18th February
Quanti anni ho, io?
A chi importa! Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che
voglio e sento.
[José Saramago]
Laudir lo afferrò con violenza per le spalle e lo trucidò
con lo sguardo.
Ethan non aveva paura di lui, ormai non aveva più paura di
niente.
Da quando aveva cominciato a fumare erba e a sniffare coca,
aveva ricominciato a dormire e aveva smesso di pensare a suo padre.
Aveva cominciato a disprezzare quell’uomo ignobile che lo
aveva abbandonato per inseguire i suoi demoni inesistenti, togliendosi la vita
perché troppo codardo per riprenderla in mano.
Mentre Laudir lo guardava con odio, Ethan ripensava al fatto
che fosse stato anche lui codardo. Aveva chiesto a Dave una dose di eroina, poi
non aveva avuto il fegato per iniettarsela.
Ma all’epoca aveva soltanto undici anni, ora ne aveva
quattordici e le cose erano cambiate. Laudir aveva cominciato a detestarlo
seriamente quando si era reso conto che Ethan era entrato prepotentemente nel
giro di Dave.
Laudir era rimasto sfigato, si limitava a fumare erba ogni
tanto e a fare il bulletto di quartiere, senza realmente comprendere le
dinamiche della vita di strada.
Ethan gli restituì l’occhiata e se lo scrollò di dosso.
«Cosa vuoi, fratellino?» lo schernì.
«Io e te non siamo fratelli» grugnì Laudir con rabbia.
Ethan sorrise beffardo. «Non hai risposto alla mia domanda»
replicò.
«Devi smettere di venire a disturbarmi, di girarmi attorno…»
«Mio cugino Dave mi aspetta.»
«Lui non è tuo cugino!» sbraitò ancora il più grande.
Ethan, stanco di quell’atteggiamento, sbuffò. «Non capisco
perché mi odi tanto.»
Il ragazzo più grande rise. «Davvero? Ti ho detto un sacco
di volte che sei un intruso nella mia famiglia, ti sei intrufolato a casa mia
quando nessuno ti voleva… nemmeno tuo padre» sputò velenoso.
Ethan scattò senza pensare, gli mollò un gancio destro in
pieno viso, per poi spintonarlo e farlo finire con la schiena contro la parete
di una casa diroccata. Alcuni calcinacci si staccarono dal muro e piovvero loro
addosso.
Laudir si portò le mani sul viso, mentre un rivolo di sangue
scendeva giù dal suo naso. «Bastardo» ruggì.
Ethan non si scompose e gli voltò le spalle, avviandosi per
raggiungere Dave.
Prima o poi avrebbe dimostrato a Laudir quanto valeva.
«Insomma, Ethan, devi capire che fa parte del regolamento.
Tu mi aiuti a spacciare, io ti do la roba. È uno scambio, no?»
Dave finì di sorseggiare la sua birra, guardando il più
giovane negli occhi.
«Appunto, siamo pari» tagliò corto Ethan.
«Ti sbagli. Vuoi guadagnare di più? Vuoi davvero far parte
della mia squadra?» lo interrogò Dave.
«Certo.»
«Allora devi fare quel tatuaggio, è un rituale. Solo a quel
punto Laudir e gli altri ti rispetteranno davvero.»
Ethan si guardò attorno e mise distrattamente a fuoco la
base di Dave: si trattava di un vecchio negozio che lo spacciatore stava pian
piano ristrutturando, per poi trasformarlo in un’erboristeria in cui poter
condurre i suoi loschi affari senza dare nell’occhio. Per il momento il locale
era ancora spoglio e malconcio, ma presto sarebbe diventato un gioiellino.
Poi tornò a fissare Dave, la sua testa rasata, i suoi
numerosi tatuaggi sulle braccia muscolose, e le sue iridi scure come la notte.
Una strana sensazione lo pervase, come se lo stesse guardando per la prima
volta da quando l’aveva conosciuto.
«Hai paura, non è vero?» chiese il più grande.
Ethan scrollò il capo. «Io? Beh…»
«Degli aghi, dei tatuaggi. Hai paura» proseguì Dave.
