venezia
II.
Prima metà del Cinquecento -
Venezia
Crowley, doveva ammetterlo, non si
stupì affatto di trovare Aziraphale incantato di fronte alla chiesa1
di San Marco. Persino un demone come lui, quando era arrivato in
città, non aveva potuto fare a meno di togliersi gli occhiali per
osservare meglio la facciata di quel capolavoro di architettura
umana: era uno di quegli elementi che rendevano Venezia degna di
essere visitata nonostante l'inconfondibile e inevitabile olezzo del
molo.
Se, dunque, un Principato che osservava
ammirato un tempio eretto a Dio non era niente di cui stupirsi, una
cosa, tuttavia, lo colse del tutto di sorpresa, tanto da impedirgli
categoricamente di considerare la possibilità di lasciare Aziraphale
alla sua contemplazione senza disturbarlo: l'angelo era completamente
vestito di nero, come lui, ma se per Crowley quella era quasi la
normalità, per Aziraphale era qualcosa di disperatamente insolito.
Nemmeno le bianche piume di struzzo sul copricapo riuscivano a fargli
recuperare un po' del suo solito stile. Non erano passati nemmeno
trent'anni da quando si erano incrociati l'ultima volta e ricordava
di averlo visto sfoggiare delle calze bianche e verdi2:
che cosa era successo?
Storse il naso in un moto di istintiva
preoccupazione prima di avvicinarsi disarticolato e di girargli
attorno senza tanti complimenti.
«Che problema hai con i colori?»
domandò con voce acuta, la fronte aggrottata per lo stupore.
«Oh, Crowley!» esclamò Aziraphale,
piccato, ritraendosi dallo sguardo invadente del demone come poteva.
«Bentrovato» salutò con particolare enfasi perché da Crowley non
era giunta ombra alcuna di convenevoli.
«Sì, sì» fece sbrigativo il demone
con una sventolata di mano: quella era una questione inutile. Emise
un suono più gioviale quando si imbatté nell'oro della catena che
l'angelo portava al collo. Per il resto, l'oscurità. «Sul serio?
Tutto nero?»
Aziraphale prese un bel respiro,
irritato. «Crowley, smettila per favore». Mosse le dita per
attirare l'attenzione dell'altro sul suo volto per poi rivelare: «Ho
fatto confezionare nuovi abiti, ma non sono ancora pronti. Sono
arrivato da poco»
Il demone ritenne che quella fosse una
spiegazione quasi del tutto adeguata: annuì prima di lasciarsi
sopraffare da una domanda: «Potresti miracolarteli addosso, lo sai,
vero?»
Quando arrivò l'occhiataccia in fondo
pensò di essersela meritata. «Non è la stessa cosa, lo sai bene.
Come il cibo»
Il demone sbuffò. Era indubbiamente
vero: tutto ciò che concerneva l'abilità degli uomini era
senz'altro migliore quando derivava direttamente dalle loro mani, ma
Aziraphale doveva sempre esagerare in tutto e per tutto.
«Come mai qui?» chiese l'angelo in
fretta, probabilmente per evitare ulteriori domande sul suo
vestiario.
«Vacanza!» si vantò Crowley con un
ghigno. «Be', sono di ritorno da un viaggio a Firenze3.
In ogni caso, ho ricevuto un encomio dai capi, sai? “Va' e fa'
quello che ti pare”»
Aziraphale sollevò le sopracciglia in
un atto di vago elogio, ma appena un attimo dopo parve mettere
insieme i tasselli. «Sei tu il responsabile di tutta quella
dissoluzione?!»
Il demone rise apertamente. «No. Non
c'entro niente né con la sodomia né con quello che succede al Ponte
delle Tette4, ma non ho ritenuto che Giù dovessero
saperlo»
Anche se riluttante, Aziraphale
sorrise, rassicurato.
«Cosa ti porta qui?» fu il turno di
Crowley di chiedere. In cambio, per prima cosa, ricevette un sorriso
estasiato.
«Sono di passaggio. Ho sentito che
questa è una culla per la cultura. E che vengono stampati i libri.
