Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Kim WinterNight    18/02/2020    13 recensioni
Poi tornò a fissare Dave, la sua testa rasata, i suoi numerosi tatuaggi sulle braccia muscolose, e le sue iridi scure come la notte. Una strana sensazione lo pervase, come se lo stesse guardando per la prima volta da quando l’aveva conosciuto.
«Hai paura, non è vero?» chiese il più grande.
Ethan scrollò il capo. «Io? Beh…»
«Degli aghi, dei tatuaggi. Hai paura» proseguì Dave.
«Solo un po’, ma non è questo il punto.»
«Ah no? Allora perché hai rivenduto l’eroina quel giorno?»

- SETTIMA CLASSIFICATA al contest "Scriptophobia" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'In Pieces'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
18th February
 
 
 
 
 
 
 
 
Quanti anni ho, io? A chi importa! Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento.
[José Saramago]
 
 
 
 
Laudir lo afferrò con violenza per le spalle e lo trucidò con lo sguardo.
Ethan non aveva paura di lui, ormai non aveva più paura di niente.
Da quando aveva cominciato a fumare erba e a sniffare coca, aveva ricominciato a dormire e aveva smesso di pensare a suo padre.
Aveva cominciato a disprezzare quell’uomo ignobile che lo aveva abbandonato per inseguire i suoi demoni inesistenti, togliendosi la vita perché troppo codardo per riprenderla in mano.
Mentre Laudir lo guardava con odio, Ethan ripensava al fatto che fosse stato anche lui codardo. Aveva chiesto a Dave una dose di eroina, poi non aveva avuto il fegato per iniettarsela.
Ma all’epoca aveva soltanto undici anni, ora ne aveva quattordici e le cose erano cambiate. Laudir aveva cominciato a detestarlo seriamente quando si era reso conto che Ethan era entrato prepotentemente nel giro di Dave.
Laudir era rimasto sfigato, si limitava a fumare erba ogni tanto e a fare il bulletto di quartiere, senza realmente comprendere le dinamiche della vita di strada.
Ethan gli restituì l’occhiata e se lo scrollò di dosso. «Cosa vuoi, fratellino?» lo schernì.
«Io e te non siamo fratelli» grugnì Laudir con rabbia.
Ethan sorrise beffardo. «Non hai risposto alla mia domanda» replicò.
«Devi smettere di venire a disturbarmi, di girarmi attorno…»
«Mio cugino Dave mi aspetta.»
«Lui non è tuo cugino!» sbraitò ancora il più grande.
Ethan, stanco di quell’atteggiamento, sbuffò. «Non capisco perché mi odi tanto.»
Il ragazzo più grande rise. «Davvero? Ti ho detto un sacco di volte che sei un intruso nella mia famiglia, ti sei intrufolato a casa mia quando nessuno ti voleva… nemmeno tuo padre» sputò velenoso.
Ethan scattò senza pensare, gli mollò un gancio destro in pieno viso, per poi spintonarlo e farlo finire con la schiena contro la parete di una casa diroccata. Alcuni calcinacci si staccarono dal muro e piovvero loro addosso.
Laudir si portò le mani sul viso, mentre un rivolo di sangue scendeva giù dal suo naso. «Bastardo» ruggì.
Ethan non si scompose e gli voltò le spalle, avviandosi per raggiungere Dave.
Prima o poi avrebbe dimostrato a Laudir quanto valeva.
 
