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Autore: Ghen    12/10/2019    2 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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55. Amore e altri drammi 


Maxwell Lord si portò la cannuccia alla bocca e bevve un sorso di succo d'arancia, poggiando di nuovo la bottiglietta sul tavolino. Il sole picchiava al di là dell'ombrellino colorato che lo proteggeva, accanto a quelli chiusi e altri aperti dei tavolini intorno. La cameriera, gentile, si fece il giro dei tavoli sulla piazzetta e si fermò per chiedergli se gli servisse qualcosa. Aveva il suo giornale, il succo d'arancia e waffle con marmellata. «Grazie mille, signorina, sono a posto». Lo lasciò scambiandosi un sorriso e il giovane continuò a leggere il giornale. Guai in vista per la Wayne Enterprises: sembrava proprio che alcuni soci del rampollo Bruce Wayne avessero pagato qualcuno per ucciderlo. Le ragioni erano ancora ignote, anche se si ipotizzavano divergenze lavorative. Lui scosse la testa e continuò a leggere: il tentato omicidio proprio la sera della rottura definitiva tra il giovane Wayne e Lena Luthor, una brutta giornata. Allora inarcò un sopracciglio. All'improvviso qualcuno gli fece ombra, sedendo davanti, e Maxwell sorrise compiaciuto. «Sapevo che saresti tornata da me, Alex; favorisci qualcosa?».
Lei aggrottò lo sguardo. «Cosa vuoi?».
«Come?», appoggiò il giornale sul tavolino, estraendo uno dei suoi sorrisi migliori. «Sei venuta tu a sederti al mio tavolo».
Alex Danvers si sporse all'indietro e puntò la strada alle sue spalle. «Ah, sì? Quindi è un caso che la boutique dove lavoro sia proprio laggiù?».
Lui rise. «Beccato! Speravo proprio mi notassi. Ti avrei chiamato, ma tu non l'hai ancora fatto-».
«Potevi avvicinarti-».
«Potevo restarci male, ma qui ho scoperto-».
«Invece preferisci appostarti come un maniaco».
«Degli ottimi waffle», finì e lei si portò le braccia a conserte. «Vuoi ordinare qualcosa? Signorina», chiamò la cameriera alzando un dito. «Può portare- Cosa preferisci?».
«No, no, non voglio niente», sorrise alla ragazza, scuotendo la testa, «grazie, non mi devo trattenere».
«Sei difficile, Alex Danvers».
Lei forzò un sorriso. «Allora, perché sono qui?», si appoggiò al tavolino. «Immagino non perché ti sei ricordato qualcosa di importante sull'organizzazione». Le cadde l'occhio sulla sua polo celeste: era la prima volta che lo vedeva vestito casual e non con camicia o camici da lavoro.
«No. Ma per invitare te e le tue sorelle», abbozzò una risata, nel dirlo, «a una festa che si terrà da me a fine mese». Le porse un bigliettino da visita bianco con il logo della Lord Technologies: sopra c'era impresso un indirizzo, una data e un orario. «Potrà venire anche la tua fidanzata: sarò un po' geloso, ma vedrò di tenerlo per me», rise. «Anche Lex Luthor è invitato, a proposito, mi farebbe piacere la sua presenza. Vedrò di recapitargli io stesso l'invito, ma se vuoi anticiparmi, nessun rancore».
«A cosa si deve tutto questo? Semplice piscina party?». Lex invitato? Sembrava che Maxwell fosse pronto per la prossima mossa su quel loro giochetto di potere che facevano da tempo.
«Curioso che tu l'abbia detto! La piscina c'è, ma festeggeremo la riuscita di un progetto molto importante per la Lord Technologies e il mio lavoro. Tanti invitati, tanto alcol, tanti volti noti e alcuni meno noti. E ci saranno i dolci: non possono mancare a una festa, no?», sorrise. «Allora, cosa ne pensi?».
«Si sta parlando delle pillole, non è vero? Conosco i tuoi piani riguardo l'esercito».
«Non volevo fare spoiler, ma…», sospirò, «il generale Lane ed io siamo alle battute finali. Sarai dei nostri?».
Alex scosse brevemente la testa, facendo una smorfia con le labbra. «Non lo so. Manca ancora un sacco di tempo, lo userò per pensarci».
«Sì, certo». Prese forchetta e coltello e tagliò un pezzo del primo waffle sul piattino, gustandolo a occhi chiusi. «Buonissimo. Sicura di non volerne?».
«Sicura». Alex serrò con forza le labbra e gonfiò un poco le guance, pensando a quelle pillole: per un attimo, rifletté se non fosse il caso di accennargli degli effetti collaterali importanti riscontrati da Lena e Lex su quelle rubate alla Lord Technologies, in questo modo avrebbe magari bloccato la vendita, ma era così sicuro di sé che probabilmente non le avrebbe nemmeno dato ascolto. Beh, doveva provarci. «Riguardo quelle pillole-».
Lui la bloccò, riprendendo a sorridere. «No, ti prego, non parliamo di lavoro! Oggi è il mio giorno libero, tu hai appena finito il turno; se è importante, hai il mio numero». Vide Alex sbuffare, e si stava per alzare, così la fermò, indicando il giornale: «Sapevi della tua sorellastra e Bruce Wayne? Pare proprio che qualcuno sia tornato a casa col cuore spezzato. L'amore è un rischio», la fissò e lei deglutì. «La mia babysitter, quella che ho avuto dopo la morte di mia madre, era innamorata di mio padre. Gli è stata più vicino che a me», rise, ma per poco e Alex notò come i suoi occhi, ogni volta che ritornava al passato, gli si facevano lucidi. «Era mio padre ad avere effettivamente più bisogno di cure: ogni volta che rischiava di lasciarsi andare, lei lo riportava indietro. Mio padre non l'ha mai amata… lui non era più capace di amare qualcuno», spezzò un sorriso, «ma a lei non interessava: era sempre lì, anche quando lui non la sentiva». Alex abbassò gli occhi, seria, mentre lui prendeva un altro boccone di waffle e marmellata. «Questo è l'amore», sospirò.
«E lei che fine ha fatto?», domandò, «Dopo la morte di tuo padre?».
«Se n'è andata. Non avevo più bisogno della babysitter, ero adulto, ma veniva tutti i giorni per assicurarsi che stesse bene e poi è scomparsa com'è scomparso lui. L'ho rivista al funerale e», scrollò le spalle, pensandoci, «due anni fa? Più o meno. Sono certo che, dovunque sia ora, sia ancora innamorata di lui».
La mente di Alex si accese, ricordando una vecchia discussione con Maxwell: «Due corpi, un'anima».
Lui alzò subito gli occhi e la bocca formò un sorriso sincero, scoperto, genuino. «Mio padre era ancora innamorato di mia madre nonostante fosse morta», spiegò, «Era incompleto, per questo si lasciava andare e non era più capace di amare. La sua anima era per metà con lei».
«Per essere qualcuno che nutre risentimento verso il proprio padre, è sempre il tuo esempio».
Maxwell sorrise, poggiando la forchetta sul piattino. «Nutrivo risentimento per avermi abbandonato, ma il loro amore è sempre stato il mio ideale da seguire, Alex. Non fraintendermi. Le figure genitoriali, per quanto buone o brutte siano, ci restano dentro. Ah, e sono felice di scoprire che mi ascolti e non parlo a vanvera», rise, ricordando il loro appuntamento in cambio del quadretto che aveva vinto a Rhea Gand.
«In ogni caso, sono certa che Bruce Wayne saprà riprendersi».
«Sì», annuì, vedendola alzarsi. «Vieni alla mia festa», aggiunse, veloce, «Ti aspetterò».
Alex sospirò, rimettendo a posto la sedia. Maxwell sognava un'amore oltre la morte come quello dei suoi genitori, senza rendersi conto che il suo verso di lei era più come quello della sua babysitter verso suo padre: un'amore che non sarebbe mai stato corrisposto. L'amore era un rischio: almeno se ne rendeva conto.
«Prima che vai, scusami, non voglio importunarti ancora». Aspettò che si voltasse. «Puoi dire tu a Lena Luthor e Kara che possono venire alla festa anche le loro amiche di Gotham? Loro sanno a chi mi riferisco. Oh, e le tue colleghe: la biondina con gli occhiali e l'altra, quella più spiritosa, che è venuta con te per un secondo interrogatorio. Ora che ci penso: sono circondato da belle ragazze», si appoggiò soddisfatto allo schienale e Alex non trattenne mezza risata, dicendogli che non prometteva nulla. Così la vide andarsene.
Voleva un pubblico per la sua vittoria, pensò lei. Ma non era certa che lo avrebbe detto a Carina Carvex: a lavoro era un conto, non la voleva intorno anche nei giorni di festa. E Indigo, figurarsi. Ma cambiò idea d'un tratto: forse sarebbe stato meglio portarsela appresso invece di lasciarla sola in villa. Ma cosa andava a pensare? Non era nemmeno certa che ci sarebbe andata a quella festa. Però si parlava delle pillole e sarebbe stato il caso di farlo e tenersi informata. Sospirò, entrando in macchina. Accidenti a Maxwell Lord: passava il suo invito, ma il discorso sull'amore era certa che le sarebbe rimasto addosso per un po'.
E lo pensava anche lo stesso Maxwell. Gli piaceva confidarsi con lei, svuotarsi di un peso, affidarlo a qualcuno. Si stava rendendo conto che lei gli piaceva davvero molto e, allo stesso tempo, come il sentimento non fosse ricambiato. Due corpi e un'anima. Non avrebbe mai avuto l'amore che sognava.

