nichelino per i tuoi pensieri», sorrise, per poi mettersi a
gesticolare. «È-È una citazione famosa,
adesso non so precisamente
di dove, però-», si interruppe, quando la vide
sorriderle di nuovo,
incantata.
«Vorrei
non dover tornare a National City, stanotte. Avvisiamo Indigo, e
Alex, e restiamo qui. Ci prendiamo una camera. Ho voglia di stare
tranquilla, anche solo per stanotte».
Kara
era quasi sul punto di cedere. «E chi riaccompagna Siobhan a
National City?», la indicò con uno sguardo.
«Mi dispiace averla
invitata senza dirti niente».
«Non
importa», si alzò dallo sgabello e le sorrise di
nuovo. «Vai a
prenderla, adesso telefono».
Kara
annuì e, quando si fu girata, gonfiò le guance
poiché l'idea di
restare lì per la notte piaceva anche a lei. Siobhan
scherzava e
rideva, pensava avesse vinto l'alcol, invece non aveva neanche il
bicchiere. La chiamò che era ora di tornare a casa e l'altra
la
fulminò con lo sguardo:
«Non
vedi che sto parlando?».
Tutti
i ragazzi sul tavolo si girarono a osservarla e Kara roteò
gli
occhi, sospirando. Ecco, l'incantesimo era finito: era tornata quella
di sempre. «Non ho voglia di discutere: se vuoi tornare a
casa, ti
consiglio di raggiungerci fuori entro tre minuti». Si
allontanò
vedendo Lena uscire che Siobhan la chiamò e la
seguì, fermandola a
un braccio.
«Scusa»,
la lasciò subito, tirandosi indietro. «Scusa,
io…», abbozzò un
sorriso che spense subito, faticando a guardarla negli occhi.
«Voglio
che tu sappia che so… So tutto quello che hai fatto per
me», forzò
un sorriso e Kara si portò le braccia a conserte.
«Hai fatto quello
che non avrebbe nessun altro al posto tuo. Sei stata un'amica e lo
apprezzo… Credo che… Credo che parlerò
con Cat Grant e mi
prenderò ancora dei giorni, tornerò dallo
psicologo», abbassò la
voce, «e andrò a lavoro quando sarà lui
a dirmelo».
«Penso
sia la cosa migliore», sorrise anche lei.
«E
credo che resterò qui, mi daranno loro uno strappo a casa.
Li
conosco, non preoccuparti; perché so che lo faresti,
Danvers»,
scosse la testa e Kara rise. «E ho chiuso con le bevute. O
almeno ci
proverò perché voglio… trattarmi
meglio». Arrossì, abbassando
di nuovo lo sguardo.
Glielo
aveva detto lei la notte prima, quando era ubriaca: Kara si
stupì
che l'avesse davvero ascoltata. Ma non che si ricordasse tutto,
quello lo sapeva eccome perché non sapeva fingere molto
bene. Le
chiese se fosse davvero sicura e Siobhan tentò qualcosa:
alzò le
braccia e le riabbassò, provò in un altro modo e
tornò ad
abbassarle, e- e
va bene.
Kara l'abbracciò e la sentì deglutire, per poi
ricambiare
lentamente. «È rimasta», disse a Lena
una volta fuori dal bar.
«Cosa facciamo? Vuoi chiamare l'elicottero?».
L'altra
sorrise come se le avesse appena dato la notizia migliore del mondo e
scosse la testa.
Kara
non era affatto certa che lasciare Indigo da sola in villa fosse una
buona idea, ma d'altra parte non potevano chiedere ad Alex di
guardarla anche durante la notte come se fosse una babysitter
sottopagata. Lena si fidava e dopotutto, se anche avesse voluto
rubare qualcosa e sparire, dove sarebbe andata? Scelsero velocemente
una delle camere libere in un piccolo hotel in centro a Gotham City.
I rumori provenienti dalle altre camere erano molesti, quelli del
traffico sotto forse anche di più, i colori delle pareti
erano
grigio sporco e la moquette vecchia, ma era tutto pulito e, in quel
momento, perfetto.
«Vuoi
sdraiarti? Provare a dormire un po'?», le chiese Kara,
sistemando il
letto. La credeva stanca in un altro senso, poiché appena i
propri
occhi azzurri si posarono sui suoi, intuì presto che le
intenzioni
erano tutt'altre.
Lena
scosse la testa, arrotolando la maglia e sfilandola dalle braccia.
«Voglio sentirti», soffiò quasi in un
brusio. Si avvicinò piano e
si baciarono ancor più piano, assaggiandosi e socchiudendo
gli
occhi, dosando il battito mentre, allo stesso tempo, era Selina a
sfilarsi il top e gettarlo sul pavimento lucido. Bruce la prese per i
fianchi e la portò al sicuro contro il suo petto nudo,
abbassando il
volto per aprire la bocca e accoglierla, baciarla. Lena spinse sul
letto Kara e Bruce tirò Selina sul suo, su di lui. Si
baciarono
ancora, entrambe le coppie, nel cuore della notte.
Quella
fu una lunga notte, tanto che i raggi del sole faticarono a bucare il
cielo di nebbia sopra Gotham City e portare il giorno. E fu davvero
lunga per tutti, anche per Siobhan Smythe.
Mosse
le labbra ed emise un rumore sordo con la gola, svegliandosi con
calma. Si sentiva bene, quella mattina. Stirò un braccio
addormentato e, nel momento di farlo cadere, lo gettò su un
altro
braccio che di certo non era suo. Aprì un occhio e poi
l'altro,
sbadigliando. Sorrise: era una splendida giorna- Si voltò a
destra e
i lunghi boccoli rossi di Ivy coprivano il cuscino, poi a sinistra e
la bocca di Harley le stava baciando una spalla intanto che russava,
allora deglutì: non lo aveva sognato. Prese fiato a pieni
polmoni,
spalancando gli occhi: non
lo aveva sognato.
E sorrise.
Eeeh,
diciamo che forse forse, ma forse eh, Siobhan non è davvero
più la
stessa. Cosa volete che sia la voglia di cambiare, di scoprirsi di
nuovo e crescere! D'altra parte, credo che nemmeno ad Ivy e Harley
sia andata male XD
Per
il resto, abbiamo scoperto che in fondo i presentimenti di Bruce
Wayne erano fondati! Il tipo si era infiltrato tra il personale e
usato una delle donne che lavoravano lì per crearsi una
copertura,
ha aspettato che Alfred se ne andasse e, infine, ha cercato di
avvelenarlo sfruttando un piccolo cambio di routine con l'arrivo di
Selina e decidendo di bere la tisana. Avrebbe aspettato se fosse
andata male con la tisana ancora una volta, di certo non poteva
rischiare di farsi scoprire. Mai fidarsi del maggiordomo. Tranne
Alfred.
Piaciuta
la cena Luthor/Wayne? Hanno avuto modo di chiacchierare un po' e Lena
ha ripensato a suo padre, mentre il ragazzo ha rivisto la morte dei
suoi nel vicolo.
Fatemi
sapere cosa ne pensate del capitolo :) Lo
so, poco Kara e Lena come coppia in questo capitolo, ma avrò
modo di
farmi ““perdonare””. Non
mi vengono in mente note e allora passo e chiudo.
Il
prossimo capitolo si intitola Amore
e altri drammi
(perché
l'amore sì,
è un dramma) e
sarà pubblicato qui puntuale come sempre sabato 12 ottobre ~
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