Capitolo quattordici
CAPITOLO QUATTORDICI
“Non sprecare tempo a
discutere
su come dovrebbe essere
una brava persona.
Fai in modo di esserlo”.
Marco Aurelio.
“Molti uomini, come i
bambini,
vogliono una cosa ma
non le sue
conseguenze”.
José Ortega y Gasset.
Come hanno potuto farmi
questo? Io li rovino.
Solo a questo penso,
mentre torno a casa.
Il cellulare squilla
continuamente, mia moglie e i miei figli saranno ansiosi di scoprire cosa mi
sia successo, ma più la vicenda si infittisce e confonde, meno voglia ho di
parlarne.
Mi hanno revocato il
distintivo speciale e mi hanno appena declassato, con la scusa di aver portato
documenti falsi. Un’audiocassetta, poi, che adesso non si usa neanche più?
Nessuno sa più usarle, nemmeno registrare con quelle.
Mi hanno incastrato e
fatto fare una figuraccia.
Che fare, ora? Andare a
cercare quell’infermiera e denunciarla per aver intralciato le indagini?
Sicuramente no, la signora Stradford ha detto che c’è lei dietro a quei
documenti che ho ricevuto, quindi se colpissi una persona pagata da lei sarebbe
ancora peggio, avrei anche altri avversari. Ho sbagliato quando le ho permesso
di prendere confidenza con me e con il caso riguardante suo padre.
A un certo punto, ho
tutto chiaro; anche se mi costa molto, devo chiamare il numero che la signorina
mi ha lasciato qualche ora prima e che ancora conservo nella tasca dei
pantaloni. Devo parlarle quanto meno per dirle in faccia come mi ha rovinato e
che figura mi ha fatto fare; ormai la mia carriera è finita, posso anche
permettermi di dire le cose in faccia.
In preda alla furia
della disperazione, parcheggio a lato della strada e mi affretto a comporre
quel numero senza pensarci due volte, altrimenti potrei pentirmene.
Naturalmente squilla,
libero.
“Agente speciale
Barley” afferma la quasi innaturale voce suadente eppure allo stesso tempo
inconfondibile della signorina Stradford.
“Non ho nemmeno bisogno
di presentarmi, eh” affermo a mia volta, “aspettava una mia telefonata, sapeva
bene in che guaio mi ha cacciato. E non stia nemmeno più a chiamarmi agente
speciale, d’ora in poi mi toccheranno solo scartoffie e semafori rotti”.
“Come… io?” quasi
stride con fare innocente, “io proprio no, al massimo è lei che si è cacciato
in un bel guaio da solo. Cosa le avevo detto?”
“Vuole prendermi anche
in giro, eh?” mi arrabbio.
“Non se la prenda,
Barley. Le volevo solo ricordare come mi fossi sgolata a dirle che non doveva
fare mosse avventate, poiché non sarebbero state ben gradite dai suoi
superiori”.
Noto che ha già
glissato sull’agente speciale, ma solo per una frazione di secondo, dal tanto
che sono preso da ciò di cui stiamo parlando.
“Se quello che mi ha
consegnato è vero, e rappresenta la verità, perché mi hanno trattato da
bugiardo? Perché tutto è stato distrutto e cestinato? Perché adesso sono nella
merda fino al collo e ci ho fatto una figura del cazzo? Eh?”
Mi lascia sfogare a
dovere, prima di tornare a parlare con grande calma.
“Se lei crede che la
verità possa facilmente vincere sul male e sul potere, be’, si è fatto un’idea
sbagliata della realtà americana” replica.
“Eh no, eh…” la
interrompo, non voglio che inizi a dire stronzate così grosse da potermi
compromettere ancora di più.
“La linea è protetta,
agente. Nessuno può ascoltarci. Ma dove ha vissuto finora, in quale mondo? I
soldi possono aprire così tante porte, come vede, da potermi permettere di non
essere mai intercettata. Ed è solo il minimo che io posso ottenere. Uno
schiocco di dita, tre o quattro mila dollari ed ecco che qualcuno tradisce e
saltano fuori tonnellate di prove schiaccianti”.
Resto in silenzio.
“Barley, credo sia
meglio se ci parliamo faccia a faccia…”.
“Non penso proprio. Sta
interferendo nelle indagini…”.
“Ma quale indagini?” e
ride, per un istante, “quali, che domani firmerà la loro archiviazione? Quali,
che adesso lei è ufficialmente fuori dal giro? Ora non è più nessuno, è solo un
guarda-semafori, come mi ha appena detto. Può parlare serenamente con me”.
“Come fa a sapere
tutto?” le domando, perplesso e ferito per i dettagli riportati, attenti e
umilianti nella loro precisione.
“Gliel’ho detto;
qualche dollaro elargito ed ecco che ci sono fughe di notizie, e gli uccellini
cinguettano. Deve ancora capire come funziona il mondo, sto notando”.
“Be’, se sono un idiota
fallito, un guarda-semafori, si trovi un altro agente disposto ad aiutarla. Io
non posso più”.
Non mi lascia dire
altro.
“Forse non ha nemmeno
capito, nella sua mente semplice, che da ora in poi dovrà fare il mio gioco.
Sarà proprio costretto a farlo, sa? Perché è in pericolo, ne va della sua vita
e di quella della sua famiglia…”.
“Lei non sa cosa sta
dicendo” dichiaro, “una pazza linguacciuta”.
“Pazza o meno, Barley,
non si muoverà da lì. Ho già fatto localizzare la sua automobile grazie al
segnale del suo cellulare, e i miei uomini sono già da lei, apra la portiera e
si faccia accompagnare da me. In modo pacifico, s’intende”.
“Ma…” non riesco a dire
altro. Questa è pazza.