Mi sono detto-»
Ma il demone lo interruppe allegro. «A-ha! Ma
allora sei qui per riscuotere la famosa vittoria!»
Aziraphale arrossì e distolse
modestamente lo sguardo. Ecco il colore, pensò il demone
reprimendo un sorriso.
«Gran bastardo, però, quel Dante»
continuò, schifato. «Gli serviva la benedizione di Cacciaguida per
scrivere la Commedia5, eh? Tsk!»
L'angelo gli riservò un'occhiata
teneramente commossa. «Non essere così duro. Non credo di aver
fatto tutto da solo, sai? In fondo, non è stato solo un poema
religioso, ma anche politico e-...». Si bloccò all'improvviso,
girando completamente il volto verso il demone con uno sguardo negli
occhi che di primo acchito il rosso non seppe decifrare. «Aspetta un
attimo: tu... Tu l'hai letto!»
Crowley inspirò profondamente dal naso
e si stampò in faccia un'espressione scocciata. «Per puro dovere,
angelo, niente di personale» mentì. «Erano curiosi di Sotto: ha
scritto dell'Inferno, come puoi pretendere che non lo fossero?»
Quella era una mezza verità: Lord
Beelzebub lo aveva a tutti gli effetti incaricato di scoprire
qualcosa sulla visione che gli umani avevano dell'Inferno perché
era sempre importante avere un riscontro sulla propria malvagità
dalla Terra, ma Crowley aveva sbirciato la Commedia anche per
riconoscere le tracce dell'ispirazione angelica di Aziraphale ed era
stato più che felice di leggere di Filippo Argenti pestato al quinto
cerchio6: anche se solo nella finzione letteraria, Dante
si era fatto perdonare per quella soffiata infame di fine Duecento.
Ma con Aziraphale doveva recuperare un po' di demoniaca dignità.
«Ha ispirato delle punizioni, se vuoi
saperlo» fornì, furbo. Omise il fatto che le novità non avevano
superato nemmeno la fine del Trecento: all'Inferno erano tutti troppo
pigri perché la routine dei diavoli potesse essere sconvolta così
malamente dalla creatività di un mortale.
Quell'informazione, però, non parve
scuotere particolarmente l'angelo, ancora evidentemente preso
dall'idea che Crowley avesse letto un libro. Come se non avesse
tentato Eva verso la conoscenza, poi.
«Chi credi l'abbia ottenuto, alla
fine?» domandò più per sfuggire all'orgoglio degli occhi blu di
Aziraphale che per reale interesse.
«Immagino noi» ribatté tronfio
l'angelo. «Si tratta comunque di un grandissimo omaggio
all'Onnipotente. Un sublime omaggio, direi»
Crowley assottigliò le palpebre dietro
le lenti scure in un moto di fastidio: qualcosa in quella frase non
suonava bene alle sue orecchie. Non avevo interpretato a quel modo la
Commedia, se doveva essere sincero: più che un omaggio
all'Onnipotente, il demone avrebbe giurato di essersi trovato davanti
a una celebrazione dell'uomo in tutte le sue caratteristiche. Non
faticava a credere, tuttavia, che di Sopra avessero di nuovo visto le
cose a modo loro o che avessero addirittura letto solo i canti del
Paradiso. Ordinaria amministrazione, di fatto, che non lo sorprendeva
più di tanto. Che lo avesse fatto anche Aziraphale, però, non gli
piaceva per niente.
Studiò l'angelo per qualche secondo,
approfittando degli occhiali per non essere spiato nell'operazione. A
parte l'abito nero, non c'era niente che fosse fuori posto in lui,
non un sopracciglio, non un goffo tentativo di mascherare una bugia,
niente che suggerisse il contrario delle affermazioni che aveva
fatto. Possibile che l'attento lettore non avesse svolto un'analisi
più approfondita del poema? Che si fosse fatto sfuggire il senso
profondo di quell'immagine finale dell'uomo in Dio7?
Crowley non poteva crederlo, non dopo esserci arrivato da solo in
prima persona. L'angelo era intelligente, per la miseria, conosceva
la materia: il demone non poteva sopportare di averlo battuto nel suo
stesso campo culturale.
