final
Nota: mi
son fatta prendere dalle insicurezze perché non so
quanto possiate apprezzare,
ma questa è la sola fine che riesco ad immaginare e sento
che in nessun altro modo sarebbe potuta andare.
Grazie sempre e per sempre, vi abbraccio forte.
Per qualsiasi
dubbio sono a vostra completa disposizione.
Capitolo 42
Che matassa del cazzo le nostre vite
La
grande sala vetrata di casa Cullen è stata privata dal suo
consueto
mobilio, lasciando il posto a maestosi tavoli finemente
apparecchiati, le luci soffuse e la piacevole musica di sottofondo
completano il quadro, semplice e raffinato. Rabbrividisco e sistemo
meglio la stola sulle spalle mentre mi rendo conto quanto la cosa
più
difficile per esseri insensibili alle temperature sia regolare il
termostato e accetto con un sorriso un flûte di
champagne dal vassoio d'argento che un addetto del catering mi porge
affabile. Jacob e Nessie si trovano all'ingresso, salutano cordiali
tutti gli avvenuti alla festa, stretti in un abbraccio dolce, mi
fermo a guardarli e passo energicamente una mano sulla spalla di zio
Billy quando si si ferma al mio lato, il viso vagamente corrugato
dalla preoccupazione.
«Tutto bene, figlia mia?» indirizzo
il mio sguardo verso di lui e con un gesto gentile gli tolgo il
cappello, annuendo. I suoi occhi mi rendono fiera di me stessa, per
un attimo dimentico la conversazione avuta con Emmett e sento di
essere unicamente una brava figlia, forte e responsabile. Integra
e intera.
«Dovrai fare a meno del tuo fidato amico
stasera» dico, porgo il copricapo a Esme, che
sparisce dopo
aver detto a Billy che l'avrebbe riposto in un luogo dove nessuno
avrebbe potuto appiattirlo e rovinarlo. «
E comunque dopo
stasera sarà tutto in discesa» commento
con un tranquillità,
tornando a guardare il duo e sorseggiando dal bicchiere. Bella scende
le scale in quel preciso istante e non posso non attestare quanto
l'immortalità le stia d'incanto. Nessuna traccia era rimasta
del suo
essere impacciata e ritrosa. Una dea dal portamento felino incede con
leggiadria un gradino alla volta dentro un lungo abito blu notte di
seta lucida. Edward alle sue spalle la segue litigando concitatamente
con i gemelli del polsino destro. Ripenso alle parole di Emmett e
scelgo di allontanarmi da lì, dicendo a zio Billy che sarei
andata
alla ricerca di Seth e gli altri. Non so come sia plausibile un tale
numero di invitati, mi rendo conto di non conoscere neppure la
metà
della gente elegantemente vestita che schivo con l'intento di
approdare alla grande vetrata che dà sul giardino. Noto in
un
cantone poco distante dal tavolo degli entrée Ronnie
e zia Sue che mangiucchiano delle tartine con
l'aria di
chi preferirebbe un hamburger e sollevata mi avvicino a loro con
passo più sicuro. Ronnie non perde neanche un istante e dopo
avermi
salutata mi bisbiglia all'orecchio:
«Bella è una top-model, non
sapevo che trasformarsi in vampira equivalesse al diventare la
sorella minore di Afrodite.» una risatina nervosa
è l'unica
maniera in cui riesco a replicare e per eludere la conversazione
sostituisco il mio bicchiere vuoto con uno colmo e ci tuffo la
faccia.
Devo solo riuscire a non essere completamente ubriaca a
fine serata, andrà tutto bene.
«Meg, che bello vederti
finalmente!» la voce suadente di Bella mi accarezza
l'orecchio,
zia Sue e Ronnie si defilano in un batter d'occhio ed io mi volto
nella sua direzione e mi apro in una specie di sorriso.
Andrà
tutto bene il cazzo.
«Bella, ciao!» mi sporgo per un
abbraccio imbarazzato, che lei ricambia con la sue inedite arie da
regina delle sceneggiate.
I suoi capelli setosi e ondulati, di un
acceso castano ramato mi svolazzano sul viso, hanno una fragranza
celestiale e mi ritrovo ad essere in grave disagio per il suo
splendore. La percezione di lei come di un bradipo inetto si
è
dissolta nel nulla e fatico a credere che sia mai esistita.
«Non
tornavi al nido da anni, grazie per la tua presenza. Immagino ti sia
costato molto, lo apprezzo.»