 
«Insomma, Ethan, devi capire che fa parte del regolamento. Tu mi aiuti a spacciare, io ti do la roba. È uno scambio, no?»
Dave finì di sorseggiare la sua birra, guardando il più giovane negli occhi.
«Appunto, siamo pari» tagliò corto Ethan.
«Ti sbagli. Vuoi guadagnare di più? Vuoi davvero far parte della mia squadra?» lo interrogò Dave.
«Certo.»
«Allora devi fare quel tatuaggio, è un rituale. Solo a quel punto Laudir e gli altri ti rispetteranno davvero.»
Ethan si guardò attorno e mise distrattamente a fuoco la base di Dave: si trattava di un vecchio negozio che lo spacciatore stava pian piano ristrutturando, per poi trasformarlo in un’erboristeria in cui poter condurre i suoi loschi affari senza dare nell’occhio. Per il momento il locale era ancora spoglio e malconcio, ma presto sarebbe diventato un gioiellino.
Poi tornò a fissare Dave, la sua testa rasata, i suoi numerosi tatuaggi sulle braccia muscolose, e le sue iridi scure come la notte. Una strana sensazione lo pervase, come se lo stesse guardando per la prima volta da quando l’aveva conosciuto.
«Hai paura, non è vero?» chiese il più grande.
Ethan scrollò il capo. «Io? Beh…»
«Degli aghi, dei tatuaggi. Hai paura» proseguì Dave.
«Solo un po’, ma non è questo il punto.»
«Ah no? Allora perché hai rivenduto l’eroina quel giorno?»
Ethan si strinse nelle spalle. «Avevo bisogno di soldi, te l’ho detto. Non volevo fregarti, ti ho già chiesto scusa. Non l’ho più fatto.»
«Lo so. Ma tu volevi farti di ero. Poi cos’è successo?»
Ethan distolse lo sguardo, quel ragazzo lo metteva a disagio perché sapeva sempre come estorcergli la verità. «Ci ho ripensato, okay? Farsi di ero non è una cosa da poco.»
«Ma farsi un tatuaggio sì» replicò Dave.
«Dannazione!»
«Dai, è solo un simbolo di poco conto, non farà male. Perché ti terrorizza tanto?»
Ethan sapeva che non sarebbe riuscito a nascondersi ancora a lungo. Avrebbe voluto evitare di confessare la verità, perché in realtà si vergognava terribilmente del ragazzino che era stato e della sua ignoranza.
Eppure gli occhi scuri e penetranti di Dave erano costantemente su di lui. Lo scrutavano con attenzione, non si perdevano neanche uno dei suoi movimenti, neanche il minimo cambiamento della sua espressione.
Perché lo guardava sempre così? E perché Ethan si sentiva tanto a disagio?
«Ti ascolto» lo esortò ancora Dave, regalandogli addirittura un piccolo sorriso.
Allora Ethan crollò e si prese la testa tra le mani. «Cazzo, quel giorno ho fatto una stronzata.»
«Ovvero?»
«Non è vero che ho rivenduto l’ero, tre anni fa. Ho…» Ethan deglutì e lasciò cadere le mani in grembo, fissandole come se non esistesse altro nel suo campo visivo. «Ho provato a bucarmi.»
«Hai provato? Cosa significa?»
«Sì. Ma è andata male, mi sono ferito, non ho trovato la vena e… è stata una catastrofe. Da quel giorno ho deciso di non avvicinarmi mai più a un ago.»
Dave scoppiò a ridere e Ethan si sentì ancora più una merda. Aveva sbagliato a confidarsi con lui, del resto il suo cugino acquisito non era altro che un ragazzaccio di strada che non poteva capirlo, non poteva provare compassione per qualcun altro. In fondo era un assassino, dispensava sostante letali a chiunque gli offrisse abbastanza soldi per comprarle.
«Ehi, Ethan.»
Il giovane sollevò il capo e lo fissò contrariato.
«Non rido di te, non ti sto prendendo in giro. È solo che ho sentito un sacco di tossici parlare come te, rifiutare gli aghi… è buffo. Forse un giorno cambierai idea.» Fece una pausa e si alzò per buttare la bottiglia di birra ormai vuota. Voltato di spalle, aggiunse: «Francamente spero di no».
Era stato un sussurro, ma Ethan udì qualcosa di diverso nel suo tono, qualcosa che gli fece accelerare per un attimo il battito del cuore.
Forse a Dave importava di lui.
Scosse il capo, non voleva illudersi.
Infine si sporse in avanti e appoggiò gli avambracci sulle ginocchia. «In cosa consiste il tatuaggio?» domandò, cambiando argomento.
Dave si voltò nuovamente nella sua direzione e, senza preavviso, si sfilò la t-shirt e gli si piazzò di fronte, guardandolo dall’alto in basso.
Ethan sussultò e si costrinse a non indugiare sul suo torace tonico e scolpito, completamente ricoperto di inchiostro perlopiù nero, intervallato soltanto da alcune sfumature grigie.
Il più grande si mise leggermente di lato e gli mostrò il fianco destro, indicando un tatuaggio in particolare: si trattava di un’aquila stilizzata in nero e grigio, con all’interno una piccola D in carattere gotico. «È questo» spiegò.
«Carino» mormorò Ethan, trattenendosi dall’impulso di sfiorare il disegno.
«Tu avrai la tua iniziale sul tuo. Kit è bravissimo, il miglior tatuatore della zona.»
Ethan annuì. «Immagino sia vero, ma… devo proprio?»
Dave lo osservò con attenzione, rimettendosi addosso la t-shirt bianca. «Se vuoi essere rispettato, se vuoi avanzare di livello… sì.»
Il più giovane sospirò e intrecciò le dita sotto il mento, pensieroso.
Il suo cugino acquisito portò una mano ad afferrarlo per il polso sinistro, per poi sollevarlo verso l’alto e mostrare la parte interna, dove le vene spiccavano sulla carnagione lattea di Ethan.
Il corpo del ragazzo venne scosso da un brivido.
«Qui starebbe benissimo» sussurrò Dave.
Ethan si ritrasse e fece spallucce. «Ci penserò…»
Lo spacciatore rise appena. «Ethan, non potrai per sempre nascondere chi sei» disse, poi si allontanò e lo lasciò attonito, con quelle parole a infestargli i pensieri.
Aveva decisamente bisogno di una pista di coca.
 