«Sei proprio sicuro?» buttò lì dopo
attimi di silenzio. Probabilmente troppi, perché Aziraphale si voltò
verso di lui con un'aria sorpresa che lo costrinse a precisare: «Che
sia dei vostri»
L'angelo aggrottò la fronte, deglutì
e atteggiò il viso in un sorriso imbarazzato. «Credo sia logico,
Crowley»
«Logico?» ripeté il demone, come per
fissare meglio il significato della parola ripetendola ad alta voce.
Certo, non ci si poteva aspettare destinazione migliore per uno
scrittore così religioso come Dante, ma le anime dei mortali non
finivano in uno dei due Regni per logica, e questo un angelo come
Aziraphale doveva saperlo bene.
Crowley si concesse il lusso di un
ghigno: che il biondo stesse cercando di rifilargli consapevolmente
la balla angelica che si erano bevuti ai Piani Alti?
Mosse la testa come un serpente e
ancheggiò più vicino ad Aziraphale. «Sai, angelo,» cominciò,
prendendosi il suo tempo per scegliere con cura le parole, «io credo
che sia uno dei nostri, piuttosto»
L'altro deglutì di nuovo, sgranando
gli occhi. «Ah. E come mai?»
«Svariati motivi» garantì Crowley
senza smettere di sorridere: Aziraphale si era fatto improvvisamente
rigido. «Innanzitutto, hai letto la sua idea delle punizioni
infernali?!». Sbuffò una risata studiata. «Delle vere e proprie
torture, se mi permetti di dirlo, e tutte frutto della sua
immaginazione, credimi. Non proprio adatte ad un'anima retta, non
trovi?». L'angelo non replicò: si limitò a far saettare lo sguardo
dalle lenti di Crowley a un punto indistinto nello spazio per qualche
secondo prima di incoraggiare il demone a continuare con un cenno del
capo. «In più direi che anche l'ira verso quel grandissimo infame
di Filippo Argenti, te lo ricordi?, non sia da definirsi propriamente
buona, o sbaglio?». Dalla faccia che Aziraphale fece, sì, lo
ricordava bene, e no, non sbagliava per niente. «Appunto. E poi...»
fece una pausa drammatica prima di piazzare l'ultimo motivo che gli
fosse venuto in mente, «È un elogio del libero arbitrio, angelo, se
lo chiedi a me. Dante ha mostrato un certo profondo rispetto per
alcuni dannati, per le loro scelte, per le loro responsabilità...
Non credi?»
Il volto dell'angelo parve rianimarsi
di indignazione e sollievo allo stesso tempo e Crowley poté
immaginare in anticipo quale sarebbe stata la replica.
«N-Non dire sciocchezze» lo derise
Aziraphale. «Questo è un comportamento positivo e lodevole, non
vedo come possa appartenere all'Inferno»
«Oh sì, concordo» concesse il demone
mellifluo, umettandosi le labbra per mascherare il ghigno. «Mi
chiedo solo... Ti sembra che il Paradiso abbia pietà per i
peccatori? O che ne abbia Dio? Perché a me non risulta»
L'angelo distolse in fretta lo sguardo
e si concentrò sulla chiesa davanti a loro: aveva colto il bruciante
riferimento alla Ribellione di Lucifero. «Non sta bene speculare,
Crowley» fornì, il panico nella voce tenuto a bada sotto la rigida
dottrina dell'ignoranza. «Te l'ho detto molte volte»
«Certo. È ineffabile, vero?». Il
demone non si impegnò nemmeno per cercare di nascondere la nota
velenosa del suo tono. Non seppe se dirsi felice o amareggiato per
quella chiusura brusca del discorso. Di sicuro di Aziraphale mostrava
quanto non si fosse fermato alla stupida lode a Dio che Dante aveva
piazzato a ritmo serrato nella Commedia, ma allo stesso tempo gli
lasciava una sensazione di irrisolto, di disagio. Non gli aveva
chiesto niente di troppo complicato, d'altronde: solo un'opinione!
Aziraphale avrebbe anche potuto collaborare, invece di fare il solito
riottoso. Quanto avrebbe potuto costargli un parere personale?
Ma Crowley sapeva di essere ingiusto.