Le sue parole sono sincere, la sua
intonazione lo è, la sua espressione lo è;
ciononostante qualcosa,
un piccolo ed insignificante sesto senso, mi fa pensare a quanto
questi convenevoli siano mirati ad adempiere un dovere, propri di una
cortesia di facciata da padrone di casa. Assottiglio la bocca
nell’ennesimo sorrido insicuro, rispondendole quanto per me
sia un
piacere prendere parte alla felicità dei ragazzi. Lei
sorride di
rimando e mi poggia una mano sulla spalla, poi - con mia infinita
gioia - si scusa dicendomi di dover
raggiungere Nonsochinonstavoascoltando e
signora.
Mi
rendo conto, quando vedo la sensuale schiena scoperta di Bella
allontanarsi, di non aver respirato per la maggior parte del tempo e
quasi mi affogo con il mio stesso fiato mentre, prendendo una grande
boccata d’aria, incontro gli occhi di Edward. Dura poco quel
suo
scavarmi intimamente, poi torna a osservare le sue dita che scivolano
sui tasti del pianoforte, vicino a lui Esme lo ammira oscillando a
tempo, non distanti Jacob e Renesmee ballano stretti, con due larghi
sorrisi. Mi rilasso e poggio la guancia surriscaldata sul
mio flûte di nuovo vuoto.
Socchiudo appena gli
occhi appagata dalla temperatura del cristallo, la quiete dura poco
perché Alice passando lo sostituisce velocemente con il suo
bicchiere pieno, borbottando alcune cose della serie “se
berrò
ancora questa merda darò di stomaco”.
Non sapevo che i
vampiri avessero il riflesso del vomito, ma in fondo cosa me ne
importa?
Emmett, già scarsamente distante, si avvicina del
tutto e mi dice all’orecchio quanto fossi stata brava e che
adesso
con i discorsi agli sposi e la cena più di mezza serata
sarebbe
andata per il verso giusto senza troppi sforzi. Adagio la tempia sul
suo braccio e mi concedo un secondo, già stremata e tesa,
eppure
determinata e motivata dalle sue notizie.
In effetti i
discorsi filano lisci, proprio come aveva detto lui; parole,
lacrime e abbracci dopo il mio nodo allo stomaco mi permette di
piluccare a malapena il primo e rimandare indietro il secondo
praticamente intatto, neanche il dolce riesce a suscitarmi appetito.
La bottiglia di Merlot al centro del tavolo è più
ammaliante di
ogni altra pietanza o beveraggio, ma la ignoro vista la
quantità di
champagne ingurgitata durante gli antipasti. Finito di sgretolare il
dessert con la forchettina dorata mi chiedo se non sia già
l'ora di
andare a casa, ma purtroppo l’orologio non segna neanche le
23.
Se
non avessi quasi ventisette anni comincerei a piangere e a pestare i
piedi in terra infastidendo zio Billy.
Il mio incontro con
Bella era stato insoddisfacente sotto qualsiasi punto di vista, nulla
di quello che c’eravamo dette era anche lontanamente
riconducibile
ad una conversazione che si potesse definire tale: nessun riferimento
alla sua vita o alla mia, nessun “scusami se ti ho
detestata”
uscito dalle labbra di una delle due, ovvero nulla che non fosse
composto da convenevoli o banalità.
Forse avrei preferito se
mi avesse urlato che ero una puttana per essermi ripassata suo marito
dopo aver fatto il pieno di tequila.
Un colpo di tosse mi fa
girare in direzione del tavolo dei festeggiati, incontro di nuovo gli
occhi di Edward che mi inchiodano, questa volta duri e consapevoli,
rimproverandomi per i miei iniqui pensieri.
Cosa
vuoi?
Aggrotta le
sopracciglia, infastidito dalla mia domanda retorica e scuote la
testa, passandosi una mano a sfregarsi il collo. Alzo gli occhi
all'aria e torno a guardare davanti a me, decisa a non dargli
possibilità di replica, nessuno avrebbe intaccato il mio
umore
apaticamente di merda, non stasera. Sto già esagerando
pensandole
soltanto determinate cose, sarebbe imperdonabile da parte mia
qualsiasi tipo di reazione, devo limitarmi a mantenere un profilo
così tanto basso da rasentare il pavimento, uno sbaglio
adesso
manderebbe in vacca un'intera serata di muta e sofferta presenza. Mi
perdo in sproloqui del genere fin tanto che la serata scorre blanda,
sottotono e senza che me ne renda conto comincia ad arrivare al mio
tavolo gente che dice di volermi salutare prima di fare ritorno a
casa.
