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Autore: Ghen    01/10/2019    2 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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54. Cicatrici


Era appena pomeriggio quando Bruce Wayne lasciò la Wayne Enterprises vantandosi pacato, con chi gli capitava sott'occhio, di avere quell'oggi un appuntamento importante e di doversi preparare. Da giorni a quella parte tornava presto, ma non con quel sorriso stampato sulle labbra che destò varie curiosità e chiacchiericci, per i corridoi, che riguardavano lui e Lena Luthor. La voce doveva girare in fretta. Lo avevano salutato tutti e gli avevano augurato una buona giornata; nessuno lo aveva guardato in modo diverso, o seguito, se non altro lì dentro. Sapeva che la signorina Kyle si divertiva a stargli dietro da qualche giorno, ma aveva già deciso di non affrontarla: quella ragazza lo rendeva nervoso e non sapeva bene perché. Era silenziosa e si appostava come un animale in agguato, ma non faticava ad immaginare come fosse lì sotto suggerimento di Lena Luthor o della sua sorellastra per tenerlo d'occhio, quindi si era semplicemente deciso a sopportarla.
Il sorriso gli si spense non appena tornò in villa. Si ritirò nel vecchio studio dei suoi genitori, rimasto intatto da allora, e si accomodò su uno dei divanetti, poggiando e aprendo un portatile proprio sul tavolino davanti. In tempo per accettare una videochiamata su Skype:
«Come si sente, signorino Wayne?», domandò l'anziano con uno spiccato accento inglese, dall'altra parte dello schermo. «La vedo… sofferente. Non dovevo partire».
Alfred era via da appena mezza giornata e già si sentiva in piena apprensione da mamma chioccia, pensò Bruce. Ma dopotutto, era l'uomo che si era preso cura di lui per tutti quegli anni, che lo aveva cresciuto e temprato, gli concedeva ogni tanto di esasperarlo come avrebbe fatto un genitore. «Alfred, avevi promesso di smetterla con questo signorino; sono grande, penso tu lo sappia».
«È un uomo adulto, me ne rendo conto eccome, me ne dispiace», si scusò in fretta, «Tendo a vederla ancora come un bambino e a non arrendermi al tempo che passa inesorabile, signori- emh, signor Wayne».
«Grazie», per poco non gli sfuggì un sorriso, ma solo per poco. «Sto bene, Alfred. Credo di essere solamente un po' stanco perché non dormo di nuovo bene, ultimamente».
«Si faccia preparare una rilassante tisana alle erbe, prima di sdraiarsi. Le farà bene; personalmente la prendo sempre appena prima di addormentarmi o rischio di non chiudere occhio», sorrise e Bruce lo ringraziò.
Non gli aveva accennato del pericolo che correva, non voleva far preoccupare Alfred e soprattutto non voleva che rinunciasse al suo viaggio: era la prima volta che incontrava il suo gruppo di amici di birdwatching del continente. Quell'uomo non prendeva mai una vacanza, non avrebbe potuto essere così egoista nei suoi confronti. E poi sarebbe rimasto via solo tre giorni, poteva sopravvivere.
Bussarono alla porta e diede l'ordine di entrare: vide uno dei nuovi membri del personale che trascinava dentro lo studio un carrello e il giovane deglutì, abbassando il volto fin quando l'uomo non gli porse una tazza e gli versò la tisana davanti ai suoi occhi e a mezzo schermo di Skype. «Come vedi, la tisana è già qui», disse allo schermo, prendendo la tazzina. Ringraziò l'uomo e lasciò che trascinasse di nuovo fuori il carrello.
«Mi sono premurato di lasciare dei consigli allo staff in mia assenza, in modo da non farle mancare nulla, signorino- mi scusi, signor Wayne. Mi ci vorrà qualche tempo», aggiunse subito. «E adesso la lascio, così riposa. Buona continuazione».
«Buona giornata, Alfred». Alzò la tazza e sembrò lì per berla ma, appena la chiamata staccò, la rimise sopra il sottobicchiere in argento, abbassando lo schermo. Avrebbe voluto seguire il consiglio ma non si sentiva ancora così disperato da bere quella roba, così guardò l'ora e si accoccolò sul divano, riprendendo la sua partita a Candy Crush.

In realtà, Lena e Kara non erano del tutto sicure che ci sarebbero riuscite: l'idea di sbloccare quella situazione era venuta in mente a Kara quando Lena le aveva raccontato di come Bruce Wayne fosse certo che qualcuno stesse tentando di ucciderlo. Ed era un'idea sciocca, o così le aveva detto Selina quando l'aveva chiamata per sentire se voleva partecipare al grande piano. Da quel momento lo aveva seguito, ma le era sembrato tutto nella norma.
So chi vuole ucciderlo. Le aveva scritto per messaggio. Io. È noioso: le scimmie di mare che allevavo a dieci anni hanno fatto una vita più interessante della sua! Sono stanca di star dietro a un boy scout ricco.
Ma a Lena l'idea era piaciuta così tanto che era stata lei a convincere Bruce Wayne a farsi aiutare.
«No, Luthor», aveva provato a declinare per telefono. «Non voglio che vi mettiate in mezzo. È una cosa di cui mi occuperò da solo».
«Uh, dunque tu puoi chiedere a una persona di mentirmi perché hai arbitrariamente deciso che fosse il meglio per me, ma io non posso aiutarti chiedendotelo?», la voce si era fatta dura. «Non ti permetterò di crogiolarti nell'autocommiserazione come un cavaliere solitario. Abbiamo deciso, Wayne».
Lo aveva sentito sbuffare. «Tu e chi altro?».
«Ti farò sapere».
Non era della stessa opinione Alex, che sapevano sarebbe stata impegnata e non volevano altro da lei se non consigli. E quelli erano arrivati di certo:
«Lasciate fare alla polizia», aveva strabuzzato gli occhi. «Se fosse davvero in pericolo, secondo voi non si sarebbe già riempito l'aria di guardie del corpo?».
«Non sai com'è fatto», aveva ansimato Lena.
«E non si può esattamente contare sulla polizia, a Gotham», aveva fatto una smorfia Kara.
«Leggete anche voi i giornali, ogni tanto? Esce quasi ogni sera con una nuova ragazza, non mi sembra in pericolo di vita», aveva ribattuto Alex. «Il vero unico consiglio che posso darvi è: lasciate perdere».
In quei giorni era particolarmente su di giri poiché quella povera di Faora Hui si era appena risvegliata dal coma e stava lavorando per farle ottenere una scorta dal D.A.O., quindi non diedero peso a come avesse trattato la cosa con superficialità. Bruce Wayne usciva ogni sera per crearsi una routine e dare modo ai suoi aggressori di costruire un piano d'attacco mentre lui si teneva pronto: era stata Kara a capirlo secondo ciò che le aveva raccontato Selina Kyle da quando aveva iniziato a seguirlo, non che si fosse confidato, di sicuro. Ma il suo piano si basava completamente sulla fiducia in se stesso. Ed erano contente di sapere che il giovane non mancava di autostima però, senza qualcuno ad aiutarlo, poteva rivelarsi molto rischioso giocare al bersaglio in quel modo. Loro avrebbero costruito le condizioni adatte per farsi sorprendere, ma sarebbero state anche pronte a intervenire. O almeno speravano, imprevisti permettendo.
In primo luogo, si erano fatte descrivere perché era convinto che qualcuno volesse ucciderlo. In secondo, si erano fatte dire chi e quali luoghi frequentasse abitualmente. In terzo, si erano fatte dare di nuovo nomi e luoghi da Selina Kyle per essere sicure. Quell'avventura a Gotham sarebbe stata una buona distrazione dall'imminente scarcerazione di Astra Inze e dall'assassinio di Lionel Luthor ancora avvolto nel mistero.
E ora si trovavano finalmente lì, a poco dall'obiettivo.
A Gotham City il cielo era più scuro, colmo di nuvoloni e nebbia che sembrava costantemente portatrice di sfortuna. Il pilota ci mise non poco a trovare il modo di atterrare e, quando aprirono il portello per scendere, dovettero tutte fermarsi per indossare una giacchetta. Bruce Wayne era là, a metri da loro sul tetto della Wayne Enterprises, che le aspettava.
«Quale strega cattiva ha maledetto Gotham?», brontolò Siobhan reggendosi le braccia per il freddo, mentre raggiungevano il giovane.
«Dunque volete farlo per davvero», esclamò lui, forse ancora sorpreso.
«Dubbi?», domandò Lena, scambiando uno sguardo complice con Kara.
Siobhan si presentò da sola prima che Kara potesse farlo e lasciarono il tetto. Bruce, per mano a Lena come indicava il loro piano, fece fare un giro panoramico all'interno alle ospiti, ricevendo non poche occhiate e strette di mano. Erano molti i dipendenti eccitati che correvano a salutarla. Kara era quasi sollevata di non essere al centro dell'attenzione per una volta, se non che quella stessa attenzione era rivolta alla sua ragazza che doveva fingere di uscire con un altro. E, all'improvviso, erano di nuovo solo sorellastre.
«Dunque la tua sorellastra, con cui stai insieme, deve far finta di stare insieme al rampollo», Siobhan indicò una e poi l'altro, parlando a bassa voce, dietro di loro, «e di essere semplicemente la tua sorellastra?».
«Precisamente», rispose a denti stretti, annuendo a stento.
«E in questo bel quadretto di famiglia, io chi dovrei rappresentare? Cosa ci faccio qui?».
«Me lo stavo chiedendo anch'io; precisamente».