Sapeva di non avere alcun diritto di essere arrabbiato nei confronti
dell'angelo e sapeva anche di fargli un torto notevole: Aziraphale
rimaneva sempre l'angelo che, esclusivamente per loro due, dal 1020
infrangeva tutte le regole del Paradiso a causa dell'Accordo, e
questo non poteva scordarlo di punto in bianco solo perché il biondo
non dimostrava la forza per sollevare ad alta voce i problemi morali
implicati in un poema religioso.
L'entusiasmo con cui aveva deciso di
insinuare il dubbio nella mente dell'angelo era svanito, soppiantato
dal desiderio di riportare la conversazione su un terreno molto meno
scivoloso di quello.
«Ti hanno premiato, sì?» s'informò,
dunque, cercando di apparire casuale e di far capire
all'interlocutore di aver seppellito l'ascia di guerra, almeno per il
momento. Aziraphale tornò a guardarlo sempre con l'aria
interrogativa di chi non capisce perché un argomento venga portato
alla sua attenzione. Non lo capiva nemmeno Crowley – non era molto
interessato alle spille dell'angelo –, ma almeno fu contento di
vedere il volto del biondo farsi più sereno.
«Ho guadagnato una nota di merito sul
registro» assicurò il biondo con un sorriso. Il demone non sapeva
cosa aspettarsi dai premi del Paradiso riguardo alle missioni sulla
Terra, ma di certo aveva immaginato qualcosa di più sostanzioso. Fu
comunque molto attento a non dirlo: alzò le sopracciglia in un gesto
di ammirazione e annuì.
«Hai già collezionato tutte le
edizioni, eh?» continuò, rassicurato dalla serenità che vedeva
negli occhi dell'angelo.
«Temo di no». La confessione venne
fuori con malinconia. «Credo di essere arrivato tardi stavolta. Ho
saputo che la stavano stampando qui a Venezia qualche anno fa sotto
la guida di quel tale importante, Bembo, ma ero impegnato altrove».
Il suo volto era una maschera di tristezza e commiserazione. «Temo
di non poterla più trovare, a meno che qualcuno non sia interessato
a vendermene una copia, cosa che ritengo alquanto improbabile: chi
vorrebbe mai separarsi da un bene così prezioso? Dovrò attendere,
pare»
Crowley annuì gravemente. «Oh sì.
Bembo, hai detto?»
«Lo conosci?»
Il demone ghignò nel rilevare un
pizzico di malcelata invidia nella domanda dell'altro, ma scosse il
capo senza indugiare. «E il libro era stampato da Manuzio, per
caso?»
«Proprio lui! Ma come fai a saperlo?»
Per un attimo Crowley pensò di essere
molto divertito dall'immagine di Aziraphale così incuriosito da
sgranare gli occhi famelico, come se questo gesto potesse aiutarlo a scoprire
qualcosa di inaspettato. Era un atteggiamento così contraddittorio
rispetto alla ritrosia con cui parlava delle sue idee e della sua
mente che il demone si ritrovò combattuto tra la volontà di vederlo
sempre così e quella di prenderlo per le spalle e scuoterlo per
fargli notare il divario tra quello che faceva e quello che si
costringeva a dire.
Scosse la testa, arreso, e finalmente
agitò una mano. «Intendi questa edizione?»
Sul suo palmo torreggiava la delicata
stampa del 15028. L'aveva presa appena uscita dalla
tipografia e, per quanto ammetterlo gli provocasse un impellente
desiderio di morte, l'aveva conservata per un'eventualità del
genere: Aziraphale non si era presentato a Venezia per la fine di
quell'anno e Crowley aveva cominciato a sospettare che non avrebbe
fatto in tempo a ottenere la prima edizione del secolo.
L'angelo si portò le mani alla bocca.
«È lei!» esclamò con le dita ancora a coprire le labbra.
Mugugnò qualcos'altro di incomprensibile prima di allontanare le
mani e domandare, avido: «Posso vederla?»
Crowley prese un bel respiro. «È tua,
angelo» disse, modulando la voce perché risultasse annoiata.
Aziraphale lo guardò con gli occhi lucidi e la bocca spalancata.
