Ascolta i suoi occhi
(MissandeixJorah)
“Ascolta
il tuo
Padrone.”
La voce secca del
maestro impartisce a oltranza quella lezione scandendo le sillabe con
vigore,
quasi voglia imprimerle a fondo, nelle ossa, nel cervello – nell’anima.
Questa sarà la sua
essenza d’ora in avanti – è perentorio
non lo scordi mai – e umilia più di
qualsiasi marchio da schiava che avrebbe potuto deturparle la pelle: le
hanno
piegato l’intelletto ad apprendere i loro insegnamenti, hanno
deciso come lo terrà
occupato per ogni giorno che l’aspetta. Giorni di parole
vuote e discorsi
sterili, anni a parlare per loro.
“Devi
capire
anche quello che non dice, non avrà tempo da sprecare
spiegando a una stupida
schiava.”
Missandei
è una
bambina dai grandi occhi liquidi e una mente sorprendentemente
elastica,
plasmata ora dopo ora per espandersi a inglobare il sapere scelto per
lei,
quanto più possibile, sempre più.
Impara l’Alto
Valyriano e la Lingua Comune, uno e due e diciannove idiomi –
è intelligente
Missandei, lo hanno compreso subito gli schiavisti –, poi
assimila anche la
lezione finale. Osserva, scruta, scava nell’interlocutore per
riferire messaggi
come lo richieda la situazione, spiegando dove necessario, mostrando
quello che
gli altri non sono stati in grado di afferrare.
“Sii
interprete,
non semplice traduttrice: solo allora ti compreranno.”
Diligente, Missandei
esegue gli ordini e affina l’udito della mente –
per questo, poi, fa così male.
*
È nelle notti che si
srotolano placide e molli sulla strada da Astapor a Yunkai che
Missandei si
ritrova sbattuta nei tumulti della vita, quella scoppiettante da donna
libera a
cui è concesso il lusso di amare ma non sempre quello di
essere ricambiata – una
schiava non avrebbe mai potuto, non avrebbe osato.
E così all’inizio vi
si butta a capofitto e dimentica la lezione più importante:
carpire le parole
taciute. Inesperta, si crogiola tra le carezze di ser Jorah e i graffi sulla schiena,
titubante e
infinitamente fragile: è la prima volta che il morso
pungente dell’amore la
pungola e lei vi si abbandona – crede sia così che
debba andare.
Di notte la tenda della
Regina rifulge della seta dei cuscini e delle scintille riverberate
dalle
spade, ed è lì che Missandei sente la
canzone, quella che le
dischiude le orecchie e la fa tornare a udire.
A intonarla è la
voce rauca e profonda di ser Barristan, una voce arrugginita e
grondante malinconia,
da vecchio cavaliere senza più terra che pizzica le note
mentre affila la
propria lama. È una canzone da taverna, dice, di quelle che
accompagnano fiumi
di birra e vino, da popolino eppure tanto cara anche nelle sale da
ballo dei
grandi castelli – una canzone dell’Occidente.
Missandei ricorda
l’eco ovattata della madre che le sussurra sinfonie lontane e
delicate, canti
del Pacifico Popolo di Naath che narrano di alberi alti fino al cielo,
spiagge
candide e tripudi di farfalle: sono rassicuranti, le fanno ricordare
quale sia
il sapore dei frutti della sua isola e il colore degli occhi dei
fratelli – la
fanno stare bene.
Lo stesso non accade
per la canzone di ser Barristan, con i suoi racconti di fiere e orsi
che
salvano fanciulle col miele nei capelli, di capre e sogni di cavalieri
infranti
nell’aria estiva. In un primo momento non dà peso
a tali fantasticherie, ma poi
si volta verso di lui, muto e impassibile sul
proprio sgabello, solo gli
occhi a tradirlo.
Diligente, Missandei
ha eseguito gli ordini e affinato l’udito della mente, e ora
ricomincia a usarlo
– per questo fa così male.
*
Quando la Madre dei
Draghi si ritira per riposare, sogni di fuoco e sangue o di porte rosse
e
alberi di limone, capita ancora che si attardino. Missandei, da quando ha
letto oltre
la cotta, dentro la canzone, ha capito quanto si senta solo, attratto
dal suo
corpo sinuoso e bisognoso di ristoro dopo giornate di polvere e sabbia
– e le
sta bene, ha realizzato, cerca anche lei conforto, solo
vorrebbe…
Lui la sfiora con le
grandi mani callose – mani da cavaliere o da orso?