Furono interrotte da alcuni soci del giovane Wayne che vennero anche loro a salutare e conoscere Lena Luthor: sguardi felici, arrossati, denti bianchissimi e sorrisi pieni di finta gioa che non potevano passare, a un occhio attento, per qualcosa di diverso. Lena e Bruce presentarono Kara come sorellastra della ragazza e Siobhan come amica e collega di quest'ultima, facendola ghiacciare: amica, in effetti, era davvero un parolone e fece sghignazzare Kara. Non mancarono di fare loro domande sul loro possibile fidanzamento, da quanto tempo si stessero frequentando, se intendevano fare sul serio e alcuni di loro già prevedevano una fusione futura tra la Wayne Enterprises e la Luthor Corp. Correvano più veloci di quanto avrebbero fatto loro se la cosa fosse stata reale.
«Il nostro piccolo Wayne potrebbe essere una nuova brillante aggiunta per la Luthor Corp», disse a un certo punto uno di loro sorridendo da orecchio a orecchio, tenendo le mani cicciotte nelle tasche dei pantaloni. Voleva sbarazzarsene? «Lex Luthor dovrà cominciare a tremare», rise e fece ridere con lui tutto il gruppo, mentre tra loro si scambiavano uno sguardo impacciato.
«La stessa Lena dovrebbe, vorrai dire»: Bruce parlò sopra le loro risate, interrompendoli. «Lena prenderà il comando della Luthor Corp di National City per le sue capacità, non perché è stata adottata. Avrebbe dura concorrenza dal suo stesso… mh, ragazzo?» sorrise e guardò lei che sorrise a sua volta, stringendo più forte il suo braccio.
Smisero di ridere poco a poco, guardandosi. «Ma ovviamente», rispose l'uomo facendo l'occhiolino alla Luthor, appiattendo la cravatta rosa lungo la rotondità del suo pancione. «Non volevo dire che… Anche una donna può tremare per questo», sottolineò la parola riprendendo a ridere, contagiando qualche altro.
«Beh, è tempo che questo piccolo Wayne venga via con me, adesso. È stato un piacere. Ma ve lo riporterò intero per domattina, non temete», rise, «La Luthor Corp non ha intenzione di sottrarlo ai suoi obblighi per la Wayne Enterprises».
A quel punto il suo sorriso sembrò farsi tiepido, intanto che altri li salutavano con altre strette di mano e baci di convenienza. Diedero loro le congratulazioni e, mettendosi a parlottare, li lasciarono. Avevano tempo prima dell'appuntamento vero e proprio: era il momento di mettersi in mostra in giro per Gotham, e per dividersi.
Kara e Siobhan li salutarono e lasciarono soli a bere in un localino. La prima e Lena si erano scambiate una lunga occhiata prima di separarsi, sapendo di non potersi lasciar andare ad alcuna effusione.
Da L! a Me
Mi manchi già.
Kara sorrise e arrossì, leggendo il messaggio.
«Lena Luthor?», domandò Siobhan, camminando a fianco a lei sul marciapiede. «Davvero? Oh cielo, vi siete lasciate neanche un minuto fa», borbottò con una smorfia di disgusto mentre Kara continuava a sorridere, digitando la risposta. «Siete delle adolescenti in preda agli ormoni, forse? Ehilà? Terra chiama Kara Danvers! Nulla?», annuì, stringendo le labbra, «Nulla. Oh, bene, ho sempre pensato fossi infantile, Danvers, te lo devo dire, ma Lena Luthor…».
Siobhan strabuzzò gli occhi e Kara finalmente sollevò i suoi dallo schermo del cellulare. «Stai parlando con me?».
Si fermò così anche l'altra. «Stai scherzando?».
«Che cosa?».
«Uff», gonfiò le guance. «Cammina».
«No, davvero, cosa stavi dicendo?», scrollò le spalle e la raggiunse ma si fermò di nuovo, improvvisamente, nel ritrovarsi davanti ai propri passi una ragazza intenta a sistemare molto velocemente un piccolo quadernetto di appunti. Quasi non guardava dove andava. Dietro di lei un'altra ragazza, e un ragazzo, un altro dietro trascinava una videocamera, e un altro ancora una fotocamera, pulendo l'obiettivo. Lei e Siobhan si portarono a un lato del marciapiede per farli passare e Kara si nascose il viso con una mano, abbassandosi il giusto.
«Sono qui per loro?».
Annuì, rivolgendole uno sguardo. «Il piano sta funzionando: abbiamo attirato l'attenzione. Vieni, dobbiamo incontrare una persona». Se ricordava bene la strada, dovevano esserci quasi. Oh, quello era il parchetto dei bimbi rovinato e abbandonato, più in là c'erano delle aiuole e dei robusti alberi, e un capannone in disuso, ciò che cercava. Le inviò un messaggio per dirle che era arrivata e si avvicinarono.
«Quindi? Chi stiamo aspettando qui?», chiese Siobhan, una smorfia di disapprovazione perenne nello sguardo. «Non so tu, ma io sento odore di pipì e uova. O uova e basta. Uova marce che sanno di pipì. Gotham è pulita quanto i bagni alla stazione di servizio dopo il passaggio di motociclisti ubriachi», sbottò e l'altra la guardò. «Cosa c'è?», arrossì, «Non ho sempre fatto la reporter, sai?».
«Okay… ma non dire questa cosa dell'odore davanti a lei», strinse i denti.
Siobhan stava per ribattere che, inaspettato, qualcosa cadde in mezzo a loro in picchiata e lei si sbalzò talmente indietro dallo spavento che, urlando, inciampò in un'aiuola e finì sopra a un cespuglio.
«Dirmi cosa?». Selina Kyle si rimise dritta con la schiena e si voltò per aiutare la poverina caduta all'indietro, mentre Kara fermava a stento le risa, andando anche lei in suo soccorso.
«Ma sei un puma o ti credi un Fantasma dell'Opera in incognito?», gridò Siobhan e, mentre agitava le braccia, dietro di lei, rossa fino a scoppiare, Kara non riusciva più a trattenersi.
«Calmati , non è-».
«Non dirmi di calmarmi». Guardò in alto, cercando di capire la dinamica per cui era sopra un tronco e poi era scesa come se niente fosse.
Selina allora scrollò le spalle. «Mi sto allenando. Faccio parkour. Piacere, Selina. Selina Kyle». Le porse una mano ma Siobhan fissò lo sporco di terriccio sul palmo e i polpastrelli, irrigidendo le labbra.
«Sì. Siobhan Smythe. Come se ti avessi toccato, scusa, ho la fobia».
Kara finalmente scoppiò a ridere di colpo e Siobhan si irrigidì. «Hai il sedere pieno di foglie», indicò nascondendo il sorriso e lei sbiancò, provvedendo subito a pulirsi, imbarazzata, e dopo passandosi il gel igienizzante nelle mani. Pensò di offrirlo a Selina ma lei, dopo aver rifiutato, se le spolverò battendo i palmi.
«Niente di nuovo», mormorò poco più tardi, sedute sopra una panchina di pietra nel parchetto; Siobhan non faceva che riguardarsi intorno e odorare nell'aria come un animale. Selina tirò fuori il suo cellulare e sfogliò la galleria con le foto che aveva scattato in quei giorni seguendo Bruce Wayne. «Tizi che lavorano con lui; non mi sono potuta avvicinare per fotografarli meglio e nemmeno tutti», specificò, mostrando una foto con un gruppo di persone distanti, oltre un cancello. «Ho notato che lo guardano con insistenza quando lui è distratto. E gli parlano dietro, è certo. Alcuni di loro fumano e li ho beccati fuori a prenderlo in giro. Ridevano. Non mi sono potuta avvicinare neppure lì, peccato».
«Questo lo conosco», Kara indicò il viso gonfio e incredibilmente rosa dell'uomo che sembrasse non vedere l'ora di sbarazzarsi di Wayne e che amava fare battute ridicole.
«A lui piace molto prenderlo per i fondelli, solo alle spalle», confidò, alzando lo sguardo dal cellulare. «Mi sono avvicinata appostandomi dietro il cancello, quando era abbastanza vicino: gli piace trattarlo come se fosse ancora un poppante e non lo vuole in mezzo alle cose da grandi. Gira una brutta aria, ma a parte questo, non mi sembra così grave da minaccia di morte». Cambiò foto e ancora, svelta e a disagio, quando si imbatté in quelle scattate proprio a Bruce Wayne. «Ignorale», disse ridacchiando, «Mi sembrava strano, qui, per quello ho fotografato anche lui. E… ignora anche lei», aggiunse con disappunto, passando una, due, quattro, sette, undici foto del faccione di Harley che faceva le boccacce. «Non mi sono accorta prima di questi selfie…», dichiarò imbarazzata.
«Avete stilato dei profili per ognuna di queste persone?», domandò Siobhan, facendosi finalmente interessata. «Escludendo lei… mi pare chiaro», indicò la dodicesima foto di Harley, con l'occhiolino.
«Lena ed io abbiamo letto su di loro, ci ha aiutate In… un'amica», Kara si zittì. «A-Abbiamo fatto una ricerca in rete, ma non hanno nemmeno una multa non pagata. Sono solo ricchi e antipatici», ansimò.
