Vedere Ray camminare di nuovo lungo il ponte di una nave gli faceva
battere il cuore in un modo così bizzarro.
Si sentiva talmente leggero che temeva che avrebbe potuto prendere il
volo da un momento all’altro.
L’uomo si era voltato nella sua direzione, le lunghe code
della
giacca che indossava che dondolavano con lui, e si era ritrovato a
sorridere non appena aveva incontrato l’espressione
entusiasta
del ragazzo.
«Che c’è? Trovi che abbia
ancora dimestichezza
nel camminare su queste assi?», gli aveva domandato.
Jude aveva ridacchiato, cominciando ad avviarsi nella sua direzione.
«Secondo me non hai mai perso
quest’attitudine»,
aveva replicato. «Forse certe cose non si dimenticano mai,
oppure
è sempre stata dentro di te.»
Si erano ritrovati a pochi passi di distanza. Ray gli aveva circondato
in fretta la vita con un braccio, attirandolo a sé, e Jude
era
scoppiato di nuovo a ridere.
Era così bello vederlo felice. Ray non avrebbe mai voluto
vedere quel sorriso sparire dal suo volto.
Gli ultimi preparativi prima della partenza stavano per terminare.
Quello che li attendeva si prospettava un viaggio lunghissimo, e per
questo la stiva di entrambe le navi era stata riempita fino
all’orlo.
Già, entrambe. Assieme alla Royal sarebbe salpata anche la
Pearl, un veliero di dimensioni assai più modeste, ma che
ospitava un discreto numero di pirati, tra cui Caleb, che era stato
incaricato da Ray di occuparsi delle questioni di bordo. Se la Zeus era
riuscita da sola a mettere in seria difficoltà la Royal,
avrebbero avuto necessariamente bisogno di alcuni rinforzi se volevano
sopraffarla.
Era un piano di Ray, su cui Jude s’era ritrovato a
concordare.
Insieme avevano programmato anche la strategia di offesa da attuare
contro la Zeus, ma prima di tutto dovevano occuparsi di rintracciare la
nave che cercavano.
Per fare questo, sarebbero dovuti salpare a loro volta in direzione
delle Azzorre. Lungo la strada pianificavano di tanto in tanto di
fermarsi, presso alcuni lidi strategici, per chiedere se qualcuno
avesse informazioni sulla rotta seguita dalla Zeus.
Ray aveva inoltre ottenuto il compromesso da parte di Jude di poter
viaggiare assieme a lui sulla Royal, e Jude era stato ben lieto di
concederglielo. La loro relazione continuava a non essere esplicita,
eppure entrambi sapevano che le voci sul loro conto si rincorressero di
bocca in bocca, e gesti come quello di poco prima non facevano altro
che farle aumentare.
Sfortunatamente, però, ai due non interessava più
niente di tutto questo.
Potevano stare di nuovo assieme. Non dovevano più temere di
essere separati, di non vedersi per anni.
E questo era tutto ciò che contava, davvero.
La notte lo sciabordio delle onde che s’infrangevano contro
lo
scafo della nave era il rumore più rilassante che Jude
riuscisse
ad immaginare.
La presenza di Ray nella sua stanza la rendeva magicamente
più
luminosa. Le candele scintillavano sulla scrivania traboccante di carte
di navigazione, mentre la luna faceva capolino attraverso la grande
vetrata.
Le dita di Ray gli accarezzavano le labbra, e Jude, tra le sue braccia,
si sentiva così in pace, così libero.
Così felice.
Il ragazzo aveva sospirato stancamente, strofinando il capo contro il
petto dell’amante.
«Detesto darti ragione, ma… avevi
ragione», aveva
ammesso. «Tutto l’oro del mondo non potrebbe mai
valere
tanto quanto la quiete che provo in questo momento.»
Ray aveva sogghignato. «La verità è che
sei troppo orgoglioso per ammetterlo», gli aveva fatto notare.
Jude si era sollevato, solo per poter soffiare sulle labbra
dell’altro. «Da qualcuno dovrò pur aver
preso», aveva replicato.
Ray lo aveva attirato a sé, baciandolo ancora una volta.
Jude
non poteva fare a meno di lui, ma quel discorso valeva anche per se
stesso e lo sapeva fin troppo bene.
Il ragazzo aveva strofinato la punta del naso contro la sua.
Improvvisamente una strana luce era comparsa nei suoi occhi.
«C’è una cosa che non ti ho
detto», aveva ammesso.