Riesco a malapena a pensare vittoriosa al fatto che sono
sopravvissuta, quando un rumore sordo mi fa capire di aver esultato
ancora troppo presto e mi fa puntare lo sguardo sul fondo della
stanza, dove la sedia di Bella si è furiosamente spostata
per finire
malamente a sbattere contro la parete alle sue spalle, gli occhi
sgranati dei presenti la guardano increduli mentre lei elegantemente
raccoglie la sua borsetta e gira i tacchi, camminando verso le scale
che portano al piano superiore. Seguendo ancora una volta la sua
schiena lungo il salone mi rendo conto di essermi persa nelle mie
elucubrazioni mentali talmente tanto da non
notare di
essere una degli ultimi ospiti rimasti in casa Cullen. Nessie sta
impalata a pochi metri da me a piedi scalzi, con le sue
decolté in
mano e l’aria annoiata di chi sta assistendo a qualcosa che
si
sarebbe con piacere evitata.
«Okay dolcezza, ti porto a casa!»
mi dice Emmett, precipitatosi accanto a come una scheggia, Alice
segue Bella su per le scale, tirandosi dietro anche Jasper e
Renesmee.
«cosa ca...?» non riesco neanche a finire la frase
che
Jacob mi si para davanti, avvolgendomi tra le sue braccia. Il
contatto così profondo, imprevisto mi fa tremare e il mio
primo
istinto e quello di scollarmelo di dosso, facendo forza con le mani
sul suo torace, una serie di ringhi gutturali mi rendono
costantemente più confusa.
«Ragazzi, rimaniamo lucidi. Ci penso
io» dice Emmett, cercando di mantenere un tono pacifico,
scandendo
bene le parole, ha le braccia spalancate e i palmi aperti.
«Insomma,
non avete già fatto abbastanza? Non è meglio che
non ci pensiate
più per qualche ora?» sono sconcertata e
perplessa, l’altra
persona con cui Emmett parla è Edward, che ha dietro di
sé i suoi
fratelli. Derek mormora delle parole che non sento, Amelia mi studia
contrita. La mia sopportazione a quel punto giunge al termine, mi
divincolo malamente dalla presa di Jacob e reprimo un urlo,
furibonda.
«Io non voglio neanche sapere quello che sta
succedendo e perché mi trascinate sempre nella vostre
faccende!» si
fermano tutti, paralizzati dal mio sfogo. So di avere un'espressione
tutt'altro che sicura di sé e inflessibile e mi rendo conto
di
quanto la cosa non mi agevoli nel apparire decisa e autoritaria, ma
non sono disposta a sopportare e subire i loro atteggiamenti. Mi
rivolgo prima di tutto a Jacob: «non è qui con me
il tuo posto, vai
di sopra.» suona come uno degli ordini più
autoritari che mi sia
mai venuto fuori dalle labbra. Lui indietreggia appena, tra
l’amareggiato e l’infastidito, ma fa come dico.
Liberatami così
dal primo ostacolo mi avvicino a Billy e gli afferro la mano per
tranquillizzarlo dopo quello scatto d’ira. «Emmett,
puoi
accompagnare mio zio a casa sua? » vedo che il vampiro sta
per
aprire bocca ma io assottiglio gli occhi, come se qualunque sua
replica potesse in qualche modo ferirmi irreparabilmente «ti
prego»
sussurro, lo vedo cedere e acconsentire. Do un bacio sulla guancia a
mio zio prima che Rosalie lo prenda in custodia e che i tre si
dirigano verso l'ingresso. La porta si chiude, Derek non si muove di
un centimetro dalla sua posizione mentre Amelia si fa vicina a me,
sfiorandomi una spalla.
«dobbiamo fargli risolvere questa cosa da
soli» sussurra lei, il suo tono è deciso quanto lo
era il mio pochi
minuti fa, ma è più pacato. Ancora uno scambio di
parole tra
fratelli e Derek si allontana riluttante da Edward, mi punta addosso
uno strano sguardo e in un battito di ciglia siamo da soli, dopo un
mio cenno in altrettanto poco tempo siamo fuori dalla casa.
Mi
copro le spalle con la stola, prendo coraggio e gli chiedo l'unica
cosa possibile da formulare per il mio cervello in panne:
« Ed,
cosa vuol dire tutto questo? » con un gesto indico me e lui,
incapace di assegnare una definizione allo spazio che ci divide. La
sua faccia è deformata in una maschera di dolore e ansia.
« Non
lo so » è tutto quello che gli sento dire, in un
soffio. Rimaniamo
in silenzio, ma capisco che ha intenzione di proseguire a parlare
quando accenna dei movimenti con le mani. Sta solo cercando i termini
adatti. «Io e Bella ci siamo lasciati. Già da
qualche tempo, in
realtà.» non nascondo la mia sorpresa, poggiandomi
al tronco
dell’albero dietro di me, percepisco la ruvidità
della corteccia
sui polsi e quella piccola sensazione mi fa capire che è la
realtà
quella in cui mi trovo, per quanto mi appaia tutto sottosopra,
sbagliato e guasto.