L'amore che invece era certa di aver trovato Kara con Lena. Loro erano arrivate a un nuovo traguardo del rapporto, anche se, in questo momento, la prima si stava arrovellando il cervello per una questione importante:
«Non posso dire che- mh, mi dispiaccia… Emh, voglio dire», gesticolò, rossa fino alle orecchie dall'imbarazzo. «Arrivando al dunque, ho bisogno del tuo aiuto». Vide Megan alzare gli occhi al soffitto e inspirare, in attesa, così iniziò a girarle intorno, nella loro camera in comune al campus. «Nel senso… Un aiuto, del tipo, sessuale».
«Tu lo sai che io non sono mai stata con una donna, vero? Esistono ragazze etero, Kara, accettalo».
«Sì, sì», abbozzò una risata svelta e scosse la testa, sedendo al suo fianco sul letto. «Certo che- Ma puoi aiutarmi lo stesso». Megan sospirò sconfitta, abbassando il libro che aveva tra le dita e tenendo il segno. «Da quando Lena ed io siamo tornate a stare insieme, ci capita spesso di… di stare assieme. Ma questo è un periodo stressante, a letto crolliamo dal sonno, e ci capita di stare assieme… in momenti diversi».
«Comincio a non seguirti più, ragazza. Diversi in che senso? Siete almeno nello stesso posto?».
«Certo», arrossì, «Intendevo- È-È come se non potessi farne a meno», puntò lo sguardo lontano e, per un attimo, l'altra la seguì, adocchiando il suo armadio. Appena Kara si girò lo fece anche lei, guardandola negli occhi. «E questo è okay… beh, lei sembra proprio che decisamente non possa farne a meno», annuì con convinzione.
Era trascorsa quasi una settimana da quando lasciarono la camera d'albergo di Gotham City e, da allora, sembrava proprio che il loro appetito sessuale, invece di andare verso una situazione di calma, si fosse ulteriormente impennato e Kara non poté fare a meno di pensare che fosse perché erano abbastanza impegnate da non avere più un tempo decente da dedicarsi e ritagliavano i momenti che capitavano, o perché si avvicinava il loro anniversario. Non certo quello in cui si erano messe insieme ufficialmente, e neanche quello prima della rottura, o quello del loro primo bacio, no, ma quello del loro primo incontro sul treno, quando tutto iniziò. Si sentiva attratta da Lena in momenti che neanche immaginava. E Lena…
«Siamo andate in palestra. Ricordi che ti avevo detto che Lena voleva imparare le basi dell'autodifesa?».
Si erano cambiate negli spogliatoti della palestra indossando leggins e canotte, legando in alto i capelli, entrando nella saletta ignorando gli altri sguardi: tutti si erano zittiti di colpo e si sentiva nell'aria solo la musica casuale degli altoparlanti, ma avevano deciso di far finta di niente. Si erano accaparrate una panchina e avevano lasciato i propri asciugamani e borracce d'acqua fresca, distendendo un tappetino in una zona libera. Kara aveva invitato Lena a seguirla e dato i primi suggerimenti per cominciare. Prima che iniziasse a fare sul serio, doveva fornirle ciò che era necessario e andare con del riscaldamento.
«Però sei messa male: divarica le gambe. Un po', così».
«Uh, Kara?! Sei sfrontata… di fronte a tutti».
L'aveva fatta arrossire, con le mani ancora adagiate sui suoi fianchi. Nessuno aveva potuto sentire quel bisbiglio, ma si era bloccata come un tronco di legno.
Megan rise, portandosi una mano contro la bocca. «Era una battuta innocente! Dai, te la si fa con nulla».
«Non ho finito», mugugnò.
Dopo qualche esercizio di riscaldamento si erano fermate a bere. Lena si era sentita talmente madida di sudore e, aveva notato, anche Kara non scherzava, pur non sembrasse stanca allo stesso modo: l'aveva tenuta d'occhio mentre era andata a recuperare un sacco, parlando con quello che le disse essere l'istruttore. L'aveva fermata e lui aveva adocchiato Lena. L'aveva informata su come lì dentro fosse al sicuro dalle domande indiscrete su sua zia e ciò che stava succedendo, dicendo che aveva avvertito tutti di lasciarla in pace e lei aveva sorriso e annuito, ringraziando. Era felice di vedere che, a parte quei primi sguardi, la gente era troppo impegnata a tenersi in forma per pensare a loro. Aveva preso il sacco e lo aveva agganciato vicino, facendo cenno a Lena di raggiungerla. Lei però aveva scosso la testa.
«Vai avanti tu, penso di dover recuperare ancora un po' d'aria», si era sventolata una mano sul viso.
Kara le aveva fatto una smorfia e Lena una linguaccia. Carina, accaldata e già stremata, aveva pensato Kara, notando alcuni ciuffi dei capelli corvini che si slacciavano dalla rigida coda di cavallo per il sudore, formando la criniera di un leone. Allora aveva tirato un sospiro e iniziato a dare pugni al sacco: era da tempo che non lo faceva e presto si era concentrata solo su quello, sentendosi libera. Amava dare pugni al sacco, che fosse per allentare la frustrazione com'era stato altre volte, per sfogo, o per semplice passatempo. Si era sistemata le fasce strette intorno ai pugni e aveva ricominciato subito; non si era resa conto di come Lena la stava fissando. Tutto il suo corpo era in tensione, dai piedi, le gambe e le cosce, fino ad arrivare alle braccia, alle mani potenti. Non colpiva con i pugni, ma con tutto il suo corpo. La schiena si slanciava sinuosa intanto che il sudore le imperlava la pelle: scendeva, ogni goccia lasciava una scia lungo le sue forme toniche. Lena si era morsa un labbro e, senza accorgersene, si era ritrovata a inspirare. I bicipiti rigidi, le spalle alte, la schiena tesa, il sedere era…
«Kara?». L'aveva fermata con un verso quasi stridulo e l'altra si era voltata:
Era così rossa in volto che le era passato per la testa potesse essersi sentita male. Si era avvicinata e inchinata, incontrando i suoi occhi verde acqua.
«Dobbiamo andare».
«Ti senti bene?».
«No», aveva sospirato, per poi fare un verso con la gola e far scivolare il suo sguardo caldo lungo il suo braccio destro. Aveva avanzato la mano sinistra e osato premere coi polpastrelli, sentendo i brividi dell'altra.
«L-Lena? Cosa stai-?». Oh, l'aveva capito subito cosa stava.
«Shh», l'aveva riguardata negli occhi, «Dobbiamo andare. Adesso».
La cadenza delle sue labbra accaldate l'aveva fatta avvampare. Avrebbe voluto baciarla lì, morderle quelle labbra, subito, ma non poteva. Avevano recuperato le loro cose e si erano rifugiate negli spogliatoi: il tempo di appoggiare tutto su una panchina, facendo scivolare una borraccia sul pavimento, che si erano avvinghiate e baciate, lasciandosi senza fiato, sbattendo le gambe. Le mani di Lena avevano stretto le sue braccia: la pelle era morbida e sudaticcia, ma i muscoli ancora in tensione. Kara l'aveva sollevata, appoggiandola contro una parete, per poi baciarla più volte sotto la mandibola: Lena era così calda, la pelle così tenera. L'idea di andarsene c'era, ma il desiderio andava consumato in fretta. Lena le aveva poggiato una mano sulla nuca rovinandole la coda, contemporaneamente l'altra mano le aveva spinto l'addome, facendosi rimettere a terra il tanto per arrivare a baciarle le clavicole. Sapevano cosa stavano facendo e quanto fosse sconsiderato, ma forse era anche quello a renderlo tanto eccitante.
«Quindi…», Megan scosse appena la testa, mantenendo un sorriso costante, «mi stai dicendo che l'avete fatto negli spogliatoi?».
Kara le scoccò un'occhiata. «Ma no-non è andato esattamente tutto liscio: abbiamo sentito un rumore e la magia, emh, si è bruscamente interrotta come una doccia gelida… M-Ma e-era un falso allarme e perciò…», planò lo sguardo altrove, contraendo le labbra, «Siamo state veloci e discrete». Megan spalancò gli occhi e Kara si agitò: «M-Ma non è quello il punto».
«Okay», sorrise, scrollando le spalle, «L'avete fatto negli spogliatoi. Intendevi questo con diversi? Gli spogliatoi?». Notò come una smorfia le uscì naturale.
E l'ultima partita di lacrosse giocata? Avevano vinto ed erano andate tutte in palestra a festeggiare la finale che si avvicinava. Felice della vittoria, felice che avesse riconquistato senza non poche energie le sue compagne di squadra, felice che il nuovo coach non le avesse mosso contro delle critiche, appena aveva visto Lena, Kara l'aveva presa per mano e portata via, nascondendosi dietro un muro per baciarla. Da lì era bastato poco che sparissero dalla circolazione. Si erano baciare lungo il tragitto, rischiando che si facessero vedere, ridendo come due bambine, fino ad appartarsi lì nella sua camera al campus. Lena le aveva tolto il casco e se lo era infilato lei; poi l'aveva spinta sul primo letto sulla sua strada.
«Ottima partita», le aveva sussurrato, sistemandosi sopra di lei con un sorriso. «Festeggiamo in fretta».
Megan le lanciò un'occhiata: «Per questo sei sparita! Il nuovo coach ti cercava». Sorrise fino a quando non si accorse di un particolare: «Aspetta, aspetta! Non avrete per caso…? Sul mio letto?».
«No», per poco non gridò, scuotendo velocemente la testa, «No, no, certo che no! Ci siamo spostate in tempo», strinse i denti e Megan si accigliò:
«Basta! Perché non chiedi ad Alex di aiutarti con questa… cosa?».
«Beh… perché lei…», stralunò lo sguardo, gonfiando le guance.
Non accadeva spesso ultimamente: Maggie non era di turno, Alex si era presa la giornata libera per dare modo al suo cervello di riposare e così, approfittando della bella giornata, avevano deciso di passare qualche oretta fuori insieme a Kara e Lena, e ovviamente Indigo. Si erano fatte dei giri per le vie a guardare le vetrine e dopo avevano accontentato Jamie e si erano fermate davanti al bar in un parco per mangiare il gelato. Kara aveva avuto come una specie di déjà-vu: Lena non aveva fatto altro che fissarla, intenta a consumare il cono prima che si squagliasse.
«A cosa lo hai preso?», aveva domandato Alex, sedendo a fianco a Lena.
Lei aveva sorriso. «Vaniglia», aveva scoccato un'occhiata a Kara il cui gelato era per metà sulle dita e cercava di leccarlo via. Alex aveva guardato una e poi l'altra e Maggie, invece, aveva trattenuto una risata.
Alla fine, Kara aveva ceduto, diventando paonazza. «Devo andare». Si era alzata in fretta.
«Anch'io», Lena le era corsa dietro.
Alex aveva spalancato gli occhi, incredula di ciò che era appena successo. «Siete scandalose», aveva urlato in tempo per farsi sentire. E mentre Indigo cercava di mangiare il cono perennemente disturbata da Jamie che ce lo aveva metà disperso sulle guance e l'altra metà sul colletto, Maggie aveva annuito. «Tu ci credi a quello che è appena successo?», le aveva chiesto Alex.
«Oh, dai. Sono all'inizio di una relazione e gli ormoni giocano brutti scherzi».
«Noi non eravamo così».
«No, infatti». Alex stava per aprire bocca di nuovo che Maggie l'aveva interrotta: «Il ristorante sulla trentottesima? La centrale, e io ero in servizio? Casa tua, innaffiavi le piante? Oppure cosa ne pensi del teatro Lum-».
«O-Okay, hai vinto», l'aveva fermata rapidamente e nascosto la bocca dietro il cono, diventando rossa.
Immaginava che ad Alex la loro relazione sarebbe sempre apparsa un po' strana. Forse perché, meglio di lei, riusciva a considerare Lena la sua sorellastra e Kara che era sua sorella… Si vergognava un po' a parlarne con lei per questo.
Megan scrollò gli occhi. «Va bene, ho capito: solo io posso aiutarti e tu e Lena siete animali in calore. Cosa posso fare, per te?».
Kara s'imbrunì, abbassando lo sguardo e iniziando a giocherellare con le pieghe del copriletto. «N-Non siamo- Beh, ecco, il punto è questo», si stirò le dita delle mani, deglutendo: «Vorrei farla pagare a Lena». Lo disse con una voce talmente bassa che Megan si avvicinò, chiedendo di ripetere. «Vo-Vorrei- È già difficile dirlo una volta», sgranò gli occhi.
«Allora ti farai aiutare da chi ha il super udito».
«Pff. Vorrei… farla pagare a Lena».
Megan la fissò a lungo senza dire niente, finché non le regalò un tenero sorriso. «Questa è facile: non dargliela».
«Noo, non in quel senso», si agitò, con le guance color porpora. «Ti spiego. È che lei, una volta, ha-ha preso il totale controllo e mi ha impedi-impedito di muovermi». Riuscì a dirlo, prendendo aria a pieni bocconi. «E ho promesso che mi sarei vendicata, gliel'avrei fatta pagare ma…», si leccò un labbro, «ho paura di non avere fantasia, e proprio perché ultimamente stiamo insieme così spesso, anche se di fretta…». Si agitò di nuovo dall'imbarazzo e Megan spalancò la bocca, per poi sogghignare.
«Adesso sì che è chiaro! Non puoi chiedere a Google come tutti?», scosse la testa e riguardò il suo libro solo per un momento, sospirando. Kara gonfiò le guance e lei le poggiò una mano sulla spalla destra. «Avrò anche esperienza con un uomo più grande, Kara, ma non saprei cosa dirti. Né se davvero voglio raccontarti qualcosa», disse con onestà, piegando le labbra.
«M-Ma io non voglio», sgranò gli occhi, «No, aiuto, no. No, no, no… no, no». Si tappò gli occhi.
L'altra rise. «Sai che fai? Fissate un appuntamento, fate qualcosa di… carino. Non credo che Lena stia al centro di una stanza a pensare a cosa ti inventerai per fargliela pagare», virgolettò. «Poi se ti venisse qualcosa sul momento, tanto di guadagnato. Darei tantissimo ora come ora per avere anche solo un appuntamento carino».
Megan abbassò gli occhi e Kara le prese una mano con le sue. «Non sei ancora riuscita a parlare con John?». La vide scuotere la testa.
«Questo fine settimana dai verdi non c'era, non è andato. Lo chiamo e non risponde. Quando passo da lui non è in casa. Oppure non mi apre», prese fiato. «Vorrei capire cosa gli succede, se è perché ci siamo mollati o perché… Vorrei stargli vicino».
L'altra annuì, accarezzandole la mano. Che ironia, pensò: Megan voleva allontanarlo apposta per fargli capire il suo errore, e ora lui sembrava sparito dalla sua vita. «Probabilmente sta lavorando sodo, per…».
«Però mi piacerebbe sapere se almeno sta bene, non mi lascia neanche un messaggio», scrollò le spalle. «Sai cosa faccio io? Studio matematica», le indicò il libro, «che era il motivo per cui ti ho fatto venire qui, a proposito, do l'esame e lo supero… e mi attacco alla sua porta come un accidenti di adesivo, te lo dico io», alzò la voce all'improvviso, stringendo i pugni. «Prima o poi dovrà tornare a casa, ha i pesci rossi». Si guardarono e risero.
«Ottimo piano. Dunque… matematica?», le indicò il libro e Megan lo aprì. Pensò di sorriderle, ma non poté fare a meno di pensare, malinconicamente, quanto forse ora si pentisse per non averlo perdonato subito. Cosa passava per la testa di John?
«E tornando un attimino veloce al discorso di prima», mormorò, finendo per sorridere da orecchio a orecchio e distraendo entrambe: «Se sei in cerca di idee, so di un certo film con un polpo…».
«Cosa?».
Non ebbe fortunatamente il tempo di chiedere spiegazioni, se ne avesse avuto intenzione, che bussarono alla porta e, quando andò ad aprire, il guardiano le consegnò un mazzo di fiori. Poi un altro. E un altro. Fece passare un uomo in divisa da giardiniere con un carrello che cominciò a depositare fiori, in vasi, dappertutto. Quando uscì entrò un secondo carrello e poi fu turno del terzo. Sembrava finita, ma la porta fu sbarrata dal quarto carrello. Probabilmente era stato svaligiato il fioraio. La stanza al campus fu invasa dal profumo di fiori e Kara arrossì, leggendo il biglietto con il suo nome e un cuore accanto. «Mi sa che le manco».
«Eh sì, in fondo sarai stata via già trenta interminabili minuti», scherzò Megan, odorando in un vasetto e borbottando che le sembravano più numerosi della scorsa volta. «Beh, ringraziala da parte mia», si voltò, «Tu tornerai alla vostra villetta e questi resteranno qui, quindi…». Risero, decidendo di distribuirne alcuni ad altre compagne di camere, o quella stanzetta sarebbe diventata infernale in poche ore.
Studiarono matematica e Kara se ne andò. Appena chiuse la porta, Megan lanciò un'occhiata rigida al suo cellulare. Odiava che John non si facesse sentire e lui lo sapeva che era una cosa che lei odiava. Insomma, che fine aveva fatto? Doveva chiedere ad Alex Danvers dove fosse la base del D.A.O. a National City per vederlo? Per sapere se era ancora vivo? Quando aveva deciso di lasciarlo, di certo non immaginava che sarebbe stato licenziato alla Sunrise e che avrebbe avuto difficoltà a rivederlo. Lei sperava che lui avrebbe capito il suo punto di vista, che le avrebbe chiesto scusa e niente di più, che tanto bastava per tornare insieme. Perché le faceva questo? Perché era scomparso dalla sua vita? Che fosse così impegnato… da non trovare un attimo solo, per lei? Riprese il cellulare e provò a chiamarlo per l'ennesima volta.
«Rispondi… Rispondi, eddai…», bisbigliò, mordendosi un labbro.
Forse lei aveva interpretato male ciò che c'era stato tra loro. Se lui l'aveva esclusa, probabilmente era perché, in fondo, a John stava bene così. Era più grande di lei e… ma non voleva crederci, non poteva crederci. Erano già passati davanti a queste cose, era assurdo. Assurdo. Chiuse la chiamata ma, prima di gettare il cellulare sull'altro lato del letto, compose un messaggio: Se non ti decidi a richiamarmi, forse la rivedrai a Natale. No, cancellò. Era preoccupata e quel messaggio era fuorviante. Richiamarmi, per favore. Ho bisogno di vederti! Inviò e restò col pollice a mezz'aria, rileggendone tanti altri inviati simili a quello. Poi sbuffò, tornando al suo libro.