«Tanto per cambiare», sghignazzò Selina. «Magari le multe non pagate se le sono fatte sparire dagli amichetti nei posti giusti. È così che fanno i ricchi». Sfogliò rapidamente altre foto di Harley promettendo che le avrebbe cancellate tutte e si fermò su altri scatti interessanti. «Sono persone che ogni giorno hanno a che fare con lui: l'autista, il clochard che soggiorna vicino a un bar dove prende il cappuccino, le persone che lavorano nel bar, un cliente abituale con cui scambia qualche parola, e- no, eddai, basta», brontolò, ritrovando l'ennesima foto di Harley. Nella foto successiva aveva ripreso per metà la sua faccia e, in primo piano dietro di lei, il sedere di Ivy sotto una gonna attillata, quando era inchinata. In quella dopo ancora erano insieme e sorridevano abbracciate. Poi si baciavano. In un'altra le facevano la linguaccia. «Secondo te è perché sono in cerca di attenzioni? Pensi che non le prenda abbastanza in considerazione?», sbuffò appoggiando il mento contro il palmo di una mano, mandando avanti l'ennesima foto in cui entrambe si sollevavano il naso, allargando le narici.
«Forse è una richiesta di aiuto», rifletté Kara.
«Sì, potrebbe. Non c'è altra spiegazione».
«No, non c'è», continuò annuendo mentre Siobhan, sempre più infreddolita, iniziò a camminare intorno alla panchina su cui erano sedute, sperando di scaldarsi.
«Queste, invece, sono del personale a villa Wayne», ritrovò le foto giuste e cercò di zoomare sui loro volti sfocati. «Anche qui non ho potuto avvicinarmi molto. Sono passata oltre il cancello, anche se alto non è stato difficile, ma questi tizi e tizie escono raramente fuori e non lo fanno nemmeno tutti. Non fumano, quindi…», allargò le spalle.
«Ti sono sembrati strani? Qualche comportamento particolare?».
Selina annuì, con disinvoltura. «Sì, questa tizia», indicò una donna bassa dietro le foglie di un albero, «Lei ha una relazione con quest'altro», sfogliò due foto indietro, indicando un ragazzo alto. «Si baciano sotto il pesco quando non li vede nessuno, si danno appuntamento», guardò Kara e fece spallucce, «ma non credo che una relazione nascosta sia pericolosa per Wayne. Oh, e quest'altro». Indicò un uomo più grande. «Raccoglie foglie, credo ne faccia una collezione. Ma anche questo non sembra pericoloso per Wayne… E quest'altro, questo». Indicò infine un altro uomo, più anziano. «Questo tizio se n'è andato questa mattina e non è più tornato. Mi è sembrato di capire sia il capo del personale», gonfiò le guance, pensando, «Forse è andato in vacanza, aveva una macchina fotografica appesa al collo e una valigia. Quindi… non mi sembra-».
«Pericoloso per Wayne», finì per lei.
«Se qualcuno è pericoloso o no per Wayne lo possiamo stabilire mentre ci incamminiamo da qualche parte?», sbottò Siobhan d'un tratto, stringendo le braccia contro il petto. «Ho freddo e si sta mettendo vento».
«Perché ti sei messa una minigonna se hai freddo?», domandò Selina in una bassa risata, ma Siobhan la ignorò, ricominciando a passeggiare intorno a loro. «Ma dove l'hai pescata questa tipa?», continuò a ridere.
Kara sbuffò, dando una nuova occhiata alle foto. «Lasciamo perdere, per il momento. Speriamo che salti fuori qualcuno oggi che siamo qui o dovremo piazzare una nuova trappola», sfogliò ancora la galleria e sorrise, richiamando l'attenzione di Selina.
«Questo è troppo», aggrottò la fronte lei: nelle altre foto era lei la protagonista e stava dormendo seduta con le braccia incrociate su un banco e prima Harley finge di abbracciarla con espressione estasiata, dopo le mette sulla testa un foglio con su disegnato un fumetto e la scritta io puzzo; in quella successiva era Ivy a tenere un cartello con su disegnato un balloon e la scritta Bruce Wayne accanto a un cuore. «Io le ammazzo».
«Adesso ce ne possiamo andare? Per favore?».
Si alzarono, ma solo dopo essersi fatte due selfie per i loro rispettivi account Instragram e facendo gridare Siobhan per l'esasperazione. Decisero di portarla a casa di Ivy, dove si era trasferita da poco. Si erano dirette in centro, camminando velocemente nelle vie che puzzavano di fritto e di carne bruciata. Si fermarono solo perché Selina salutasse un gruppo di ragazzi e dopo percorsero una stradina in mezzo a due palazzi, iniziando a salire su per una scala antincendio. Siobhan non mancò di farsi risentire presto:
«Dobbiamo davvero passare per questo ricettacolo di batteri? Anche i miei sandali si ammalano a contatto con questi scalini appiccicosi».
Kara era decisa a starsi zitta e ignorarla, ma Selina Kyle non fu dello stesso avviso e, qualche scalino più su, si voltò bruscamente, seccata. «Senti, principessa, le cose che puoi fare adesso sono due: o attraversi con noi questo ricettacolo di batteri e dai ai tuoi preziosi sandali un antibiotico, oppure resti qui fuori a far prendere freddo al tuo delicato sedere principesco. Ci siamo intese?», sorrise e riprese ad andare, mentre Kara si girava indietro; forse doveva essersi sentita in colpa per averla portata con lei a Gotham. Dopotutto la loro non era una gita di piacere, avevano un piano da portare avanti e lei, lì, era di troppo. Ma non avrebbe voluto che si sentisse in quel modo, non voleva che fosse di nuovo triste.
«Dammi la mano, dai», le allungò la mano destra, che Siobhan adocchiò con titubanza. «Così non devi toccare le inferriate». Allora gliela prese e strinse forte, mentre Kara la faceva passare avanti.
Stava per fare un passo che si voltò di scatto: «Se ne parli a qualcuno», sollevò le loro mani unite, «sei morta, Danvers».
«Non c'è di che», rispose, sorridendo appena. Alzò gli occhi al cielo quando ripresero a salire.
Passarono attraverso una finestra lasciata aperta e sia Kara che Siobhan spalancarono la bocca entrando all'interno di una spaziosa camera piena di vasi con piante e fiori. Ce n'erano davvero di tutti i tipi: grossi, piccoli, alti, piantine adagiate sotto l'altra finestra, colorati, senza fiori, con foglie larghe e sottili, spessi, con spine e senza; sembrava di essere entrate in un giardino botanico al chiuso e Siobhan si grattò sotto il collo ancor prima che una zanzara potesse pungerla. Kara sapeva che a Pamela Isley piacevano le piante, ma quello… Oh, c'era anche qualche scatolone impilato, più a fondo: davanti a tutto quel verde, sembrava più incredibile vedere un elemento del genere. Selina si raccomandò loro di stare attente a dove avrebbero messo i piedi, aggiungendo che, una volta sistemato, quello sarebbe diventato un salotto.
«Un comune salotto a Jumanji», bisbigliò Siobhan guardando in basso e Kara sorrise.
Sorpassarono i vasi e uscirono dalla sala, incrociando Ivy con in braccio una pila di libri. «Ehi, ragazze! Che bello, le prime ospiti! Sono emozionata». I capelli rossi erano raccolti con una pinza sulla nuca e indossava una tuta verde da ginnastica, una gamba del pantalone su e l'altra scesa, camminando con le sole calze antiscivolo ai piedi.
«E io chi dovrei essere?», sbottò Selina.
«Tu fai parte della famiglia».
«Fai poco la carina: ho visto le foto in galleria», Selina non mancò di guardarla truce e Ivy sorrise.
«Ops». Riprese a camminare nel corridoio, accanto ad altre piante in vaso. «Statemi dietro. Harley sta sistemando la libreria in camera da letto. E chi è la ragazza nuova? Carne fresca?».
«Come, prego?».
«Shh», Kara fece segno di non replicare, «Le piace scherzare».
Anche la camera da letto era spaziosa, ma soprattutto luminosa: le due finestre erano spalancate e da quel lato non c'erano palazzi abbastanza alti da oscurare il panorama urbano di Gotham City. Kara presentò Siobhan come sua collega alla CatCo e, quando Ivy adagiò i libri che aveva sottobraccio sul pavimento, le strinse una mano, guardandola attentamente negli occhi com'era solita fare. Harley si alzò da terra dove stava sistemando i libri nell'ultimo ripiano di una libreria e scansò la compagna per stringerle anche lei la mano e presentarsi.
Lena non le aveva fatto inviato altro, ma Kara sapeva che, a quest'ora, lei e Bruce sarebbero andati a cena. Fino a quando erano insieme era probabile non sarebbe successo niente, pensò, o l'eventuale assassino avrebbe già avanzato un'offesa durante le sue cene precedenti con altre ragazze. Però, ammetteva, un po' di ansia la provava lo stesso: e se Lena fosse stata in pericolo a restare con lui? Sbuffò e si sedette sul materasso appoggiato a terra, senza doghe. Siobhan la imitò e, rigida come uno stecco da gelato, quasi cadde all'indietro.
«E i tuoi si sono decisi?».
Kara si distrasse, ascoltando Selina che parlava con Harley nel frattempo che Ivy era sparita per andare a prendere altri libri.
«Ti trasferisci qui?».
«Beh, non ancora…», scrollò le spalle, mettendo su uno sguardo avvilito. «Non voglio litigare con loro ma non sono maggiorenne dall'altro ieri, quindi aspetterò ancora un pochino per vedere se cambiano idea».
«Altrimenti?».
«Altrimenti scappo di casa. Non sono loro prigioniera», rise fin quando non si accorse di aver messo i libri di mezza fila al contrario, «Oh, no», ricominciando daccapo.