 
Sentiva il polso bruciare intensamente, ma non poteva comportarsi come un ragazzino.
Mentre Kit, l’amico di Dave, armeggiava con lo stencil, Ethan aveva la sensazione che gli aghi lo stessero già penetrando intensamente.
Di fronte ai suoi occhi si stagliavano le immagini della prima volta che aveva provato a bucarsi, fallendo miseramente.
Ricordava perfettamente quanto fosse stato difficile trovare il coraggio per preparare la siringa come aveva visto fare un sacco di volte dagli innumerevoli clienti di Dave. Ci aveva messo impegno, aveva pensato a quel miserabile di suo padre e si era detto che quell’uomo doveva darsi una mossa se voleva tornare da lui.
Anche se il signor Murphy era morto e Ethan sapeva che stava diventando più folle del suo stesso genitore.
«Pronto?» chiese Kit, distogliendolo dai suoi pensieri.
Ethan deglutì e ringraziò chiunque in quel momento stesse telefonando al tatuatore, il quale si allontanò un attimo per rispondere.
Il giovane tornò con la mente a quel giorno in cui preparò l’ago per spararsi la sua prima dose. Era il 18 febbraio, era il suo undicesimo compleanno.
Aveva fissato l’ago lucente, aveva tastato goffamente l’interno del suo gomito, cercando la vena. Deglutendo e credendo di averla trovata, aveva provato a pungersi, ma il dolore che lo aveva percorso era stato talmente forte da farlo rabbrividire e piangere come un moccioso qualsiasi.
In preda alla furia, aveva cominciato a martoriarsi il braccio, aveva provato a perforare il sinistro, ma alla fine aveva lanciato via l’ago e mandato al diavolo tutto. Si era sentito talmente inutile e controproducente da farsi schifo.
Era stato il giorno in cui si era reso conto di essere davvero solo. Mentre le ferite sulle sue braccia guarivano, quelle all’interno del suo cuore non accennavano a rimarginarsi.
E ora, a quattordici anni suonati, aveva una paura fottuta di farsi fare un innocente tatuaggio. Temeva che il dolore potesse buttare all’aria l’equilibrio che era riuscito a crearsi in quegli anni.
Kit tornò da lui e gli sorrise sghembo, riprendendo in mano la macchinetta.
«Si comincia!» esclamò, poi tutto ebbe inizio prima che Ethan potesse rendersene conto.
Strinse i denti e voltò il capo di lato, in modo che Kit non potesse scorgere i suoi occhi velati di lacrime. Quando il primo ago lo penetrò, il suo cuore perse un battito e si costrinse a non sobbalzare per non rovinare il lavoro del tatuatore.
Le immagini di quell’orribile 18 febbraio tornarono a martellare nel suo cervello, dietro le sue palpebre serrate, dentro il suo cuore disgustato.
Ripensò a suo padre che gli lasciava leggere il suo romanzo inesistente, al pupazzo a forma di dinosauro che sua madre gli aveva regalato per il suo quarto compleanno, a Laudir che scassinava il cassetto della scrivania di suo padre, alla famiglia che aveva perso e a quella che era stata costretta ad accoglierlo quando il signor Murphy aveva deciso di uccidersi per raggiungere la sua amata Carla.
Ripensò alla clinofobia di suo padre che poi era diventata anche la sua stessa paura di dormire, superata solo grazie all’erba e alla consapevolezza che il suo genitore era stato soltanto un povero pazzo depresso.
E si ritrovò a gridare e piangere nella sua mente, mentre il dolore provocato dal tatuaggio diveniva quasi una medicina per il suo animo distrutto. Aveva solo quattordici anni.
A quattordici anni la gente non dovrebbe soffrire così.
 
