sopravv
Harry
riuscì a stare seduto con Hermione per un'oretta buona, con i
gomiti sul tavolo e le mani intrecciate dietro la nuca, gli occhi fissi
sulle pagine ingiallite di un poderoso tomo che non sembrava neanche
scritto in inglese. Ma a quel punto la ragazza gli suggerì
gentilmente di andare a farsi un giro, se proprio non riusciva a
smettere di battere il tallone contro il pavimento con la stessa
velocità di una mitraglietta.
«No. È una cosa
importante, voglio aiutarti» borbottò lui, nascondendosi
dietro il libro con una nuova ventata di determinazione. Neanche trenta
secondi dopo aveva iniziato a schioccare la lingua e a fare brevi
pernacchie con la bocca. E fu così che venne temporaneamente
espulso dal gruppo di studio per preparare l'appello di Sirius.
Non aveva scopo o direzione. In
compenso si sentiva pieno di noia ed insofferenza, e questo faceva
abbastanza schifo. Non era ancora stata stabilita la data della
prossima riunione dell'Ordine, le lezioni di Occlumanzia erano state
interrotte per "difficoltà organizzative" - più nello
specifico, Sirius voleva essere assolutamente presente e Piton, be',
era assolutamente Piton, quindi la possibilità di un accordo
sembrava ancora lontana. Hermione era impegnata con le sue ricerche, e
Harry... per essere il Prescelto, c'era da dire che aveva davvero poco
da fare. Gli adulti non facevano altro che sabotarlo, ed iniziava ad
avere il sospetto che la sua partecipazione alle riunioni fosse in
realtà un contentino lanciato di malavoglia nel tentativo di
tenerlo buono.
Come al terzo anno, quando vagava
per Hogwarts mentre gli altri si godevano Hogsmeade, a venirgli in
aiuto furono i gemelli Weasley. Indirettamente, questa volta. Ma c'era
una discussione in corso dietro la porta del poco compianto Regulus, e
non riusciva a distinguere le parole. Le Orecchie Oblunghe, guarda
caso, erano state inventate proprio per queste evenienze.
«Severus, ti rendi conto che tutto questo è assurdo?»
«Quindi drogare Mocciosus va bene, drogare Black è un'eresia. Interessante.»
«Non lo definerei "drogare".
Era una terapia medica necessaria - e sì, lo so, non abbiamo
potuto chiamare un Medimago qualificato, ma tutti erano d'accordo sul
fatto che la Bevanda della Pace—»
«Molto comodo, Lupin. Vi siete divertiti, immagino.»
«Severus...»
«Di certo non avevo i miei vestiti addosso, quando mi sono svegliato. Vi siete fatti quattro risate o...»
«Severus - no.
No! Ti prego - capisco quello che stai facendo, e... no. Lo sai che non
è vero. Ci stai usando come pretesto per sfogarti e lo capisco,
ma... no. Non c'è bisogno di cadere così in basso.»
E con grande sorpresa di Harry, all'altro capo di un lungo filo color carne, Piton ebbe ben poco da ridire.
«È disgustoso»,
fu tutto quello che sbottò, e Harry ebbe un non raro momento di
completa sintonia con Sirius. Non aveva afferrato del tutto il
problema, ma il tono di Piton era più che abbastanza per fargli
prudere le mani.
«Obiezione accolta, Severus,
ma comunque non ho intenzione di far... scivolare qualche goccia di
Distillato della Morte Vivente nel bicchiere di Sirius. Non per
permetterti di condurre le lezioni di Occlumanzia come vuoi tu.»
«Tipico. Prendi le difese
dello psicopatico con quattordici anni di Azkaban alle spalle - e
sarebbero dovuti essere almeno diciannove, dopo l'esilarante scherzo
che mi avete fatto—»
«Ancora? Eravamo ragazzini! Questo non ci giustifica, ma almeno...»
«Almeno cosa, Lupin? Almeno cosa?!»
Per le ultime parole Harry avrebbe
anche potuto accartocciare le Orecchie Oblunghe ed infilarsele in
tasca, il tono era pericolosamente alto. Ma il lungo silenzio che
seguì lo sfogo di Piton gli fece tendere ancora di più
l'orecchio.