Kara salutò alcune ragazze e si intrattenne a parlare con un professore per un esame che avrebbe dovuto dare a breve, poi si incamminò nonostante il sole picchiasse cocente. Era pomeriggio e non c'era traffico, tutto era fermo e c'era insolita calma; intorno alla Sunrise National City University non c'erano palazzi molto alti e il sole batteva sull'asfalto, ma man mano che si avvicinava in centro e gli edifici crescevano imponenti, i raggi del sole lasciavano posto all'afa. Un solo attimo e non mancò di pensare a sua zia Astra e all'organizzazione, a come quella città, per loro, doveva apparire come un enorme tabella con zone da conquistare. E chissà quante ne avevano già conquistato, infettandole al loro interno. Loro si trovavano lì, da qualche parte. Potevano essere chiunque e lavorando ovunque. Davvero avrebbe preferito non pensarci e godersi il suo anniversario e i tanti momenti con Lena, ora come ora. Aveva scoperto chi le aveva ammazzato la famiglia e Rhea Gand era dietro le sbarre di una prigione, ma quell'organizzazione non solo era in piedi, si stava espandendo a macchia d'olio, e c'era ancora un assassino in libertà e che forse faceva parte dei loro. Avevano ancora così poche informazioni. Alzò la testa, ammirando quei palazzi: amava National City e non si sarebbe arresa. Lei e Lena non si sarebbero arrese. Affrettò il passo verso la Luthor Corp. Avrebbe voluto portare con sé almeno un mazzo di fiori, ma si sarebbero afflosciati per il calore e sarebbe tornata più tardi a prenderli: se Megan credeva che li avrebbe realmente lasciati tutti lì si sbagliava di grosso. Allentò il passo solo quando sentì vibrarle una coscia. «Ehi, Eliza», la salutò, accettando la videochiamata. Il video saltava, si bloccava e sfumava in tanti piccoli pixel azzurri di mare e cielo, ma la vedeva felice e addirittura abbronzata. «Dove sei?».
«Non si vede? È un albero», si tirò più indietro e cercò di riprendere l'albero spettacolarmente ricurvo, dalle foglie verdi, che puntata alla riva. «Li chiamano Fofoti e sono un'icona, qui», specificò con un gran sorriso. «E tu dove sei?».
«Io vado alla Luthor Corp, ho appena lasciato il campus».
«Ah, è bellissimo qui, ma d'altra parte non vedo l'ora che passino questi pochi giorni che ci dividono dal tornare a casa… sono a pezzi. Ma non dirlo a Lillian, la costringo alla movida ogni notte», aggiunse, e Kara intravide un occhiolino tra quei pixel che sembravano creare un puzzle. «E allora, come vanno le cose… tra te e Lena?».
Kara decise di fermarsi davanti alla vetrina di un esercizio commerciale chiuso, approfittando dell'ombra. Allora non trattenne più un sorriso. «Beeene… Ne hai parlato con Lillian? Cosa ne pensa?».
«Lei è entusiasta», le parve di vederla annuire, camminando sul bagnasciuga. «Ha capito che vi amate e sta iniziando ad accettare la cosa».
Kara scoppiò a ridere, fermandosi con una mano contro la bocca e tornando seria di colpo. «È fantastico! E… che mi dici della verità?».
«A quella ci sto lavorando, tesoro, sono dalla vostra parte. Facciamo progressi: ha capito che non può farci niente. A piccoli passi per volta».
Oh, le mancava. Anche lei non vedeva l'ora che passassero quei giorni che la dividevano dal loro ritorno a casa. Si salutarono e, appena prima di staccare, adocchiò qualcosa dall'altro lato della strada. Perfetto, non poteva entrare alla Luthor Corp senza un'intera scatola di ciambelle.
Questa volta le sbarre elettriche non le facevano paura: indossava dei pantaloncini sopra il ginocchio, lisci, niente che potesse fermarla. Si sbagliava: la donna che sostituiva Jeffrey, la guardia all'ingresso, sbiancò quando la vide piegarsi in due per reggere in alto la scatola rosa, dopo aver sbattuto un ginocchio e messo male un piede. «Maledetti cosi», bofonchiò, andandole incontro. Doveva incastrarsi, o sbatterci, ogni dannata volta. «Buon pomeriggio. Ciambelle?». Lei la guardò a occhi sgranati, arrossendo. Kara la vide guardarsi a destra e sinistra, per poi puntare all'interno della scatola. Nessuno poteva resistere, avrebbe conquistato il mondo con una sola di quelle. La lasciò mentre ne assaggiava a bocconcini una al cioccolato, entrando in ascensore.
«Ti serve aiuto? Se-Se ti serve aiuto, chiedimi subito qualsiasi cosa», borbottò Winn: Kara lo sentì da appena si aprirono le porte dell'ascensore. Ce l'aveva con Indigo, naturalmente. Erano seduti davanti alla stessa scrivania, distanti pochi centimetri l'uno dall'altra; lui non faceva che invaderle gli spazi personali e lei, d'altro canto, non lo degnava di uno sguardo, continuando a digitare al pc. Era strano vederla seduta lì, ma si stava abituando ad averla intorno. Appena la notò arrivare, Winn alzò una mano e sorrise da orecchio a orecchio.
«Lavoro stressante? Una ciambella e passa la paura», aprì la scatola e Indigo ne prese una veloce come un battito di ciglia. «Ehi! Non si usa almeno salutare?».
Le alzò una mano intanto che continuava a digitare con l'altra, la ciambella tenuta con i denti, occhi fissi sullo schermo.
Kara assottigliò gli occhi ed emise un verso indispettito con la gola, distratta da Winn che faceva una strana conta per sceglierne una. La porta dell'ufficio di Lena era aperta e la vide dapprima con la coda dell'occhio che si appoggiava allo stipite, in attesa. Quando alzò gli occhi, lei le faceva cenno di entrare, lo spacco della gonna lungo la coscia destra, le braccia a conserte, muoveva le labbra rosse per sussurrare qualcosa. Non la capì ma non aveva importanza e la seguì, per poi tornare indietro e recuperare la scatola con le ciambelle rimaste. Tirò un calcetto alla porta e ritrovò le sue labbra sulle proprie, mentre l'accoglieva con le braccia intorno al collo.
«Hai lasciato la porta aperta», bisbigliò con un sorriso e Kara si voltò.
«Non potevo farla sbattere», si giustificò. Cercò di allontanarsi ma Lena la fermò, aprendo la scatola e scegliendo rapida una ciambella. «Emh… grazie per i fiori. Sono tutti bellissimi, più che bellissimi, e molto profumati e…», alzò gli occhi al soffitto, abbozzando un sorriso, «ringrazia anche Megan. Anche a lei sono piaciuti molto». La vide sorridere, impegnata a spezzare la ciambella con le dita e a mangiarne pezzo dopo pezzo.
Lena allora ingoiò e la fermò per una guancia, così si avvicinarono il tanto per scambiarsi un veloce bacio. Quasi. C'erano quasi che si immobilizzò e sforzò per trattenere una risata, adocchiando Winn, paonazzo, davanti alla porta. «Dimmi».
«Ah… e… sì… sì, sì, certo. Ha una chiamata da-».
«Grazie, richiamerò io a momenti».
«Perfetto, signorina Luthor». Stava per andarsene ma, con evidente imbarazzo, non si trattenne e tornò sui suoi passi: «Siete… tornate insieme, se posso?». Le indicò con un perenne sorrisetto stampato in faccia e le due si scambiarono uno sguardo complice, per poi negare all'unisono. «Oh, mi era sembrato che…».
«Hai visto male», chiosò Lena.
«Forse sei stanco per via del lavoro», aggiunse Kara.
«Le stavo togliendo un pelucchio dal viso, hai capito male», continuò la prima.
Lui non perse il sorriso e guardò negli occhi una e l'altra, con evidente confusione. Gli chiesero di chiudere la porta ed eseguì; per fortuna non le sentì scoppiare a ridere dopo averlo fatto.
Finirono una seconda ciambella dopo essersi scambiate una serie di baci di fronte alla scrivania, poi Lena fece quella telefonata, informandola che, disgraziatamente, avrebbe avuto ancora da lavorare prima di tornare a casa per studiare insieme. Se non altro, a breve sarebbero finalmente iniziate le agognate vacanze estive, in tempo per rifiutare di stare a casa Danvers-Luthor quando avrebbero fatto ritorno le loro madri, o Indigo sarebbe rimasta sola. Il loro ritorno, già, sarebbe stato un po' imbarazzante, lo sapevano: adesso tutte erano a conoscenza della loro relazione e certe cose non sarebbero più passate inosservate. Quasi come con Winn. Ma lui era facile da prendere amorevolmente in giro.
«Come si sta comportando Indigo?», le chiese Kara prendendo un'altra ciambella, appoggiandosi col sedere sulla scrivania intanto che Lena, alle sue spalle, compilava un modulo.
«Bene. È molto efficiente. Ti ho sentita ringhiarle contro, prima», emise a bassa voce, non staccando gli occhi dal foglio.
«Mi ha preso una ciambella senza nemmeno salutare».
«Oh, che affronto».
Kara sì pulì i bordi della bocca con un mignolo, portando gli occhi al soffitto, riflettendo. «Non è che Winn teme di essere sostituito? La vedrà tanto produttiva e lui non si è nemmeno preso un po' di vacanza dopo ciò che è successo». Gli era rimasto un piccolo livido sul viso di quel terribile giorno mentre il braccio era di nuovo sano, ma parte i primi giorni dove nessuno aveva il permesso di entrare alla Luthor Corp per le indagini, era subito tornato operativo, quando ancora indossava la fasciatura. Ci teneva a quel lavoro, era chiaro. «L'ho sentito prima dire che le offre il suo aiuto».
«Lo fa spesso».
«Ma non ne ha bisogno e quindi…», scrollò le spalle.
Lena alzò lo sguardo, poggiando un gomito sulla scrivania. «Kara, Winn ha una cotta per lei. Cerca un modo per attaccare bottone, non sta pensando alla sua posizione in pericolo, puoi stare tranquilla». Abbozzò una risata quando la vide voltarsi di scatto come se avesse appena fatto la scoperta del secolo. «È troppo occupato a starle dietro per fare questo tipo di ragionamenti».
Kara spalancò gli occhi e la bocca, poggiando le mani sulla scrivania. «Accidenti! Come ho fatto a non capirlo subito?!».
«Non trova il coraggio per chiederle di uscire», riguardò il foglio, giocando con la penna in mano. «Non lo aveva nemmeno per chiederlo a te».
«Pff. Winn non aveva- Beh, non ha importanza, devo trovare il modo di aiutarlo», si portò la mano destra sotto il mento e Lena scosse la testa, spuntando una casella del modulo.
«Ti fidi di Indigo, adesso?».
«No, ma… non sono io a doverci uscire. Anzi, lui potrebbe conoscerla meglio e capire cosa ci nasconde», fece una smorfia con la bocca, mettendo le braccia a conserte guardando la porta chiusa, quasi potesse vederli attraverso, seduti davanti a quella scrivania. «A meno che a lei non interessino i ragazzi… Bisogna indagare», si voltò di scatto e Lena impallidì, alzando lentamente il viso dal foglio. «O non sia Lenasessuale. In tal caso…», strinse i denti e l'altra scoppiò finalmente a ridere, mettendo giù la penna.
«Lenasessuale? Come ti è venuta in mente?».
«Non ridere, la sottoscritta si è unita al Lenasessualesimo». Si avvicinò di nuovo con le mani poggiate sulla scrivania e la ragazza si alzò, sfiorandole il naso con il suo.
«Quindi è una corrente di pensiero? Mi era sembrato di capire che fosse un nuovo, intrigante orientamento sessuale», analizzò, assottigliando gli occhi.
«Mh, entrambe le cose… Io ci sono sotto per entrambe le cose», le portò via un bacio, prima che potesse sfuggirle.
«E questo mi piace», le accarezzò una guancia e si baciarono ancora, e di nuovo, con più calma. Lena le tirò il labbro inferiore, squadrandola dal basso all'altro, attenta ai suoi occhi azzurri. «Sai? Devo mostrarti una cosa, Kara, ma qui siamo troppo esposte… Il magazzino CA sotto, invece…».
«Uh. Non vedo l'ora di vedere questa cosa».
Oh, il magazzino CA un piano sotto aveva visto parecchie di quelle cose in questo periodo. Uscirono dall'ufficio celando la fretta e dissero ai due che sarebbero tornate presto. A Kara non sfuggì come Indigo, di tanto in tanto, riguardasse il suo cellulare che teneva sulle gambe. Riconosceva che adesso stava esagerando a pensare male di lei, ma… Trovava pericoloso come, in fondo, si stesse abituando alla sua presenza, accettandola quasi fosse dei loro. Indigo non aveva fatto nulla di male da quel giorno in albergo e le aveva trovato le foto di Lena che potesse meritare le sue ire, ma non riusciva a fidarsi. Come se aver sbagliato una volta, significasse avere un'onta addosso che non poteva cancellare. Era pur vero che, di lei, non si era mai fidata davvero. Forse lo pensava perché aveva una cotta per Lena e non lo nascondeva, perché l'aveva baciata, perché… non lo sapeva più il perché. Che fosse solo gelosia? Indigo aveva confessato di aver lavorato per una persona che ce l'aveva con Lena per motivi ignoti e, se avesse detto una bugia, era pronta a scommettere che a quel punto sarebbe già saltata fuori. Ma d'altro canto era una persona sincera e, più le persone sono sincere, più mentono facilmente. Intanto, con la psicologa pagata dalla Luthor Corp per i dipendenti aveva iniziato un percorso, come sotto clausola di Lena per poter lavorare per lei. Lena aveva convinto la donna a parlarle della salute di Indigo, e magari a rivelarle le sue confessioni, infrangendo il segreto professionale. Anche se non certo gratis. Il fatto che Winn avesse una cotta per lei la stuzzicava: lui era un bravo ragazzo, un po' imbranato e goffo, ma intelligente e dolce, Indigo più un rebus; forse il primo avrebbe potuto appianare qualche enigma che le riguardava.
«Stavo pensando a una cosa».
Lena serrò le labbra con forza, alzando gli occhi al soffitto e smettendo di baciarle intorno ai bordi del reggiseno. «Non dirmi a Winn e alla sua cotta per Indigo, ti prego». Rideva: già conosceva la risposta.
«O-ps». Kara irrigidì i denti, facendo dondolare la testa da un lato. «Pensavo a Winn e alla sua cotta per Indigo! Voglio davvero aiutarlo, potrebbero anche essere fatti l'uno per l'altra! Ha-Hai visto come entrambi si interessano di informatica?», gesticolò, accigliandosi.
«Kara, anche io mi interesso di informatica».
«Beh, m-ma avranno altro in comune… E non sono nemmeno le cose in comune che c'entrano o si potrebbe pensare che stiamo insieme perché le nostre madri sono sposate», la fece sorridere. «Ma!», puntò in alto un dito, «È questione di chimica: dobbiamo capire se quei due fanno le scintille».
Lena si morse un labbro, sospirando rumorosamente. «Sarò io a fare le scintille, tra poco».
Kara improvvisamente si destò, diventando cremisi sulle gote. La baciò scattante, osservando il suo sguardo duro. «S-Scusa. I-In effetti, possiamo pensare a Winn e Indigo più tardi».
«O tu ci potrai pensare più tardi, perché io ho da fare cose più serie».
«Io ci potrò pensare più tardi», si corresse subito e sorrise, così lo fece anche l'altra, avvicinandosi per catturarle le labbra con le proprie.
Approfondirono il bacio, sorridendosi, passandosi le mani sulla pelle accaldata a scoperta del bacino, delle braccia, intorno al seno. La loro intimità era ormai quasi interamente costituita da quei momenti rubati, veloci ma passionali. Troppo studio, troppo sport, troppo lavoro, troppo correre da una parte all'altra, troppo da pensare e troppo un po' di tutto, tutto insieme. Ma il fatto che avessero tanto bisogno di sentirsi, era ciò che le rendeva felici. E si erano date appuntamento, non sarebbero mancate: all'anniversario sarebbe successo. Avrebbero avuto un vero momento per loro, senza fretta e non in un magazzino o nel bagnetto di un locale. Se lo dovevano e lo meritavano.
«Hai da fare il nove di giugno?», le domandò Lena quando si stavano rivestendo, in fretta.
Kara passò la lingua su un labbro, per poi annuire. «Oh, sì. Devo prendere un treno per tornare a casa, tu? Ah, era un anno fa…», alzò gli occhi, spalancando la bocca in un sorriso.
Lena arricciò il naso. «Mi hanno consigliato un localino appena fuori National City. Non molto conosciuto e questo è un bene, potremo passare inosservate o quasi. Si mangia bene, e questa è l'altra cosa positiva: un'ampia scelta di secondi. È andando verso l'autostrada, non lontano», sibilò assottigliando le labbra.
«Approvato», stirò le braccia in aria, per poi allungare le mani verso il suo viso e passarle i pollici sulle guance. Dopo il locale sarebbero tornate in villa e per allora avrebbe dovuto avere tutto pronto. Ancora non sapeva esattamente cosa, ma doveva essere già pronto. «E Indigo per allora avrà un'amichetta dove stare o…?». Neanche finì di dirlo che spalancò gli occhi nell'esatto momento in cui l'idea le attraversò il cervello: «Ci sono! Combinerò un appuntamento tra Winn e Indigo per il nove e avremo la villa solo per noi! Due piccioni con una fava». Sapeva che i suoi occhi dovevano quasi brillare, ma Lena sospirò arrendevole, dopo aver visto l'ora dall'orologio sul polso, appoggiando la testa contro il suo petto.

