Maxwell
Lord si portò la cannuccia alla bocca e bevve un sorso di
succo
d'arancia, poggiando di nuovo la bottiglietta sul tavolino. Il sole
picchiava al di là dell'ombrellino colorato che lo
proteggeva,
accanto a quelli chiusi e altri aperti dei tavolini intorno. La
cameriera, gentile, si fece il giro dei tavoli sulla piazzetta e si
fermò per chiedergli se gli servisse qualcosa. Aveva
il suo giornale, il succo d'arancia e waffle con marmellata.
«Grazie
mille, signorina, sono a posto». Lo lasciò
scambiandosi un sorriso
e il giovane continuò a leggere il giornale. Guai in vista
per la
Wayne Enterprises: sembrava proprio che alcuni soci del rampollo
Bruce Wayne avessero pagato qualcuno per ucciderlo. Le ragioni erano
ancora ignote, anche se si ipotizzavano divergenze lavorative. Lui
scosse la testa e continuò a leggere: il tentato omicidio
proprio la
sera della rottura definitiva tra il giovane Wayne e Lena Luthor, una
brutta giornata. Allora inarcò un sopracciglio.
All'improvviso
qualcuno gli fece ombra, sedendo davanti, e Maxwell sorrise
compiaciuto. «Sapevo che saresti tornata da me, Alex;
favorisci
qualcosa?».
Lei aggrottò lo sguardo. «Cosa
vuoi?».
«Come?», appoggiò il giornale
sul tavolino, estraendo uno dei suoi sorrisi migliori. «Sei
venuta
tu a sederti al mio tavolo».
Alex Danvers si sporse
all'indietro e puntò la strada alle sue spalle.
«Ah, sì? Quindi è
un caso che la boutique dove lavoro sia proprio
laggiù?».
Lui rise. «Beccato! Speravo
proprio mi notassi. Ti avrei chiamato, ma tu non l'hai ancora
fatto-».
«Potevi avvicinarti-».
«Potevo restarci male, ma qui ho
scoperto-».
«Invece preferisci appostarti
come un maniaco».
«Degli ottimi waffle», finì e
lei si portò le braccia a conserte. «Vuoi ordinare
qualcosa?
Signorina», chiamò la cameriera alzando un dito.
«Può portare-
Cosa preferisci?».
«No, no, non voglio niente»,
sorrise alla ragazza, scuotendo la testa, «grazie, non mi
devo
trattenere».
«Sei difficile, Alex Danvers».
Lei forzò un sorriso. «Allora,
perché sono qui?», si appoggiò al
tavolino. «Immagino non perché
ti sei ricordato qualcosa di importante sull'organizzazione».
Le
cadde l'occhio sulla sua polo celeste: era la prima volta che lo
vedeva vestito casual e non con camicia o camici da lavoro.
«No. Ma per invitare te e le
tue sorelle», abbozzò
una risata, nel dirlo, «a una festa che si terrà
da me a fine
mese». Le porse un bigliettino da visita bianco con il logo
della
Lord Technologies: sopra c'era impresso un indirizzo, una data e un
orario. «Potrà venire anche la tua fidanzata:
sarò un po' geloso,
ma vedrò di tenerlo per me», rise.
«Anche Lex Luthor è invitato,
a proposito, mi farebbe piacere la sua presenza. Vedrò di
recapitargli io stesso l'invito, ma se vuoi anticiparmi, nessun
rancore».
«A cosa si deve tutto questo?
Semplice piscina party?». Lex invitato? Sembrava che Maxwell
fosse
pronto per la prossima mossa su quel loro giochetto di potere che
facevano da tempo.
«Curioso che tu l'abbia detto! La
piscina c'è, ma festeggeremo la riuscita di un progetto
molto
importante per la Lord Technologies e il mio lavoro. Tanti invitati,
tanto alcol, tanti volti noti e alcuni meno noti. E ci saranno i
dolci: non possono mancare a una festa, no?», sorrise.
«Allora,
cosa ne pensi?».
«Si sta parlando delle pillole,
non è vero? Conosco i tuoi piani riguardo
l'esercito».
«Non volevo fare spoiler, ma…»,
sospirò, «il generale Lane ed io siamo alle
battute finali. Sarai
dei nostri?».
Alex scosse brevemente la testa,
facendo una smorfia con le labbra. «Non lo so. Manca ancora
un sacco
di tempo, lo userò per pensarci».
«Sì, certo». Prese forchetta e
coltello e tagliò un pezzo del primo waffle sul piattino,
gustandolo
a occhi chiusi. «Buonissimo. Sicura di non
volerne?».
«Sicura». Alex serrò con forza
le labbra e gonfiò un poco le guance, pensando a quelle
pillole: per
un attimo, rifletté se non fosse il caso di accennargli
degli
effetti collaterali importanti riscontrati da Lena e Lex su quelle
rubate alla Lord Technologies, in questo modo avrebbe magari bloccato
la vendita, ma era così sicuro di sé che
probabilmente non le
avrebbe nemmeno dato ascolto. Beh, doveva provarci. «Riguardo
quelle
pillole-».
Lui la bloccò, riprendendo a
sorridere. «No, ti prego, non parliamo di lavoro! Oggi
è il mio
giorno libero, tu hai appena finito il turno; se è
importante, hai
il mio numero». Vide Alex sbuffare, e si stava per alzare,
così la
fermò, indicando il giornale: «Sapevi della tua
sorellastra e Bruce
Wayne? Pare proprio che qualcuno sia tornato a casa col cuore
spezzato. L'amore è un rischio», la
fissò e lei deglutì. «La mia
babysitter, quella che ho avuto dopo la morte di mia madre, era
innamorata di mio padre. Gli è stata più vicino
che a me», rise,
ma per poco e Alex notò come i suoi occhi, ogni volta che
ritornava
al passato, gli si facevano lucidi. «Era mio padre ad avere
effettivamente più bisogno di cure: ogni volta che rischiava
di
lasciarsi andare, lei lo riportava indietro. Mio padre non l'ha mai
amata… lui non era più capace di amare
qualcuno», spezzò un
sorriso, «ma a lei non interessava: era sempre lì,
anche quando lui
non la sentiva». Alex abbassò gli occhi, seria,
mentre lui prendeva
un altro boccone di waffle e marmellata. «Questo è
l'amore»,
sospirò.
«E lei che fine ha fatto?»,
domandò, «Dopo la morte di tuo padre?».
«Se n'è andata. Non avevo più
bisogno della babysitter, ero adulto, ma veniva tutti i giorni per
assicurarsi che stesse bene e poi è scomparsa
com'è scomparso lui.
L'ho rivista al funerale e», scrollò le spalle,
pensandoci, «due
anni fa? Più o meno. Sono certo che, dovunque sia ora, sia
ancora
innamorata di lui».
La mente di Alex si accese,
ricordando una vecchia discussione con Maxwell: «Due corpi,
un'anima».
Lui alzò subito gli occhi e la
bocca formò un sorriso sincero, scoperto, genuino.
«Mio padre era
ancora innamorato di mia madre nonostante fosse morta»,
spiegò,
«Era incompleto, per questo si lasciava andare e non era
più capace
di amare. La sua anima era per metà con lei».
«Per essere qualcuno che nutre
risentimento verso il proprio padre, è sempre il tuo
esempio».
Maxwell sorrise, poggiando la
forchetta sul piattino. «Nutrivo risentimento per avermi
abbandonato, ma il loro amore è sempre stato il mio ideale
da
seguire, Alex. Non fraintendermi. Le figure genitoriali, per quanto
buone o brutte siano, ci restano dentro. Ah, e sono felice di
scoprire che mi ascolti e non parlo a vanvera», rise,
ricordando il
loro appuntamento in cambio del quadretto che aveva vinto a Rhea
Gand.
«In ogni caso, sono certa che
Bruce Wayne saprà riprendersi».
«Sì»,
annuì, vedendola alzarsi. «Vieni alla mia
festa», aggiunse,
veloce, «Ti aspetterò».
Alex
sospirò, rimettendo a posto la sedia. Maxwell sognava
un'amore oltre
la morte come quello dei suoi genitori, senza rendersi conto che il
suo verso di lei era più come quello della sua babysitter
verso suo
padre: un'amore che non sarebbe mai stato corrisposto. L'amore era un
rischio: almeno se ne rendeva conto.
«Prima
che vai, scusami, non voglio importunarti ancora».
Aspettò che si
voltasse. «Puoi dire tu a Lena Luthor e Kara che possono
venire alla
festa anche le loro amiche di Gotham? Loro sanno a chi mi riferisco.
Oh, e le tue colleghe: la biondina con gli occhiali e l'altra, quella
più spiritosa, che è venuta con te per un secondo
interrogatorio.
Ora che ci penso: sono circondato da belle ragazze», si
appoggiò
soddisfatto allo schienale e Alex non trattenne mezza risata,
dicendogli che non prometteva nulla. Così la vide andarsene.
Voleva
un pubblico per la sua vittoria, pensò lei. Ma non era certa
che lo
avrebbe detto a Carina Carvex: a lavoro era un conto, non la voleva
intorno anche nei giorni di festa. E Indigo, figurarsi. Ma
cambiò
idea d'un tratto: forse sarebbe stato meglio portarsela appresso
invece di lasciarla sola in villa. Ma cosa andava a pensare? Non era
nemmeno certa che ci sarebbe andata a quella festa. Però si
parlava
delle pillole e sarebbe stato il caso di farlo e tenersi informata.
Sospirò, entrando in macchina. Accidenti a Maxwell Lord:
passava il
suo invito, ma il discorso sull'amore era certa che le sarebbe
rimasto addosso per un po'.
E
lo pensava anche lo stesso Maxwell. Gli piaceva confidarsi con lei,
svuotarsi di un peso, affidarlo a qualcuno. Si stava rendendo conto
che lei gli piaceva davvero molto e, allo stesso tempo, come il
sentimento non fosse ricambiato. Due corpi e un'anima. Non avrebbe
mai avuto l'amore che sognava.