«Cercherò di aiutarti,
Severus. Di lasciarti lavorare. Lo sai che la protezione dei ragazzi
è anche la mia priorità.»
«Già. Per questo hai rischiato di sbranarli, appena due anni fa.»
«Ma lo farò a modo
mio» continuò Lupin, fingendo di non averlo neanche
sentito. «E non a modo tuo.»
«Bene.»
«...bene.»
«Vattene, Lupin.»
Harry fece appena in tempo a
ripescare le Orecchie Oblunghe prima che Remus aprisse la porta. Dopo
di quello aspettò ancora un po', contò a lungo, con gli
occhi chiusi. Gli sembrava giusto così. Arrivato a
milleduecentonove, però, sbucò dal suo nascondiglio e
seguì il lupo mannaro.
«Ciao» gli disse, in
mancanza di incipit migliori. Remus, impegnato a raggruppare i
frammenti della porta della biblioteca, gli rivolse un'occhiata
abbastanza sorpresa e un sorriso appena accennato.
«Ciao, Harry. Tutto bene?»
«Sì» rispose lui,
velocemente. Un giorno avrebbe capito perché tutti avessero
sempre quella domanda sulle labbra, appena lo vedevano, ma oggi non era
quel giorno. «Hai bisogno di una mano?» chiese, invece.
«Se ti piacciono i
puzzle» replicò Lupin, con aria divertita. «È
più facile aggiustare qualcosa se tutti i pezzi sono più
o meno nella posizione di partenza» spiegò, mentre
iniziava a litigare con i frammenti di porta ancora ancorati ai cardini.
Lavorarono in silenzio per tre secondi circa, poi Harry si sentì scivolare le parole di bocca, quasi involontariamente.
«Ehm... riguardo a Piton...
siamo davvero sicuri che - be', che ci si possa fidare?»
riuscì a dire, trattenendo una parola ogni tre, per amore della
diplomazia. O per rispetto verso Remus, più che altro.
Lui annuì, senza cambiare
espressione. «So che non ha tenuto un comportamento...
rassicurante, negli ultimi giorni, ma sì. Possiamo
fidarci.»
Harry aspettò ancora un
attimo, perché di sicuro doveva esserci dell'altro. Una
spiegazione, un... qualcosa. Ma sembrava proprio che il lupo mannaro
avesse chiuso il discorso, così il ragazzo aprì bocca di
getto, prima ancora di capire cosa ne sarebbe venuto fuori.
«Ma è un - cioè, non è rassicurante,
come hai detto tu. Lo sai, vero, che le lezioni di Occlumanzia
sembravano peggiorare il problema invece di migliorarlo? Non mi ha
aiutato. In nessuna maniera, mai. E poi nessuno sa com'è andata,
quando l'hanno scoperto. Non sappiamo cosa gli sia successo davvero,
non sappiamo—»
Lupin sembrò preso in
contropiede, lo stava fissando in maniera un po' peculiare. Fu quello,
più che la voce del licantropo, ad interrompere il ragazzo.
«Lo sappiamo, Harry.»
«Lo - cosa?»
Remus sospirò, storse appena
le labbra e fece scivolare lo sguardo da tutt'altra parte. «Lo
sappiamo» si limitò a ripetere, asciutto.
«Ma durante la riunione...»
«Non ha voluto parlare, lo so. Però l'aveva già spiegato a Silente, e Silente l'ha detto a me.»
«Ma perché...»
«Perché a me? Non lo
so. Suppongo sia stata la sua maniera di ripagarmi... e di dirmi che
è rimasto un mio problema. Te ne sei occupato fin'ora e adesso
sai tutto, sai perché l'hai dovuto fare. Quindi, già che
ci siamo, per il momento continua ad occupartene tu. Una cosa del
genere.»
«Quindi sai anche cos'ha detto a Voldemort?»
«Non a chiare lettere, ma temo di averlo intuito.»
«Intui—va bene. Okay. Non me lo vuoi dire, vero? E non sei neanche un po' preoccupato?»
«No, nient'affatto» replicò lui, totalmente placido, finendo di estrarre i frammenti dai cardini.
«Okay, okay. Ma allora cosa sai, scusa? Cosa sai con certezza, senza intuizioni o altra roba.»