Dopo aver staccato con Kara, Eliza non perse tempo a chiamare Alex, sperando di non interromperla a lavoro. Uno o l'altro che fosse. In fondo, da qualche parte, era ancora un po' arrabbiata con lei per averle tenuto nascosto di essere un'agente del D.A.O.. Tante storie su come stesse ancora studiando, su come non vedesse l'ora di lasciare il suo lavoro in boutique, e poi… La verità era stata dura da digerire.
«No, non mi disturbi», la vide a sbalzi mentre saliva le scale. «Sto andando a casa da Maggie, per oggi abbiamo finito entrambe. Ci guardiamo un film con Jamie, restiamo a casa a riposare. Siamo stanche».
Eliza si accigliò. «Non avevate deciso di trasferirvi?», calciò l'acqua limpida, distratta, per poi salutare da lontano un'altra coppia che, come loro, era lì in il viaggio di nozze. Li avevano conosciuti giorni fa e, di tanto in tanto, sedevano intorno allo stesso tavolo nei locali notturni. Lillian li sopportava, che era più di quel che succedeva di solito.
«Non cominciare», brontolò Alex: Eliza capì che si era fermata, anche se i pixel continuavano a muoversi.
«A fare cosa?», scosse la testa, «Stai facendo la faccia imbronciata? Lo chiedo perché non lo vedo».
Alex sbuffò. «Trovare una casa adesso è un suicidio, ci penseremo a settembre. Con questo caldo, poi. Stiamo mettendo i soldi da parte, ce la faremo, non essere in apprensione».
«Non lo sono. O magari non più di altre volte», ammise. «Vorrei solo vedervi soddisfatte e tranquille, tesoro. Stai tenendo d'occhio tua sorella?». Non capiva se la figlia avesse appena stralunato gli occhi oppure se era il video frammentato a renderla strabica. «La vedo così turbata».
«Per te, Kara è sempre turbata», battibeccò. «Sta bene! Se non ci vediamo tutti i giorni, comunque ci sentiamo per telefono. Adesso dorme in villa con Lena e- con Lena», si corresse in fretta, «quindi sta bene. Devo andare, Eliza. Saluta Lillian».
«Va bene, ti richiamo prima del nostro ritorno! Preparati a venire a stare a casa Danvers-Luthor per qualche giorno e avverti quelle due di fare lo stesso», la ammonì, indicandola. «Vacanza di famiglia».
Alex si sforzò per sorridere, ma per fortuna l'altra non poteva notare la differenza da un sorriso sincero.
Si salutarono che la donna le fece vedere il mare dietro di lei, così staccò. Raggiunse Lillian in spiaggia, accoccolata sopra uno sdraio, la testa protetta dall'ombra di un piccolo ombrellino, occhiali da sole, un bicchiere vuoto sul tavolino accanto, su cui era appoggiato anche un libro. Eliza si fermò a guardarla: aveva slacciato le cordicelle del pezzo sopra del costume e, perfettamente in posa, prendeva il sole. O almeno lo prendeva prima che lei si mettesse in mezzo. La vide alzare la testa e abbassare gli occhiali.
«Non vieni a farmi compagnia?», le domandò Lillian, alludendo allo sdraio accanto, rimasto vuoto.
«Ho salutato i McNeel, prima».
Lillian si rimise gli occhiali da sole e appoggiò di nuovo la testa. «Non vedo l'ora di passare anche questa notte a parlare di foche», disse a bassa voce, sentendo che ridacchiava. Il giovane marito della coppia era un addetto che ripuliva i bisogni degli animali nelle vasche di uno zoo marino e si intratteneva spesso a parlarne. Era un vero appassionato.
«No, veramente… pensavo a fare qualcosa di diverso, questa notte. Ci restano pochi giorni, avremo tempo per le foche». La vide rialzare la testa, lentamente. «Questo posto offre così tante attività». Allora Lillian riabbassò la testa. «Nel nostro bungalow, per esempio», sussurrò e sorrise, nel vederla rialzarsi di nuovo, «potremo invitarli lì». Non trattenne una risata, vedendo che si riabbassava ancora. «I cocktail, Lillian».
A quel punto, la donna si sfilò gli occhiali da sole, ripiegandoli e poggiandoli sul tavolino. «Sii diretta, Eliza: cosa hai in mente per stanotte?».
«Sesso, Lillian. Faremo sesso».
«Oh, bene», emise un sospiro e sorrise. «Finalmente un'ottima ragione per aver sopportato le foche».
La sua seconda metà dell'anima, pensò Alex, finendo di salire le scale. Non sapeva dove né chi fosse quella per Maxwell Lord, anche se lui avrebbe desiderato fosse lei come la povera babysitter aveva desiderato suo padre, ma la sua era certamente Maggie. Una parte di lei, quasi si dispiaceva di non poter ricambiare e offrirgli ciò che gli serviva. La sua concezione di amore era totale e con lei non l'avrebbe avuta, eppure persisteva. Era così sicuro che prima o poi avrebbe ceduto, cambiando perfino orientamento sessuale, o il suo era masochismo prima ancora che perseveranza? Voleva togliersi dalla testa che si fosse innamorato: era più che altro un capriccio e una cotta. La voleva così come avrebbe voluto un giocattolo a cui aveva messo gli occhi sopra. Sperava che, prima o poi, avrebbe riflettuto le sue attenzioni su qualcun altro.
Bussò quando si accorse di aver lasciato le chiavi in un altro paio di pantaloni. Maggie ci mise un po' per aprire, insolitamente scalza e coperta da un accappatoio. «Scusami, ho lasciato le chiavi a casa. Stavi per entrare in doccia? Dov'è Jamie?», si guardò attorno: di solito, le correva incontro per saltarle addosso.
Maggie chiuse. «Jamie è dalla babysitter».
«Ancora?». Stava quasi per uscire e andare a prenderla lei. «Credevo che dovessimo vederci un film».
L'altra annuì. «Ho già scelto io il film, spero non ti dispiaccia: Cappuccetto rosso».
Alex spalancò la bocca, vedendo che Maggie si stava slacciando la vestaglia. «Oh-Ooh», sentì improvvisamente caldo, intanto che l'altra scopriva il suo completo intimo, rosso magenta: lasciò cadere la vestaglia ai suoi piedi e si infilò in testa il cappuccio piumato del completo, invitandola a seguirla.
«Ho sempre pensato che al lupo servisse solo un po' d'amore», confessò Maggie.