«Solo un po’, ma non è questo il punto.»
«Ah no? Allora perché hai rivenduto l’eroina quel giorno?»
Ethan si strinse nelle spalle. «Avevo bisogno di soldi, te
l’ho detto. Non volevo fregarti, ti ho già chiesto scusa. Non l’ho più fatto.»
«Lo so. Ma tu volevi farti di ero. Poi cos’è successo?»
Ethan distolse lo sguardo, quel ragazzo lo metteva a disagio
perché sapeva sempre come estorcergli la verità. «Ci ho ripensato, okay? Farsi
di ero non è una cosa da poco.»
«Ma farsi un tatuaggio sì» replicò Dave.
«Dannazione!»
«Dai, è solo un simbolo di poco conto, non farà male. Perché
ti terrorizza tanto?»
Ethan sapeva che non sarebbe riuscito a nascondersi ancora a
lungo. Avrebbe voluto evitare di confessare la verità, perché in realtà si
vergognava terribilmente del ragazzino che era stato e della sua ignoranza.
Eppure gli occhi scuri e penetranti di Dave erano
costantemente su di lui. Lo scrutavano con attenzione, non si perdevano neanche
uno dei suoi movimenti, neanche il minimo cambiamento della sua espressione.
Perché lo guardava sempre così? E perché Ethan si
sentiva tanto a disagio?
«Ti ascolto» lo esortò ancora Dave, regalandogli addirittura
un piccolo sorriso.
Allora Ethan crollò e si prese la testa tra le mani. «Cazzo,
quel giorno ho fatto una stronzata.»
«Ovvero?»
«Non è vero che ho rivenduto l’ero, tre anni fa. Ho…» Ethan
deglutì e lasciò cadere le mani in grembo, fissandole come se non esistesse
altro nel suo campo visivo. «Ho provato a bucarmi.»
«Hai provato? Cosa significa?»
«Sì. Ma è andata male, mi sono ferito, non ho trovato la
vena e… è stata una catastrofe. Da quel giorno ho deciso di non avvicinarmi mai
più a un ago.»
Dave scoppiò a ridere e Ethan si sentì ancora più una merda.
Aveva sbagliato a confidarsi con lui, del resto il suo cugino acquisito non era
altro che un ragazzaccio di strada che non poteva capirlo, non poteva provare
compassione per qualcun altro. In fondo era un assassino, dispensava sostante
letali a chiunque gli offrisse abbastanza soldi per comprarle.
«Ehi, Ethan.»
Il giovane sollevò il capo e lo fissò contrariato.
«Non rido di te, non ti sto prendendo in giro. È solo che ho
sentito un sacco di tossici parlare come te, rifiutare gli aghi… è buffo. Forse
un giorno cambierai idea.» Fece una pausa e si alzò per buttare la bottiglia di
birra ormai vuota. Voltato di spalle, aggiunse: «Francamente spero di no».
Era stato un sussurro, ma Ethan udì qualcosa di diverso nel
suo tono, qualcosa che gli fece accelerare per un attimo il battito del cuore.
Forse a Dave importava di lui.
Scosse il capo, non voleva illudersi.
Infine si sporse in avanti e appoggiò gli avambracci sulle
ginocchia. «In cosa consiste il tatuaggio?» domandò, cambiando argomento.
Dave si voltò nuovamente nella sua direzione e, senza
preavviso, si sfilò la t-shirt e gli si piazzò di fronte, guardandolo dall’alto
in basso.
Ethan sussultò e si costrinse a non indugiare sul suo torace
tonico e scolpito, completamente ricoperto di inchiostro perlopiù nero,
intervallato soltanto da alcune sfumature grigie.
Il più grande si mise leggermente di lato e gli mostrò il
fianco destro, indicando un tatuaggio in particolare: si trattava di un’aquila
stilizzata in nero e grigio, con all’interno una piccola D in carattere
gotico. «È questo» spiegò.
«Carino» mormorò Ethan, trattenendosi dall’impulso di
sfiorare il disegno.
«Tu avrai la tua iniziale sul tuo. Kit è bravissimo, il
miglior tatuatore della zona.»