«So che Emmett ti ha già raccontato per
grandi linee. Ti basti sapere che quella volta tra noi a Londra non
è
stata altro che una goccia nell’oceano. Ed è colpa
mia se è
finita nel peggiore dei modi, quello che immaginavo sarebbe successo
si è verificato: Bella insoddisfatta della vita ai limiti
della
normalità che ho potuto darle, la sofferenza di tutti quelli
che ci
stanno intorno, le discussioni, la noia.» dà un
piccolo calcio a
qualcosa di inesistente, le mani in tasca, lo sguardo basso.
«Poi
vedo te, la donna che sei diventata andando via da questo
posto.»
All'improvviso mi si avvicina e posso far finta di volermi
allontanare, consapevole del fatto che il tronco dietro di me
finirà
per bloccarmi. «Sei cresciuta, Meg. Con il tempo ho
cominciato a
pensare che non rappresentavi soltanto quello che avrei voluto per
Bella ma anche quello che avrei voluto per me stesso.» mi
viene meno
il fiato quando una carezza artica mi solletica il viso e il collo.
Una parte di me sapeva già da tempo che questa situazione si
sarebbe
potuta verificare, per quanto mi sembrasse irreale, eppure trovarmici
dentro mi rende totalmente scombussolata ed esterrefatta. Ascolto
ogni vocabolo con uno stupore che non appartiene ad una come me, che
ha subito e sopportato l'inverosimile, il surreale.
«Forse
abbiamo sbagliato tutto, magari no. Pensi mai che quel giorno, al
campo di grano... Non lo sapremo mai cosa sarebbe successo se...
»
stringe le labbra e sospira «adesso è troppo
tardi» avvicino il
mio viso al suo in un gesto d’impulso, non so che intenzioni
avessi
e mai lo saprò perché le sue mani scattano sulle
clavicole e mi
bloccano al tronco ruvido con delicatezza. «Non ti
chiederò niente,
Meg. Non voglio fare parte della tua vita, questo ho bisogno che sia
chiaro prima di qualsiasi altra cosa tu decida di dire o fare. Non
farò due volte lo stesso errore.» annuisco, credo
di non essere in
grado di fare altro. Una risata gli scappa dalle labbra e mentre
riecheggia macabramente nella mia testa la sua fronte si poggia alla
mia, «so che mi hai odiato durante questi ultimi giorni, ma
sappi
che ti ho ascoltato. Non volevo che mi parlassi, non volevo che
facessi i conti anche con me. Ero divorato dal terrore di quello che
sarebbe successo appena finito di spiegare, avevo bisogno di tempo
per riflettere, per fare prima i conti non me stesso.»
Colgo
quello che intende, il motivo che aveva spinto entrambi ad evitare il
confronto fino ad ora è lo stesso ed è
inevitabile che prima o poi
uno dei due ne parli:
«Sei arrivato a qualche conclusione?» mi
stupisco nel sentirmi pronunciare quella domanda, con intonazione
ferma e vagamente scherzosa.
«Molte, in realtà. Nessuna che sia
anche lontanamente accettabile, ovviamente» annuisco con
vigore e mi
lascio scappare un mezzo sorriso amaro, la mia fronte è di
nuovo
sulla sua «Che matassa del cazzo le nostre vite.»
day6
Alice
ha fatto degli aggiustamenti dell’ultimo minuto al mio
vestito, per
“renderlo adatto al nuovo ruolo” o almeno,
così mi ha detto
questa mattina, quando con la scusa di consegnarmelo è
venuta a
ispezionare giudicante i miei occhi contornati di occhiaie per via
della nottata in bianco passata con Edward a parlare senza
sosta.
«Sai che questa situazione non porterà a niente
che sia
anche lontanamente una cosa buona, non c’è alcun
bisogno che te lo
dica.» esordisce all’improvviso, mentre mi sistema
la lunghezza
della sottana per farla cadere addosso nel modo giusto.
«Alice,
non esiste nessuna situazione. Sappiamo entrambi benissimo quanto
sarebbe complicato ed io mi rifiuto di ficcare di nuovo la testa
così
tanto in profondità dentro il pozzo senza fondo che
è la vostra
vita qui, e comunque anche se volessi lui non mi asseconderebbe
mai.»
tutto quello che fa è annuire, soddisfatta un po’
dalla mia
risposta, un po’ dal lavoro fatto sull’abito.
«Bella come
sta?» farfuglio, intimorita e costernata.
«Non lo so, credo che
neanche lei riesca a concepire quello che sta accadendo. Era fino a
tal punto convinta che la sua eternità, programmata nei
minimi
dettagli, sarebbe stata una lietissima non-fine che ora si ritrova
spaesata e con in pugno neanche un paio di mosche.»