«Più di quanto avrei
voluto, onestamente» ammise l'altro, pulendosi le mani contro i
calzoni prima di estrarre la bacchetta.
«Sì, ma cosa!»
«Harry...»
«Avete iniziato a farmi
partecipare alle riunioni, credevo che la musica fosse finalmente
cambiata! E invece no, è sempre la solita solfa, non mi dite
mai...»
«Non è la mia storia. Non sono io, a doverla raccontare. Reparo.»
Harry non si distrasse affatto,
mentre la porta si ricomponeva più o meno perfettamente ai piedi
di Remus, ma prima che potesse tornare a parlare la voce del lupo
mannaro si fece sentire di nuovo. Con una stanchezza profonda,
così simile e così diversa dalla solita calma.
«Capisco che sia difficile,
Harry. Non dovresti essere costretto ad affrontare niente di ciò
che ti è capitato ultimamente, e non dovresti essere costretto a
studiare l'Occlumanzia. Non alla tua età, e di certo non con
Severus. Se potessi evitartelo lo farei, ma non posso. Silente vuole
che tu riesca a padroneggiarla, ed io non ho voce in capitolo. Sirius
non ha voce in capitolo, Molly non ha voce in capitolo - nessuno ce
l'ha. Siamo in guerra, e possiamo solo chinare la testa davanti a
ciò che va fatto.»
«Sì, ma Piton...»
«...ha i suoi problemi, Harry.
Sta reagendo meglio di quanto sperassi ma peggio di quanto fosse
auspicabile, e non ne sono stupito. Sto facendo il possibile per
cercare di far superare questo momento a tutti nella migliore maniera
possibile, te lo giuro, ma non - nessuno può fare miracoli,
Harry.»
«Vorrei solo capire, sapere qualcosa! È tutto un "fidati Harry, fidati Harry", ma come faccio?!»
«Non lo so»
mormorò Lupin, e davanti alla sua voce sconfitta Harry non
riuscì a trovare altre parole. Si limitò ad aiutarlo a
rimettere la porta sui cardini, sentendosi un po' stupido e molto
insoddisfatto.
Piton iniziò a frequentare
con una certa assiduità le zone comuni, con notevole scorno di
Sirius. La tensione era tale che quasi non si riusciva a mangiare,
tutto perdeva sapore nell'aria densa di caldo e umidità della
cucina. Remus aveva sconsigliato di tenere aperte le finestre troppo a
lungo, qualcosa a che fare con gli incantesimi di protezione della
casa. Quindi, niente finestre aperte. E niente corrispondenza troppo
fitta, per paura che intercettassero i gufi. Niente gita a Diagon Alley
per comprare il materiale per l'anno scolastico, ci avrebbe pensato
qualcuno dell'Ordine. Neanche l'arrivo dei risultati dei GUFO e della
nomina a Capitano della squadra di Quidditch riuscirono a portare un
raggio di luce, e non solo perché il suo voto in Pozioni metteva
del tutto la parola "fine" all'ambizione di diventare un Auror. Quello
sarebbe stato al massimo un dettaglio vagamente amaro. No, ciò
che affossò l'umore nella stanza fu Piton. Che pretese di vedere
le lettere con i risultati e fece una smorfia, commentando entrambi i
fogli con un "ridicolo" a denti stretti. Seguì una lunga
interrogazione sugli esami. Chi, cosa aveva chiesto, come avevano
risposto. Alla fine Hermione era quasi in lacrime, e Harry si sentiva
vagamente omicida.
Piton sembrava però aver
trovato una specie di accordo con Lupin. Le lezioni di Occlumanzia
funzionavano così: Remus sbucava praticamente dal nulla,
radunava tutti senza preavviso e si metteva di guardia, fuori dalla
porta. Non furono mai disturbati, e Harry sperava che il colpevole
fosse uno dei numerosi "mal di testa" di Sirius - una maniera gentile
di riferirsi ai postumi di una sbornia, supponeva - e non qualche
goccia di pozione in uno dei suoi numerosi bicchieri quotidiani. C'era
qualcosa (più di qualcosa) che lo faceva sentire sporco e
colpevole, in tutta la faccenda, ma se ci fossero state delle pozioni
di mezzo... supponeva che si sarebbe sentito peggio.