Kara la guardò con un'aria interrogativa e scese dal materasso per aiutarla, intanto che Selina decise di spiegarle come i genitori di Harley non vedessero di buon occhio la relazione tra lei ed Ivy, preoccupati per lei e la sua salute da quando era uscita da quella con il suo ex. Kara guardò l'altra con la coda dell'occhio fin quando non si voltò per sorriderle:
«Lascia stare, lo so cosa pensi. E cosa pensano loro, cioè che sono matta, ma io non sono matta, o non più matta di loro, almeno: dormono con le calze ai piedi», sottolineò. Sentì addosso lo sguardo stranito di Siobhan e si voltò in fretta per sorriderle. «Sono solo eccentrica perché mi piace ridere e sono pazzamente innamorata».
Selina si alzò di fretta. «Ben detto. Beh, adesso devo andare». Andò a scombussolare i capelli di Harley raccolti in alto. «Ho visto la galleria del telefono e me la paghi».
L'altra rise a squarcia gola. «Ti sono piaciute, lo so».
Scambiò uno sguardo con Kara una volta raggiunta la porta e fatto passare Ivy. «Ti aggiorno se c'è qualcosa di diverso, Supergirl».
Annuì. Sapeva che stava andando a tenerli d'occhio e presto sarebbe andata anche lei.
Selina uscì salutando tutte e Siobhan prese il rimbalzo per alzarsi, chiedendo dove fosse il bagno.
«Oh, non è difficile», rispose dolcemente Ivy, «esci di qui e giri a destra, la porta davanti».
Uscì dalla camera borbottando: «Spero di non dover contendere il wc con Bagheera».

Era stato Bruce a scegliere il locale della cena: era la seconda volta che ci andava e la prima ne era rimasto talmente entusiasta che portare lì Lena Luthor lo rendeva orgoglioso. Ancor prima di sedere al tavolino prenotato, le elencò già tutti i piatti che le consigliava. La sala era era piena di tavoli vuoti, prenotati tutti in modo da avere più privacy; una bella facciata per il grande bluff. I giornalisti e i blogger scattavano foto attraverso le vetrate del locale e loro fecero finta di niente, sorridendo al sommelier quando portò loro il vino scelto anche secondo le sue indicazioni.
«A dispetto di questo bislacco tentativo per far uscire allo scoperto chi tenta alla mia vita, sono contento di poter cenare fuori con te», le sorrise, alzando il bicchiere col vino bianco prima di assaggiarne un sorso. «E sei bellissima, stasera».
Lena sorrise di rimando, assaggiando un sorso a sua volta. Si era cambiata prima di andare a cena, indossando un lungo abito da sera, sul rosso granata, certamente più adatto all'occasione. «Lo dici a tutte le ragazze che cenano con te?», sorrise ed entrambi si fermarono, scambiandosi un'occhiata, quando il primo chef portò a tavola il primo a base di pesce, augurando loro buon appetito.
«A qualcuna sì», confessò. «È buona educazione e mi piace pensare di essere un gentiluomo. Ma tu mi fai restare senza fiato, Lena… L'educazione mi impone di dirlo, ma per quanto riguarda te è pura verità».
«Allora… grazie», arrossì. «Abbiamo una teoria», riprese la sua attenzione mentre assaggiavano il loro piatto, gustando il sapore a occhi chiusi. Si sentivano osservati, ma era quello che speravano di ottenere. «Uscivi con quelle ragazze per creare una tua routine e prepararti a qualsiasi cosa?».
Lui sorrise. «Mi avete scoperto. Per inciso, le ragazze sapevano fin da subito che le cene erano in amicizia. Un po' come la nostra».
«Non proprio come la nostra».
Lui finì di ingoiare, riportando alle labbra il bicchiere. «Si sono divertite e ci hanno guadagnato dei like su Instagram», poggiò il bicchiere. «Non mi interessa cosa dicono i giornali, lasciano il tempo che trovano. Ora come ora, non è importante. Alfred non è concorde, ma…».
«Alfred?».
«Il mio maggiordomo», si affrettò a spiegare. «Vorrebbe che mettessi la testa a posto, che trovassi la donna da avere al mio fianco per più di una sera. Ma trovare quella giusta non credo sia così semplice», ridacchiò. «Per uscire una sera non ci vogliono chissà quali standard, ma per la vita… Oh», sospirò, «A parlare così, mi sembra di essere lui. E tu cosa ne pensi, Lena?», le scoccò un'occhiata. «La ricerca della persona giusta mi è sempre sembrata un po' come il mito di Babbo Natale: incanta i bambini ma, quando cresci, ti accorgi che era solo fantasia», proseguì, indugiando a lungo su un boccone.
Disilluso: Lena conosceva quella espressione e quei sentimenti. Li conosceva molto bene. «Io spero sia reale», spezzò il silenzio che si era creato e Bruce le alzò di nuovo gli occhi, incuriosito.
«Sono impegnata. Ho trovato… la mia persona giusta».
«Oh, non ne me ne avevi parlato. Beh, immagino che la percezione cambi quando si è innamorati», poggiò la forchetta, complimentandosi a bassa voce con lo chef. «Ed era d'accordo con questa cena?», domandò poco dopo, passandosi il fazzoletto di stoffa sulle labbra. «Spero di non imbattermi in un ragazzo furioso dalla gelosia, perché i giornali», si voltò verso la vetrina più vicino, «non parleranno d'altro almeno per un po'».
Lena abbozzò una risata, scuotendo un poco la testa e arrossendo. «Un po' gelosa lo è, ma… la tengo a bada», scherzò. «In realtà l'idea è stata sua quando le ho raccontato che qualcuno voleva ucciderti, anche se non la cena, quella è stata una mia idea», sorrise di nuovo quando lo vide aggrottare la fronte, cercando di capire. «È una ragazza, Bruce. Ed è venuta con me, oggi».
Lui spalancò le labbra dalla sorpresa. «Non sembrava che… Bene. Ed è in carriera. Spero si sia ripresa bene per ciò che è successo, prima non mi sembrava una cosa carina da ricordarle, ma-», si bloccò, quando la vide accigliarsi. «La reporter della CatCo, giusto? Quella Siobhan Smythe?».
«Oh no, no, no, no», scosse la testa, iniziando a gesticolare, «Mi ero dimenticata- no! Intendo Kara».
«Kara? Ma è la tua-», vide Lena annuire, distogliendo lo sguardo con un sospiro. «Bene. Sono felice per voi, allora. L'aveva esclusa perché, sai, tua madre e sua madre…», sorrise, «Solo non avevo capito che tu… Che insomma, tu», aggrottò la fronte di nuovo, imbarazzato.
«Mi piacciono le donne», prese una piccola pausa, vedendolo annuire. «Non è una cosa pubblica, al momento».
«Non preoccuparti». Si sporse per versarle altro vino e lo versò dopo al suo bicchiere, guardando con la coda dell'occhio i fotografi che non accennavano a placarsi, scattando da diverse angolazioni. Il suo aspirante assassino poteva perfino essere uno di loro, pensò. Deglutì. Era stata una grande idea quella di farsi avvistare in pieno giorno a bere qualcosa, in questo modo chi tentava alla sua vita avrebbe scoperto il locale nello stesso istante in cui lo avrebbero fatto i reporter che, ovviamente, avrebbero dato aggiornamenti su di loro in diretta. Non avrebbe avuto il tempo di entrare nella troupe del ristorante e avvelenare il suo cibo, ci avevano pensato; anche per questa ragione ne sceglieva uno nuovo ogni sera. L'assassino e il suo committente potevano essere chiunque e ovunque; dovevano tenere alta la guardia.
«Hai qualche idea?», domandò lei dopo che il primo chef portò a tavola il secondo. «Su chi possa volerti morto?».
Bruce abbozzò una risata. «Ti sarà difficile crederlo, ma non sono apprezzato da tutti».
«E chi lo è?».
«Da bambino, ho visto i miei genitori morire davanti ai miei occhi. Un balordo li ha sparati durante una rapina, in un vicolo, uscendo dal cinema. Da quel momento, diventai il bambino di troppo per molti», si appoggiò contro lo schienale della sedia, puntando i suoi occhi sul tavolo dove giocava con due dita a piegare un fazzoletto di stoffa. «Essere figlio dei miei genitori mi rendeva un bambino amato ma, una volta che loro non c'erano più, sono diventato discendente di un'eredità troppo grande e troppo complessa per la mia giovane età; tante persone si sono offerte di dare una mano, sono stato messo da una parte, costretto a vendere fette del mio patrimonio se volevo che la Wayne Enterprises avesse un futuro. Alfred mi è stato accanto, mi ha cresciuto come un figlio e ha cercato di darmi il meglio e il meglio dell'educazione per poter riprendere un giorno tutto ciò che mi spetta come Wayne, ma», si fermò per riprendere fiato, «chi fino a questo momento si è occupato di tutto alle mie spalle, non è felice del mio nuovo ruolo in questo ambiente. È difficile, Lena…», sospirò. «Penso che a volermi morto possa essere chiunque qui a Gotham», si lasciò andare a uno spento sorriso e Lena ansimò, lasciando la forchetta sul piatto. «Senza dimenticare…».
«Parlami di loro», lo fissò, «Come ti hanno contattato? Quando? Chi?».
«Un'email al mio account. Lo uso per lavoro, è pubblico, ma non mi aspettavo…», sospirò, scuotendo un poco la testa, «Non mi aspettavo affatto niente del genere». Prese il cellulare e cercò ciò che gli interessava, passandolo alla ragazza. Sentirono addosso i flash delle fotocamere.
Lena lesse con attenzione, portandosi una mano contro la bocca. «Vogliono collaborare… È incredibile».