Per
l’ennesima volta in questi pochi giorni non riesco a trovare
termine adatto per proseguire la conversazione, quindi mi limito ad
abbassare lo sguardo sull’orlo del vestito, guardando le mani
di
Alice lavorare più rapidamente di quanto fosse umanamente
fattibile
e mi accorgo che sulla sedia in cui ha poggiato il cuscinetto con gli
spilli è adagiato un altro vestito e aggrotto la fronte,
dubbiosa.
«Non torni a casa?» lei non solleva neanche lo
sguardo, si limita a denegare con la testa, abbozzando che le faceva
piacere passare del tempo con me. Inutile dire che la cosa mi puzza e
mi lascia pensare di essere stata additata come persona da tenere
d'occhio, ma accenno una stretta di spalle e decido di farmi andare
bene la cosa, perdurando nel silenzio per il resto delle modifiche ad
abito, trucco e capelli; mi guardo allo specchio estasiata e
scioccata contemporaneamente quando ha concluso: gli strati velati
color cipria dell’abito cascano morbidi sul mio corpo e si
intonano
alla piccola ghirlanda di fiori fermata sulla chioma che Alice ha
provveduto rendere lucida e articolata in grandi onde,
l’insieme mi
conferisce un’aria quasi botticelliana. Distolgo lo sguardo
da me e
lo indirizzo su di lei mentre indossa il suo abito alla
velocità
della luce per poi scavalcarmi davanti allo specchio per dedicarsi al
trucco. Frastornata mi siedo sulla prima superficie orizzontale a
disposizione, realizzando che queste saranno le ultime ore passate in
questo posto, con tutti loro, per chissà quanto tempo. Penso
alla
mia vita a Londra e ad un tratto mi sento colta alla sprovvista dal
modo in cui mi si sarebbe srotolata davanti non appena tornata: il
mio lavoro, i miei amici al pub, la vecchia Wendy. Come avrei fatto a
disabituarmi di nuovo alla loro presenza? Cosa potrà
succedere se
cominciassi a non sentirmi a casa neanche a Londra? In tal caso dove
sarebbe casa mia?
Prendo fiato bruscamente e lotto energica contro
me stessa per non arrendermi alle lacrime, rovinando il trucco che
Alice mi aveva fatto con tanta cura. Lei pare accorgersi del mio
stato, ciò che fa è scrutarmi dal riflesso dello
specchio
mestamente, annuendo a stento quando i nostri sguardi si incontrano.
Prendo quel cenno come un autorizzazione a lasciarmi andare e
comincio perciò senza parlare a riversare ogni goccia
trattenuta
fino ad ora. La cerimonia si svolge nel migliore dei modi:
commovente, romantica, piacevole, oserei. Fare da bambina
spara-petali non mi è poi pesato e lo sguardo grato di
Renesmee e
Jacob mi ha riempito il cuore fino all'orlo. Il rinfresco procede con
calma, la musica accompagna armoniosamente risate, chiacchiericci e
tintinnii di bicchieri come fosse stata composta di proposito per
l'evento. I fiori, presenti ovunque su cose e persone sono intonati
al bouquet di Ness e in qualche modo la cosa mi infastidisce,
facendomi percepire la maggior parte di noi come fossimo un suo
stiloso accessorio. Le note del primo ballo si propagano nell'aria e
tutti ci riuniamo ad ammirare la coppia. Carlisle decide di chiedermi
un ballo con un profondo inchino, arrossita per quella premura
d'altri tempi curvo appena il capo per accettare l'invito e mi lascio
condurre sulla pista, che nel frattempo si popolava di coppie
danzanti. So che vuole dirmi qualcosa, glielo leggo negli
occhi,
ma ci limitiamo ad ondeggiare e sorridere per l'intera durata della
prima canzone.
«Ho paura, Meg» lo ascolto senza scompormi, ma
intristendomi quando capisco dove arriverà. «Mio
figlio mi
terrorizza. Non voglio perderlo, la sua vita si sta svuotando
così
tanto da farmi pensare possa compiere qualche stupidaggine, non so
cosa abbia in mente.» condivido il suo dolore e le sue paure,
ma non
posso far altro che mordermi le labbra con fare nervoso. Fino a quel
punto non una volta il suo nome era uscito dalla mia bocca, nessuno
dei miei sguardi si era intrecciato al suo neanche per errore. Di
comune accordo il giorno prima avevamo deciso di limitare ogni
contatto per il bene degli altri e nostro, quindi la confusione
albergante nella mia testa sentendone parlare apertamente per poco
non mi procura un capogiro. Come siamo arrivati a
questa
situazione così diversa in soli pochi giorni?
«Credo che non
lo sappia neanche lui» finisco per dire, in un sussurro
lieve, dopo
aver aleggiato nel silenzio per ancora qualche minuto. «
Posso
assicurarti però che non farà niente di quello
che pensi, ho
parlato molto con lui ieri e ti posso assicurare che è molto
cambiato, troverà una soluzione.»
Il suo viso latteo si avvicina
al mio e le labbra gelate mi scoccano un bacio sulla guancia mentre
accenna un grazie con voce incrinata, nell'istante in cui la canzone
finisce un altro inchino e con un grande sorriso mi accompagna al mio
tavolo, dove si ferma a conversare con Charlie Swan, stranamente a
suo agio più di me in quello strano mondo conosciuto da
relativamente poco.
Un sorso d'acqua mi basta a riacquistare il
controllo totale dei miei pensieri e per cedere ad Embry che tenta di
trascinarmi di nuovo con una risata sulla pista da ballo.
Quando
il ricevimento giunge al termine è già il
crepuscolo, so di dover
andare a casa a preparare la valigia ma rimango per qualche tempo in
compagnia di Jacob e Seth, che tira fuori dalla un angolo nascosto
delle birre scadenti e mi convince a salutarci così,
farneticando
che mai più sarebbe stato lo stesso ora che uno di noi si
era
sposato. Lo sguardo addolorato che in sincrono lega i miei occhi a
quelli di Jacob ci convince a non interrompere il suo discorso per
precisare che niente era più neanche lontanamente come un
tempo.
Forse è stato meglio sia finita così –
penso e mi siedo sull'erba con un tonfo attutito dagli strati del
vestito, afferro la birra che mi porgono e con l'altra mano provo a
disfarmi della corona di fiori sulla testa, ormai appassita e
sgualcita.
Da piccolissima la figura di Bella si fa vicina e con
la stessa agilità si adagia per terra, a chiudere il nostro
cerchio.
Sorride, con una punta di amarezza; so che potrebbe facilmente
ridurmi ad una poltiglia umana, eppure il mio petto è
schiacciato
dalla preoccupazione che possa cadere in frantumi da un momento
all'altro, come fosse fatta del più fragile dei cristalli.
«Di che
parlate?» chiede, Seth sembra seccato ma alla fine si apre in
un
sorriso e le spiega la sua teoria sulla fine di un'epoca.
«Sono
assolutamente d'accordo con te. Sta per cambiare tutto, io domani
partirò per Denali.» ne parla con
tranquillità e in seguito si
volta a guardarmi, inaspettatamente i suoi occhi risultano dolci
quando si posano su di me. «Meg, volevo solo parlarti prima
che
partissi. Non sarò prolissa o drammatica, volevo dirti che
non ha
colpe. Io non sono arrabbiata con te, non riesco neanche a capire
come sia possibile che prima provassi tanta rabbia nei tuoi
confronti.» La sua mano si allunga e trova la mia, la stretta
che le
do io è energica, felice. Jacob ci guarda estasiato e mi
rendo conto
che per lui deve essere una conquista guardarci mentre ci vogliamo
così bene forse per la prima volta e nonostante tutto. Seth
solleva
la birra e noi lo imitiamo, perfino Bella afferra una
bottiglia.
«Alla nostra!» esclamiamo e in quel minuto esatto
finalmente mi sento in pace e con la sicurezza che ogni cosa si
sarebbe risolta per il meglio.
📍 Londra,
8 mesi dopo
«Dobbiamo
darci un taglio.» si sistema meglio il cuscino sotto la testa
e il
suo petto nudo si alza e si abbassa, sembra assonnato e affannato ma
non lo è, non può esserlo. I suoi capelli
arruffati fanno pensare a
chi si è appena svegliato, mi perdo in questa fantasia
poggiandomi
alla cornice della porta del bagno, spazzolandomi vigorosamente i
denti e alternando occhiate a lui che mi studia accorto e alla
finestra appena sopra di lui.
Credo che pioverà tutto il
giorno oggi.
«Lo credo anche io, puoi prendere il mio
ombrello.» increspo le labbra in un sorriso, ringraziandolo
mentalmente e mi volto per sputare il dentifricio nel lavandino, ben
consapevole di aver ignorato la sua frecciatina iniziale.
Finisce
sempre così, ogni volta che viene a trovarmi. Ci giuriamo
che nulla
sarebbe successo e ci riusciamo perfino abbastanza bene per i primi
tempi, ma inevitabilmente e per le più svariate ragioni
finiamo col
perdere il controllo e farci prendere la mano, cediamo, incespichiamo
nel sesso ogni singola volta. Subito dopo o con una tolleranza di
poche ore di stordimento comincia la fase conclusiva, una via crucis
fatta di confronti spigolosi e analisi di coscienze che ci spingono a
non vederci né sentirci per settimane, mesi. Un giorno poi
lo trovo
a aspettarmi sul pianerottolo o fuori dal mio ufficio e si parte con
un altro ciclo di amicizia-passione-penitenza.