 
Fissò la piccola e perfetta aquila in nero e grigio, le sfumature erano perfette e la mettevano in risalto sulla sua pelle chiara. Bruciava il polso, bruciavano i suoi occhi, bruciava il suo animo.
Ma era bello ed era tutto suo.
Per la prima volta Ethan si rese conto di possedere realmente qualcosa, qualcosa che nessuno avrebbe potuto strappargli via.
Traccio con lo sguardo la piccola E stilizzata e tatuata in negativo sul petto dell’aquila e si sentì orgoglioso di se stesso e di essere riuscito a essere uomo, finalmente.
Ripensò con disprezzo all’undicenne maldestro e insicuro che non era neanche riuscito a bucarsi e scosse appena il capo.
«Ti piace?» chiese Kit.
Ethan annuì e ripensò alle parole di Dave. Adesso tutti lo avrebbero rispettato, Laudir non lo avrebbe più disprezzato e sarebbe stato costretto a chinare il capo di fronte a lui.
Si mise in piedi e lasciò il garage di Kit prima che il tatuatore riuscisse a rivestire il tatuaggio con la pellicola trasparente.
Non gli interessavano quelle stupidaggini, voleva andare a sbattere il suo nuovo tatuaggio in faccia a Laudir, per dimostrargli che ora lui era un uomo e che meritava rispetto.
Sulla strada di casa, tuttavia, incrociò Juan, il fratello minore di Laudir. Loro due non avevano mai parlato tanto, ma si erano sempre rispettati e trovati simpatici. Entrambi erano troppo riservati.
Ethan vide per la prima volta gli occhi di Juan velati dal dolore e dalla malinconia e fu costretto a fermarsi.
«Mamma mi ha mandato a cercarti, è successa una cosa terribile» mormorò Juan, tentando di sfuggire agli occhi verdi di Ethan.
«Anita sta male?» si preoccupò subito.
Juan scosse il capo. «Hanno sparato a Laudir.»
Il mondo, dopo essere rimasto per un istante nei pugni fieri di Ethan, ricominciò ad andare in pezzi.
 