Anche a Indigo serviva un po' d'amore? Kara non riusciva a non pensarci. Di sicuro non da Lena, però.
Sarebbe stato un lavoro difficile? Forse, ma lo sporcarsi le mani non l'aveva mai spaventata. Ricordava con affetto e orgoglio quando, a diciassette anni, aveva aiutato una ragazza timida e insicura del suo corso di astronomia a chiedere un ragazzo popolare di uscire. E con ancora più affetto e orgoglio quando lei ebbe il coraggio di rifiutarlo dopo che l'avevano sentito prenderla in giro con un gruppo di amici. Forse Winn avrebbe potuto fare lo stesso: avere modo di farsi forza, chiedere a Indigo di uscire e poi scoprire di che pasta era fatta. Ma soprattutto tenerla lontana dalla villa il nove di giugno, così avrebbe potuto preparare il dopo locale senza impicci. Non era detto che, anche se fosse riuscita a combinare un appuntamento, sarebbe andato così bene da non doverla veder tornare per dormire, in fondo si trattava del primo appuntamento, ma l'importante era che le avrebbero lasciato le chiavi, perché se si azzardava a suonare…
Il volto inquieto e smarrito di Winn si aggirava per il corridoio. Appena le vide uscire dal magazzino, tirò un sospiro di sollievo enorme, ricordando a Lena il suo appuntamento. Kara strinse l'altra per un braccio il tempo di chiederle se poteva distrarli dal lavoro e Lena le lanciò una lunga occhiata seriosa, pregandola di non esagerare.
«Ah, lo sapevo»: lui sorrise soddisfatto, l'espressione entusiasta di chi era convinto di saperla lunga. «Siete tornate a stare insieme, ve lo si legge in faccia! N-Non lo dirò a nessuno, se-».
Lena lo freddò: «Hai preso un granchio, rimettiti a lavoro», lo indicò e lui impallidì, annuendo e tornando un passo indietro. Mancavano pochi minuti al suo appuntamento di lavoro e probabilmente sarebbe stato solo il primo di oggi, dunque andò verso l'ascensore, lasciando a Kara il resto.
Winn si rimise in marcia per salire al piano che Kara lo affiancò, non trattenendo uno sghignazzante sorriso. La guardò due o tre volte, veloce, chiedendosi cosa avesse da fargli quella faccia, quando d'un tratto lo strinse per le spalle e sobbalzò dallo spavento.
«E così hai una cotta per Indigo, eh?».
«Cosa?», diventò color pomodoro in fretta, spalancando gli occhi. «No», sorrise, scuotendo la testa.
«Sì».
«No… Forse un pochino, ma lei…».
«È perfetto, Winn!», lo fermò, guardandolo negli occhi.
«… lo è?!».
«Ti aiuterò a chiederle di uscire».
Per un attimo, parve che il ragazzo si fosse fatto più alto, quasi si fosse messo sulla punta dei piedi dalla contentezza. Magari era davvero così. «Lo faresti?».
«Certo! Tu mi avevi aiutato con Lena, quando… beh, non sapevi che era Lena, ma mi hai aiutato».
Il sorriso di Winn si freddò: lo ricordava eccome, ma il suo intento era tutt'altro e lei non l'aveva capito. A quanto pareva, continuava a non capirlo. Se non altro, considerando i precedenti, sembrava che dell'aiuto gli servisse senza dubbi. «Come vuoi agire? Perché provo a parlarle, ma lei non risponde e-».
«Lascia fare a me! Segnati questa data: il nove avrete un appuntamento. Comincia a pensare dove».
«Il nove?», sorrise. Come faceva già a sapere…? «Perché proprio il nove?».
«N-Non fossilizzarti sul perché, ma segnati la data e basta», fece una smorfia, annuendo.