L'amore
che invece era certa di aver trovato Kara con Lena. Loro erano
arrivate a un nuovo traguardo del rapporto, anche se, in questo
momento, la prima si stava arrovellando il cervello per una questione
importante:
«Non
posso dire che- mh,
mi dispiaccia… Emh, voglio dire»,
gesticolò, rossa fino alle
orecchie dall'imbarazzo. «Arrivando al dunque, ho bisogno del
tuo
aiuto». Vide Megan alzare gli occhi al soffitto e inspirare,
in
attesa, così iniziò a girarle intorno, nella loro
camera in comune
al campus. «Nel senso… Un aiuto, del tipo, sessuale».
«Tu
lo sai che io non sono mai stata con una donna, vero? Esistono
ragazze etero, Kara, accettalo».
«Sì,
sì», abbozzò una risata svelta e scosse
la testa, sedendo al suo
fianco sul letto. «Certo che- Ma puoi aiutarmi lo
stesso». Megan
sospirò sconfitta, abbassando il libro che aveva tra le dita
e
tenendo il segno. «Da quando Lena ed io siamo tornate a stare
insieme, ci capita spesso di… di
stare assieme.
Ma questo
è un periodo stressante, a letto crolliamo dal sonno, e ci
capita di
stare assieme… in momenti
diversi».
«Comincio
a non seguirti più, ragazza. Diversi
in che senso? Siete almeno nello stesso posto?».
«Certo»,
arrossì, «Intendevo- È-È
come se non potessi farne a meno»,
puntò lo sguardo lontano e, per un attimo, l'altra la
seguì,
adocchiando il suo armadio. Appena Kara si girò lo fece
anche lei,
guardandola negli occhi. «E questo è
okay… beh, lei sembra
proprio che decisamente
non possa farne a meno», annuì con convinzione.
Era
trascorsa quasi una settimana da quando lasciarono la camera
d'albergo di Gotham City e, da allora, sembrava proprio che il loro
appetito sessuale, invece di andare verso una situazione di calma, si
fosse ulteriormente impennato e Kara non poté fare a meno di
pensare
che fosse perché erano abbastanza impegnate da non avere
più un
tempo decente da dedicarsi e ritagliavano i momenti che capitavano, o
perché si avvicinava il loro anniversario. Non certo quello
in cui
si erano messe insieme ufficialmente, e neanche quello prima della
rottura, o quello del loro primo bacio, no, ma quello del loro primo
incontro sul treno, quando tutto iniziò. Si sentiva attratta
da Lena
in momenti che neanche immaginava. E Lena…
«Siamo
andate in palestra. Ricordi che ti avevo detto che Lena voleva
imparare le basi dell'autodifesa?».
Si
erano cambiate negli spogliatoti della palestra indossando leggins e
canotte, legando in alto i capelli, entrando nella saletta ignorando
gli altri sguardi: tutti si erano zittiti di colpo e si sentiva
nell'aria solo la musica casuale degli altoparlanti, ma avevano
deciso di far finta di niente. Si erano accaparrate una panchina e
avevano lasciato i propri asciugamani e borracce d'acqua fresca,
distendendo un tappetino in una zona libera. Kara aveva invitato Lena
a seguirla e dato i primi suggerimenti per cominciare. Prima che
iniziasse a fare sul serio, doveva fornirle ciò che era
necessario e
andare con del riscaldamento.
«Però
sei messa male: divarica le gambe. Un po', così».
«Uh,
Kara?! Sei sfrontata… di fronte a tutti».
L'aveva
fatta arrossire, con le mani ancora adagiate sui suoi fianchi.
Nessuno aveva potuto sentire quel bisbiglio, ma si era bloccata come
un tronco di legno.
Megan
rise, portandosi una mano contro la bocca. «Era una battuta
innocente! Dai, te la si fa con nulla».
«Non
ho finito», mugugnò.
Dopo
qualche esercizio di riscaldamento si erano fermate a bere. Lena si
era sentita talmente madida di sudore e, aveva notato, anche Kara non
scherzava, pur non sembrasse stanca allo stesso modo: l'aveva tenuta
d'occhio mentre era andata a recuperare un sacco, parlando con quello
che le disse essere l'istruttore. L'aveva fermata e lui aveva
adocchiato Lena. L'aveva informata su come lì dentro fosse
al sicuro
dalle domande indiscrete su sua zia e ciò che stava
succedendo,
dicendo che aveva avvertito tutti di lasciarla in pace e lei aveva
sorriso e annuito, ringraziando. Era felice di vedere che, a parte
quei primi sguardi, la gente era troppo impegnata a tenersi in forma
per pensare a loro. Aveva preso il sacco e lo aveva agganciato
vicino, facendo cenno a Lena di raggiungerla. Lei però aveva
scosso
la testa.
«Vai
avanti tu, penso di dover recuperare ancora un po' d'aria»,
si era
sventolata una mano sul viso.
Kara
le aveva fatto una smorfia e Lena una linguaccia. Carina, accaldata e
già stremata, aveva pensato Kara, notando alcuni ciuffi dei
capelli
corvini che si slacciavano dalla rigida coda di cavallo per il
sudore, formando la criniera di un leone. Allora aveva tirato un
sospiro e iniziato a dare pugni al sacco: era da tempo che non lo
faceva e presto si era concentrata solo su quello, sentendosi libera.
Amava dare pugni al sacco, che fosse per allentare la frustrazione
com'era stato altre volte, per sfogo, o per semplice passatempo. Si
era sistemata le fasce strette intorno ai pugni e aveva ricominciato
subito; non si era resa conto di come Lena la stava fissando. Tutto
il suo corpo era in tensione, dai piedi, le gambe e le cosce, fino ad
arrivare alle braccia, alle mani potenti. Non colpiva con i pugni, ma
con tutto il suo corpo. La schiena si slanciava sinuosa intanto che
il sudore le imperlava la pelle: scendeva, ogni goccia lasciava una
scia lungo le sue forme toniche. Lena si era morsa un labbro e, senza
accorgersene, si era ritrovata a inspirare. I bicipiti rigidi, le
spalle alte, la schiena tesa, il sedere era…
«Kara?».
L'aveva fermata con un verso quasi stridulo e l'altra si era voltata:
Era
così rossa in volto che le era passato per la testa potesse
essersi
sentita male. Si era avvicinata e inchinata, incontrando i suoi occhi
verde acqua.
«Dobbiamo
andare».
«Ti
senti bene?».
«No»,
aveva sospirato, per poi fare un verso con la gola e far scivolare il
suo sguardo caldo lungo il suo braccio destro. Aveva avanzato la mano
sinistra e osato premere coi polpastrelli, sentendo i brividi
dell'altra.
«L-Lena?
Cosa stai-?». Oh, l'aveva capito subito cosa
stava.
«Shh»,
l'aveva riguardata negli occhi, «Dobbiamo andare. Adesso».
La
cadenza delle sue labbra accaldate l'aveva fatta avvampare. Avrebbe
voluto baciarla lì, morderle quelle labbra, subito, ma non
poteva.
Avevano recuperato le loro cose e si erano rifugiate negli
spogliatoi: il tempo di appoggiare tutto su una panchina, facendo
scivolare una borraccia sul pavimento, che si erano avvinghiate e
baciate, lasciandosi senza fiato, sbattendo le gambe. Le mani di Lena
avevano stretto le sue braccia: la pelle era morbida e sudaticcia, ma
i muscoli ancora in tensione. Kara l'aveva sollevata, appoggiandola
contro una parete, per poi baciarla più volte sotto la
mandibola:
Lena era così calda, la pelle così tenera. L'idea
di andarsene
c'era, ma il desiderio andava consumato in fretta. Lena le aveva
poggiato una mano sulla nuca rovinandole la coda, contemporaneamente
l'altra mano le aveva spinto l'addome, facendosi rimettere a terra il
tanto per arrivare a baciarle le clavicole. Sapevano cosa stavano
facendo e quanto fosse sconsiderato, ma forse era anche quello a
renderlo tanto eccitante.
«Quindi…»,
Megan scosse appena la testa, mantenendo un sorriso costante,
«mi
stai dicendo che l'avete fatto negli spogliatoi?».
Kara
le scoccò un'occhiata. «Ma no-non è
andato esattamente tutto
liscio: abbiamo sentito un rumore e la magia, emh, si è
bruscamente
interrotta come una doccia gelida… M-Ma e-era un falso
allarme e
perciò…», planò lo sguardo
altrove, contraendo le labbra, «Siamo
state veloci e discrete». Megan spalancò gli occhi
e Kara si agitò:
«M-Ma non è quello il punto».
«Okay»,
sorrise, scrollando le spalle, «L'avete fatto negli
spogliatoi.
Intendevi questo con diversi?
Gli spogliatoi?». Notò come una smorfia le
uscì naturale.
E
l'ultima partita di lacrosse giocata? Avevano vinto ed erano andate
tutte in palestra a festeggiare la finale che si avvicinava. Felice
della vittoria, felice che avesse riconquistato senza non poche
energie le sue compagne di squadra, felice che il nuovo coach non le
avesse mosso contro delle critiche, appena aveva visto Lena, Kara
l'aveva presa per mano e portata via, nascondendosi dietro un muro
per baciarla. Da lì era bastato poco che sparissero dalla
circolazione. Si erano baciare lungo il tragitto, rischiando che si
facessero vedere, ridendo come due bambine, fino ad appartarsi
lì
nella sua camera al campus. Lena le aveva tolto il casco e se lo era
infilato lei; poi l'aveva spinta sul primo letto sulla sua strada.
«Ottima
partita», le aveva sussurrato, sistemandosi sopra di lei con
un
sorriso. «Festeggiamo in fretta».
Megan
le lanciò un'occhiata: «Per questo sei sparita! Il
nuovo coach ti
cercava». Sorrise fino a quando non si accorse di un
particolare:
«Aspetta, aspetta! Non avrete per caso…? Sul mio
letto?».