 
Laudir morì il 18 febbraio, mentre Ethan compiva quindici anni.
Era rimasto coinvolto in una sparatoria tra membri di gang differenti e, dopo una breve convalescenza in ospedale, non ce l’aveva fatta.
Ethan non sapeva come sentirsi.
Lui e Laudir si erano sempre detestati, o forse era stato semplicemente un non accettarsi dettato dall’incomprensione reciproca.
Tuttavia lui non provava più odio o rancore nei confronti del fratello acquisito. In fondo Laudir era stato un bravo ragazzo, in certe occasioni lo aveva aiutato, anche se non gli aveva mai dimostrato di volergli bene.
E poi Anita amava suo figlio, morto a soli ventidue anni. Ethan cercò di consolarla, in fondo quella donna era un po’ una madre per lui, ma infine non seppe come confortarla davvero e la lasciò alle cure di Juan.
Uscì di casa circa due ore dopo aver ricevuto la notizia della morte di Laudir e si diresse nell’unico posto dove sapeva di poter trovare qualcuno in grado di capirlo almeno un po’.
Ormai l’erboristeria di Dave aveva aperto i battenti ed era una modesta ma accogliente attività commerciale, nella quale lavorava anche la sorella minore dello spacciatore, Maria.
La ragazza guardava sempre Ethan con sospetto e non gli parlava molto, fingeva di non sapere degli affari loschi di suo fratello e dei suoi amici.
Quando lo vide entrare, tuttavia, si gettò tra le sue braccia e scoppiò a piangere. «Laudir, Laudir… il mio Laudir…»
Ethan non ricambiò, avrebbe preferito non essere toccato in quel modo da lei. Sapeva che tra Laudir e sua cugina Maria c’era sempre stato un legame particolare, erano cresciuti insieme e si volevano bene, ma non gli andava di consolare una persona che lo aveva sempre guardato come fosse un appestato.
Sospirò e la scostò da sé senza troppe cerimonie. «Dave è nel retrobottega?» domandò laconico.
Maria annuì, per poi cominciare a sproloquiare su cose che Ethan non ebbe voglia di ascoltare. Si diresse in fretta sul retro e trovò Dave seduto al vecchio tavolo di legno, intento a contare dei piccoli sacchetti in plastica trasparente.
Il più giovane si lasciò cadere accanto a lui e lo osservò, senza osare disturbarlo.
«Hai fatto il tatuaggio?» chiese Dave, senza neanche sollevare gli occhi.
Ethan sollevò la manica della vecchia felpa consunta e gli mostrò il polso. Non si erano visti da quando lui era stato da Kit, esattamente quattro giorni prima. «Grazie per avermelo regalato» mormorò.
Dave finì il suo conto, poi mise da parte le dosi di droga e si sporse per osservare il tatuaggio, prendendo il polso esile di Ethan tra le mani grandi e ruvide.
Il più giovane rabbrividì a quel tocco e si morse involontariamente il labbro inferiore.
«Avevo ragione, ti sta benissimo qui» sussurrò il più grande.
Ethan tenne gli occhi a fissare le dita di Dave che, lentamente, tracciavano i contorni del tatuaggio in via di guarigione.
E un brivido più caldo, languido, intenso lo percorse. Si costrinse a non lasciarsi sfuggire un sospiro, infine distolse gli occhi e li posò su un punto qualsiasi alle spalle di Dave.
«Ho saputo di Laudir.»
«Non ho potuto dimostrargli che merito rispetto» replicò Ethan, ancora preda delle sensazioni che quelle dita gli provocavano.
«Non ha più importanza.»
Il più giovane parve riscuotersi d’improvviso; si raddrizzò sulla sedia e ritrasse bruscamente il braccio, fissando Dave dritto negli occhi. «Ora sono pronto per l’ero» affermò in tono piatto.
Dave sgranò appena gli occhi scuri, inarcando le sopracciglia. «Meglio di no…»
«Ormai ho quindici anni, ho questo tatuaggio di merda sul polso e tu non puoi decidere per me. Chiaro?»
Lo spacciatore si strinse nelle spalle. «Non hai i soldi per comprarmela» gli fece notare.
Ethan strinse la mano destra a pugno e la batté con ira sul tavolo, imprecando tra i denti. «Cazzo!»
Dave si rese conto che stava tremando e si alzò, accostandosi maggiormente a lui. Lo afferrò per le braccia e lo costrinse a voltarsi verso di lui, per poi abbracciarlo come nessuno aveva mai fatto.
«Non puoi nascondere ciò che sei» disse il maggiore, accarezzandogli la schiena mentre profondi singhiozzi si facevano largo nel petto di Ethan.
Quando aveva cominciato a piangere?
«Laudir è morto…» Lo realizzò solo dopo averlo mormorato, rendendosi conto del dolore che quella consapevolezza gli provocava.
«Mi dispiace, cazzo, non sai quanto. Era mio cugino, gli volevo bene» replicò Dave, serrandolo ancora più forte tra le braccia.
Ethan si aggrappò a lui perché in quel momento non sapeva fare altro, non aveva idea di cosa significasse quell’abbraccio né se fosse da froci desiderare che non finisse.
Non aveva mai avuto una ragazza, semplicemente perché la sua vita era un totale casino e non aveva tempo per pensare a certe stronzate come l’amore e le relazioni con le altre persone.
Con Dave si sentiva accettato, ma soprattutto sentiva il suo corpo reagire in un modo particolare, un modo che lo atterriva e lo intrigava allo stesso tempo.
Non seppe neanche lui come si ritrovò a lasciarsi baciare piano sul collo, sulla guancia, sugli zigomi rigati di lacrime. Non seppe neanche lui come le labbra incredibilmente soffici di Dave arrivarono sulle sue e le scaldarono con una delicatezza nuova, una tenerezza che neanche sua madre era mai stata in grado di regalargli.
Sentiva il polso bruciare, ma quando le dita leggere di Dave lo sfioravano erano come un balsamo rigenerante.
Quei lievi baci a fior di labbra erano una cura per il suo animo tumefatto e sporco.
Le sensazioni che stava provando nello stringere un’altra persona tra le braccia erano terapeutiche per i suoi pensieri più oscuri.
In quel momento si sentiva in qualche modo amato e non pensava più all’eroina, anche se qualcosa gli suggeriva che presto l’avrebbe rivendicata.
Era il 18 febbraio, Ethan aveva quindici anni e per la prima volta si sentiva amato, parte di qualcosa di bello, anche se nascosto in mezzo al marciume di quel quartiere che era casa sua.
Era il 18 febbraio, Laudir era morto, ma Ethan sentiva soltanto calore e comprensione attorno a sé.
In un’altra occasione non avrebbe permesso a Dave di stargli così vicino, forse non avrebbe mai compreso chi fosse realmente.
Ma in quel momento era fragile, si sgretolava tra le forti braccia di quel ragazzo che fin da subito l’aveva considerato parte della sua vita, contro tutti coloro che l’avevano detestato e considerato più folle di suo padre.
Dave si scostò da lui, un sorriso lieve e morbido a increspargli le labbra sottili. «Non puoi nasconderti, Ethan. Io ti vedo, ti ho sempre visto.»
Il più piccolo annuì, arrossendo appena.
Era il 18 febbraio e per la prima volta Ethan Murphy si gettò tra le braccia di un uomo, lasciando che raccogliesse i pezzi del suo cuore e li rimettesse insieme.
Lasciando che quegli aghi che la vita gli puntava addosso lo trapassassero senza ferirlo.
 