«L'organizzazione è sicura che mi riprenderò l'intero patrimonio di famiglia e vogliono aprirsi la strada a progetti futuri insieme», si riprese il telefono. «Sarebbero anche disposti ad aiutarmi, qual premura».
«Vogliono espandersi».
«Probabilmente», annuì il giovane. «Stanno riprendendo potere e immagino vogliano assicurarsi sbocchi fuori da National City. Un'email simile è stata inviata a Oliver Queen e a chissà chi altro».
«Vogliono ricostruirsi una rete».
«Se hanno inviato qualcuno a spaventarmi per spingermi ad accettare la loro proposta, non mi stupirebbe».
Se ne restarono in silenzio quando arrivò il dessert. Ma era ovvio come entrambi stessero macinando nuove idee e approfondendo il discorso per conto proprio, non per niente, Bruce non tardò a spezzare quella calma apparente:
«Che cosa sai di questa gente, Lena? Non ti hanno contattato come è successo a me, giusto?».
«No. No e non so se… Sto cercando di smascherarli, Bruce», lo fissò negli occhi. «Ho nomi, alcune piste, non sono la sola e-».
Lui la interruppe, dopo aver ingoiato: «Lo fai per tuo padre?».
«Sì. Anche», annuì decisa. «Voglio arrivare a chi lo ha ucciso. So che mio padre stava cercando di fare esattamente lo stesso, di raccogliere dati per incastrali e smontare l'organizzazione, ma non è riuscito in tempo e voglio portare al compimento ciò che lui ha iniziato».
«Mi dispiace di aver cercato di ostacolarti… Devi comprendere il mio punto di vista, Lena: ho perso i miei genitori anch'io e crescendo ho compreso l'importanza di custodire ricordi sereni e le belle cose di loro. Non volevo che scoprissi brutte cose su tuo padre perché», sospirò, sorridendo, «non vorrei che lo odiassi. Non fraintendermi: non per lui, ma per te. Non meriti di stare male, ma di ricordarlo come l'uomo che era quando eri bambina». Lena si perse nei suoi occhi, trattenendo il fiato. «Non sai quanto darei per avere altri ricordi felici da custodire sui miei genitori».
E in un attimo, Bruce non c'era più. Lena era tornata indietro: aveva un piatto pieno davanti, sul tavolo, ma non ricordava cosa c'era e sapeva solo che non voleva mangiarlo. Si sentiva stanca e triste. Suo padre era seduto davanti e leggeva un giornale: aveva la barba ruvida, gli occhi sottili, i capelli leggermente spettinati.
«Lena? Non stai mangiando», si era imbronciato. «Devi finire tutto».
Lei si era tenuta la pancia e guardato un punto distante. «Non voglio farla arrabbiare, però…». La sua voce era bassa, impastata.
«E allora provaci, su». Si era alzato e seduto sulla sedia accanto a lei, composto. Aveva preso la forchetta e provato ad imboccarla, ma lei aveva serrato le labbra. «Lena… Se non mangi, non diventerai grande. Facciamo in questo modo: un boccone tu e un boccone io fin quando non finisce il piatto. Non lo diremo a Lillian, sarà il nostro segreto», aveva aggiunto in fretta, quando la piccola si era sporta di nuovo per guardare. «Inizio io». Si era messo il boccone tra i denti e la faccia nauseata non si era fatta attendere. «Oh, ma è disgustoso», aveva tirato in fuori la lingua e Lena si era messa a ridere, «Faticheremo a finirlo tutto». Aveva preso un'altra forchettata e gliela aveva messa davanti alla bocca: Lena aveva subito strizzato gli occhietti, emettendo anche lei un verso schifato.
Avevano finito il piatto. Ricordava di non aver mangiato tutto quello che le spettava poiché non ce l'aveva fatta, ma suo padre si era spazzolato il resto e non aveva detto nulla a Lillian, come promesso.
Ma le cose non potevano essere così semplici. Forse era stato un buon padre per lei, ma era importante avere un quadro completo dell'uomo che l'aveva messa al mondo e non glielo aveva detto, fingendo di averla adottata come Lillian. Le aveva nascosto di essere la sua figlia biologica, le aveva nascosto di far parte di un'organizzazione criminale, le aveva nascosto che stava rischiando la vita per distruggerla. E così era morto. Gli voleva bene e sempre gliene avrebbe avuto, non sarebbe cambiato. Probabilmente no, non sarebbe cambiato.
«In qualunque caso», la voce di Bruce la riportò alla realtà e spalancò gli occhi. «Distruggere un'organizzazione come quella, che rinasce dalla propria cenere come una fenice», spiegò, serio, «è rischioso quanto difficile. Hai idea di cosa potrebbe succederti se ti scoprono? Scusa», chiuse gli occhi un attimo. «Tuo padre. Un'idea ce l'hai». Lena sembrava così rapita dai suoi pensieri, adesso. «Hai trovato la persona giusta con cui condividere la vita e vuoi rischiarla in questo modo? È una fortuna più unica che rara, Lena. Goditi tutto questo, è il mio consiglio», le sorrise, avvicinandosi al tavolo intanto che la fissava, quasi potesse leggerle la mente attraverso gli occhi lucidi. «Ci sarà tempo per fare gli eroi».

Kara se n'era andata da almeno mezzora e lei non sapeva cosa fare in quella casa piena di piante, umidità e insetti. La padrona di casa, quella Ivy, era uscita per comprare qualcosa da mettere in frigo, così disse, però per farlo si era vestita come una donna di facili costumi e non aveva fatto domande. L'aveva salutata con un sorriso raggiante e si era intrattenuta con quella che pareva essere la sua ragazza, per almeno sette minuti davanti alla porta. Sette minuti, accidenti, e aveva sentito rumori, cominciando a salirle il panico: si stavano baciando o esaminando l'esofago a vicenda? L'altra, tale Harley, si era addormenta proprio accanto a lei sul letto, all'improvviso, come se non esistessero regole di cos'era giusto o sbagliato fare con ospiti in casa. Aveva conosciuto persone di Gotham prima e avrebbe giurato non erano così. Oh, non avrebbe dovuto seguire Kara Danvers perché si sentiva sola, che stupida. Si stava approfittando di lei e della sua gentilezza? Non era una bambina, poteva rialzarsi anche se qualcuno non le teneva la mano. Forse. Forse no. A volte sentiva di farcela e di essere normale, quella di sempre, ma altre… altre aveva solo voglia di bere e scappare da non sapeva cosa. Forse aveva ragione Kara Danvers: non era più quella di prima. Se ci pensava, le saliva il panico perché lei amava la se stessa di prima. Non aveva mai avuto bisogno di nessuno, aveva creato un muro intorno a sé e aveva sempre potuto contare sulle sue sole forze, e ora si sentiva sola? Ma non poteva essere l'alcol il suo rimedio a tutto e dopo la notte prima… Aveva proposto a Kara Danvers una cosa che… che avrebbe tanto voluto dimenticare. E che le faceva senso. Forse. Scosse la testa, accigliandosi. Sperava se non altro che lo avesse dimenticato Kara. Che stupida, che stupida. Poi perché lei? Perché non c'era nessun altro? Era così disperata? Basta bere: aveva deciso. Avrebbe dovuto prendersi più cura di se stessa e… E qualcosa. Fare qualcosa per uscire da quel tunnel buio. Qualcosa di concreto, che… Si sollevò la maglia il tanto per controllare il cerotto sulla cicatrice e, come sentiva, si era sfortunatamente staccato da una parte e non aveva ricambi. E adesso come avrebbe fatto? Doveva aspettare il ritorno della tizia coi capelli rossi per sapere se aveva un cerotto da darle? Poteva controllare da sola. Siobhan si mosse per alzarsi dal letto, pian piano per non svegliare l'altra; mise forza sulle gambe e-
«Cosa hai fatto lì?».
Cadde di nuovo, reggendosi il petto dallo spavento. Schiaffeggiò la mano destra di Harley quando le alzò la maglia per controllare.
«È una cicatrice? Sembra proprio bella».
«Bella? Sei suonata? Ho rischiato la vita, mi hanno sparato», sbottò, urlandole nelle orecchie.
Harley non fece caso al suo temperamento e, con la maglia ancora sollevata, le strappò il cerotto, gettandolo indietro. «Beh, a me piace. Ha una bella forma e si vede che hai rischiato grosso», rise.
Ma Siobhan era paralizzata dalla paura: le aveva tolto il cerotto e non aveva altro, non aveva altro per proteggerla, era scoperta, come avrebbe fatto adesso? Si sentiva vulnerabile, e fine, e piccola. Provava freddo. Guardò la cicatrice come ipnotizzata, spalancando gli occhi, ascoltando i battiti del cuore accelerati. Le mancava la sua pelle liscia, lì. Le mancava qualcosa che, forse, andava al di là di questo.
Harley ci passò il dito e dopo il naso, odorando la parte interessata.
«Che stai facendo?», si tirò indietro disgustata.
«Cercavo di capire perché portavi quel cerotto: sembra pulita, chiusa. Sei strana».
«Non sono io quella strana», urlò.
Perché sentiva come se, con quel colpo, Philip Mcbrown non le avesse lasciato solo un segno esteriore? Sì, forse il suo corpo era meno bello con quella, ma c'era dell'altro, le aveva lasciato una cicatrice dentro, dal colpo mortale che le aveva inferto prima di sparare: sei superficiale, non hai niente di speciale, non mancherai a nessuno. Era così vero. Si toccò la cicatrice. Era così vero.
«Mi hai mostrato la tua, io ti mostro la mia», disse fiera Harley, alzando la maglietta. C'era una cicatrice in un fianco, sotto l'ombelico, quasi nello stesso punto in cui si trovava quella di Siobhan. Aveva la pelle piegata e rosa in un segno più lungo del suo; erano evidenti i punti di dove l'avevano ricucita.
Siobhan si incantò e le tremò la voce: «Come… Come ci stavi lasciando le penne?».
Harley rispose con una naturalezza disarmante: «È stato il mio ex».
«Il tuo ex? Saw l'Enigmista?».
Harley la fissò e, d'un tratto, non trattenne più una risata e Siobhan si lasciò contagiare, cadendo entrambe con la schiena sul materasso. «Mi piaci, ragazza strana abbandonata qui da Supergirl! Ma un enigmista proprio no, anzi, dirò che è stato piuttosto chiaro: voleva guardarmi negli occhi mentre mi accoltellava e scoprire se cambiavano. Ma non voleva uccidermi», specificò gonfiando gli occhi, «poi ha smesso».
«E sarei io quella strana?». Harley rise di nuovo e Siobhan con lei, scuotendo la testa. Stava ridendo, non credeva a se stessa: non le serviva bere per perdere la ragione.
Bruce abbassò gli occhi e Lena ansimò: era arrivato il momento che attendevano. Uno sguardo mal interpretato, un gesto di troppo e la ragazza si alzò bruscamente dalla sedia, urlandogli contro. La reazione del giovane fu immediata e indicò il tavolo dove avevano consumato da poco il dessert, gesticolando con pugni di rabbia.
«Adesso basta! Pago la mia parte del conto e me ne vado», urlò lei, facendo impallidire il cameriere più vicino.
«Devi per forza fare così? Questa scenata è necessaria?», controbatté Bruce. «È pieno di giornalisti, là fuori».
Lena si fermò il tempo di guardarlo un'ultima volta, stringendo le labbra con rimprovero. «Ci vediamo, Bruce».
Lei uscì per prima come stabilito e, sempre come stabilito, la vide portarsi dietro quasi tutti i giornalisti con la promessa di dire loro, in lacrime, perché avessero litigato. Appena sbocciata, la loro relazione si stava già appassendo. Bruce si rifugiò in bagno per darle uno stacco, dopodiché pagò e uscì dalla porta sul retro, ringraziando lo staff per averglielo concesso. Adesso era solo e turbato, vagava senza destinazione e fuori dalla sua routine: se qualcuno voleva ucciderlo, era il momento buono per provarci.
Intanto, Lena camminò velocemente sui suoi tacchi il più possibile, nascondendo il volto con una mano. I giornalisti la tempestavano di domande sulla sua serata e, quando pensava di essere andata abbastanza lontano, si fermò, passandosi due dita in mezzo agli occhi. «Andatevene, per piacere! È finita».
«La sua relazione con Bruce Wayne è finita?», domandò una ragazza vicina e lei si tirò indietro, piegando le labbra e nascondendo di nuovo gli occhi.
«Non lo so, io… Ho cambiato idea, non riesco a dire niente in questo istante, per favore… Andate via». Riuscì a convincerli ad allontanarsi, e dopo averle scattato delle foto, solo quando minacciò di chiamare la polizia. Non era certa che non ce ne fossero ancora appostati da qualche parte però si sentiva scoperta e sola e tanto bastava per farle salire la tachicardia, ricordandosi di avere la pistola di suo padre in borsetta. Per fortuna, Kara non si lasciò attendere troppo: l'aveva seguita da quando lasciò il locale e si limitò a dirle che era fatta, così Lena finse di piangere sulle sue spalle, non mancando di approfittarne per stringerla un po' più del dovuto, rivedendo suo padre che metteva in bocca una forchettata per lei.
Bruce ansimò pesantemente, continuando ad avanzare. La luna era alta e il cielo scoperto, senza una nuvola: illuminava la via solitaria. Si sentiva il traffico distante, un cane abbaiare, risate provenire da chissà dove. C'era afa dovuta ai condizionatori degli esercizi pubblici accesi, odori stantii. Un lampione era rotto e inspirò ancora più pesantemente. Quando aveva accettato quel piano, non aveva accennato alla sua paura dei luoghi bui. E perché poi avrebbe dovuto? Si girò velocemente indietro, ma non c'era nessuno; non c'era freddo ma aveva i brividi e si passò le mani sulle braccia coperte dalla giacca. Basta, doveva smetterla: non era un debole, lo sapeva. Lo aveva dimostrato quando, da bambino, si era arrampicato sul cornicione di una finestra solo per il brivido di farlo. Lo aveva dimostrato quando i bulli lo picchiavano a scuola e si era sempre rialzato. Lo aveva dimostrato quando il suo maestro di arti miste, Ra's al Ghul, lo aveva gridato per dirgli che era negato e anni dopo gli aveva tenuto testa. Non avrebbe permesso che un trauma lo segnasse. Non lo avrebbe permesso, no- Delle voci. Due uomini si stavano avvicinando alle sue spalle, sentiva i passi pesanti e scoordinati. Il committente aveva mandato due persone? Non aveva paura e prese fiato, aggrottando la fronte. Avrebbe dovuto avvertire con un messaggio Lena Luthor, ma se ne sarebbe occupato da solo. Perché era così che lui sistemava sempre le cose: da solo.
I due uomini a un certo punto ridacchiarono e accelerarono il passo, iniziando a chiamarlo con appellativi offensivi. Pestarono una cartaccia, calciarono una lattina vuota, presero dalle tasche dei coltelli a serramanico. Uno dei due lo fermò per il colletto e lo avvicinarono al muro, urlando di farsi consegnare i soldi.
Dei balordi. Troppo grande per una coincidenza: quel qualcuno aveva mandato ad ucciderlo dei balordi fingendo una rapina, proprio com'era accaduto quando era bambino ed erano morti i suoi genitori. «No», disse serio e i due lo afferrarono per la giacca e lo spinsero più forte contro il muro, senza che lui desse loro soddisfazione. «Non avrete i miei soldi».
«Certo», aveva detto invece suo padre allora, nei suoi ricordi. «Tutto quello che vuoi». Aveva tirato indietro lui, che era bambino, e aveva fatto lo stesso sua madre, riparandolo col suo corpo.
Bruce ricordava il batticuore violento di quel giorno, gli occhi spalancati, le labbra che tremavano di paura. Era buio, in un vicolo come quello, il balordo aveva una pistola. Aveva stretto le dita sui cappotti dei suoi genitori e poi tutto era successo molto in fretta: loro gli avevano dato tutto ciò che avevano quel giorno e lui li aveva sparati lo stesso, entrambi, di fretta, nascondendo le cose di valore sotto il cappotto. Bruce era rimasto di pietra accanto ai loro corpi che si accasciavano sui ciottoli. Ma aveva guardato lui, il balordo. Aveva fissato i suoi occhi tremanti mentre gli puntava la pistola alla tempia. Lo aveva lasciato lì, non aveva sparato, gli aveva già tolto tutto quello che aveva. Il se stesso bambino si era abbassato sui loro corpi e, ancora senza versare nemmeno una lacrima, aveva provato a svegliarli. Si era toccato il petto e aveva continuato a scuoterli per ore, al buio, da solo, prima che arrivasse la polizia.
«Devi darci i soldi o ti facciamo la pelle, questa notte», quella voce dura lo riportò al presente e Bruce lo guardò senza energie, come se non gli importasse. «Diciamo sul serio».
«Davvero?», gli domandò, guardando prima uno e poi l'altro. Doveva bloccarli e interrogarli in modo che gli dicessero chi li aveva mandati ma, non avrebbe saputo bene esprimere perché, in quel momento non gli interessava abbastanza. Voleva tornare a casa e riprendere in mano una vita che, da anni, aveva cercato con fatica di costruirsi, però, guardando i loro volti di rabbia mentre sputavano parole che odoravano di vino scadente, si chiese se, in fondo, ne valesse la pena. Non voleva morire, ma era strana la sensazione che gli comprimeva il petto e gli sussurrava di interrogarsi sulla sua vita. Gli faceva ancora male, era quella la verità: nonostante gli anni passati, nonostante il balordo non gli avesse sparato, gli aveva lasciato una cicatrice dentro che, ora e sempre, bruciava. Bruciava da matti.
Fu la sirena della polizia a far scappare i due, mollandolo con le spalle appoggiate contro il muro. La macchina e la sua sirena passarono di corsa sulla strada vicina al vicolo e Bruce fissò loro prima che sparissero, poi riguardò dalla parte opposta quando scorse con la coda dell'occhio un'ombra muoversi veloce: la ragazza balzò da una scala antincendio, mostrandogli il cellulare.
«Ho allertato la polizia di una rapina qui vicino. Ha funzionato».
Bruce Wayne la guardò e riguardò più volte, scuotendo appena la testa. Che cosa gli era preso? Li aveva lasciati andare, non voleva crederci. Si era-
«Pietrificato», disse Selina Kyle nel buio, accigliandosi. «Ti ho visto combattere, Wayne, mi aspettavo qualcosa e restavo lì ad aspettare fino a quando non mi sono resa conto che non avresti fatto un bel niente».
La sua voce era così dura. «Li hai lasciati scappare», replicò, «Avevo tutto sotto controllo, non avevi il diritto di-».
«Salvarti il fondoschiena, vuoi dire?», si avvicinò, mettendo via il cellulare.
Bruce aprì la bocca ma non seppe cosa dire, squadrandola da capo a piedi appena fu invasa da un cono di luce; era diversa da solito: indossava dei bizzarri occhialetti da aviatore sulla fronte e sopra una coroncina con due orecchie da gatto, i soliti ricci erano ordinati da un lato, si era messa sulle labbra un rossetto rosso vivace; aveva degli stivali alti, pantaloni neri e aderenti riflettevano la luce, come il top che- rialzò gli occhi, rendendosi conto di averle guardato troppo a lungo il seno decisamente gonfio. Gonfio, pensò. Non aveva sinonimi; aveva appena dimenticato l'intero vocabolario che sfoggiava nelle discussioni con gente altolocata. Non che non avesse sempre pensato che fosse una bella ragazza, ma… «Quella è in latex?». L'aveva chiesto davvero?
Selina lo guardò negli occhi e non poté fare a meno di sorridere un po', alzando un angolo della bocca. Gli appoggiò la mano sinistra contro il petto e passò la mano destra sulla sua nuca, stringendo i capelli corti, così si spinse sulla punta dei piedi e lo baciò. Veloce, chiuse gli occhi e lui ricambiò, spingendola da sé solo un momento, quel tanto che bastava per guardarsi e capovolgere la situazione: la afferrò per le spalle e la sbatté contro il muro mettendosi su di lei e affondando la bocca nella sua. Selina gli passò le braccia intorno al collo e si aggrappò, ignorando il suo cuore che scalpitava furente contro il petto.
«Scusa, era…», lui si distanziò di poco, borbottando con gli occhi semichiusi, «era troppo-».
«Zitto», sussurrò lei e gli tirò un labbro, così Bruce le strinse i fianchi, baciandosi di nuovo, a lungo.
Harley mise su un'espressione triste quando anche Siobhan si intristì, mano ancora sulla sua cicatrice, per coprirla. «Non ti piace proprio, eh?». Lei non rispose e così si avvicinò strisciando sul materasso, allungando le labbra in una smorfia. «Non capisco perché».
«Perché?», urlò e l'altra si tappò per un attimo le orecchie, «Sei seria, biondina? È il segno che mi ricorda come stavo per morire e quanto la mia vita faccia schifo. Naturalmente sto intraprendendo un percorso di successo, e non per vantarmi, ma alcuni miei pezzi sono davvero forti e i più letti degli ultimi anni», le puntò contro un dito, «Ma non c'è davvero altro di me e… stavo per morire. Stavo per morire».
Harley piegò le labbra in un'altra smorfia, mettendosi a pancia in giù sul materasso. «Però sei viva, no?», battibeccò, appoggiando la testa su una mano retta dal gomito sul materasso. «Quante lagne! Stavi per morire, l'ho capito, ma non è successo e puoi ancora fare tutto quello che ti pare! Se la tua vita fa così schifo, felicitazioni, sei in tempo per rimediare», spalancò la bocca per un gran sorriso. «È questo il bello delle cicatrici: ti ricordano che stavi per crepare malissimo e che non è successo. Puoi sfoggiarla come un trofeo di guerra, come ti pare, ragazza strana che urla troppo».
Siobhan corrugò la fronte pronta per ribattere ma, non venendole in mente niente di pungente, si zittì, fissando il soffitto bianco.

Alla fine, il piano non sembrò funzionare. I balordi che avevano aggredito Bruce Wayne quella sera erano solo quello, dei balordi, non lavoravano per nessuno e, quando più tardi lui, Selina e Lena e Kara li rintracciarono, dovettero lasciarli andare. Quando avevano raggiunto i due, le ragazze li ritrovarono già sulle tracce degli aggressori. In ogni caso, Selina Kyle era convinta che nessuno minasse per davvero alla vita del ragazzo che, per lei, era solo paranoico. Se ne andò e presto lo fecero anche Kara e Lena per andare a recuperare Siobhan da casa di Ivy. La ritrovarono che, seduta con loro intorno a un tavolo, rideva e scherzava mangiando cibo giapponese. Questa era nuova: Kara scambiò uno sguardo sorpreso con Lena poiché per poco non riconosceva la collega con quel sorriso sincero stampato in viso senza aver bevuto. Per esserne sicura domandò conferma ad Ivy e, quando lei portò a tavola altri piatti di sashimi, si convinsero a restare, inviando un messaggio ad Alex per dirle che avrebbero cenato fuori e di farlo sapere a Indigo. Ne ordinarono da asporto quando Kara non sembrò sazia. Non era mai sazia.
Nel frattempo, Bruce era già tornato a villa Wayne. Era stanco e aveva il cervello altrove, frastornato per aver rivissuto un momento traumatico e, allo stesso tempo, dalla passione e coinvolgimento inaspettato che si era ritrovato a provare con Selina Kyle. Non capiva cosa gli aveva fatto, era… Gli piaceva. Gli piaceva? Quella? Non se n'era mai reso conto, prima. Accese il portatile e si trascinò fino al vecchio studio dei suoi genitori, sul divano. Forse Alfred aveva voglia di parlare un po' con lui, se non gli era di disturbo. Bussarono alla porta e diede l'ordine di entrare.
«Signor Wayne, le preparo la tisana alle erbe, come suggerito da Alfred prima di partire».
Lui lo guardò pensandoci, finché non sentì un rumore provenire da fuori, attraverso le finestre aperte, e sorrise. «Sai cosa dico? Questa notte voglio provare qualcosa di diverso, rilassarmi. Va bene, berrò quella tisana. Ma prima che tu vada», lo fermò, «se potessi farmi un favore: apri il portone e chiedi all'ospite in giardino se vuole entrare invece di vagabondare come una ladra».
L'uomo annuì pacato e richiuse la porta dietro di lui.
Quella Selina Kyle non credeva che qualcuno stesse tentando di ucciderlo, quindi perché continuare a seguirlo se non fosse che aveva ancora voglia di vederlo? O voglia di baciarlo, magari. Sì, la tisana gli avrebbe allentato la tensione e magari proibito di pensare di nuovo al vicolo buio, così da concentrarsi… su altro. La porta si aprì e Bruce prese un grosso boccone d'aria vendendola entrare e richiudere. Era sempre stata così sensuale o…? Ah, doveva smetterla di sentirsi come un dodicenne.
Lei si appoggiò alla porta, scuotendo piano la testa. «Io sono una ladra, Wayne».
Lui rise. «Mi hai sentito o te l'ha detto?».
«Me l'ha detto? Me lo ha gridato aprendo il portone: non fare la ladra che il signore ti vuole vedere», fece a voce grossa, avvicinandosi lentamente. Si guardò intorno con attenzione. «Come sapevi che ero qui fuori?», raggiunse il divano più vicino, accarezzando la stoffa pregiata. «Questo posto è praticamente un museo», ridacchiò.
«Mi segui da giorni, Selina Kyle, lo so. Sentivo la tua presenza qua fuori. Tendi ancora a sottovalutarmi».
Lei scosse la testa, arrossendo. Si rese conto che forse era vero che gli piaceva lui, oltre al suo denaro. E quelle labbra, quella lingua, quei capelli sottili fra le proprie dita, il petto marmoreo che la spingeva contro il muro e non le lasciava respiro, le sue mani grandi, come l'aveva guardata… Deglutì, abbassando lo sguardo.
«Perché sei qui, Selina?».
Ne voleva ancora, era abbastanza ovvio e lo sapeva anche lui.
Bussarono alla porta e lei tirò un sospiro di sollievo. L'uomo tirò dentro il carrello e i due si stettero zitti mentre adagiava il sottobicchiere sul tavolino, la tazzina e versò la tisana, senza guardarli negli occhi. Infilò nella tazzina il cucchiaino e la avvicinò al ragazzo, riprendendo il carrello.
Selina lo adocchiò attentamente intanto che si allontanava. «Bevi spesso questa roba?». Bruce sembrò spaesato: guardò lui e di nuovo l'uomo del personale che apriva la porta per uscire. C'era un odore strano nell'aria e lo sentì da quando fu versata quella tisana.
In centro, le ragazze ringraziarono per la compagnia e si alzarono per andarsene. Era tardi ed era meglio richiamare l'elicottero della Luthor Corp che Siobhan, presa da un momento di loquacità, chiese cosa ne era stato del loro piano e di Bruce Wayne. Le raccontarono degli aggressori, della cena, dei giornalisti, ma di persone che volevano ucciderlo per un qualche complotto neanche l'ombra.
«Forse è ancora presto», disse Harley in una risata. «Se volessi uccidere il riccone, ci penserei due volte dal farlo totalmente a caso».
Siobhan la indicò, scrollando le spalle. «Avete ricontrollato i membri del personale che lavorano per lui? La biondina dalla risata schizofrenica ha ragione», si portò le braccia a conserte. «Un assassino rispetta i suoi tempi e per farlo si infila nella sua quotidianità. Sveglia, Danvers», schioccò le dita, «Il maggiordomo! È sempre il maggiordomo».
Kara e Lena si scambiarono uno sguardo e non ci misero molto a prendere ciò che serviva e precipitarsi a villa Wayne. Lena provò a chiamarlo per cellulare ma non rispondeva e questo non faceva che dare più credibilità all'ipotesi di Siobhan. Quando non si mosse nessuno neppure al campanello davanti al cancello, allora chiamarono la polizia, decidendo di fare irruzione. Passarono da una finestra aperta, ringraziando che non avesse installato le zanzariere, e corsero con foga all'interno. Quel posto era un labirinto ma sentirono delle voci e le seguirono. Una delle voci era di Selina?
«Voi cosa ci fate qui?», Selina spalancò gli occhi.
«Come siete entrate?», domandò Bruce.
Il personale della villa era intorno alla sala mentre al centro, accanto a Bruce e alla ragazza, un uomo era legato a una sedia, reo di aver provato ad avvelenare il giovane Wayne. Harley abbassò la mazza da baseball, prese il cellulare e scattò una bella foto ricordo.


***


La polizia scortò in centrale il membro del personale che tentò di uccidere l'ereditiero, interrogando per almeno tre quarti d'ora Bruce, Selina Kyle e il resto del personale alla ricerca di un possibile complice. Una donna bassa pianse tutto il tempo, ripetendo come lo amasse e come lui l'avesse presa in giro per costruirsi una copertura. Le avrebbe fatto male per un tempo lunghissimo.
Bruce non era entusiasta dell'arrivo della polizia poiché lui e Selina avevano appena iniziando a interrogarlo e, in special modo la ragazza, ebbe un brivido quando loro irruppero in scena. La notizia sarebbe apparsa ovunque adesso, forse spaventando chi lo voleva morto. Il nome sarebbe saltato fuori in ogni caso, era questione di ore o, considerando che si trattava di un Wayne, minuti. E alla fine Bruce ebbe modo di assaggiare la famosa tisana durante la sua videochiamata con il maggiordomo Alfred, spaventato che al suo signorino sarebbe potuto succedere qualcosa di male in sua assenza. Selina Kyle attese nel divanetto vicino che finisse di parlare con lui, provando Candy Crush.
Le ragazze se n'erano appena andate quando videro le volanti della polizia precipitarsi in villa. Raggiunsero insieme casa di Ivy per recuperare le loro cose e poi lasciarono lei e Harley, andando a bere qualcosa in un bar lì vicino. Sentirono di aver bisogno di assestarsi un attimo prima di chiamare l'elicottero che le venisse a prendere. Lena prese qualcosa di appena alcolico, Kara un analcolico e Siobhan, con gran sorpresa, decise di non bere niente che non fosse un bicchiere d'acqua fredda, dandosi a qualche nocciolina finché non si accorse di conoscere un gruppo di ragazzi a un tavolo e andare a parlare con loro. Kara la tenne d'occhio per un po', cercando di capire se fosse veramente tranquilla o se stesse fingendo. D'altra parte, anche Lena si comportava un po' stranamente da quando andò da lei dopo la cena con Bruce Wayne.
«Ti senti bene?», Kara le poggiò una mano su un polso e Lena alzò lo sguardo per adocchiare il barman, notando che non era minimamente interessato a loro: era come se fossero due persone qualsiasi in un luogo qualsiasi e non capitava spesso.
«Sì», le sorrise. «Sì, sono solo un po' stanca. Pensavo».
«Un nichelino per i tuoi pensieri», sorrise, per poi mettersi a gesticolare. «È-È una citazione famosa, adesso non so precisamente di dove, però-», si interruppe, quando la vide sorriderle di nuovo, incantata.
«Vorrei non dover tornare a National City, stanotte. Avvisiamo Indigo, e Alex, e restiamo qui. Ci prendiamo una camera. Ho voglia di stare tranquilla, anche solo per stanotte».
Kara era quasi sul punto di cedere. «E chi riaccompagna Siobhan a National City?», la indicò con uno sguardo. «Mi dispiace averla invitata senza dirti niente».
«Non importa», si alzò dallo sgabello e le sorrise di nuovo. «Vai a prenderla, adesso telefono».
Kara annuì e, quando si fu girata, gonfiò le guance poiché l'idea di restare lì per la notte piaceva anche a lei. Siobhan scherzava e rideva, pensava avesse vinto l'alcol, invece non aveva neanche il bicchiere. La chiamò che era ora di tornare a casa e l'altra la fulminò con lo sguardo:
«Non vedi che sto parlando?».
Tutti i ragazzi sul tavolo si girarono a osservarla e Kara roteò gli occhi, sospirando. Ecco, l'incantesimo era finito: era tornata quella di sempre. «Non ho voglia di discutere: se vuoi tornare a casa, ti consiglio di raggiungerci fuori entro tre minuti». Si allontanò vedendo Lena uscire che Siobhan la chiamò e la seguì, fermandola a un braccio.
«Scusa», la lasciò subito, tirandosi indietro. «Scusa, io…», abbozzò un sorriso che spense subito, faticando a guardarla negli occhi. «Voglio che tu sappia che so… So tutto quello che hai fatto per me», forzò un sorriso e Kara si portò le braccia a conserte. «Hai fatto quello che non avrebbe nessun altro al posto tuo. Sei stata un'amica e lo apprezzo… Credo che… Credo che parlerò con Cat Grant e mi prenderò ancora dei giorni, tornerò dallo psicologo», abbassò la voce, «e andrò a lavoro quando sarà lui a dirmelo».
«Penso sia la cosa migliore», sorrise anche lei.
«E credo che resterò qui, mi daranno loro uno strappo a casa. Li conosco, non preoccuparti; perché so che lo faresti, Danvers», scosse la testa e Kara rise. «E ho chiuso con le bevute. O almeno ci proverò perché voglio… trattarmi meglio». Arrossì, abbassando di nuovo lo sguardo.
Glielo aveva detto lei la notte prima, quando era ubriaca: Kara si stupì che l'avesse davvero ascoltata. Ma non che si ricordasse tutto, quello lo sapeva eccome perché non sapeva fingere molto bene. Le chiese se fosse davvero sicura e Siobhan tentò qualcosa: alzò le braccia e le riabbassò, provò in un altro modo e tornò ad abbassarle, e- e va bene. Kara l'abbracciò e la sentì deglutire, per poi ricambiare lentamente. «È rimasta», disse a Lena una volta fuori dal bar. «Cosa facciamo? Vuoi chiamare l'elicottero?».
L'altra sorrise come se le avesse appena dato la notizia migliore del mondo e scosse la testa.
Kara non era affatto certa che lasciare Indigo da sola in villa fosse una buona idea, ma d'altra parte non potevano chiedere ad Alex di guardarla anche durante la notte come se fosse una babysitter sottopagata. Lena si fidava e dopotutto, se anche avesse voluto rubare qualcosa e sparire, dove sarebbe andata? Scelsero velocemente una delle camere libere in un piccolo hotel in centro a Gotham City. I rumori provenienti dalle altre camere erano molesti, quelli del traffico sotto forse anche di più, i colori delle pareti erano grigio sporco e la moquette vecchia, ma era tutto pulito e, in quel momento, perfetto.
«Vuoi sdraiarti? Provare a dormire un po'?», le chiese Kara, sistemando il letto. La credeva stanca in un altro senso, poiché appena i propri occhi azzurri si posarono sui suoi, intuì presto che le intenzioni erano tutt'altre.
Lena scosse la testa, arrotolando la maglia e sfilandola dalle braccia. «Voglio sentirti», soffiò quasi in un brusio. Si avvicinò piano e si baciarono ancor più piano, assaggiandosi e socchiudendo gli occhi, dosando il battito mentre, allo stesso tempo, era Selina a sfilarsi il top e gettarlo sul pavimento lucido. Bruce la prese per i fianchi e la portò al sicuro contro il suo petto nudo, abbassando il volto per aprire la bocca e accoglierla, baciarla. Lena spinse sul letto Kara e Bruce tirò Selina sul suo, su di lui. Si baciarono ancora, entrambe le coppie, nel cuore della notte.
Quella fu una lunga notte, tanto che i raggi del sole faticarono a bucare il cielo di nebbia sopra Gotham City e portare il giorno. E fu davvero lunga per tutti, anche per Siobhan Smythe.
Mosse le labbra ed emise un rumore sordo con la gola, svegliandosi con calma. Si sentiva bene, quella mattina. Stirò un braccio addormentato e, nel momento di farlo cadere, lo gettò su un altro braccio che di certo non era suo. Aprì un occhio e poi l'altro, sbadigliando. Sorrise: era una splendida giorna- Si voltò a destra e i lunghi boccoli rossi di Ivy coprivano il cuscino, poi a sinistra e la bocca di Harley le stava baciando una spalla intanto che russava, allora deglutì: non lo aveva sognato. Prese fiato a pieni polmoni, spalancando gli occhi: non lo aveva sognato. E sorrise.






























***

Eeeh, diciamo che forse forse, ma forse eh, Siobhan non è davvero più la stessa. Cosa volete che sia la voglia di cambiare, di scoprirsi di nuovo e crescere! D'altra parte, credo che nemmeno ad Ivy e Harley sia andata male XD
Per il resto, abbiamo scoperto che in fondo i presentimenti di Bruce Wayne erano fondati! Il tipo si era infiltrato tra il personale e usato una delle donne che lavoravano lì per crearsi una copertura, ha aspettato che Alfred se ne andasse e, infine, ha cercato di avvelenarlo sfruttando un piccolo cambio di routine con l'arrivo di Selina e decidendo di bere la tisana. Avrebbe aspettato se fosse andata male con la tisana ancora una volta, di certo non poteva rischiare di farsi scoprire. Mai fidarsi del maggiordomo. Tranne Alfred.
Piaciuta la cena Luthor/Wayne? Hanno avuto modo di chiacchierare un po' e Lena ha ripensato a suo padre, mentre il ragazzo ha rivisto la morte dei suoi nel vicolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo :) Lo so, poco Kara e Lena come coppia in questo capitolo, ma avrò modo di farmi ““perdonare””. Non mi vengono in mente note e allora passo e chiudo.
Il prossimo capitolo si intitola Amore e altri drammi (perché l'amore , è un dramma) e sarà pubblicato qui puntuale come sempre sabato 12 ottobre ~


   
 
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