«No»,
per poco non gridò, scuotendo velocemente la testa,
«No, no, certo
che no! Ci siamo spostate in tempo», strinse i denti e Megan
si
accigliò:
«Basta!
Perché non chiedi ad Alex di aiutarti con questa…
cosa?».
«Beh…
perché lei…», stralunò lo
sguardo, gonfiando le guance.
Non
accadeva spesso ultimamente: Maggie non era di turno, Alex si era
presa la giornata libera per dare modo al suo cervello di riposare e
così, approfittando della bella giornata, avevano deciso di
passare
qualche oretta fuori insieme a Kara e Lena, e ovviamente Indigo. Si
erano fatte dei giri per le vie a guardare le vetrine e dopo avevano
accontentato Jamie e si erano fermate davanti al bar in un parco per
mangiare il gelato. Kara aveva avuto come una specie di
déjà-vu:
Lena non aveva fatto altro che fissarla, intenta a consumare il cono
prima che si squagliasse.
«A
cosa lo hai preso?», aveva domandato Alex, sedendo a fianco a
Lena.
Lei
aveva sorriso. «Vaniglia», aveva scoccato
un'occhiata a Kara il cui
gelato era per metà sulle dita e cercava di leccarlo via.
Alex aveva
guardato una e poi l'altra e Maggie, invece, aveva trattenuto una
risata.
Alla
fine, Kara aveva ceduto, diventando paonazza. «Devo
andare». Si era
alzata in fretta.
«Anch'io»,
Lena le era corsa dietro.
Alex
aveva spalancato gli occhi, incredula di ciò che era appena
successo. «Siete scandalose», aveva urlato in tempo
per farsi
sentire. E mentre Indigo cercava di mangiare il cono perennemente
disturbata da Jamie che ce lo aveva metà disperso sulle
guance e
l'altra metà sul colletto, Maggie aveva annuito.
«Tu ci credi a
quello che è appena successo?», le aveva chiesto
Alex.
«Oh,
dai. Sono all'inizio di una relazione e gli ormoni giocano brutti
scherzi».
«Noi
non eravamo così».
«No,
infatti». Alex stava per aprire bocca di nuovo che Maggie
l'aveva
interrotta: «Il ristorante sulla trentottesima? La centrale,
e io
ero in servizio? Casa tua, innaffiavi le piante? Oppure cosa ne pensi
del teatro Lum-».
«O-Okay,
hai vinto», l'aveva fermata rapidamente e nascosto la bocca
dietro
il cono, diventando rossa.
Immaginava
che ad Alex la loro relazione sarebbe sempre apparsa un po' strana.
Forse perché, meglio di lei, riusciva a considerare Lena la
sua
sorellastra e Kara che era sua sorella… Si vergognava un po'
a
parlarne con lei per questo.
Megan
scrollò gli occhi. «Va bene, ho capito: solo io
posso aiutarti e tu
e Lena siete animali in calore. Cosa posso fare, per te?».
Kara
s'imbrunì, abbassando lo sguardo e iniziando a giocherellare
con le
pieghe del copriletto. «N-Non siamo- Beh, ecco, il punto
è questo»,
si stirò le dita delle mani, deglutendo: «Vorrei
farla pagare a Lena».
Lo disse con una voce talmente bassa che Megan si avvicinò,
chiedendo di ripetere. «Vo-Vorrei- È
già difficile dirlo una
volta», sgranò gli occhi.
«Allora
ti farai aiutare da chi ha il super udito».
«Pff.
Vorrei… farla pagare a Lena».
Megan
la fissò a lungo senza dire niente, finché non le
regalò un tenero
sorriso. «Questa è facile: non
dargliela».
«Noo,
non in quel senso», si agitò, con le guance color
porpora. «Ti
spiego. È che lei, una volta, ha-ha preso il totale
controllo e mi
ha impedi-impedito di muovermi». Riuscì a dirlo,
prendendo aria a
pieni bocconi. «E ho promesso che mi sarei vendicata,
gliel'avrei
fatta pagare ma…»,
si leccò un labbro, «ho paura di non avere
fantasia, e proprio
perché ultimamente stiamo insieme così spesso,
anche se di
fretta…». Si agitò di nuovo
dall'imbarazzo e Megan spalancò la
bocca, per poi sogghignare.
«Adesso
sì che è chiaro! Non puoi chiedere a Google
come tutti?», scosse la testa e riguardò il suo
libro solo per un
momento, sospirando. Kara gonfiò le guance e lei le
poggiò una mano
sulla spalla destra. «Avrò anche esperienza con un
uomo più
grande, Kara, ma non saprei cosa dirti. Né se davvero voglio
raccontarti qualcosa», disse con onestà, piegando
le labbra.
«M-Ma
io non voglio», sgranò gli occhi, «No,
aiuto, no. No, no, no…
no, no». Si tappò gli occhi.
L'altra
rise. «Sai che fai? Fissate un appuntamento, fate qualcosa
di…
carino. Non credo che Lena stia al centro di una stanza a pensare a
cosa ti inventerai per fargliela
pagare»,
virgolettò. «Poi se ti venisse qualcosa sul
momento, tanto di
guadagnato. Darei tantissimo ora come ora per avere anche solo un
appuntamento carino».
Megan
abbassò gli occhi e Kara le prese una mano con le sue.
«Non sei
ancora riuscita a parlare con John?». La vide scuotere la
testa.
«Questo
fine settimana dai verdi
non c'era, non è andato. Lo chiamo e non risponde. Quando
passo da
lui non è in casa. Oppure non mi apre», prese
fiato. «Vorrei
capire cosa gli succede, se è perché ci siamo
mollati o perché…
Vorrei stargli vicino».
L'altra
annuì, accarezzandole la mano. Che ironia, pensò:
Megan voleva
allontanarlo apposta per fargli capire il suo errore, e ora lui
sembrava sparito dalla sua vita. «Probabilmente sta lavorando
sodo,
per…».
«Però
mi piacerebbe sapere se almeno sta bene, non mi lascia neanche un
messaggio», scrollò le spalle. «Sai cosa
faccio io? Studio
matematica», le indicò il libro, «che
era il motivo per cui ti ho fatto venire qui, a proposito,
do l'esame e lo supero… e mi attacco alla sua porta come un
accidenti di adesivo, te lo dico io», alzò la voce
all'improvviso,
stringendo i pugni. «Prima o poi dovrà tornare a
casa, ha i pesci
rossi». Si guardarono e risero.
«Ottimo
piano. Dunque… matematica?», le indicò
il libro e Megan lo aprì.
Pensò di sorriderle, ma non poté fare a meno di
pensare,
malinconicamente, quanto forse ora si pentisse per non averlo
perdonato subito. Cosa passava per la testa di John?
«E
tornando un attimino veloce al discorso di prima»,
mormorò, finendo
per sorridere da orecchio a orecchio e distraendo entrambe:
«Se sei
in cerca di idee, so di un certo film con un
polpo…».
«Cosa?».
Non
ebbe fortunatamente il tempo di chiedere spiegazioni, se ne avesse
avuto intenzione, che bussarono alla porta e, quando andò ad
aprire,
il guardiano le consegnò un mazzo di fiori. Poi un altro. E
un
altro. Fece passare un uomo in divisa da giardiniere con un carrello
che cominciò a depositare fiori, in vasi, dappertutto.
Quando uscì
entrò un secondo carrello e poi fu turno del terzo. Sembrava
finita,
ma la porta fu sbarrata dal quarto carrello. Probabilmente era stato
svaligiato il fioraio. La stanza al campus fu invasa dal profumo di
fiori e Kara arrossì, leggendo il biglietto con il suo nome
e un
cuore accanto. «Mi sa che le manco».
«Eh
sì, in fondo sarai stata via già trenta
interminabili minuti»,
scherzò Megan, odorando in un vasetto e borbottando che le
sembravano più numerosi della scorsa volta. «Beh,
ringraziala da
parte mia», si voltò, «Tu tornerai alla
vostra villetta e questi
resteranno qui, quindi…». Risero, decidendo di
distribuirne alcuni
ad altre compagne di camere, o quella stanzetta sarebbe diventata
infernale in poche ore.
Studiarono
matematica e Kara se ne andò. Appena chiuse la porta, Megan
lanciò
un'occhiata rigida al suo cellulare. Odiava che John non si facesse
sentire e lui lo sapeva che era una cosa che lei odiava. Insomma, che
fine aveva fatto? Doveva chiedere ad Alex Danvers dove fosse la base
del D.A.O. a National City per vederlo? Per sapere se era ancora
vivo? Quando aveva deciso di lasciarlo, di certo non immaginava che
sarebbe stato licenziato alla Sunrise e che avrebbe avuto
difficoltà
a rivederlo. Lei sperava che lui avrebbe capito il suo punto di
vista, che le avrebbe chiesto scusa e niente di più, che
tanto
bastava per tornare insieme. Perché le faceva questo?
Perché era
scomparso dalla sua vita? Che fosse così
impegnato… da non trovare
un attimo solo, per lei? Riprese il cellulare e provò a
chiamarlo
per l'ennesima volta.
«Rispondi…
Rispondi, eddai…»,
bisbigliò, mordendosi un labbro.
Forse
lei aveva interpretato male ciò che c'era stato tra loro. Se
lui
l'aveva esclusa, probabilmente era perché, in fondo, a John
stava
bene così. Era più grande di lei e… ma
non voleva crederci, non
poteva
crederci. Erano già passati davanti a queste cose, era
assurdo.
Assurdo. Chiuse la chiamata ma, prima di gettare il cellulare
sull'altro lato del letto, compose un messaggio: Se
non ti decidi a richiamarmi, forse la rivedrai a Natale. No,
cancellò. Era preoccupata e quel messaggio era fuorviante.
Richiamarmi,
per favore. Ho bisogno di vederti!
Inviò e restò col pollice a mezz'aria,
rileggendone tanti altri
inviati simili a quello. Poi sbuffò, tornando al suo libro.