 
 
 
 
 
§ § §
 
Carissimi lettori, eccomi qui con il sequel di Waiting Awake. Le avventure di Ethan Murphy continuano!
Lo so, lo faccio sempre soffrire un sacco, ma qui ho voluto lasciare una piccola speranza verso il finale, nonostante sia abbastanza aperto e piuttosto interpretabile ^^
La cosa è voluta, ovviamente :D
Nella storia precedente mi sono concentrata sulle fobie d’infanzia di Ethan, legate per lo più a suo padre, mentre qui ho voluto concentrarmi sui primi anni dell’adolescenza di Ethan.
Ho scelto la seguente fobia dall’elenco fornito da Soul nel suo meraviglioso contest:
 
7) Belonefobia (paura degli aghi, ma in generale di spille, coltelli e tutto ciò che può pungere/ferire)
 
Non so se sono riuscita a farvi capire cosa provasse Ethan riguardo agli aghi, cosa lo facesse sentire tanto a disagio e cosa lo abbia portato a superare la sua fobia, ma ci ho provato e ci ho messo tutto il mio cuore, anche perché tengo moltissimo a questo mio OC! *-*
Ho voluto inoltre introdurre un’altra tematica importante nella storia di Ethan, ovvero il suo orientamento sessuale. Volevo che almeno su questo fronte ci fosse qualcuno di cui si fida a fargli affrontare questa realtà, ma non ho voluto soffermarmi troppo sulla cosa perché ho intenzione di parlarne in una futura storia, ma soprattutto non era questa l’intenzione del racconto ^^
Spero davvero che vi sia piaciuta!
Grazie a tutti coloro che decideranno di lasciare un commento, ve ne sarei immensamente grata!
Alla prossima e… auguri Ethan Murphy ♥
  
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight