1.1
Prologo
Era un luminoso e freddo pomeriggio di aprile. Il vento soffiava a
raffiche violente, mentre Charlotte percorreva l'ultimo tratto di
strada deserta. Svoltò l'angolo, appena in tempo per notare un
ometto tarchiato sgattaiolare veloce dentro una bassa abitazione
dall'aspetto fatiscente: non era insolito, dopo l'ultima incursione
aerea tedesca, le persone tendevano a lasciare la relativa sicurezza
delle loro case il meno possibile.
Svoltò di nuovo a destra,
poi a sinistra, imboccando infine lo stretto vicolo che conduceva alla
sua casa. Lì il vento si insinuava fischiando, gelido e
sferzante; si strinse nel cappotto e accelerò il passo.
Salì rapida i pochi gradini
e, giunta davanti alla porta, cominciò a ravanare dentro la
borsa, alla ricerca delle chiavi.
«Ma dove diamine si saranno
cacciate» mormorò sbuffando, continuando a rovistare
frenetica tra le molte tasche interne. D'un tratto, udì la
serratura scattare, quindi la porta venne aperta e sulla soglia
fece capolino la minuta figura di Browny, l'elfo domestico, che era al
servizio della sua famiglia da oltre quarant'anni.
«Ehm» si schiarì la voce Charlotte «Grazie, Browny».
Per tutta risposta, l'elfo si
limito a scuotere la piccola testa grinzosa, borbottando qualcosa a
metà tra il rassegnato e il disgustato.
Decise di ignorarlo e varcò
rapidamente l'ingresso; subito dopo, Browny schioccò le dita e
la porta si chiuse alle sue spalle, quindi, trascinando rumorosamente i
piedi sul pavimento, si allontanò in direzione della cucina.
In quel momento, suo fratello
Albert stava scendendo le scale. Indossava un completo blu scuro, molto
elegante, notò Charlotte, anche se non ricordava che i suoi
genitori avessero in programma di ricevere ospiti quel giorno.
«Sei tornata prima» osservò Albert, raggiungendola.
«Infatti» ribatté lei, in tono piatto.
Suo fratello non diede segno di
voler approfondire la questione; si avvicinò invece al grande
specchio posto sulla parete destra dell'ingresso, accanto agli appendi
abiti.
«Che te ne pare?» le chiese, ammirando il suo riflesso.
«Stai molto bene» rispose Charlotte, neutra ma cordiale.
«Già» concordò lui.
Charlotte si tolse e il
cappotto, quindi, cercando di simulare un tono disinvolto,
domandò «Si tratta di un'occasione importante?»
Albert ammiccò al suo
riflesso «Lo spero» dichiarò e, senza aggiungere
altro, si diresse verso il salotto.
Charlotte scosse la testa e, appeso il soprabito, seguì il fratello.
«Nulla di che, Madre»
lo sentì intanto dire, mentre dava le spalle alla grande
finestra che si affacciava sull'ampio giardino sul retro. A differenza
degli altri della zona, il loro cortile era verde e rigoglioso; la
primavera sembrava essere esplosa solo in quel pezzo di terra. Il resto
del quartiere, infatti, era grigio e spoglio, tetro quanto quei tempi
incerti e pericolosi.
Charlotte avanzò, senza
riuscire a reprimere un moto di pacata incredulità. Nonostante
vi fosse ovviamente abituata, dopo aver passato la mattinata tra lo
squallore delle vita londinese, piegata dalla guerra, la sua casa
sembrava semplicemente irreale, fuori dal tempo.
Il salone, poi, era forse la stanza
più bella dell'abitazione. Spazioso e ben arredato, si
affacciava appunto sul cortile di dietro. Le due alte finestre
fornivano una generosa illuminazione, mentre il grande camino di marmo
giallo Siena, situato nel mezzo, fungeva efficientemente da fonte di
calore.
I due divani di pelle scura, in
perfetto contrasto con il marmo, erano disposti a L vicino alla parete
di sinistra, mentre due poltrone, anch'esse di pelle scura, erano
posizionate di fronte al camino, insieme a un bel tappeto spesso e
finemente intessuto in complicati ricami neri e gialli, che
richiamavano l'appartenenza secolare della famiglia alla Casa
Tassorosso.
Due grandi piante da interno
facevano la guardia ai lati della porta, mentre il lato destro della
sala era occupato da un grande tavolo di lucido legno nero e da una
voluminosa libreria, appoggiata contro il muro; infine, le pareti erano
tappezzate da molti quadri ricercati.