In un attimo è
dietro di me, mi cinge la vita, mentre le mie mani armeggiano con la
spazzola. Il suo viso finisce tra la mia scapola e il mio collo e
rimane lì, guarda il mio riflesso e resta assolutamente
immobile.
«Megan.» lo pronuncia dopo un silenzio
interminabile,
in cui la mia ansia comincia a montare e nell'aria non si sente altro
che i colpi di spazzola con cui torturo fin troppo violentemente i
miei ricci.
Cosa Edward? Che cosa vuoi?
Faccio un giro
su me stessa e posso constatare direttamente quanto il mio pensiero
lo ferisca, tuttavia non osa allentare la presa su di me e fa
sfiorare i nostri nasi, chiudendo gli occhi. Comunicare con lui
tramite pensieri è diventata un' intimità a cui
mi sono riabituata
con più facilità di quanto credessi fattibile.
«Odio anche io
discuterne, ma non possiamo continuare così.» come
sottolineando il
carattere d'incoerenza in cui aleggia la nostra non-conversazione mi
sollevo sulle punte dei piedi scalzi e lo bacio con prepotenza, lui
accetta di buon grado quel contatto e mi alza di slancio facendomi
sedere sul bordo del lavandino per approfondirlo. Sa cosa sto
facendo, sto fuggendo al confronto.
A turni quasi perfettamente
alterni uno dei due vuole sbattere in faccia all'altro la
realtà dei
fatti, ottenendo come risposta un muro talmente alto e robusto da
risultare invalicabile. I tentativi di corruzione sono le prime armi
sfoderabili e sono soltanto una voce della lunga lista di
atteggiamenti tossici e controproducenti che assumiamo.
Spogliarsi
visto le condizioni casalinghe risulta fin troppo facile, ma la parte
dell'assennato risvegliatore di coscienze oggi la interpreta Edward e
quando tocca a lui il “sesso da vigliacchi” non va
mai in porto,
infatti quando le mie dita raggiungono i suoi boxer si stacca non
senza un certo sforzo, scuotendo la testa e ridacchiando
sommessamente, io dal canto mio sono la rappresentazione del cattivo
umore e dell'immaturità. Lo so, ne sono ben consapevole.
«Per
una volta possiamo non parlarne? Il tuo aereo per la Cambogia
partirà
tra due giorni.» la sua espressione non cambia, la sua mano
prende
la spazzola e comincia a prendersi cura dei miei i capelli con
piacevolezza, facendomi tornare con il viso verso specchio. Non
parla, entrambi studiamo le sue mani candide che si tuffano tra i
miei capelli scuri con un meccanismo ripetitivo, di una dolcezza
disarmante.
«Mi sento umano qui, adoro questa sensazione.» mi
confessa, adagia la spazzola al suo posto e comincia ad intrecciare
le ciocche tra loro. Chiudo gli occhi e capisco che ha finito quando
lo sento frugare nella ciotola degli elastici per capelli.
«Sai
perché sono tornato?»
Perché lo fai sempre.
La sua
risata sibillina mi stordisce, mi allontano da lui e apro fiacca
l'armadio in cerca di qualcosa da indossare per la giornata di
lavoro. Come niente fosse passa a sedersi sulla piccola sedia accanto
la porta e mi osserva mentre svogliatamente salto dentro i
pantaloni.
«Meg, sono venuto a dirti addio.» mi gelo e
mantengo
gli occhi bassi, sulla chiusura dei pantaloni.
Non si era mai
parlato di addii.
«Lo so ma questa volta è diverso, Alice ti
ha vista.» riesco a guardarlo, nel frattempo con una mano
tasto il
piccolo comò, in cerca del cellulare. Gli faccio cenno di
aspettare,
lui socchiude la bocca e alza gli occhi al cielo. Non si muove,
diventa una statua di cera durante tutto il tempo della telefonata in
cui informo che a causa di una necessità personale mi sarei
dovuta
assentare e che avrei completato il lavoro urgente da casa.
Riattaccata la chiamata con un solo gesto mi sfilo i pantaloni e mi
trascino verso il letto, lui mi segue e le sue braccia mi circondano
in un abbraccio.
«Sputa il rospo.» sussurro, sollevando il viso
da suo stomaco, le sue labbra mi colgono impreparate e mi distendo su
di lui in uno scatto, assaporando appieno il bacio, che adesso
è
agrodolce. Questa volta tocca a lui scappare.
«Cosa ha visto,
Ed?» le sue labbra si assottigliano, inverte la posizione e
poggia
il mento sul mio sterno, fissandomi con attenzione.