Ethan annuì. «Immagino sia vero, ma… devo proprio?»
Dave lo osservò con attenzione, rimettendosi addosso la
t-shirt bianca. «Se vuoi essere rispettato, se vuoi avanzare di livello… sì.»
Il più giovane sospirò e intrecciò le dita sotto il mento,
pensieroso.
Il suo cugino acquisito portò una mano ad afferrarlo per il
polso sinistro, per poi sollevarlo verso l’alto e mostrare la parte interna,
dove le vene spiccavano sulla carnagione lattea di Ethan.
Il corpo del ragazzo venne scosso da un brivido.
«Qui starebbe benissimo» sussurrò Dave.
Ethan si ritrasse e fece spallucce. «Ci penserò…»
Lo spacciatore rise appena. «Ethan, non potrai per sempre
nascondere chi sei» disse, poi si allontanò e lo lasciò attonito, con quelle
parole a infestargli i pensieri.
Aveva decisamente bisogno di una pista di coca.
Sentiva il polso bruciare intensamente, ma non poteva
comportarsi come un ragazzino.
Mentre Kit, l’amico di Dave, armeggiava con lo stencil,
Ethan aveva la sensazione che gli aghi lo stessero già penetrando intensamente.
Di fronte ai suoi occhi si stagliavano le immagini della
prima volta che aveva provato a bucarsi, fallendo miseramente.
Ricordava perfettamente quanto fosse stato difficile trovare
il coraggio per preparare la siringa come aveva visto fare un sacco di volte
dagli innumerevoli clienti di Dave. Ci aveva messo impegno, aveva pensato a
quel miserabile di suo padre e si era detto che quell’uomo doveva darsi una
mossa se voleva tornare da lui.
Anche se il signor Murphy era morto e Ethan sapeva che stava
diventando più folle del suo stesso genitore.
«Pronto?» chiese Kit, distogliendolo dai suoi pensieri.
Ethan deglutì e ringraziò chiunque in quel momento stesse
telefonando al tatuatore, il quale si allontanò un attimo per rispondere.
Il giovane tornò con la mente a quel giorno in cui preparò
l’ago per spararsi la sua prima dose. Era il 18 febbraio, era il suo undicesimo
compleanno.
Aveva fissato l’ago lucente, aveva tastato goffamente
l’interno del suo gomito, cercando la vena. Deglutendo e credendo di averla
trovata, aveva provato a pungersi, ma il dolore che lo aveva percorso era stato
talmente forte da farlo rabbrividire e piangere come un moccioso qualsiasi.
In preda alla furia, aveva cominciato a martoriarsi il
braccio, aveva provato a perforare il sinistro, ma alla fine aveva lanciato via
l’ago e mandato al diavolo tutto. Si era sentito talmente inutile e
controproducente da farsi schifo.
Era stato il giorno in cui si era reso conto di essere
davvero solo. Mentre le ferite sulle sue braccia guarivano, quelle all’interno
del suo cuore non accennavano a rimarginarsi.
E ora, a quattordici anni suonati, aveva una paura fottuta
di farsi fare un innocente tatuaggio. Temeva che il dolore potesse buttare
all’aria l’equilibrio che era riuscito a crearsi in quegli anni.
Kit tornò da lui e gli sorrise sghembo, riprendendo in mano
la macchinetta.
«Si comincia!» esclamò, poi tutto ebbe inizio prima che
Ethan potesse rendersene conto.
Strinse i denti e voltò il capo di lato, in modo che Kit non
potesse scorgere i suoi occhi velati di lacrime. Quando il primo ago lo
penetrò, il suo cuore perse un battito e si costrinse a non sobbalzare per non
rovinare il lavoro del tatuatore.
Le immagini di quell’orribile 18 febbraio tornarono a
martellare nel suo cervello, dietro le sue palpebre serrate, dentro il suo
cuore disgustato.
Ripensò a suo padre che gli lasciava leggere il suo romanzo
inesistente, al pupazzo a forma di dinosauro che sua madre gli aveva regalato
per il suo quarto compleanno, a Laudir che scassinava il cassetto della
scrivania di suo padre, alla famiglia che aveva perso e a quella che era stata
costretta ad accoglierlo quando il signor Murphy aveva deciso di uccidersi per
raggiungere la sua amata Carla.