Il comportamento di Piton non lo
aiutava a tenere a bada i sensi di colpa: si era ammorbidito,
probabilmente faceva parte del patto con Remus, era l'unica spiegazione
logica. Oh, era odioso come sempre, poco ma sicuro - però non
scavava a fondo. I ricordi che gli strappava dalla mente, quand'era il
suo turno, erano... neutrali. Niente Squarta che lo rincorreva, niente
zia Petunia, niente zio Vernon, niente Dudley. Niente cimitero, o
Ufficio Misteri. Nessuna traccia di Cho, nessuna traccia di Ron. Solo
un mucchio di ricordi generici, nè troppo belli nè troppo
brutti. La volta che era andato a trovare Hagrid e aveva messo un piede
in una pozzanghera - o almeno, sperava che quello fosse solo fango. La
frazione soporifera di una lezione di Storia della Magia. Un
allenamento di Quidditch sotto la pioggia, un pranzo in Sala Grande
durante il quale non era successo niente di particolare.
Neanche Hermione sembrava troppo
turbata, dopo che Piton aveva abbassato la bacchetta e interrotto il
contatto con lei. Pareva tranquilla, faceva un sacco di domande un po'
troppo specifiche e complicate sul come e perché Occlumanzia e
Legilimanzia funzionassero in una certa maniera. Piton rispondeva a
monosillabi, a volte la ignorava e basta. Ogni tanto si lasciava andare
a una nuova tirata su come dovessero mantenere il livello delle lezioni
il più basso possibile, sia mai che il prezioso Potter
rischiasse di sforzare minimamente il suo cervello.
Finiva tutto con la stessa minaccia
dell'anno precedente: dovevano svuotare la mente prima di andare a
dormire, se non l'avessero fatto se ne sarebbe accorto. Ma faceva molto
meno paura, adesso che Harry riusciva ad allontarsi su un paio di gambe
belle ferme e senza un mal di testa così forte da rischiare di
accecarlo.
Si esercitavano insieme, prima di
andare a dormire. Hermione cercò anche di aiutarlo con qualcosa
che si chiamava "meditazione guidata", ma ad Harry sembrava più
stupido che utile. Quando non gli veniva da ridere finiva con il
distrarsi, non c'era verso. Dopo qualche tentativo la ragazza se ne
tornava nella sua camera, più spazientita che incoraggiante, con
gli occhi gonfi di sonno e i piedi che non si staccavano mai un
granché dal pavimento.
Dopo la prima settimana passata
insieme ammisero che non aveva senso starsene in due camere separate.
Nessuno dei due riusciva a dormire molto, meditazione o meno, ed
Hermione sosteneva che ci fosse un insieme molto variegato di cause.
Una tra tutte, il fatto di essere barricati in casa senza niente di
preciso da fare, senza orari e senza routine, senza la
possibilità di muoversi. Alle due di notte, in tono un po'
impastato, gli elencò con molta convinzione (e con grande
perplessità di Harry) tutti gli sport che avrebbe iniziato a
fare non appena uscita da Grimmauld Place. Tra questi, ovviamente, non
c'era il Quidditch. Quello ce lo metteva il ragazzo: le spiegò
che una volta arrivato a Hogwarts avrebbe saltato il banchetto della
Sala Grande, e tanti saluti a tutti. Avrebbe preso la sua scopa -
finalmente! - e sarebbe letteralmente volato verso il campo di
Quidditch. Aveva una mezza idea, tra l'altro, di non scendere mai
più di lì.
Alle tre di notte Hermione gli
chiese scusa: in effetti aveva ragione, i libri sul disturbo da stress
post-traumatico che gli aveva regalato erano un po' troppo tecnici.
Harry ammise che non aveva neanche capito per cosa stesse "PTSD". Dopo
un quarto d'ora di sbuffi e risate sottovoce, capitolò del tutto
e le disse che, in effetti, forse non l'aveva capito perché non
li aveva neanche letti.
Hermione gli tirò un cuscino, e il sonno era ancora molto lontano dall'arrivare.
Quando lo fece, per Harry
tornò il cigolio dell'altalena. Un paio di gambe nude, dei
pantaloncini di jeans così striminziti che Molly li avrebbe
trasfigurati in una gonna alla caviglia ben prima che Ginny potesse
raggiungere la porta di casa... ma il rosso dei capelli della ragazza
continuava a non essere della sfumatura giusta. Lei non si girò
a guardarlo, camminava quasi saltellando, la strada era sconosciuta e
la risata della ragazza gli suonava strana - strana almeno quanto la
sensazione di minaccia che lo fece sudare più dell'aria umida
nella stanza. Ma forse tutto andava bene, perché la luce aveva
assunto una sfumatura più fioca e fredda e lui non temeva gli
imprevisti. La lingua di un serpente assaggiava l'aria e tutto andava
bene, era rassicurante sentire le scaglie della creatura sotto le dita.
Ginny, si disse di nuovo Harry, dopo
essersi svegliato all'improvviso. Era Ginny. Il serpente? L'incontro
con il Basilisco, probabilmente. Ginny in pericolo, Ginny e il
Basilisco, tutto tornava. Ginny e Voldemort, volendo essere più
simbolici. I jeans molto molto corti - be', supponeva che a sedici anni
fosse abbastanza normale, e se proprio doveva essere onesto con se
stesso (alle cinque del mattino era molto facile, essere onesti con se
stessi) Cho si era ritrovata ben più svestita in più di
un sogno. Contando anche quelli ad occhi aperti, anche se di ciò
non era molto fiero. Ma insomma, alla fine... tutto regolare. Si
sentiva disturbato solo per una questione di stress e sensi di colpa,
non c'era bisogno di diffidare di un sogno ricorrente, confuso e banale
com'era.
Harry si congratulò con se
stesso: ormai era praticamente uno psichiatra. D'altra parte era una
qualità abbastanza necessaria, se si voleva sopravvivere a
Grimmauld Place.
Si riaddormentò male e
all'orario sbagliato, fu Remus a svegliarlo. Bussando, come al solito,
ma il preavviso non fu molto utile: non c'era maniera di mimetizzare la
presenza di Hermione, e anche se i letti erano separati e i pigiami
perfettamente al loro posto c'era comunque poco spazio di manovra:
erano un po' troppo grandi per dormire nella stessa stanza, per motivi
abbastanza ovvi, che solo un adulto con poca lungimiranza poteva
pensare.
Sfortunatamente, Remus apparteneva
appunto a questa categoria. «Ragazzi, non vorrei sembrarvi...
be'. Però, Hermione - non me lo aspettavo da te. Ti hanno
affidata a noi, abbiamo noi la responsabilità, e non vorrei
che...»
Harry era troppo imbarazzato per
aprire bocca - Hermione si riprese un po' prima, ma le giuste proteste
e spiegazioni non sembrarono convincere del tutto il lupo mannaro.
Avrebbe voluto essere maggiormente di aiuto, entrare in
"modalità avvocato" con la stessa facilità di Hermione.
Ma era davvero ancora troppo poco sveglio per riuscire a fare qualcosa
di più che sentirsi sprofondare.
Quando scese, con la vergogna ancora
addosso, Piton era in cucina. Con la sua mano sbagliata e quella giusta
strette attorno alla Gazzetta del Profeta, sbirciò solo un
attimo oltre le pagine. Riusciva a sembrare teso e indifferente nello
stesso momento.
«Buongiorno, Potter»
disse, con tutto il disprezzo di questo mondo. La prima pagina della
Gazzetta invitava a non frequentare luoghi Babbani particolarmente
affollati, per non rimanere coinvolti in eventuali attacchi. Sirius,
con una pipa spenta in mano e gli occhi gonfi, seguiva i movimenti
delle pagine come un cane seguirebbe i movimenti del panino del
padrone. Voleva i cruciverba, ma Piton non aveva ancora finito di
leggere, grazie tante. Le voci fecero in fretta ad alzarsi, e non era
ancora mezzogiorno.
Bisognava essere quasi uno psichiatra, per sopravvivere a Grimmauld Place.
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NdA:
Buon San Valentino? Come regalo, ecco qua l'ultimo (per ora) capitolo ambientato a Grimmauld Place.
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