Fece per parlare, ma Crowley lo bloccò: «Non ti ci abituare, sia
chiaro. Non ho intenzione di andare in giro per l'Europa a
sgraffignare per te le prime edizioni di tutti i libri che verranno
stampati da qui in avanti»
Il tono burbero non scalfì minimamente
la dolcezza sul viso dell'altro. «Oh, Crowley!»
Il modo in cui venne pronunciato il suo
nome gli diede una fitta allo stomaco che decise di non volersi
spiegare. Gli rifece il verso, piuttosto, e lo osservò mentre si
impossessava del libro come se tra le mani stesse stringendo la più
sacra delle reliquie della cristianità. Aziraphale non smise di
sorridere contento nemmeno quando si ferì la mano con un foglio per
la troppa foga con cui aveva girato le pagine per ammirare i dettagli
e per assimilare il più possibile già ad una prima occhiata.
«Che sbadato» si disse senza
accennare alla minima manifestazione di dolore. Allontanò subito la
mano dal libro per non macchiarlo e si guardò intorno.
«Che idiota» rimarcò Crowley
prima di infilare la mano nella sacca appesa alla cintura e tirar
fuori un fazzoletto bianco. «Dovevi aprirlo qui, ovviamente, dove
sei più scomodo per consultare un libro» continuò scuotendo il
capo e porgendo il pezzo di stoffa ad Aziraphale.
«Oh, lo sai: non so resistere
a...»
Il demone rise sornione. «A una
tentazione, forse, angelo?»
Aziraphale lo guardò indignato, ma
accettò il fazzoletto senza fiatare. Fu solo quando il biondo si
rigirò la stoffa tra le dita che Crowley si pentì amaramente di
averglielo dato: ricamato elegantemente c'era il nome dell'angelo.
Merda, pensò, maledicendosi per
non averne fatto apparire uno qualunque. Invece no, aveva proprio
dovuto estrarlo dalla sua borsa. Merda, merda, merda. Non
l'aveva più toccato letteralmente da secoli, ma sapeva che era lì e
che all'occorrenza ne avrebbe fatto uso. In realtà non sapeva perché
avesse conservato quel fazzoletto: avrebbe potuto miracolarsene uno
in qualsiasi momento senza alcun problema, ma ogni volta che aveva
pensato di disfarsene non era mai riuscito a schioccare le dita.
Quando, però, l'angelo si accorse visibilmente del suo nome sulla stoffa desiderò
di averlo fatto.
«Ma...» cominciò Aziraphale,
aggrottando la fronte. Crowley sperò con tutto sé stesso di non
dover dare spiegazioni per averlo tenuto perché proprio non ne aveva
di plausibili, e nemmeno di implausibili. Era stato semplicemente un
gesto irrazionale, una sciocchezza sentimentale che aveva
accuratamente seppellito in quella sacca, sperando di non doverci mai
fare i conti.
Aziraphale non disse niente di più: si
sistemò il libro sotto braccio come poté e si aiutò con l'altra
mano per pulirsi la ferita e solo dopo rimarginarla con un miracolo
minore. Sventolò il fazzoletto che tornò subito immacolato e, con
l'espressione più candida che Crowley gli avesse mai visto in volto,
glielo restituì.
Il demone schiuse la bocca, incredulo.
«Non è mio, l'avrai notato» disse, calmo, quasi terrorizzato.
L'angelo arrossì appena e accennò un
sorriso. «Puoi tenerlo»
Crowley valutò di rifiutare il pegno,
ma alla fine allungò la mano e annuì, stringendosi nelle spalle.
«Dovrei dirti grazie...?» fece,
casuale, ripiegando il fazzoletto e infilandolo di nuovo nella sacca, al sicuro.
«Oh no, non per così poco. Sono io
che devo ringraziarti per questo», e Aziraphale riprese in mano la
Commedia.
«Sta' zitto» tagliò corto Crowley
con una smorfia.
«Lasciati offrire almeno il pranzo,
caro» insistette il biondo.
Il demone sbuffò e roteò gli occhi.