Ripensò alla clinofobia di suo padre che poi era diventata
anche la sua stessa paura di dormire, superata solo grazie all’erba e alla
consapevolezza che il suo genitore era stato soltanto un povero pazzo depresso.
E si ritrovò a gridare e piangere nella sua mente, mentre il
dolore provocato dal tatuaggio diveniva quasi una medicina per il suo animo
distrutto. Aveva solo quattordici anni.
A quattordici anni la gente non dovrebbe soffrire così.
Fissò la piccola e perfetta aquila in nero e grigio, le
sfumature erano perfette e la mettevano in risalto sulla sua pelle chiara.
Bruciava il polso, bruciavano i suoi occhi, bruciava il suo animo.
Ma era bello ed era tutto suo.
Per la prima volta Ethan si rese conto di possedere
realmente qualcosa, qualcosa che nessuno avrebbe potuto strappargli via.
Traccio con lo sguardo la piccola E stilizzata e
tatuata in negativo sul petto dell’aquila e si sentì orgoglioso di se stesso e
di essere riuscito a essere uomo, finalmente.
Ripensò con disprezzo all’undicenne maldestro e insicuro che
non era neanche riuscito a bucarsi e scosse appena il capo.
«Ti piace?» chiese Kit.
Ethan annuì e ripensò alle parole di Dave. Adesso tutti lo
avrebbero rispettato, Laudir non lo avrebbe più disprezzato e sarebbe stato
costretto a chinare il capo di fronte a lui.
Si mise in piedi e lasciò il garage di Kit prima che il
tatuatore riuscisse a rivestire il tatuaggio con la pellicola trasparente.
Non gli interessavano quelle stupidaggini, voleva andare a
sbattere il suo nuovo tatuaggio in faccia a Laudir, per dimostrargli che ora
lui era un uomo e che meritava rispetto.
Sulla strada di casa, tuttavia, incrociò Juan, il fratello
minore di Laudir. Loro due non avevano mai parlato tanto, ma si erano sempre
rispettati e trovati simpatici. Entrambi erano troppo riservati.
Ethan vide per la prima volta gli occhi di Juan velati dal
dolore e dalla malinconia e fu costretto a fermarsi.
«Mamma mi ha mandato a cercarti, è successa una cosa
terribile» mormorò Juan, tentando di sfuggire agli occhi verdi di Ethan.
«Anita sta male?» si preoccupò subito.
Juan scosse il capo. «Hanno sparato a Laudir.»
Il mondo, dopo essere rimasto per un istante nei pugni fieri
di Ethan, ricominciò ad andare in pezzi.
Laudir morì il 18 febbraio, mentre Ethan compiva quindici
anni.
Era rimasto coinvolto in una sparatoria tra membri di gang
differenti e, dopo una breve convalescenza in ospedale, non ce l’aveva fatta.
Ethan non sapeva come sentirsi.
Lui e Laudir si erano sempre detestati, o forse era stato
semplicemente un non accettarsi dettato dall’incomprensione reciproca.
Tuttavia lui non provava più odio o rancore nei confronti
del fratello acquisito. In fondo Laudir era stato un bravo ragazzo, in certe
occasioni lo aveva aiutato, anche se non gli aveva mai dimostrato di volergli
bene.
E poi Anita amava suo figlio, morto a soli ventidue anni.
Ethan cercò di consolarla, in fondo quella donna era un po’ una madre per lui,
ma infine non seppe come confortarla davvero e la lasciò alle cure di Juan.
Uscì di casa circa due ore dopo aver ricevuto la notizia
della morte di Laudir e si diresse nell’unico posto dove sapeva di poter
trovare qualcuno in grado di capirlo almeno un po’.
Ormai l’erboristeria di Dave aveva aperto i battenti ed era
una modesta ma accogliente attività commerciale, nella quale lavorava anche la
sorella minore dello spacciatore, Maria.