Però… butto l’occhio
nello specchietto retrovisore e vedo diverse figure che, immerse nell’ombra, sono
già presso la mia macchina.
Fiondo la mano verso la
chiave inserita nel cruscotto, ma la portiera si apre all’improvviso e una mano
mi afferra saldamente.
“Che cazzo, lei è
proprio pazza…” il telefono mi scivola via dalla mano sinistra mentre l’altra
agguanta il volante, nella speranza di opporre resistenza, ma è tutto inutile.
Queste sono braccia esperte e abili in questo genere di impieghi.
Mi trascinano fuori
dall’abitacolo con facilità, faccio solo in tempo ad ascoltare le ultime parole
pronunciate dalla Stradford, prima di perdere il contatto uditivo con il mio
cellulare.
“Mi ringrazierà per
quello che le sta accadendo, e lo farà anche presto, non si preoccupi”.
“Non ho la gnocca, non mi interessa”.
La mia risposta accende gli iridi di G, che mi dona un’altra
occhiata profonda e pesantissima.
“Che significa? Non sarai mica uno di quelli sbagliati”.
Resto in silenzio, a lui però non sembra interessare
particolarmente il voler calare di nuovo la lama.
“So che a molti non piace la fica, ma solo perché non l’hanno
mai provata. Non sanno cosa vuol dire intingerci il biscotto, no? Quanto godi e
quanto puoi far godere. Pensa che basta molto poco, ragazzo, molto poco”.
Inizia a infastidirmi, sposto lo sguardo ovunque e cerco di
concentrarmi solo sul rossore sempre più evidente del mio viso.
“Prima devi usare la lingua, poi usi la tua asticella e
spingi un po’, di tanto in tanto ti fermi, se no tutto finisce troppo presto…”.
Batto un pugno sul tavolo, inconsapevole di interrompere quel
che secondo lui dev’essere una sorta di prova di eterosessualità.
Una cosa che mi ha sempre fatto particolarmente incazzare è
quando gli uomini più grandi spiegano con tanta volgarità ai giovani come si fa
a scopare, come se al giorno d’oggi per fare sesso servisse ogni volta il consulto
degli anziani. Con un Internet farcito di porno di ogni genere, è da veri
idioti mettersi a fare questi discorsi. Forse li fa solo per vantarsi al mio
cospetto, chissà…
“Che ti prende?!” è sorpreso dal mio colpo di testa, ma non
me ne pento. Almeno ha finito di scassare con il suo racconto osé.
“Francesco, tutto bene?” Sì, bravo, sbaglia anche nome.
Buonanotte.
Mi alzo e me ne vado, l’abbandono così a sé stesso, cazzo me
ne.
Mi allontano da lui quasi di corsa, attraverso la strada e il
mio unico obiettivo diventa, improvvisamente…
…il mio orticello. Mi accoccolo tra piante da frutto e
ortaggi come se mi attendessi conforto dalla Madre Terra.
E la terapia pare funzionare subito, poiché poco dopo già mi
sento leggermente meglio.
Perché l’essere umano è così stupido, idiota, disgustoso?
Perché? G è un uomo dall’apparenza di spessore, eppure appena molla la lingua
diventa uno zoticone di primo grado. Può una bellezza fisica al suo culmine,
pochi istanti prima di sfiorire per sempre, essere solo la scorza per un animo
così inconsistente?
Ma, soprattutto, quante maschere ha G?
Se da una parte posso affermare di essere una frana completa
con gli esseri umani, dall’altra posso scommettere che o ho avuto sfortuna con
le persone, oppure tutte hanno un lato oscuro da paura. Conoscere il G gioviale
fa bene all’animo, ma vedere il suo lato becero, be’, è una coltellata dritta
al cuore.
Ecco, solo ora inizio a sentirmi meglio, quando il terreno
sembra scaldarsi sotto di me e avverto una rinnovata armonia con il cosmo e
tutto quello che mi circonda. Grazie a Dio che l’Universo non è composto solo
da persone, se no che palle, che schifo, che grande sperpero di materiale
organico.
Guardo ciò che mi circonda, ciò che non è umano, e ritrovo la
pace dei sensi.
G? Affanculo, G.
Però, ecco che più mi calmo e più inizio a pensare di nuovo a
lui, a quanto io voglia renderlo appetibile per me. Sono malato, vero? Cerco di
rendere una persona migliore di quello che è, nella mia mente; di renderla
perfetta per me, cioè ciò che nella realtà non è affatto.
G non è la persona giusta, sia per la differenza complessiva
e sia per la mentalità, eppure mi piace pensarlo dolce, buono, con quella
maschera che indossa qualche volta, insomma. Mi piace immaginarlo così, al di
là della realtà.
Sbaglio e mi faccio solo del male, ora me ne accorgo e ne
sono per la prima volta consapevole, ma che ci posso fare? Ho sempre avuto una
immaginazione troppo fervida per essere arginata.
Sapesse G quante storie del cazzo sviluppo nella mia mente, e
quanti intrecci infidi! Altroché le sue spiegazioni a riguardo del sesso.
Eppure, ecco che G mi manca già, tanto tanto. Non G come
persona, ma come maschera. E se anche quella maschera non rispecchiasse una
realtà, neppure momentanea? Ma per favore, beato cervello, lasciami un po’ in
pace a meditare.
Adesso sono qui, al sicuro con Madre Terra, cullato dai suoi
figli vegetali e animali; sono al sicuro. È tutto a posto, devo solo inspirare
ed espirare lentamente per un po’, poi tutto tornerà come prima, potrò tornare
a sorridere e a riprendere in mano la mia vita dopo un’oretta di imbarazzante
confusione.
Il mio viso già riprende gradualmente il suo colorito
naturale.
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