TENTATIVO DI APPROCCIO N°1: IL CIBO
Kara sapeva che per ottenere l'attenzione di Indigo non era necessario essere gentili e parlarle a bassa voce com'era solito fare Winn, come se lei, al sentirlo, potesse rompersi da un attimo all'altro: rischiava di ottenere l'effetto mosca, o ronzio che fosse, cioè fastidio. Ottenere l'attenzione di Indigo era in realtà piuttosto facile: la gola. In villa non faceva che sgranocchiare qualsiasi cosa facesse. Una brutta abitudine.
Aveva rubato il ragazzo pochi minuti, il tempo di uscire, comprare qualcosa di convincente e tornare alla Luthor Corp. La porta dell'ufficio di Lena era chiusa al loro ritorno e Indigo non li guardò rientrare. Kara mandò avanti Winn quasi con una spinta, appoggiandosi a un muro e allungando lo sguardo verso di loro, fingendo di giocare col telefono in mano. Quando lui si voltò verso da lei con panico, gli sventolò la mano, incitandolo a farsi avanti.
«E-Emh». Niente, lei non si mosse e lui si girò di nuovo verso Kara. «Tieni, Indigo, spero ti piacciano», prese coraggio e le porse il piccolo incarto di cioccolatini. «Quando li ho visti, ho-ho pensato a te». Lei alzò gli occhi e lui sorrise, il piano stava funzionando, ma si distrasse: scivolò in avanti, l'incarto finì con una spinta su un portapenne, il portapenne spostò una tazza e il tè schizzò tra la tastiera, l'incarto e i pantaloni della ragazza. Lei si alzò di scatto e lui, che stava ancora cadendo, le spinse il monitor. «Oh, mi dispiace! I-Io non volevo».
Kara si portò una mano contro la fronte.