La ragazza guardava sempre Ethan con sospetto e non gli
parlava molto, fingeva di non sapere degli affari loschi di suo fratello e dei
suoi amici.
Quando lo vide entrare, tuttavia, si gettò tra le sue
braccia e scoppiò a piangere. «Laudir, Laudir… il mio Laudir…»
Ethan non ricambiò, avrebbe preferito non essere toccato in
quel modo da lei. Sapeva che tra Laudir e sua cugina Maria c’era sempre stato
un legame particolare, erano cresciuti insieme e si volevano bene, ma non gli
andava di consolare una persona che lo aveva sempre guardato come fosse un
appestato.
Sospirò e la scostò da sé senza troppe cerimonie. «Dave è
nel retrobottega?» domandò laconico.
Maria annuì, per poi cominciare a sproloquiare su cose che
Ethan non ebbe voglia di ascoltare. Si diresse in fretta sul retro e trovò Dave
seduto al vecchio tavolo di legno, intento a contare dei piccoli sacchetti in
plastica trasparente.
Il più giovane si lasciò cadere accanto a lui e lo osservò,
senza osare disturbarlo.
«Hai fatto il tatuaggio?» chiese Dave, senza neanche
sollevare gli occhi.
Ethan sollevò la manica della vecchia felpa consunta e gli
mostrò il polso. Non si erano visti da quando lui era stato da Kit, esattamente
quattro giorni prima. «Grazie per avermelo regalato» mormorò.
Dave finì il suo conto, poi mise da parte le dosi di droga e
si sporse per osservare il tatuaggio, prendendo il polso esile di Ethan tra le
mani grandi e ruvide.
Il più giovane rabbrividì a quel tocco e si morse involontariamente
il labbro inferiore.
«Avevo ragione, ti sta benissimo qui» sussurrò il più
grande.
Ethan tenne gli occhi a fissare le dita di Dave che,
lentamente, tracciavano i contorni del tatuaggio in via di guarigione.
E un brivido più caldo, languido, intenso lo percorse. Si
costrinse a non lasciarsi sfuggire un sospiro, infine distolse gli occhi e li
posò su un punto qualsiasi alle spalle di Dave.
«Ho saputo di Laudir.»
«Non ho potuto dimostrargli che merito rispetto» replicò
Ethan, ancora preda delle sensazioni che quelle dita gli provocavano.
«Non ha più importanza.»
Il più giovane parve riscuotersi d’improvviso; si raddrizzò
sulla sedia e ritrasse bruscamente il braccio, fissando Dave dritto negli
occhi. «Ora sono pronto per l’ero» affermò in tono piatto.
Dave sgranò appena gli occhi scuri, inarcando le
sopracciglia. «Meglio di no…»
«Ormai ho quindici anni, ho questo tatuaggio di merda sul
polso e tu non puoi decidere per me. Chiaro?»
Lo spacciatore si strinse nelle spalle. «Non hai i soldi per
comprarmela» gli fece notare.
Ethan strinse la mano destra a pugno e la batté con ira sul
tavolo, imprecando tra i denti. «Cazzo!»
Dave si rese conto che stava tremando e si alzò,
accostandosi maggiormente a lui. Lo afferrò per le braccia e lo costrinse a voltarsi
verso di lui, per poi abbracciarlo come nessuno aveva mai fatto.
«Non puoi nascondere ciò che sei» disse il maggiore,
accarezzandogli la schiena mentre profondi singhiozzi si facevano largo nel
petto di Ethan.
Quando aveva cominciato a piangere?
«Laudir è morto…» Lo realizzò solo dopo averlo mormorato,
rendendosi conto del dolore che quella consapevolezza gli provocava.
«Mi dispiace, cazzo, non sai quanto. Era mio cugino, gli
volevo bene» replicò Dave, serrandolo ancora più forte tra le braccia.
Ethan si aggrappò a lui perché in quel momento non sapeva
fare altro, non aveva idea di cosa significasse quell’abbraccio né se fosse da
froci desiderare che non finisse.
Non aveva mai avuto una ragazza, semplicemente perché la sua
vita era un totale casino e non aveva tempo per pensare a certe stronzate come
l’amore e le relazioni con le altre persone.