– e lascia scivolare la
spallina dell’abito impalpabile che la fascia. La ragazza
ricambia il gesto
sbottonando il farsetto di pelle con ricamato lo stemma della sua
casata – un
orso, di nuovo.
Ser Jorah affonda la
mano tra i suoi ricci scuri – niente miele, per lei
–, sciogliendole le treccine,
tirandoli appena mentre cerca la sua nuca per attrarla a sé,
fronte contro
fronte mentre bevono l’uno i respiri dell’altra.
Missandei si chiede,
mentre espone il collo vellutato al suo tocco, se gli orsi possano amare
anche le farfalle, non solo le fanciulle – non serve la salvi
come nella
canzone, lo ha già fatto Daenerys Nata dalla Tempesta.
A volte ci spera e
così socchiude gli occhi per non dover leggere
la chiara risposta
riflessa nel ghiaccio dell’uomo, ma è fin troppo
intelligente per poter credere
alle proprie illusioni a lungo – per quanto si sforzi le
è impossibile non ascoltare,
ora che ha ripreso a farlo.
Gli orsi possono
inseguire le farfalle, rincorrerle per afferrarle e giocarci. Sfregano
il pelo
ruvido contro le loro tremule ali, arricciano un’antenna
attorno agli artigli,
soffiano via la polverina che le fa volare –
null’altro.
L’amore è una
ballata di fanciulle e principesse, riservato alle regine che nei
capelli hanno
intrecci d’argento e d’oro e nelle vene sangue di
drago: è questo che urlano le
dita del cavaliere veloci a riallacciare la cintura, dopo.
Se non fosse stata
addestrata a capire, se fosse una
falena… forse Missandei gli
svolazzerebbe sempre più vicino fino a bruciarsi il cuore e
la possibilità di
spiccare il volo. Ma è una farfalla di Naath,
dall’acume tagliente che
scandaglia in profondità, così si avvede in tempo
della fiamma che sfrigola
seducente e si impone di non farsi tarpare le ali –
può ancora volare lontano.
Ben presto la
fiaccola ardente dei suoi baci diviene solo caldo tepore a tenerle
compagnia
nella notte, tra la sabbia che si insinua nelle pieghe della pelle e la
stanchezza
della marcia.
Quando si innamora
di nuovo, a Meereen, ser Jorah è ormai solo un piacevole
ricordo del passato, intessuto
di carne e ringhi d’orso e farfalle nello stomaco. Eppure
quando lo rivede i
suoi occhi cantano la stessa storia di un tempo – non
smetteranno mai di
cantarla fino all’ultimo respiro che esalerà (ma
questo ancora non può saperlo).
Missandei lo sbircia
di soppiatto e sa di averlo spogliato con lo stesso sguardo, per questo
lo
comprende e compatisce – ma ora non fa più male.
NdA
Credo di
essere la più sorpresa,
probabilmente, riguardo al pairing scelto questa volta, il quale
partecipa alla
challenge
come coppia crack perché temo proprio di non riuscire a fare
di
meglio su questo versante. Non so se sia plausibile o se qualcuno possa
trovarlo interessante da leggere (io per prima non credo lo farei
– o forse ora
sì, giusto per sapere come sia stato affrontato altrove), ma
per riuscire a
scrivere qualcosa di decente mi serviva una coppia che si incastrasse
in
terreni a me noti e i primi a venirmi in mente sono stati loro due
uniti a The
bear and the maiden fair (che ser Barristan
effettivamente cita un paio di volte), nonché la scena di
Missandei che fa da interprete
per i Buoni Padroni e Dany, aggiungendo deduzioni e commenti per i
primi (forse
è solo nei libri a farlo, ma, di nuovo, la terza stagione
l’ho vista mezza vita
fa) e “parafrasando” le risposte per la seconda.
Per gli occhi di ser Jorah ho
dato per scontato che siano come quelli di Iain (ho letto la saga una
volta
sola, questi dettagli mi sono sfuggiti e a dire il vero non so nemmeno
se venga
mai citato il colore dei suoi occhi – come sempre mi pongo
problemi forse
irrilevanti).
Devo ammettere
che mi sono
particolarmente divertita a sperimentare scenari così
lontani dalla mia
comfort-zone e spero che il risultato sia stato di vostro gradimento.
Grazie di cuore per aver letto e a presto!
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