Kara
salutò alcune ragazze e si intrattenne a parlare con un
professore
per un esame che avrebbe dovuto dare a breve, poi si
incamminò
nonostante il sole picchiasse cocente. Era pomeriggio e non c'era
traffico, tutto era fermo e c'era insolita calma; intorno alla
Sunrise National City University non c'erano palazzi molto alti e il
sole batteva sull'asfalto, ma man mano che si avvicinava in centro e
gli edifici crescevano imponenti, i raggi del sole lasciavano posto
all'afa. Un solo attimo e non mancò di pensare a sua zia
Astra e
all'organizzazione, a come quella città, per loro, doveva
apparire
come un enorme tabella con zone da conquistare. E chissà
quante ne
avevano già conquistato, infettandole al loro interno. Loro
si
trovavano lì, da qualche parte. Potevano essere chiunque e
lavorando
ovunque. Davvero avrebbe preferito non pensarci e godersi il suo
anniversario e i tanti momenti con Lena, ora come ora. Aveva scoperto
chi le aveva ammazzato la famiglia e Rhea Gand era dietro le sbarre
di una prigione, ma quell'organizzazione non solo era in piedi, si
stava espandendo a macchia d'olio, e c'era ancora un assassino in
libertà e che forse faceva parte dei loro. Avevano ancora
così
poche informazioni. Alzò la testa, ammirando quei palazzi:
amava
National City e non si sarebbe arresa. Lei e Lena non si sarebbero
arrese. Affrettò il passo verso la Luthor Corp. Avrebbe
voluto
portare con sé almeno un mazzo di fiori, ma si sarebbero
afflosciati
per il calore e sarebbe tornata più tardi a prenderli: se
Megan
credeva che li avrebbe realmente lasciati tutti lì si
sbagliava di
grosso. Allentò il passo solo quando sentì
vibrarle una coscia.
«Ehi, Eliza», la salutò, accettando la
videochiamata. Il video
saltava, si bloccava e sfumava in tanti piccoli pixel azzurri di mare
e cielo, ma la vedeva felice e addirittura abbronzata. «Dove
sei?».
«Non
si vede? È un albero»,
si tirò più indietro e cercò di
riprendere l'albero
spettacolarmente ricurvo, dalle foglie verdi, che puntata alla riva.
«Li
chiamano Fofoti
e sono un'icona, qui»,
specificò con un gran sorriso. «E
tu dove sei?».
«Io
vado alla Luthor Corp, ho appena lasciato il campus».
«Ah,
è bellissimo qui, ma d'altra parte non vedo l'ora che
passino questi
pochi giorni che ci dividono dal tornare a casa… sono a
pezzi. Ma
non dirlo a Lillian, la costringo alla movida ogni notte»,
aggiunse, e Kara intravide un occhiolino tra quei pixel che
sembravano creare un puzzle. «E
allora, come vanno le cose… tra te e Lena?».
Kara
decise di fermarsi davanti alla vetrina di un esercizio commerciale
chiuso, approfittando dell'ombra. Allora non trattenne più
un
sorriso. «Beeene… Ne hai parlato con Lillian? Cosa
ne pensa?».
«Lei
è entusiasta»,
le parve di vederla annuire, camminando sul bagnasciuga. «Ha
capito che vi amate e sta iniziando ad accettare la cosa».
Kara
scoppiò a ridere, fermandosi con una mano contro la bocca e
tornando
seria di colpo. «È fantastico! E… che
mi dici della verità?».
«A
quella ci sto lavorando, tesoro, sono dalla vostra parte. Facciamo
progressi: ha capito che non può farci niente. A piccoli
passi per
volta».
Oh,
le mancava. Anche lei non vedeva l'ora che passassero quei giorni che
la dividevano dal loro ritorno a casa. Si salutarono e, appena prima
di staccare, adocchiò qualcosa dall'altro lato della strada.
Perfetto, non poteva entrare alla Luthor Corp senza un'intera scatola
di ciambelle.
Questa
volta le sbarre elettriche non le facevano paura: indossava dei
pantaloncini sopra il ginocchio, lisci, niente che potesse fermarla.
Si sbagliava: la donna che sostituiva Jeffrey, la guardia
all'ingresso, sbiancò quando la vide piegarsi in due per
reggere in
alto la scatola rosa, dopo aver sbattuto un ginocchio e messo male un
piede. «Maledetti
cosi»,
bofonchiò, andandole incontro. Doveva incastrarsi, o
sbatterci, ogni
dannata volta. «Buon pomeriggio. Ciambelle?». Lei
la guardò a
occhi sgranati, arrossendo. Kara la vide guardarsi a destra e
sinistra, per poi puntare all'interno della scatola. Nessuno poteva
resistere, avrebbe conquistato il mondo con una sola di quelle. La
lasciò mentre ne assaggiava a bocconcini una al cioccolato,
entrando
in ascensore.
«Ti
serve aiuto? Se-Se ti serve aiuto, chiedimi subito qualsiasi
cosa»,
borbottò Winn: Kara lo sentì da appena si
aprirono le porte
dell'ascensore. Ce l'aveva con Indigo, naturalmente. Erano seduti
davanti alla stessa scrivania, distanti pochi centimetri l'uno
dall'altra; lui non faceva che invaderle gli spazi personali e lei,
d'altro canto, non lo degnava di uno sguardo, continuando a digitare
al pc. Era strano vederla seduta lì, ma si stava abituando
ad averla
intorno. Appena la notò arrivare, Winn alzò una
mano e sorrise da
orecchio a orecchio.
«Lavoro
stressante? Una ciambella e passa la paura», aprì
la scatola e
Indigo ne prese una veloce come un battito di ciglia. «Ehi!
Non si
usa almeno salutare?».
Le
alzò una mano intanto che continuava a digitare con l'altra,
la
ciambella tenuta con i denti, occhi fissi sullo schermo.
Kara
assottigliò gli occhi ed emise un verso indispettito con la
gola,
distratta da Winn che faceva una strana conta per sceglierne una. La
porta dell'ufficio di Lena era aperta e la vide dapprima con la coda
dell'occhio che si appoggiava allo stipite, in attesa. Quando
alzò
gli occhi, lei le faceva cenno di entrare, lo spacco della gonna
lungo la coscia destra, le braccia a conserte, muoveva le labbra
rosse per sussurrare qualcosa. Non la capì ma non aveva
importanza e
la seguì, per poi tornare indietro e recuperare la scatola
con le
ciambelle rimaste. Tirò un calcetto alla porta e
ritrovò le sue
labbra sulle proprie, mentre l'accoglieva con le braccia intorno al
collo.
«Hai
lasciato la porta aperta», bisbigliò con un
sorriso e Kara si
voltò.
«Non
potevo farla sbattere», si giustificò.
Cercò di allontanarsi ma
Lena la fermò, aprendo la scatola e scegliendo rapida una
ciambella.
«Emh… grazie per i fiori. Sono tutti bellissimi,
più che
bellissimi, e molto profumati e…», alzò
gli occhi al soffitto,
abbozzando un sorriso, «ringrazia anche Megan. Anche a lei
sono
piaciuti molto». La vide sorridere, impegnata a spezzare la
ciambella con le dita e a mangiarne pezzo dopo pezzo.
Lena
allora ingoiò e la fermò per una guancia,
così si avvicinarono il
tanto per scambiarsi un veloce bacio. Quasi. C'erano quasi che si
immobilizzò e sforzò per trattenere una risata,
adocchiando Winn,
paonazzo, davanti alla porta. «Dimmi».
«Ah…
e… sì… sì, sì,
certo. Ha una chiamata da-».
«Grazie,
richiamerò io a momenti».
«Perfetto,
signorina Luthor». Stava per andarsene ma, con evidente
imbarazzo,
non si trattenne e tornò sui suoi passi:
«Siete… tornate insieme,
se posso?». Le indicò con un perenne sorrisetto
stampato in faccia
e le due si scambiarono uno sguardo complice, per poi negare
all'unisono. «Oh, mi era sembrato che…».
«Hai
visto male», chiosò Lena.
«Forse
sei stanco per via del lavoro», aggiunse Kara.
«Le
stavo togliendo un pelucchio dal viso, hai capito male»,
continuò
la prima.
Lui
non perse il sorriso e guardò negli occhi una e l'altra, con
evidente confusione. Gli chiesero di chiudere la porta ed
eseguì;
per fortuna non le sentì scoppiare a ridere dopo averlo
fatto.
Finirono
una seconda ciambella dopo essersi scambiate una serie di baci di
fronte alla scrivania, poi Lena fece quella telefonata, informandola
che, disgraziatamente, avrebbe avuto ancora da lavorare prima di
tornare a casa per studiare insieme. Se non altro, a breve sarebbero
finalmente iniziate le agognate vacanze estive, in tempo per
rifiutare di stare a casa Danvers-Luthor quando avrebbero fatto
ritorno le loro madri, o Indigo sarebbe rimasta sola. Il loro
ritorno, già, sarebbe stato un po' imbarazzante, lo
sapevano: adesso
tutte erano a conoscenza della loro relazione e certe cose non
sarebbero più passate inosservate. Quasi come con Winn. Ma
lui era
facile da prendere amorevolmente in giro.
«Come
si sta comportando Indigo?», le chiese Kara prendendo
un'altra
ciambella, appoggiandosi col sedere sulla scrivania intanto che Lena,
alle sue spalle, compilava un modulo.
«Bene.
È molto efficiente. Ti ho sentita ringhiarle contro,
prima», emise
a bassa voce, non staccando gli occhi dal foglio.
«Mi
ha preso una ciambella senza nemmeno salutare».
«Oh,
che affronto».
Kara
sì pulì i bordi della bocca con un mignolo,
portando gli occhi al
soffitto, riflettendo. «Non è che Winn teme di
essere sostituito?