TENTATIVO DI APPROCCIO N°2: LE SCUSE
I cioccolatini potevano funzionare, potevano: l'incarto era ormai pregno di tè alla pesca e Indigo lo lasciò da un lato della scrivania, correndo in bagno per pulirsi. Possibilità andata in fumo? No, si era solo creata una nuova ghiotta occasione.
«Non fare quella faccia da disperato, con lei devi essere più deciso».
Lui si portava continuamente le mani contro il viso, asciugandosi il sudore della fronte con la cravatta. «Non gli piacerò mai! A chi voglio prendere in giro?!», sbottò disperato. «L'ultima volta che ho avuto una sbandata, lei non si ricordava nemmeno il mio nome».
Kara aggrottò la fronte e strinse i denti. «Non te la prendere, Siobhan è fatta così».
Lui si tolse le mani dal viso con uno scatto, demoralizzato. «Siobhan non si ricordava il mio nome?!».
Kara si morse un labbro mentre lui piegava di nuovo la schiena e si copriva il volto, ormai abbattuto. Accidenti, presto lei sarebbe uscita dal bagno e lui ancora piangeva su se stesso, non poteva permetterlo. «Winn», gli poggiò una mano su una spalla, infondendogli coraggio. «Forse bagnare i cioccolatini non è stata la mossa migliore che potessi fare, ma le donne amano i ragazzi che si prendono la propria responsabilità e chiederle scusa, in modo deciso, fa al caso tuo. Questa possibilità è ancora migliore di quella dei cioccolatini».
«Dici davvero?», alzò il viso.
Il volto di Winn era rosso dal naso all'attaccatura dei capelli, gli occhi lacrimosi e le sopracciglia spettinate. Kara entrò con lui nel bagno degli uomini per renderlo presentabile e lo spinse di nuovo verso la sua nuova opportunità. Si appiattò davanti alla porta del bagno delle donne e tese le orecchie, spiandoli dalla serratura.
Lui avanzò determinato verso di lei, come le disse di fare Kara. Indigo cercava di smacchiarsi i pantaloni fregando le dita nella zona umida e Winn le porse un fazzolettino profumato. «M-Mi dispiace». Ancora un balbettio, accidenti. «Tieni, prendi questo. È colpa mia, mi sono distratto». Lei prese il fazzoletto e lui ingurgitò saliva, cercando di trattenere l'ansia contorcendosi le mani. «Mi sono distratto… per-perché», non di nuovo, «tu sei-».
«Magari stai più attento». Lo interruppe e gli rimise in mano il fazzoletto usato, sorpassandolo e uscendo dal bagno.
Winn restò impalato, deglutendo ancora. «Bellissima», finì di dire con uno spento sorriso.

TENTATIVO DI APPROCCIO N°3: DOMANDE
Indigo si dimostrava più dura del previsto. Winn forse era già sul punto di gettare la spugna, ma non Kara. La seguì con una corsa spericolata dopo che uscì dal bagno; per poco non cadde e, quando vide passare Lena con un gruppo di uomini e donne dall'altro lato del corridoio, le mostrò il pollice in segno di vittoria. «Indigo! Come vanno i pantaloni?».
«Cosa vuoi?».
«Uh… come siamo, beh, precipitose. Non voglio… niente».
«Allora perché rincorrermi, Kara Danvers?», si fermò. «Cosa vuoi?».
Kara spalancò le narici, guardandola dritta negli occhi azzurri. Ansimò e decise di vuotare il sacco: «Ti piacciono gli uomini?».
L'altra spalancò gli occhi, la fissò per un tempo che sembrò lunghissimo e infine se ne andò.

Il tentativo di approccio numero quattro? Chiederglielo direttamente: fallito perché lei non aveva sentito. Il tentativo di approccio numero cinque? Portarle dell'altro tè per sopperire al danno: fallito perché non aveva più voglia di tè. Il tentativo di approccio numero sei? Farle vedere un video di animali coccolosi: fallito perché non le facevano tenerezza gli animali coccolosi. Tentativo di approccio numero sette? Farle vedere un video di neonati che ridevano: fallito perché non le facevano tenerezza nemmeno i neonati che ridevano e si sbrodolavano la pappa sul mento. Tentativo di approccio numero otto? Portarle dei fiori; in fondo con Kara funzionava: fallito perché era allergica e corse di nuovo in bagno. Kara la rincorse ancora una volta fuori, per sapere come stava. Tentativo di approccio numero nove?
«No, Winn, non funzionerà», bisbigliò Kara, «Quella non li legge i bigliettini».
«Ma se non mi ascolta, almeno leggerà», scrollò le spalle il ragazzo. «O quello, o lascio perdere. Nessuna ragazza vorrà davvero uscire con me. Non so nemmeno se sono il suo tipo».
«Va bene», gonfiò le guance, «Prepara quel bigliettino».
Appena Lena si liberò dai suoi appuntamenti, Kara entrò nel suo ufficio con la coda tra le gambe. Fallire non le piaceva per niente. Si andò a rifugiare tra le braccia di Lena in modo tanto disperato che sembrò doverci andare lei a quell'appuntamento. «È andata male. Indigo è più dura di… E non le piacciono i video dei cuccioli! A che razza di persona non fanno tenerezza i cuccioli?», brontolò.
Lena sorrise. «Non è omosessuale».
«Cosa?». Si spostò, alzando le sopracciglia.
«Non è omosessuale, gliel'ho chiesto. E nemmeno Lenasessaule», abbozzò una risata. «Non si sente rappresentata da nessun orientamento sessuale e… credo che possa funzionare», alzò il dito indice destro e si andò ad appoggiare sulla scrivania, incrociando le gambe: «Ha mangiato i cioccolatini».
Kara spalancò la bocca, raggiungendola con uno slancio. «Ha mangiato…? Ma erano bagnati di tè».
«Non sembrava importarle».
«Ma tu hai detto…», la indicò, assottigliando lo sguardo. «Aspetta un momento, avevi detto di avere altro da fare, non volevi impicciarti».
Lena annuì, sistemando le braccia contro il petto. «Ho colto un'occasione, ma stavo lavorando».
«Grazie», soffiò, accanto a lei. Kara la baciò e si specchiarono negli occhi l'una dell'altra.
Il bigliettino finì sul pavimento, spinto con un gomito, e dopo schiacciato dalla suola delle scarpe, ma Winn, a dispetto delle aspettative, non provò ad arrendersi di nuovo e fece qualcosa di molto coraggioso che Indigo non poteva ignorare: scavalcò la difesa del computer dell'azienda su cui lavorava l'altra con un virus innocuo modificato per far apparire un bigliettino digitale che si aprì sul suo desktop, in modo che leggesse per forza il suo invito a uscire insieme. Era lontano qualche metro da lei che si fregava le mani e, quando la vide alzare lo sguardo per cercarlo, gli parve di sciogliersi.

C'erano le stelle, e cos'era quello, un cane? Un gatto? Indigo strinse sotto le dita quel bigliettino, cercando di focalizzare e tradurre quei segni scritti a penna con un segno tremolante. No, era una W, la W di Winslow. Pensava non fosse capace di disegnare, invece non era capace di scrivere. Per quello, forse, il bigliettino digitale le era sembrato più formale. Iniziò qualche giro sulla sedia a ruote davanti alla scrivania, tenendo stretto quel biglietto. Ci teneva tanto, quel Winslow, a uscire con lei? Scorse Lena affacciata allo stipite della porta del suo ufficio e si fermò con fermezza, andandole incontro. «Se ti avessi scritto un biglietto come questo, saresti uscita con me?». Glielo mostrò e Lena lo prese, leggendo.
«Oh, è tenero». L'altra la guardò scrollando le sopracciglia e le riprese il bigliettino, calpestato e spiegazzato, formando un sorriso. «Non ha preso bene il rifiuto, vero?».
Indigo si appoggiò di spalle al muro, arrendevole. «Credo sia andato a piangere. Kara gli è corsa dietro: adesso avrà un nuovo motivo per avercela con me», sbottò. «Sono uscita con altri ragazzi, ma per farci del sesso. Non credo che sia questo il motivo per cui vuole uscire lui», ammise, abbozzando una risata. «Winslow è in cerca di qualcosa che non sono sicura di riuscire a dare: ho visto come mi guarda e non saprò come comportarmi da persona, ma riconosco come le persone funzionano».
Lena sospirò. «Forse credi di saperlo».
«Mio fratello era più bravo a saperlo».
«Potresti provarci, e magari divertirti». Allungò lo sguardo al foglietto, che lei stringeva ancora tra le dita. «Non partire dal presupposto che non sarai capace di dargli ciò che cerca», sussurrò in un filo di voce, «Non puoi fasciarti la testa ipotizzando che te la romperai».
Si scambiarono uno sguardo e Indigo sollevò di nuovo il biglietto. «Saresti uscita con me, per questo?».
Lena annuì, sorridendo, tornando all'interno del suo ufficio.