I suoi genitori erano accomodati sulle poltrone e si stavano godendo il dolce tepore del fuoco.
In quell'istante, sua madre si voltò verso di lei.
«Sei tornata presto, cara» osservò; Charlotte si limitò ad annuire.
Avrebbe potuto raccontare che al
lavoro avevano avuto un problema con l'ultima fornitura di carta
carbone; ormai il commercio era al collasso e le poche fabbriche ancora
in funzione erano state completamente riconvertite alla produzione
bellica. Gli operai specializzati erano sottoposti a turni massacranti
per soddisfare le richieste del Governo, mentre la bassa manovalanza
era stata mandata a rinfoltire le fila dell'esercito, o a lavorare nei
campi, affinché le derrate alimentari potessero rimanere
garantite a militari e popolazione civile.
Non era rimasto spazio per altro e
da troppo tempo Charlotte si sentiva stupida a recarsi ogni giorno al
lavoro, nell'enorme British Library, a catalogare e riordinare i
pesanti volumi che nessuno, ormai, aveva più voglia di
consultare.
Ma, appunto, non fece parola di
questo ai suoi genitori; saperlo, non avrebbe fatto altro che
infastidirli, e avrebbe riaperto la vecchia ferita mai del tutto
rimarginata, la vergogna che loro, con grande fatica, avevano sempre
tentato di ignorare, dimenticare: Charlotte era una Maganò.
Quando, da bambina,
Charlotte non aveva dato segni di alcuna abilità magica, i suoi
genitori non si erano particolarmente preoccupati. Dopotutto, zia
Beatrice, la sorella di suo padre, non era stata capace di far saltare
un tappo fino alla veneranda età di undici anni, due mesi e sei
giorni, una data memorabile, visto che appena una settimana dopo si era
ritrovata a bordo dell'Espresso per Hogwarts.
«C'è ancora tempo» ripeteva sempre suo padre, gioviale, ogni volta che qualcuno sollevava l'argomento.
Ma i giorni passavano e, per quanto
gli sforzi di far manifestare i suoi poteri si facessero via via sempre
più intensi, i risultati non arrivavano.
Alla fine, ad arrivare era stato il
suo primo giorno di scuola. Quel primo settembre Charlotte aveva
salutato mestamente suo fratello Albert alla stazione, quindi,
avvilita, era tornata a casa insieme a sua madre e a sua sorella
Elizabeth, più piccola di sei anni (per l'immensa gioia dei suoi
genitori, Lizzy aveva iniziato a manifestare i suoi poteri l'anno
seguente).
Comunque, la delusione nei profondi
e gentili occhi di sua madre era stata palpabile, per quanto lei si
fosse sforzata di non darlo a vedere; quanto a suo padre, si era
rinchiuso nel suo studio, per riemergerne due giorni dopo, con il volto tirato e stanco e una pergamena stretta tra le dita, annunciando
che aveva appena iscritto Charlotte a un prestigioso collegio olandese.
Un ottimo istituto, davvero, ma pur sempre una scuola
inequivocabilmente Babbana.
In capo a una settimana erano stati
fatti tutti preparativi, quindi era stata messa su una nave e scortata
all'Erasmiaans Gymnasium di Rotterdam .
Il primo anno era stato terribile;
Charlotte non era riuscita a fare amicizia con nessuno. Quel mondo,
così diverso a quello cui era stata abituata, le era parso
subito estraneo, ostile.
Ma l'anno seguente era stato
migliore e alla fine era riuscita a inserirsi completamente,
scoprendosi desiderosa di appartenere alla società Babbana, dove
non solo poteva sentirsi accettata, ma nella quale poteva anche
emergere.
Si era appassionata alle lingue
antiche e, una volta diplomatasi, aveva proseguito i suoi studi
acquisendo una certa competenza nelle lingue germaniche e norrene,
motivo per il quale era stata presto assunta presso la prestigiosa
British Library di Londra. Purtroppo, proprio in quegli anni, era
scoppiata la più sanguinosa guerra che il mondo avesse mai
visto, e l'Europa intera ne era stata colpita duramente.
Il banale intoppo di quel giorno
non sarebbe stato l'unico, lo sapeva, e ben presto il Direttore della
Biblioteca si sarebbe dovuto arrendere all'evidenza: la cultura, i
libri vecchi e polverosi, il millenario sapere racchiuso tra quelle
mura non poteva avere la precedenza sulle centinaia di morti che ogni
giorno andavano ad aggiungersi alla già tragicamente lunga lista
di caduti durante quel conflitto assurdo.