Con Dave si sentiva accettato, ma soprattutto sentiva il suo
corpo reagire in un modo particolare, un modo che lo atterriva e lo intrigava
allo stesso tempo.
Non seppe neanche lui come si ritrovò a lasciarsi baciare
piano sul collo, sulla guancia, sugli zigomi rigati di lacrime. Non seppe
neanche lui come le labbra incredibilmente soffici di Dave arrivarono sulle sue
e le scaldarono con una delicatezza nuova, una tenerezza che neanche sua madre
era mai stata in grado di regalargli.
Sentiva il polso bruciare, ma quando le dita leggere di Dave
lo sfioravano erano come un balsamo rigenerante.
Quei lievi baci a fior di labbra erano una cura per il suo
animo tumefatto e sporco.
Le sensazioni che stava provando nello stringere un’altra
persona tra le braccia erano terapeutiche per i suoi pensieri più oscuri.
In quel momento si sentiva in qualche modo amato e non
pensava più all’eroina, anche se qualcosa gli suggeriva che presto l’avrebbe
rivendicata.
Era il 18 febbraio, Ethan aveva quindici anni e per la prima
volta si sentiva amato, parte di qualcosa di bello, anche se nascosto in mezzo
al marciume di quel quartiere che era casa sua.
Era il 18 febbraio, Laudir era morto, ma Ethan sentiva
soltanto calore e comprensione attorno a sé.
In un’altra occasione non avrebbe permesso a Dave di stargli
così vicino, forse non avrebbe mai compreso chi fosse realmente.
Ma in quel momento era fragile, si sgretolava tra le forti
braccia di quel ragazzo che fin da subito l’aveva considerato parte della sua
vita, contro tutti coloro che l’avevano detestato e considerato più folle di
suo padre.
Dave si scostò da lui, un sorriso lieve e morbido a
increspargli le labbra sottili. «Non puoi nasconderti, Ethan. Io ti vedo, ti ho
sempre visto.»
Il più piccolo annuì, arrossendo appena.
Era il 18 febbraio e per la prima volta Ethan Murphy si
gettò tra le braccia di un uomo, lasciando che raccogliesse i pezzi del suo
cuore e li rimettesse insieme.
Lasciando che quegli aghi che la vita gli puntava addosso lo
trapassassero senza ferirlo.
§ § §
Carissimi lettori, eccomi qui con il sequel di Waiting Awake.
Le avventure di Ethan Murphy continuano!
Lo so, lo faccio sempre soffrire un sacco, ma qui ho voluto
lasciare una piccola speranza verso il finale, nonostante sia abbastanza aperto
e piuttosto interpretabile ^^
La cosa è voluta, ovviamente :D
Nella storia precedente mi sono concentrata sulle fobie
d’infanzia di Ethan, legate per lo più a suo padre, mentre qui ho voluto
concentrarmi sui primi anni dell’adolescenza di Ethan.
Ho scelto la seguente fobia dall’elenco fornito da Soul nel
suo meraviglioso contest:
7) Belonefobia
(paura degli aghi, ma in generale di spille, coltelli e tutto ciò che può
pungere/ferire)
Non so se sono riuscita a farvi capire cosa provasse Ethan
riguardo agli aghi, cosa lo facesse sentire tanto a disagio e cosa lo abbia
portato a superare la sua fobia, ma ci ho provato e ci ho messo tutto il mio
cuore, anche perché tengo moltissimo a questo mio OC! *-*
Ho voluto inoltre introdurre un’altra tematica importante
nella storia di Ethan, ovvero il suo orientamento sessuale. Volevo che almeno su
questo fronte ci fosse qualcuno di cui si fida a fargli affrontare questa
realtà, ma non ho voluto soffermarmi troppo sulla cosa perché ho intenzione di
parlarne in una futura storia, ma soprattutto non era questa l’intenzione del
racconto ^^
Spero davvero che vi sia piaciuta!
Grazie a tutti coloro che decideranno di lasciare un
commento, ve ne sarei immensamente grata!
Alla prossima e… auguri Ethan Murphy ♥
|