La vedrà tanto produttiva e lui non si è nemmeno
preso un po' di
vacanza dopo ciò che è successo». Gli
era rimasto un piccolo
livido sul viso di quel terribile giorno mentre il braccio era di
nuovo sano, ma parte i primi giorni dove nessuno aveva il permesso di
entrare alla Luthor Corp per le indagini, era subito tornato
operativo, quando ancora indossava la fasciatura. Ci teneva a quel
lavoro, era chiaro. «L'ho sentito prima dire che le offre il
suo
aiuto».
«Lo
fa spesso».
«Ma
non ne ha bisogno e quindi…», scrollò
le spalle.
Lena
alzò lo sguardo, poggiando un gomito sulla scrivania.
«Kara, Winn
ha una cotta per lei. Cerca un modo per attaccare bottone, non sta
pensando alla sua posizione in pericolo, puoi stare
tranquilla».
Abbozzò una risata quando la vide voltarsi di scatto come se
avesse
appena fatto la scoperta del secolo. «È troppo
occupato a starle
dietro per fare questo tipo di ragionamenti».
Kara
spalancò gli occhi e la bocca, poggiando le mani sulla
scrivania.
«Accidenti! Come ho fatto a non capirlo subito?!».
«Non
trova il coraggio per chiederle di uscire»,
riguardò il foglio,
giocando con la penna in mano. «Non lo aveva nemmeno per
chiederlo a
te».
«Pff.
Winn non aveva- Beh, non ha importanza, devo trovare il modo di
aiutarlo», si portò la mano destra sotto il mento
e Lena scosse la
testa, spuntando una casella del modulo.
«Ti
fidi di Indigo, adesso?».
«No,
ma… non sono io a doverci uscire. Anzi, lui potrebbe
conoscerla
meglio e capire cosa ci nasconde», fece una smorfia con la
bocca,
mettendo le braccia a conserte guardando la porta chiusa, quasi
potesse vederli attraverso, seduti davanti a quella scrivania.
«A
meno che a lei non interessino i ragazzi… Bisogna
indagare», si
voltò di scatto e Lena impallidì, alzando
lentamente il viso dal
foglio. «O non sia Lenasessuale.
In tal caso…», strinse i denti e l'altra
scoppiò finalmente a
ridere, mettendo giù la penna.
«Lenasessuale?
Come ti è venuta in mente?».
«Non
ridere, la sottoscritta si è unita al Lenasessualesimo».
Si avvicinò di nuovo con le mani poggiate sulla scrivania e
la
ragazza si alzò, sfiorandole il naso con il suo.
«Quindi
è una corrente di pensiero? Mi era sembrato di capire che
fosse un
nuovo, intrigante orientamento sessuale»,
analizzò, assottigliando
gli occhi.
«Mh,
entrambe le cose… Io ci sono sotto per entrambe le
cose», le portò
via un bacio, prima che potesse sfuggirle.
«E
questo mi piace», le accarezzò una guancia e si
baciarono ancora, e
di nuovo, con più calma. Lena le tirò il labbro
inferiore,
squadrandola dal basso all'altro, attenta ai suoi occhi azzurri.
«Sai? Devo mostrarti una cosa, Kara, ma qui siamo troppo esposte…
Il magazzino CA
sotto, invece…».
«Uh.
Non vedo l'ora di vedere questa cosa».
Oh,
il magazzino CA
un piano sotto aveva visto parecchie di quelle
cose
in questo periodo. Uscirono dall'ufficio celando la fretta e dissero
ai due che sarebbero tornate presto. A Kara non sfuggì come
Indigo,
di tanto in tanto, riguardasse il suo cellulare che teneva sulle
gambe. Riconosceva che adesso stava esagerando a pensare male di lei,
ma… Trovava pericoloso come, in fondo, si stesse abituando
alla sua
presenza, accettandola quasi fosse dei loro. Indigo non aveva fatto
nulla di male da quel giorno in albergo e le aveva trovato le foto di
Lena che potesse meritare le sue ire, ma non riusciva a fidarsi. Come
se aver sbagliato una volta, significasse avere un'onta addosso che
non poteva cancellare. Era pur vero che, di lei, non si era mai
fidata davvero. Forse lo pensava perché aveva una cotta per
Lena e
non lo nascondeva, perché l'aveva baciata,
perché… non lo sapeva
più il perché. Che fosse solo gelosia? Indigo
aveva confessato di
aver lavorato per una persona che ce l'aveva con Lena per motivi
ignoti e, se avesse detto una bugia, era pronta a scommettere che a
quel punto sarebbe già saltata fuori. Ma d'altro canto era
una
persona sincera e, più le persone sono sincere,
più mentono
facilmente. Intanto, con la psicologa pagata dalla Luthor Corp per i
dipendenti aveva iniziato un percorso, come sotto clausola di Lena
per poter lavorare per lei. Lena aveva convinto la donna a parlarle
della salute di Indigo, e magari a rivelarle le sue confessioni,
infrangendo il segreto professionale. Anche se non certo gratis. Il
fatto che Winn avesse una cotta per lei la stuzzicava: lui era un
bravo ragazzo, un po' imbranato e goffo, ma intelligente e dolce,
Indigo più un rebus; forse il primo avrebbe potuto appianare
qualche
enigma che le riguardava.
«Stavo
pensando a una cosa».
Lena
serrò le labbra con forza, alzando gli occhi al soffitto e
smettendo
di baciarle intorno ai bordi del reggiseno. «Non dirmi a Winn
e alla
sua cotta per Indigo, ti prego». Rideva: già
conosceva la risposta.
«O-ps».
Kara irrigidì i denti, facendo dondolare la testa da un
lato.
«Pensavo a Winn e alla sua cotta per Indigo! Voglio davvero
aiutarlo, potrebbero anche essere fatti l'uno per l'altra! Ha-Hai
visto come entrambi si interessano di informatica?»,
gesticolò,
accigliandosi.
«Kara,
anche io mi interesso di informatica».
«Beh,
m-ma avranno altro in comune… E non sono nemmeno le cose in
comune
che c'entrano o si potrebbe pensare che stiamo insieme
perché le
nostre madri sono sposate», la fece sorridere.
«Ma!», puntò in
alto un dito, «È questione di chimica: dobbiamo
capire se quei due
fanno le scintille».
Lena
si morse un labbro, sospirando rumorosamente.
«Sarò io a fare le
scintille, tra poco».
Kara
improvvisamente si destò, diventando cremisi sulle gote. La
baciò
scattante, osservando il suo sguardo duro. «S-Scusa. I-In
effetti,
possiamo pensare a Winn e Indigo più tardi».
«O
tu
ci potrai pensare più tardi, perché io ho da fare
cose più serie».
«Io
ci potrò pensare più tardi», si
corresse subito e sorrise, così
lo fece anche l'altra, avvicinandosi per catturarle le labbra con le
proprie.
Approfondirono
il bacio, sorridendosi, passandosi le mani sulla pelle accaldata a
scoperta del bacino, delle braccia, intorno al seno. La loro
intimità
era ormai quasi interamente costituita da quei momenti rubati, veloci
ma passionali. Troppo studio, troppo sport, troppo lavoro, troppo
correre da una parte all'altra, troppo da pensare e troppo un po' di
tutto, tutto insieme. Ma il fatto che avessero tanto bisogno di
sentirsi, era ciò che le rendeva felici. E si erano date
appuntamento, non sarebbero mancate: all'anniversario sarebbe
successo. Avrebbero avuto un vero momento per loro, senza fretta e
non in un magazzino o nel bagnetto di un locale. Se lo dovevano e lo
meritavano.
«Hai
da fare il nove di giugno?», le domandò Lena
quando si stavano
rivestendo, in fretta.
Kara
passò la lingua su un labbro, per poi annuire.
«Oh, sì. Devo
prendere un treno per tornare a casa, tu? Ah, era un anno
fa…»,
alzò gli occhi, spalancando la bocca in un sorriso.
Lena
arricciò il naso. «Mi hanno consigliato un
localino appena fuori
National City. Non molto conosciuto e questo è un bene,
potremo
passare inosservate o quasi. Si mangia bene, e questa è
l'altra cosa
positiva: un'ampia scelta di secondi. È andando verso
l'autostrada,
non lontano», sibilò assottigliando le labbra.
«Approvato»,
stirò le braccia in aria, per poi allungare le mani verso il
suo
viso e passarle i pollici sulle guance. Dopo il locale sarebbero
tornate in villa e per allora avrebbe dovuto avere tutto pronto.
Ancora non sapeva esattamente cosa, ma doveva essere già
pronto. «E
Indigo per allora avrà un'amichetta dove stare
o…?». Neanche finì
di dirlo che spalancò gli occhi nell'esatto momento in cui
l'idea le
attraversò il cervello: «Ci sono!
Combinerò un appuntamento tra
Winn e Indigo per il nove e avremo la villa solo per noi! Due
piccioni con una fava». Sapeva che i suoi occhi dovevano
quasi
brillare, ma Lena sospirò arrendevole, dopo aver visto l'ora
dall'orologio sul polso, appoggiando la testa contro il suo petto.
Dopo
aver staccato con Kara, Eliza non perse tempo a chiamare Alex,
sperando di non interromperla a lavoro. Uno o l'altro che fosse. In
fondo, da qualche parte, era ancora un po' arrabbiata con lei per
averle tenuto nascosto di essere un'agente del D.A.O.. Tante storie
su come stesse ancora studiando, su come non vedesse l'ora di
lasciare il suo lavoro in boutique, e poi… La
verità era stata
dura da digerire.
«No,
non mi disturbi»,
la vide a sbalzi mentre saliva le scale. «Sto
andando a casa da Maggie, per oggi abbiamo finito entrambe. Ci
guardiamo un film con Jamie, restiamo a casa a riposare. Siamo
stanche».
Eliza
si accigliò. «Non avevate deciso di
trasferirvi?», calciò l'acqua
limpida, distratta, per poi salutare da lontano un'altra coppia che,
come loro, era lì in il viaggio di nozze. Li avevano
conosciuti
giorni fa e, di tanto in tanto, sedevano intorno allo stesso tavolo
nei locali notturni. Lillian li sopportava, che era più di
quel che
succedeva di solito.
«Non
cominciare»,
brontolò Alex: Eliza capì che si era fermata,
anche se i pixel
continuavano a muoversi.
«A
fare cosa?», scosse la testa, «Stai facendo la
faccia imbronciata?
Lo chiedo perché non lo vedo».
Alex
sbuffò. «Trovare
una casa adesso è un suicidio, ci penseremo a settembre. Con
questo
caldo, poi. Stiamo mettendo i soldi da parte, ce la faremo, non
essere in apprensione».
«Non
lo sono. O magari non più di altre volte», ammise.
«Vorrei solo
vedervi soddisfatte e tranquille, tesoro. Stai tenendo d'occhio tua
sorella?». Non capiva se la figlia avesse appena stralunato
gli
occhi oppure se era il video frammentato a renderla strabica.
«La
vedo così turbata».
«Per
te, Kara è sempre turbata»,
battibeccò. «Sta
bene! Se non ci vediamo tutti i giorni, comunque ci sentiamo per
telefono. Adesso dorme in villa con Lena e- con Lena»,
si corresse in fretta, «quindi
sta bene. Devo andare, Eliza. Saluta Lillian».
«Va
bene, ti richiamo prima del nostro ritorno! Preparati a venire a
stare a casa Danvers-Luthor per qualche giorno e avverti quelle due
di fare lo stesso», la ammonì, indicandola.
«Vacanza di famiglia».
Alex
si sforzò per sorridere, ma per fortuna l'altra non poteva
notare la
differenza da un sorriso sincero.
Si
salutarono che la donna le fece vedere il mare dietro di lei,
così
staccò. Raggiunse Lillian in spiaggia, accoccolata sopra uno
sdraio,
la testa protetta dall'ombra di un piccolo ombrellino, occhiali da
sole, un bicchiere vuoto sul tavolino accanto, su cui era appoggiato
anche un libro. Eliza si fermò a guardarla: aveva slacciato
le
cordicelle del pezzo sopra del costume e, perfettamente in posa,
prendeva il sole. O almeno lo prendeva prima che lei si mettesse in
mezzo. La vide alzare la testa e abbassare gli occhiali.
«Non
vieni a farmi compagnia?», le domandò Lillian,
alludendo allo
sdraio accanto, rimasto vuoto.
«Ho
salutato i McNeel, prima».
Lillian
si rimise gli occhiali da sole e appoggiò di nuovo la testa.
«Non
vedo l'ora di passare anche questa notte a parlare di foche»,
disse
a bassa voce, sentendo che ridacchiava. Il giovane marito della
coppia era un addetto che ripuliva i bisogni degli animali nelle
vasche di uno zoo marino e si intratteneva spesso a parlarne. Era un
vero appassionato.
«No,
veramente… pensavo a fare qualcosa di diverso, questa notte.
Ci
restano pochi giorni, avremo tempo per le foche». La vide
rialzare
la testa, lentamente. «Questo posto offre così
tante attività».
Allora Lillian riabbassò la testa. «Nel nostro
bungalow, per
esempio», sussurrò e sorrise, nel vederla
rialzarsi di nuovo,
«potremo invitarli lì». Non trattenne
una risata, vedendo che si
riabbassava ancora. «I cocktail, Lillian».
A
quel punto, la donna si sfilò gli occhiali da sole,
ripiegandoli e
poggiandoli sul tavolino. «Sii diretta, Eliza: cosa hai in
mente per
stanotte?».
«Sesso,
Lillian. Faremo sesso».
«Oh,
bene», emise un sospiro e sorrise. «Finalmente
un'ottima ragione
per aver sopportato le foche».
La
sua seconda metà dell'anima, pensò Alex, finendo
di salire le
scale. Non sapeva dove né chi fosse quella per Maxwell Lord,
anche
se lui avrebbe desiderato fosse lei come la povera babysitter aveva
desiderato suo padre, ma la sua era certamente Maggie. Una parte di
lei, quasi si dispiaceva di non poter ricambiare e offrirgli
ciò che
gli serviva. La sua concezione di amore era totale e con lei non
l'avrebbe avuta, eppure persisteva. Era così sicuro che
prima o poi
avrebbe ceduto, cambiando perfino orientamento sessuale, o il suo era
masochismo prima ancora che perseveranza? Voleva togliersi dalla
testa che si fosse innamorato: era più che altro un
capriccio e una
cotta. La voleva così come avrebbe voluto un giocattolo a
cui aveva
messo gli occhi sopra. Sperava che, prima o poi, avrebbe riflettuto
le sue attenzioni su qualcun altro.
Bussò
quando si accorse di aver lasciato le chiavi in un altro paio di
pantaloni. Maggie ci mise un po' per aprire, insolitamente scalza e
coperta da un accappatoio. «Scusami, ho lasciato le chiavi a
casa.
Stavi per entrare in doccia? Dov'è Jamie?», si
guardò attorno: di
solito, le correva incontro per saltarle addosso.
Maggie
chiuse. «Jamie è dalla babysitter».
«Ancora?».
Stava quasi per uscire e andare a prenderla lei. «Credevo che
dovessimo vederci un film».
L'altra
annuì. «Ho già scelto io il film, spero
non ti dispiaccia:
Cappuccetto rosso».
Alex
spalancò la bocca, vedendo che Maggie si stava slacciando la
vestaglia. «Oh-Ooh»,
sentì improvvisamente caldo, intanto che l'altra scopriva il
suo
completo intimo, rosso magenta: lasciò cadere la vestaglia
ai suoi
piedi e si infilò in
testa il
cappuccio piumato
del completo,
invitandola a seguirla.
«Ho
sempre pensato che al lupo servisse solo un po' d'amore»,
confessò
Maggie.
Anche
a Indigo serviva un po' d'amore? Kara non riusciva a non pensarci. Di
sicuro non da Lena, però.
Sarebbe
stato un lavoro difficile? Forse, ma lo sporcarsi le mani non l'aveva
mai spaventata. Ricordava con affetto e orgoglio quando, a
diciassette anni, aveva aiutato una ragazza timida e insicura del suo
corso di astronomia a chiedere un ragazzo popolare di uscire. E con
ancora più affetto e orgoglio quando lei ebbe il coraggio di
rifiutarlo dopo che l'avevano sentito prenderla in giro con un gruppo
di amici. Forse Winn avrebbe potuto fare lo stesso: avere modo di
farsi forza, chiedere a Indigo di uscire e poi scoprire di che pasta
era fatta. Ma soprattutto tenerla lontana dalla villa il nove di
giugno, così avrebbe potuto preparare il dopo
locale
senza impicci. Non era detto che, anche se fosse riuscita a combinare
un appuntamento, sarebbe andato così bene da non doverla
veder
tornare per dormire, in fondo si trattava del primo appuntamento, ma
l'importante era che le avrebbero lasciato le chiavi, perché
se si
azzardava a suonare…
Il
volto inquieto e smarrito di Winn si aggirava per il corridoio.
Appena le vide uscire dal magazzino, tirò un sospiro di
sollievo
enorme, ricordando a Lena il suo appuntamento. Kara strinse l'altra
per un braccio il tempo di chiederle se poteva distrarli dal lavoro e
Lena le lanciò una lunga occhiata seriosa, pregandola di non
esagerare.
«Ah,
lo sapevo»: lui sorrise soddisfatto, l'espressione entusiasta
di chi
era convinto di saperla lunga. «Siete tornate a stare
insieme, ve lo
si legge in faccia! N-Non lo dirò a nessuno, se-».
Lena
lo freddò: «Hai preso un granchio, rimettiti a
lavoro», lo indicò
e lui impallidì, annuendo e tornando un passo indietro.
Mancavano
pochi minuti al suo appuntamento di lavoro e probabilmente sarebbe
stato solo il primo di oggi, dunque andò verso l'ascensore,
lasciando a Kara il resto.
Winn
si rimise in marcia per salire al piano che Kara lo
affiancò, non
trattenendo uno sghignazzante sorriso. La guardò due o tre
volte,
veloce, chiedendosi cosa avesse da fargli quella faccia, quando d'un
tratto lo strinse per le spalle e sobbalzò dallo spavento.
«E
così hai una cotta per Indigo, eh?».
«Cosa?»,
diventò color pomodoro in fretta, spalancando gli occhi.
«No»,
sorrise, scuotendo la testa.
«Sì».
«No…
Forse un pochino, ma lei…».
«È
perfetto, Winn!», lo fermò, guardandolo negli
occhi.
«…
lo è?!».
«Ti
aiuterò a chiederle di uscire».
Per
un attimo, parve che il ragazzo si fosse fatto più alto,
quasi si
fosse messo sulla punta dei piedi dalla contentezza. Magari era
davvero così. «Lo faresti?».
«Certo!
Tu mi avevi aiutato con Lena, quando… beh, non sapevi che
era Lena,
ma mi hai aiutato».
Il
sorriso di Winn si freddò: lo ricordava eccome, ma il suo
intento
era tutt'altro e lei non l'aveva capito. A quanto pareva, continuava
a non capirlo. Se non altro, considerando i precedenti, sembrava che
dell'aiuto gli servisse senza dubbi. «Come vuoi agire?
Perché provo
a parlarle, ma lei non risponde e-».
«Lascia
fare a me! Segnati questa data: il nove avrete un appuntamento.
Comincia a pensare dove».
«Il
nove?», sorrise. Come faceva già a
sapere…? «Perché proprio il
nove?».
«N-Non
fossilizzarti sul perché, ma segnati la data e
basta», fece una
smorfia, annuendo.
TENTATIVO
DI APPROCCIO N°1: IL CIBO
Kara
sapeva che per ottenere l'attenzione di Indigo non era necessario
essere gentili e parlarle a bassa voce com'era solito fare Winn, come
se lei, al sentirlo, potesse rompersi da un attimo all'altro:
rischiava di ottenere l'effetto mosca, o ronzio che fosse,
cioè
fastidio. Ottenere l'attenzione di Indigo era in realtà
piuttosto
facile: la gola. In villa non faceva che sgranocchiare qualsiasi cosa
facesse. Una brutta abitudine.
Aveva
rubato il ragazzo pochi minuti, il tempo di uscire, comprare qualcosa
di convincente e tornare alla Luthor Corp. La porta dell'ufficio di
Lena era chiusa al loro ritorno e Indigo non li guardò
rientrare.
Kara mandò avanti Winn quasi con una spinta, appoggiandosi a
un muro
e allungando lo sguardo verso di loro, fingendo di giocare col
telefono in mano. Quando lui si voltò verso da lei con
panico, gli
sventolò la mano, incitandolo a farsi avanti.
«E-Emh».
Niente, lei non si mosse e lui si girò di nuovo verso Kara.
«Tieni,
Indigo, spero ti piacciano», prese coraggio e le porse il
piccolo
incarto di cioccolatini. «Quando li ho visti, ho-ho pensato a
te».
Lei alzò gli occhi e lui sorrise, il piano stava
funzionando, ma si
distrasse: scivolò in avanti, l'incarto finì con
una spinta su un
portapenne, il portapenne spostò una tazza e il
tè schizzò tra la
tastiera, l'incarto e i pantaloni della ragazza. Lei si alzò
di
scatto e lui, che stava ancora cadendo, le spinse il monitor.
«Oh,
mi dispiace! I-Io non volevo».
Kara
si portò una mano contro la fronte.
TENTATIVO
DI APPROCCIO N°2: LE SCUSE
I
cioccolatini potevano funzionare, potevano:
l'incarto era ormai pregno di tè alla pesca e Indigo lo
lasciò da
un lato della scrivania, correndo in bagno per pulirsi.
Possibilità
andata in fumo? No, si era solo creata una nuova ghiotta occasione.
«Non
fare quella faccia da disperato, con lei devi essere più
deciso».
Lui
si portava continuamente le mani contro il viso, asciugandosi il
sudore della fronte con la cravatta. «Non gli
piacerò mai! A chi
voglio prendere in giro?!», sbottò disperato.
«L'ultima volta che
ho avuto una sbandata, lei non si ricordava nemmeno il mio
nome».
Kara
aggrottò la fronte e strinse i denti. «Non te la
prendere, Siobhan
è fatta così».
Lui
si tolse le mani dal viso con uno scatto, demoralizzato.
«Siobhan
non si ricordava il mio nome?!».
Kara
si morse un labbro mentre lui piegava di nuovo la schiena e si
copriva il volto, ormai abbattuto. Accidenti, presto lei sarebbe
uscita dal bagno e lui ancora piangeva su se stesso, non poteva
permetterlo. «Winn», gli poggiò una mano
su una spalla,
infondendogli coraggio. «Forse bagnare i cioccolatini non
è stata
la mossa migliore che potessi fare, ma le donne amano i ragazzi che
si prendono la propria responsabilità e chiederle scusa, in
modo
deciso, fa al caso tuo. Questa possibilità è
ancora migliore di
quella dei cioccolatini».
«Dici
davvero?», alzò il viso.
Il
volto di Winn era rosso dal naso all'attaccatura dei capelli, gli
occhi lacrimosi e le sopracciglia spettinate. Kara entrò con
lui nel
bagno degli uomini per renderlo presentabile e lo spinse di nuovo
verso la sua nuova opportunità. Si appiattò
davanti alla porta del
bagno delle donne e tese le orecchie, spiandoli dalla serratura.
Lui
avanzò determinato verso di lei, come le disse di fare Kara.
Indigo
cercava di smacchiarsi i pantaloni fregando le dita nella zona umida
e Winn le porse un fazzolettino profumato. «M-Mi
dispiace». Ancora
un balbettio, accidenti. «Tieni, prendi questo. È
colpa mia, mi
sono distratto». Lei prese il fazzoletto e lui
ingurgitò saliva,
cercando di trattenere l'ansia contorcendosi le mani. «Mi
sono
distratto… per-perché», non
di nuovo,
«tu sei-».
«Magari
stai più attento». Lo interruppe e gli rimise in
mano il fazzoletto
usato, sorpassandolo e uscendo dal bagno.
Winn
restò impalato, deglutendo ancora. «Bellissima»,
finì di dire con uno spento sorriso.
TENTATIVO
DI APPROCCIO N°3: DOMANDE
Indigo
si dimostrava più dura del previsto. Winn forse era
già sul punto
di gettare la spugna, ma non Kara. La seguì con una corsa
spericolata dopo che uscì dal bagno; per poco non cadde e,
quando
vide passare Lena con un gruppo di uomini e donne dall'altro lato del
corridoio, le mostrò il pollice in segno di vittoria.
«Indigo! Come
vanno i pantaloni?».
«Cosa
vuoi?».
«Uh…
come siamo, beh, precipitose. Non voglio… niente».
«Allora
perché rincorrermi, Kara Danvers?», si
fermò. «Cosa vuoi?».
Kara
spalancò le narici, guardandola dritta negli occhi azzurri.
Ansimò
e decise di vuotare il sacco: «Ti piacciono gli
uomini?».
L'altra
spalancò gli occhi, la fissò per un tempo che
sembrò lunghissimo e
infine se ne andò.
Il
tentativo di approccio numero quattro? Chiederglielo direttamente:
fallito perché lei non aveva sentito. Il tentativo di
approccio
numero cinque? Portarle dell'altro tè per sopperire al
danno:
fallito perché non aveva più voglia di
tè. Il tentativo di
approccio numero sei? Farle vedere un video di animali coccolosi:
fallito perché non le facevano tenerezza gli animali
coccolosi.
Tentativo di approccio numero sette? Farle vedere un video di neonati
che ridevano: fallito perché non le facevano tenerezza
nemmeno i
neonati che ridevano e si sbrodolavano la pappa sul mento. Tentativo
di approccio numero otto? Portarle dei fiori; in fondo con Kara
funzionava: fallito perché era allergica e corse di nuovo in
bagno.
Kara la rincorse ancora una volta fuori, per sapere come stava.
Tentativo di approccio numero nove?
«No,
Winn, non funzionerà», bisbigliò Kara,
«Quella non li legge i
bigliettini».
«Ma
se non mi ascolta, almeno leggerà»,
scrollò le spalle il ragazzo.
«O quello, o lascio perdere. Nessuna ragazza vorrà
davvero uscire
con me. Non so nemmeno se sono il suo tipo».
«Va
bene», gonfiò le guance, «Prepara quel
bigliettino».
Appena
Lena si liberò dai suoi appuntamenti, Kara entrò
nel suo ufficio
con la coda tra le gambe. Fallire non le piaceva per niente. Si
andò
a rifugiare tra le braccia di Lena in modo tanto disperato che
sembrò
doverci andare lei a quell'appuntamento. «È andata
male. Indigo è
più dura di… E non le piacciono i video dei
cuccioli! A che razza
di persona non fanno tenerezza i cuccioli?»,
brontolò.
Lena
sorrise. «Non è omosessuale».
«Cosa?».
Si spostò, alzando le sopracciglia.
«Non
è omosessuale, gliel'ho chiesto. E nemmeno Lenasessaule»,
abbozzò una risata. «Non si sente rappresentata da
nessun
orientamento sessuale e… credo che possa
funzionare», alzò il
dito indice destro e si andò ad appoggiare sulla scrivania,
incrociando le gambe: «Ha mangiato i cioccolatini».
Kara
spalancò la bocca, raggiungendola con uno slancio.
«Ha mangiato…?
Ma erano bagnati di tè».
«Non
sembrava importarle».
«Ma
tu hai detto…», la indicò,
assottigliando lo sguardo. «Aspetta
un momento, avevi detto di avere altro da fare, non volevi
impicciarti».
Lena
annuì, sistemando le braccia contro il petto. «Ho
colto
un'occasione, ma stavo lavorando».
«Grazie»,
soffiò, accanto a lei. Kara la baciò e si
specchiarono negli occhi
l'una dell'altra.
Il
bigliettino finì sul pavimento, spinto con un gomito, e dopo
schiacciato dalla suola delle scarpe, ma Winn, a dispetto delle
aspettative, non provò ad arrendersi di nuovo e fece
qualcosa di
molto coraggioso che Indigo non poteva ignorare: scavalcò la
difesa
del computer dell'azienda su cui lavorava l'altra con un virus
innocuo modificato per far apparire un bigliettino digitale che si
aprì sul suo desktop, in modo che leggesse per forza il suo
invito a
uscire insieme. Era lontano qualche metro da lei che si fregava le
mani e, quando la vide alzare lo sguardo per cercarlo, gli parve di
sciogliersi.
C'erano
le stelle, e cos'era quello, un cane? Un gatto? Indigo strinse sotto
le dita quel bigliettino, cercando di focalizzare e tradurre quei
segni scritti a penna con un segno tremolante. No, era una W,
la W
di Winslow.
Pensava non fosse capace di disegnare, invece non era capace di
scrivere. Per quello, forse, il bigliettino digitale le era sembrato
più formale. Iniziò qualche giro sulla sedia a
ruote davanti alla
scrivania, tenendo stretto quel biglietto. Ci teneva tanto, quel
Winslow, a uscire con lei? Scorse Lena affacciata allo stipite della
porta del suo ufficio e si fermò con fermezza, andandole
incontro.
«Se ti avessi scritto un biglietto come questo, saresti
uscita con
me?». Glielo mostrò e Lena lo prese, leggendo.
«Oh,
è tenero». L'altra la guardò scrollando
le sopracciglia e le
riprese il bigliettino, calpestato
e spiegazzato, formando
un sorriso. «Non ha preso bene il rifiuto, vero?».
Indigo
si appoggiò di spalle al muro, arrendevole. «Credo
sia andato a
piangere. Kara gli è corsa dietro: adesso avrà un
nuovo motivo per
avercela con me», sbottò. «Sono uscita
con altri ragazzi, ma per
farci del sesso. Non credo che sia questo il motivo per cui vuole
uscire lui», ammise, abbozzando una risata.