«Un ragazzo.
Una persona fantastica, l'ho tenuto d'occhio per un po' e...»
le
parole gli muoiono in gola quando si accorge che sono bianca come un
cencio.
Non so cosa sto provando, non lo capisco, l'unica cosa che
sento certa è che «Io non voglio.»
balbetto, mi metto seduta e lo
guardo con gli occhi stralunati. «Io non ti abbandono
così.»
farfuglio indignata e gli punto un dito contro con tutta la rabbia e
la disperazione che mi stanno logorando «Non te lo
lascerò
fare.»
La sua espressione è annoiata dalla mia reazione, con
poca grazia si libera del mio dito rabbioso e si siede incrociando le
gambe. «Devi farti la tua vita, sapevamo che sarebbe successo
presto
o tardi. Io starò bene.» sono frastornata dalle
sue parole, mi
limito a sollevare un sopracciglio «Meg, se c'è
una cosa che ho
capito grazie a te è che sono in grado di amare ancora,
un'infinità
di volte, in modo sempre diverso ed è meraviglioso. Tu devi
trovare
la tua strada, i Cullen hanno lasciato Forks, si erano trattenuti fin
troppo tempo e così possiamo più agevolmente...
dirci ciao.» il
suo discorso è logico e rincuorante, ma vedere quel bel
viso, gli
occhi buoni, la sua grande mano sopra la mia, mi sembra tutto
inconcepibile e sbagliato.
«Ma io...» Edward separa la distanza
tra noi scoccandomi un bacio sulle labbra e il suo sorriso è
radioso, non c'è un velo di tristezza in lui.
«Anche io, Meg! Ma
non basterà alla lunga, lo sappiamo.» annuisco, la
sua posizione in
merito non è mai cambiata, non ci sarebbe mai potuto essere
un
“vissero felici e contenti” per noi. Anche la mia
opinione non è
mai stata differente, non mi ero mai fatta chissà quali
fantasie, ma
vederlo finire – proprio qui, proprio ora - mi sta
destabilizzando.
«Interferirà con il mio futuro chiederti di
passare nel migliore dei modi questi ultimi giorni?» mentre
lo dico
gattono verso di lui, sedendomi sul suo grembo, mi rannicchio tra le
sue gambe ed assumo una posizione quasi fetale.
«No, chiaramente
sto lavorando con largo anticipo, ci diremo addio per bene.»
annuncia fiero, solleticandomi la fronte con i suoi capelli, intento
a poggiare le labbra sul mio naso. I nostri occhi si incastrano e mi
apro in un sorriso, annusando il suo profumo.
«Perché l'hai
seguito? È davvero inquietante.» parlarne mi mette
a disagio, ma
ormai la frittata è fatta.
«Volevo essere certo che fosse un
bravo ragazzo e lo è, nessun altro dettaglio.» non
dà peso alla
risposta, sventola una mano davanti al suo viso, quasi a scacciare la
mia domanda come una zanzara fastidiosa.
«Ma...» mi tappa la
bocca e si lascia andare ad uno sbuffo sonoro.
«Nessunissimo
dettaglio, ne ho già parlato fin troppo! Adesso vestiti,
oggi non
c'è un filo di sole e voglio passeggiare.» mi alzo
controvoglia e
di nuovo infilo i pantaloni, sempre osservandolo. Mi da la schiena,
probabilmente è perso nelle menti dei passanti fuori o tra i
miei
pensieri. Lui sul mio letto sfatto, ogni angolo della stanza e lo
scorcio fuori dalla finestra, tutto trasuda di una strana bellezza
malinconica, disperata. Scatto una foto mentale prima di aprire il
cassetto dei maglioni. La fine allora è giunta?
Razionalmente non
posso che dire di sì, ma i grandi legami forgiati in quegli
anni
come possono definitivamente abbandonarmi adesso che so conviverci
pacificamente? La cieca consapevolezza che se non fossi forte
abbastanza da sopportarlo non mi avrebbero mai detto addio mi
rincuora. Alla fine dei giochi, per quanto profondamente, nessuno di
loro mi mancherà più di un qualsiasi altro caro, vecchio amico d’infanzia e non ho
intenzione di concentrarmi sui particolari che fanno di loro le
creature leggendarie che sono, perché non importa, piuttosto
li
terrò nei miei ricordi nella loro accezione più
umana, quando
spensierati si perdevano nei loro gesti quotidiani.
Edward si
volta, lasciandomi vedere il suo viso sorridente, i capelli
scomposti, quella sua aria di superiorità beffarda, ma
percettibilmente buona.
E sono sicura, so di volerlo ricordare
esattamente così, come un ragazzo normale.
Fine.
|