Charlotte avrebbe perso il lavoro,
e con esso l'unico strumento che aveva trovato per rendere, se non
fieri, almeno non completamente delusi, i suoi genitori.
E se il mondo Babbano non aveva
più nulla da offrirle, di certo non avrebbe trovato posto in
quello magico, dove un'altra guerra, altrettanto folle e crudele, ne
stava minando e forse cambiando per sempre le fondamenta.
Se le due anime dell'Inghilterra fossero state sconfitte, per Babbani e Maghinò sarebbe stata la fine.
«Madre!»
gridò Lizzy, irrompendo nella sala, strappando Charlotte da quei
pensieri foschi e preoccupanti. «Madre» ripeté
«Non trovo la mia bilancia!» continuò agitata.
Sua sorella Elizabeth, che
frequentava il quinto anno a Hogwarts, era tornata a casa una settimana
prima per trascorrere le vacanze pasquali in famiglia; tuttavia,
benché mancassero ancora cinque giorni alla ripresa delle
lezioni, aveva deciso di tornare a scuola l'indomani mattina. Non
poteva biasimarla: la Londra Babbana non era un luogo
particolarmente eccitante per una strega adolescente; se poi si sommava
il fatto che un grappolo di bombe potesse pioverti addosso in qualunque
momento, non c'era da stupirsi che Lizzy avesse deciso di anticipare la
sua partenza.
«Ho detto a Browny di pulirla
per bene, cara» stava intanto dicendo sua madre «Era tutta
annerita dal fumo» aggiunse, davanti allo sguardo confuso di
Elizabeth «Probabilmente ha dimenticato di riportartela»
continuò, prima di chiamare, con voce ferma e decisa, il nome
dell'elfo.
Browny si materializzò all'istante davanti al camino
«La padrona ha chiamato Browny» gracchiò in tono
ossequioso, chinando il capo grinzoso e, così facendo, le lunghe
orecchie flosce traballarono vistosamente.
«Hai pulito la bilancia di Elizabeth, come ti avevo ordinato?» chiese sua madre.
«Sì, padrona» assicurò lui.
«E cosa aspetti a riportarmela?» esclamò Lizzy, irritata.
Suo padre, che fino a quel momento
non aveva mostrato segni di interesse per la vicenda, si voltò,
squadrando la figlia minore.
«Che cosa significa questo tono, Elizabeth?» la rimproverò, serio.
«Ma-» tentò di
protestare lei, allungando il braccio a indicare il vecchio elfo, come
a voler dire che era lui ad aver sbagliato e a meritare il richiamo.
«Non ti permetto di avere questo atteggiamento» la zittì suo padre, in tono definitivo.
Lizzy tacque, ma i suoi occhi continuarono a mandare lampi.
Nello sguardo dell'elfo il disagio
era evidente «Browny ha dimenticato di riportarla nella stanza
della padroncina» ammise infatti «Browny è molto
dispiaciuto» si scusò.
«Non importa, Browny» lo rassicurò sua madre, con un sorriso.
L’elfo chinò la testa, grato, poi, con uno schiocco sonoro, si Smaterializzò, verosimilmente per ottemperare all'incarico lasciato incompiuto.
Albert, che fino a quel momento si
era limitato a osservare la scena con scarso interesse, intervenne
«Si sta facendo tardi, devo andare».
Charlotte, che non aveva la minima
idea di quale fosse l'evento a cui il fratello rischiava di tardare,
studiò attentamente i volti compiaciuti dei genitori.
Doveva trattarsi di qualcosa di
importante, forse una possibile promozione al Ministero, dove Albert
lavorava ormai da cinque anni, anche se lei non sapeva di preciso con
quale funzione.
Ma nessuno aggiunse altro e suo
fratello, con un ultimo saluto generale, gettò un po' di polvere
nel camino, vi saltò dentro e scomparve, inghiottito dalle
fiamme smeraldine; un istante più tardi, il fuoco rossastro
tornò a scoppiettare vivace.
«Ho alcuni documenti da
consultare» annunciò suo padre, poco dopo.
Charlotte, che era rimasta a fissare il punto in cui suo fratello si era volatilizzato, si riscosse.
Elizabeth aveva già lasciato la stanza, probabilmente per continuare a fare i bagagli.
Charlotte decise di ritirarsi in
camera sua; era stata una giornata pesante e l'unica cosa che
desiderava era gettarsi anche lei tra le fiamme verdi e sparire.
Si sarebbe dovuta accontentare di un bagno caldo.
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