«Winslow è in cerca di
qualcosa che non sono sicura di riuscire a dare: ho visto come mi
guarda e non saprò come comportarmi da persona, ma riconosco
come le
persone funzionano».
Lena
sospirò. «Forse credi di saperlo».
«Mio
fratello era più bravo a saperlo».
«Potresti
provarci, e magari divertirti». Allungò lo sguardo
al foglietto,
che lei stringeva ancora tra le dita. «Non partire dal
presupposto
che non sarai capace di dargli ciò che cerca»,
sussurrò in un filo
di voce, «Non puoi fasciarti la testa ipotizzando che te la
romperai».
Si
scambiarono uno sguardo e Indigo sollevò di nuovo il
biglietto.
«Saresti uscita con me, per questo?».
Lena
annuì, sorridendo, tornando all'interno del suo ufficio.
Per
quanto Indigo sostenesse di non riuscire a comportarsi da persona,
Lena trovava buffo come il suo tirarsi indietro, quasi per paura,
fosse una cosa indiscutibilmente umana. Non era certa che a bloccarla
fosse la sua cotta per lei, ma proprio la consapevolezza di non
funzionare, e magari di far restar male Winn. La
psicologa le spiegò come, per quanto si sforzasse per
restare
impassibile e sopprimere i sentimenti, Indigo stava perdendo il
controllo. Stando a questo, forse, pensò, temeva di non
essere
meritevole di essere felice perché, com'era successo con
Kara e al
discorso su sua zia a Fort Rozz, le veniva facile ferire le persone
essendo solo sincera.
Avrebbe potuto dare un'occasione a se stessa, prima ancora che a
Winn; non accettando di uscire con lui per forza, ma a lasciarsi
andare dalle rigide imposizioni che si era costruita dopo la morte
del fratello.
Era
probabilmente quello che aveva fatto lei alla morte di suo padre, al
contrario, che le aveva dato una possibilità di innamorarsi
di Kara,
prima ancora che tutto il resto. E tra due giorni sarebbe stato il
loro anniversario; sorrise. Erano successe così tante cose
in un
solo anno.
«Lo
ha rifiutato», farfugliò Kara agitata quando era
sola con Lena, a
casa a studiare. «Winn ha fatto di tutto e ci sono davvero
rimasta
molto male io per lui. Magari non è il suo tipo, ma se
potesse
almeno spiegarsi con lui…». Finì per
fare un lungo verso con la
gola e stringere i pugni.
«È
probabile che Indigo non sia ancora pronta per questo grande salto
nella vita sociale, Kara. È in terapia, ma nulla
è immediato».
Sicuramente
aveva ragione lei, ma lo sguardo afflitto dell'amico le tolse il
sorriso, in un primo momento, continuando a pensarci. A meno che
Indigo non sperasse ancora in qualcosa con Lena. E intanto
l'anniversario si avvicinava e lei non aveva ancora le idee chiare in
testa su
come
farla pagare a Lena.
E no, il polpo era fuori questione. Fargliela
pagare,
poi, che idea scema.
Vendicarsi
avrebbe significato cercare un modo per prevalere sull'altra e, per
quanto la cosa, da un punto di vista, potesse apparire stimolante, se
chiaramente voluta da entrambe, Kara si accorse che avrebbe dovuto
rimandare quell'idea perché non le riusciva altro se non
essere
irrimediabilmente dolce con lei. E in fondo, se essere dolce le
veniva tanto bene, perché cambiare?
Le
sorrise e mise giù il libro, stirando le braccia. Poi
poggiò un
gomito sul tavolo del salotto e la fissò fino a quando non
se ne
rese conto e, imbarazzata, sorrise d'istinto.
«Cosa
c'è?».
«Basta
studiare, andiamo a prenderci qualcosa: un gelato, un pasticcino, un
waffle, una crepe, cioccolatini imbevuti di tè alla pesca, dicono
siano buoni,
qualsiasi cosa».
Lena
scoppiò a ridere, arricciando il naso. «E
l'esame?».
«So
tutto». La vide inarcare un sopracciglio e così si
alzò dalla
sedia, mostrandole una mano per convincerla. «Prendiamoci un
momento
per noi. Lo so, c'è l'anniversario, ma ci meritiamo una
pausa».
Lena
abbozzò un sorriso e scosse la testa, accettando mentre le
stringeva
la mano. Disse a Indigo che non sarebbero tornate tardi e si
infilarono in auto, osservando il cielo che si imbruniva. «Ad
arrivare in centro, sarà già buio». A
Kara non interessava: la
fissò per tutto il tragitto in macchina, facendole venire da
ridere
senza motivo, così tentava di distrarla chiedendole di
cambiare
canzone alla radio.
«Facciamoci
una passeggiata».
Kara
la prese per mano che ancora erano dentro al parcheggio e Lena
l'abbracciò di scatto, fermandola, sapendo che erano ancora
sole e
alla penombra dei lampioni, lì. Al sicuro. Era poco
più alta di lei
per via dei tacchi e le carezzò una guancia, avvicinando il
viso al
suo. Si sorrisero e ascoltarono una il respiro dell'altra, toccando i
reciproci nasi, guardandosi di sfuggita, rosse sulle gote, alla
ricerca delle loro labbra. Si assaggiarono piano, continuando a
stringersi, e dopo approfondirono il bacio assicurandosi di prendere
fiato. Si staccarono lentamente che…
«Ahi»,
a un certo puntò Kara scattò, iniziando a
grattarsi un braccio.
«Stupide zanzare».
Ringhiò
e Lena rise, prendendole una mano e trascinandola in avanti. Potevano
rischiare ma solo un pochino, magari camminando in vie non troppo
illuminate. Stavano uscendo dal parcheggio che tre ragazzi, invece,
stavano appena entrando. Lena si fermò e la gola
iniziò ad
asciugarsi: aveva una strana sensazione. Kara cercò di
spingerla e
allora la lasciò fare, ma quando, appena sorpassati, uno dei
tre si
rivolse a loro, fu Lena a cercare di tirarla. «Andiamo via,
Kara»,
disse quasi in un sussurro.
Loro
non sembravano della stessa opinione: «Tutte
sole?», chiese uno dei
tre, «Siete fidanzate?».
Kara
inarcò le spalle e sorrise: al contrario di Lena, non
sembrava per
nulla preoccupata. «Sì, lo siamo».
«E
volete divertirvi senza di loro?», domandò un
altro, facendo un
passo in avanti e scambiandosi un'occhiata con gli amici. «Vi
hanno
lasciate sole».
«Loro
chi?».
Lena
le tirò il braccio. «Scusate, dobbiamo
andare».
Il
terzo allora sbottò: «Stiamo solo parlando, che
male c'è? Ci
facciamo un giro, vi va?».
«Per
conoscerci meglio», continuò il primo. Vicino a
Lena, pensò di
allungare una mano per prenderle quella libera, ma fu Kara a
scattare: lasciò la mano dell'altra e, in un gesto naturale,
gli
strinse il polso, girandogli il braccio verso il basso, bloccandolo.
Era la sua mossa preferita. Lui urlò e gli amici stavano per
intervenire in suo aiuto.
Per
Lena, tutto sembrò svolgersi al rallentatore. Il cuore
accelerò i
battiti, il fiato si fece corto, e all'improvviso rivide gli uomini e
le donne di Rhea Gand alla Luthor Corp, protetti dai passamontagna.
Li minacciavano, proprio come quei ragazzi stavano minacciando lei e
Kara. Tirò la mano destra dalla borsetta e strinse la
pistola, la
impugnò con entrambe le mani, puntandola sui tre a turno.
Spaventati,
i ragazzi alzarono le braccia sulle spalle e si lasciarono andare a
un verso impaurito, mentre Kara spalancava gli occhi: una
pistola?
Amo
questo capitolo! Sono sincera, a dispetto di altri, ho amato scrivere
questo, ma il finale… Quel finale è proprio una
doccia fredda!
Bentornata,
gente! Voi cosa ne pensate di questo finale? E del resto del
capitolo? :)
Beh,
questa cosa della pistola doveva pur saltar fuori prima o poi, e
perché non farlo in un momento simile, con Lena che ancora
non ne ha
parlato a Kara? :D Eh, già. Però sono carine e
anche se impegnate
trovano il modo di coccolarsi.
Un
capitolo sull'amore (e altri drammi, appunto) con diversi punti di
vista e coppie, tra Lena e Kara, Winn e i suoi tentativi per uscire
con Indigo, Eliza e Lillian, appena Megan e John, Alex e Maggie, Alex e Maxwell
Lord…
eh, ma quest'ultima è a senso unico, ahah. Amori e altri
drammi, sì,
eppure questo capitolo contiene un passaggio importante che non
sembra affatto importante, proprio qui dove la trama pare essere
messa da parte. Chissà che forse ve lo farò
notare io quando sarà
il momento giusto :3
Il
prossimo appuntamento
sarà
martedì
22 ottobre con il capitolo cinquantasei che si intitola
L'anniversario
– Prima parte.
Sì, l'anniversario sarà diviso in due capitoli e
occuperanno lo
slot (?) che spetta al capitolo stand alone. Ci saranno parti nel
passato? Oh, eccome ~
Ma sapete qual è la cosa bella bella? Che il capitolo
parlerà
dell'anniversario in cui tutto è iniziato e Lena e Kara si
sono
conosciute, e proprio il 22 ottobre è stato il giorno in
cui, due
anni fa, iniziai a scrivere Our
home,
l'inizio di tutto! Esatto, col prossimo capitolo festeggeremo il
secondo compleanno della fan fiction! E neanche l'avessi fatto
apposta a far cadere questo capitolo, dell'anniversario, proprio il
giorno del compleanno: avevo già selezionato la data e dopo
ci ho
fatto caso XD È proprio un anniversario ~
|