«Se proprio insisti»
«È un piacere»
Aziraphale
lanciò un ultimo
sguardo alla chiesa di San Marco prima di procedere sulla via e fare un
cenno al demone perché lo seguisse.
Crowley non se lo fece ripetere due volte e affiancò l'amico con un sorriso ampio, sincero. Si sentì sereno: aveva rivisto Aziraphale, aveva affrontato la loro prima schermaglia del secolo e insieme stavano per seppellirla definitivamente nel buon vino e nell'ottima cucina del posto.
Andava tutto bene.
Note:
[1]: La Basilica di San Marco diventa
cattedrale, come la conosciamo meglio noi, nel 1807. In questo secolo
è chiamata semplicemente chiesa o Chiesa d'Oro.
[2]: La moda del Quattrocento e di
inizio Cinquecento varia tantissimo a seconda della zona d'Europa.
Nella seconda metà del Quattrocento i vestiti colorati sono
all'ordine del giorno (basti pensare alle opere d'arte ma anche ai
costumi del film “Non ci resta che piangere”) e le calze bicolore
sono tipiche dell'Italia, ma verso la fine del secolo la moda si
semplifica e le varianti dei colori diminuiscono. Venezia, invece,
all'inizio del Cinquecento vive il suo Rinascimento e questo si
riversa anche nella moda, che è la più vivace d'Italia, anche
grazie agli scambi commerciali e alla mescolanza culturale.
[3]: Riferimento all'incontro con
Leonardo da Vinci che, come è specificato nel libro, gli ha regalato
il primo bozzetto della Gioconda.
[4]: Questi sono riferimenti a
condizioni effettivamente riscontrabili nella Venezia del
Cinquecento, in cui quello della prostituzione diventa un fenomeno
del tutto incontrollato, che ad inizio esce anche dai confini che lo
Stato stesso aveva imposto a questa attività. Il Ponte delle Tette
era uno di quei luoghi in cui alle prostitute era legalmente concesso
di mostrarsi più o meno nude per attirare clientela. Se questo
mestiere veniva tollerato, lo stesso discorso non valeva per la
sodomia.
[5]: Cacciaguida, avo di Dante, è il
personaggio attraverso cui viene rivelato lo scopo del poema: Dante
dovrà denunciare con sincerità e obiettività tutto quello che ha
visto durante il viaggio nell'Aldilà per smacchiare le coscienze e
avviare un rinnovamento morale. È proprio Cacciaguida che lo sprona
a mettere per iscritto la sua avventura quando Dante si fa prendere
dai dubbi.
[6]: Il Cerchio V è quello degli
Iracondi e Argenti viene preso a male parole da Dante con
l'approvazione di Virgilio e viene pestato dagli altri dannati con
lui.
(Per un punto di vista critico nei confronti del
comportamento di Dante, consiglio l'ascolto di Argenti
vive di Caparezza!)
[7]: Quando, arrivato al cospetto di
Dio, Dante riesce finalmente a vedere la Trinità, l'ultima immagine
che riesce a scorgere prima di svenire di fronte all'ineffabilità
dell'Onnipotente (che non può essere messa per iscritto) è quella
di Cristo, cioè di Dio incarnato nell'uomo.
[8]: Le copie della Divina Commedia
cominciano a girare dalla prima metà del Trecento, ma si tratta
ovviamente di documenti manoscritti che passano di letterato in
letterato, ognuno dei quali arricchisce il testo e lo commenta,
appone le note, lo analizza. Dalla seconda metà del Quattrocento
viene stampata nelle neonate tipografie e quella del 1502 vede la
collaborazione di Pietro Bembo e Aldo Manuzio. A questo proposito,
avendo nominato la prima edizione del secolo, questo capitolo si
colloca tra il 1502 e il 1515, anno in cui viene ristampata
nuovamente tale e quale alla precedente.
Angolino di Menade Danzante:
Ripropongo le scuse per tutti i personaggi storici citati in questa ff, stavolta aggiungo pure Caparezza che figura nelle note! Ma soprattutto ringrazio chiunque sia giunto alla fine di questa super mini long! Spero che vi si sia piaciuta!
Un bacione a tutti e alla prossima!
Menade Danzante
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