***


Per quanto Indigo sostenesse di non riuscire a comportarsi da persona, Lena trovava buffo come il suo tirarsi indietro, quasi per paura, fosse una cosa indiscutibilmente umana. Non era certa che a bloccarla fosse la sua cotta per lei, ma proprio la consapevolezza di non funzionare, e magari di far restar male Winn. La psicologa le spiegò come, per quanto si sforzasse per restare impassibile e sopprimere i sentimenti, Indigo stava perdendo il controllo. Stando a questo, forse, pensò, temeva di non essere meritevole di essere felice perché, com'era successo con Kara e al discorso su sua zia a Fort Rozz, le veniva facile ferire le persone essendo solo sincera. Avrebbe potuto dare un'occasione a se stessa, prima ancora che a Winn; non accettando di uscire con lui per forza, ma a lasciarsi andare dalle rigide imposizioni che si era costruita dopo la morte del fratello.
Era probabilmente quello che aveva fatto lei alla morte di suo padre, al contrario, che le aveva dato una possibilità di innamorarsi di Kara, prima ancora che tutto il resto. E tra due giorni sarebbe stato il loro anniversario; sorrise. Erano successe così tante cose in un solo anno.
«Lo ha rifiutato», farfugliò Kara agitata quando era sola con Lena, a casa a studiare. «Winn ha fatto di tutto e ci sono davvero rimasta molto male io per lui. Magari non è il suo tipo, ma se potesse almeno spiegarsi con lui…». Finì per fare un lungo verso con la gola e stringere i pugni.
«È probabile che Indigo non sia ancora pronta per questo grande salto nella vita sociale, Kara. È in terapia, ma nulla è immediato».
Sicuramente aveva ragione lei, ma lo sguardo afflitto dell'amico le tolse il sorriso, in un primo momento, continuando a pensarci. A meno che Indigo non sperasse ancora in qualcosa con Lena. E intanto l'anniversario si avvicinava e lei non aveva ancora le idee chiare in testa su come farla pagare a Lena. E no, il polpo era fuori questione. Fargliela pagare, poi, che idea scema. Vendicarsi avrebbe significato cercare un modo per prevalere sull'altra e, per quanto la cosa, da un punto di vista, potesse apparire stimolante, se chiaramente voluta da entrambe, Kara si accorse che avrebbe dovuto rimandare quell'idea perché non le riusciva altro se non essere irrimediabilmente dolce con lei. E in fondo, se essere dolce le veniva tanto bene, perché cambiare?
Le sorrise e mise giù il libro, stirando le braccia. Poi poggiò un gomito sul tavolo del salotto e la fissò fino a quando non se ne rese conto e, imbarazzata, sorrise d'istinto.
«Cosa c'è?».
«Basta studiare, andiamo a prenderci qualcosa: un gelato, un pasticcino, un waffle, una crepe, cioccolatini imbevuti di tè alla pesca, dicono siano buoni, qualsiasi cosa».
Lena scoppiò a ridere, arricciando il naso. «E l'esame?».
«So tutto». La vide inarcare un sopracciglio e così si alzò dalla sedia, mostrandole una mano per convincerla. «Prendiamoci un momento per noi. Lo so, c'è l'anniversario, ma ci meritiamo una pausa».
Lena abbozzò un sorriso e scosse la testa, accettando mentre le stringeva la mano. Disse a Indigo che non sarebbero tornate tardi e si infilarono in auto, osservando il cielo che si imbruniva. «Ad arrivare in centro, sarà già buio». A Kara non interessava: la fissò per tutto il tragitto in macchina, facendole venire da ridere senza motivo, così tentava di distrarla chiedendole di cambiare canzone alla radio.
«Facciamoci una passeggiata».
Kara la prese per mano che ancora erano dentro al parcheggio e Lena l'abbracciò di scatto, fermandola, sapendo che erano ancora sole e alla penombra dei lampioni, lì. Al sicuro. Era poco più alta di lei per via dei tacchi e le carezzò una guancia, avvicinando il viso al suo. Si sorrisero e ascoltarono una il respiro dell'altra, toccando i reciproci nasi, guardandosi di sfuggita, rosse sulle gote, alla ricerca delle loro labbra. Si assaggiarono piano, continuando a stringersi, e dopo approfondirono il bacio assicurandosi di prendere fiato. Si staccarono lentamente che…
«Ahi», a un certo puntò Kara scattò, iniziando a grattarsi un braccio. «Stupide zanzare».
Ringhiò e Lena rise, prendendole una mano e trascinandola in avanti. Potevano rischiare ma solo un pochino, magari camminando in vie non troppo illuminate. Stavano uscendo dal parcheggio che tre ragazzi, invece, stavano appena entrando. Lena si fermò e la gola iniziò ad asciugarsi: aveva una strana sensazione. Kara cercò di spingerla e allora la lasciò fare, ma quando, appena sorpassati, uno dei tre si rivolse a loro, fu Lena a cercare di tirarla. «Andiamo via, Kara», disse quasi in un sussurro.
Loro non sembravano della stessa opinione: «Tutte sole?», chiese uno dei tre, «Siete fidanzate?».
Kara inarcò le spalle e sorrise: al contrario di Lena, non sembrava per nulla preoccupata. «Sì, lo siamo».
«E volete divertirvi senza di loro?», domandò un altro, facendo un passo in avanti e scambiandosi un'occhiata con gli amici. «Vi hanno lasciate sole».
«Loro chi?».
Lena le tirò il braccio. «Scusate, dobbiamo andare».
Il terzo allora sbottò: «Stiamo solo parlando, che male c'è? Ci facciamo un giro, vi va?».
«Per conoscerci meglio», continuò il primo. Vicino a Lena, pensò di allungare una mano per prenderle quella libera, ma fu Kara a scattare: lasciò la mano dell'altra e, in un gesto naturale, gli strinse il polso, girandogli il braccio verso il basso, bloccandolo. Era la sua mossa preferita. Lui urlò e gli amici stavano per intervenire in suo aiuto.
Per Lena, tutto sembrò svolgersi al rallentatore. Il cuore accelerò i battiti, il fiato si fece corto, e all'improvviso rivide gli uomini e le donne di Rhea Gand alla Luthor Corp, protetti dai passamontagna. Li minacciavano, proprio come quei ragazzi stavano minacciando lei e Kara. Tirò la mano destra dalla borsetta e strinse la pistola, la impugnò con entrambe le mani, puntandola sui tre a turno.
Spaventati, i ragazzi alzarono le braccia sulle spalle e si lasciarono andare a un verso impaurito, mentre Kara spalancava gli occhi: una pistola?































***

Amo questo capitolo! Sono sincera, a dispetto di altri, ho amato scrivere questo, ma il finale… Quel finale è proprio una doccia fredda!
Bentornata, gente! Voi cosa ne pensate di questo finale? E del resto del capitolo? :)
Beh, questa cosa della pistola doveva pur saltar fuori prima o poi, e perché non farlo in un momento simile, con Lena che ancora non ne ha parlato a Kara? :D Eh, già. Però sono carine e anche se impegnate trovano il modo di coccolarsi.
Un capitolo sull'amore (e altri drammi, appunto) con diversi punti di vista e coppie, tra Lena e Kara, Winn e i suoi tentativi per uscire con Indigo, Eliza e Lillian, appena Megan e John, Alex e Maggie, Alex e Maxwell Lord… eh, ma quest'ultima è a senso unico, ahah. Amori e altri drammi, sì, eppure questo capitolo contiene un passaggio importante che non sembra affatto importante, proprio qui dove la trama pare essere messa da parte. Chissà che forse ve lo farò notare io quando sarà il momento giusto :3

Il prossimo appuntamento sarà martedì 22 ottobre con il capitolo cinquantasei che si intitola L'anniversario – Prima parte. Sì, l'anniversario sarà diviso in due capitoli e occuperanno lo slot (?) che spetta al capitolo stand alone. Ci saranno parti nel passato? Oh, eccome ~ Ma sapete qual è la cosa bella bella? Che il capitolo parlerà dell'anniversario in cui tutto è iniziato e Lena e Kara si sono conosciute, e proprio il 22 ottobre è stato il giorno in cui, due anni fa, iniziai a scrivere Our home, l'inizio di tutto! Esatto, col prossimo capitolo festeggeremo il secondo compleanno della fan fiction! E neanche l'avessi fatto apposta a far cadere questo capitolo, dell'anniversario, proprio il giorno del compleanno: avevo già selezionato la data e dopo ci ho fatto caso XD È proprio un anniversario ~


   
 
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