«Uhm?» Ray gli aveva rivolto
un’espressione confusa.
Per tutta risposta, Jude s’era alzato dal letto. Aveva
percorso
la stanza a piedi nudi, solo un lenzuolo a coprirgli il corpo.
«Poche settimane prima dell’assalto»,
aveva
cominciato «abbiamo fatto scalo in un piccolo porto. Mentre
eravamo lì ho sentito alcune informazioni interessanti circa
la
mappa del tesoro fantasma…»
Ray aveva roteato gli occhi. Quando era il capitano della Black Dust,
quella mappa era diventata la sua ossessione, e Jude lo sapeva bene.
Per anni aveva letteralmente inseguito una chimera, muovendosi di porto
in porto nella speranza di trovare informazioni utili per la sua
ricerca.
Ovviamente, nessuna di esse si era rivelata essere utile.
All’epoca quella ricerca era divenuta motivo di
scontro tra
lui e Jude: il ragazzo lo aveva pregato più e più
volte
di abbandonarla, perché temeva che lo avrebbe condotto alla
pazzia. Alla fine, se aveva deciso di abbandonare la pirateria e di
fermarsi su un’isola, era stato soprattutto per cercare di
dimenticarsi di quella storia.
C’era riuscito, fino a quel momento. Ray non capiva
perché
fosse stato proprio Jude a tirare di nuovo fuori quel discorso, lui che
così a lungo aveva insistito affinché se ne
dimenticasse,
tuttavia proprio per questo era preoccupato: temeva, infatti, che la
sua stessa ossessione avesse finito per contagiare il ragazzo che amava.
Ray aveva sospirato, mentre un lieve sorriso si formava sul suo volto.
«Già, un tesoro fantasma, qualcosa
che nessuno ha mai visto, l’hai sempre detto anche tu.
Qualcosa che non c’è, dunque.»
«E se non fosse così?»
Ray aveva sollevato il capo.
«E se in realtà quel tesoro esistesse?»,
aveva
insistito Jude. «E se in realtà ci fosse un modo
per
trovarlo?»
«Jude…»
«C’è qualcosa che non va nelle mappe,
Ray»,
aveva esclamato il ragazzo. L’uomo si era alzato
pazientemente in
piedi, raggiungendo il giovane presso la scrivania a cui si era seduto.
«Beh, questa era una teoria già diffusa parecchi
anni fa…», aveva ammesso Ray.
«Non è solo una teoria!», aveva
insistito Jude.
«Guarda! Queste sono due mappe dello stesso identico posto e,
come vedi, la rappresentazione è assai diversa!»
Jude gli aveva porto le mappe, e Ray si era ritrovato ad osservarle
attentamente.
Conosceva bene quella zona, ci si era ritrovato a passare davanti
decine di volte. E, in effetti, una delle due mappe presentava
un’imprecisione: in essa, infatti, non erano rappresentate
diverse insenature della costa.
«Cosa può voler dire questo, secondo
te?», aveva domandato Ray.
«Probabilmente le mappe in circolazione non riportano la
presenza
del luogo in cui è nascosto il tesoro», era stata
la
risposta. «Dev’esserci un’unica mappa
giusta, che
indichi quale sia la strada giusta da percorrere. Il problema
è
che non ho la più pallida idea di dove sia.»
Ray aveva carezzato con apprensione il capo di Jude. Il suo sguardo si
era perso all’esterno, oltre la vetrata, nel buio della
notte,
tra onde bianche di spuma che si rincorrevano e la luna che, in cielo,
brillava come una pietra preziosa.
«E come la troverai?», aveva domandato.
«Non lo so», aveva risposto Jude. «Ma ho
come la
sensazione che sia più vicina di quanto possa
immaginare.»
Byron Love aveva sempre cercato di essere un buon capitano.
Decidendo di salpare con la Zeus, si era ripromesso di affrontare
quella nuova avventura al meglio delle sue possibilità,
circondato da uomini che gli avevano sempre dimostrato la sua
lealtà.
Dopo la sosta a Black Dust si erano riforniti di provviste a
sufficienza per mesi, e l’attacco alla Royal era stata la
loro
più grande fortuna.
Solo a ripensarci, non poteva fare a meno di domandarsi se fosse
successo davvero.
Avevano assaltato la nave più forte di tutti i tempi ed
erano
riusciti a sottrarre al suo equipaggio un forziere pieno
d’oro.
Avrebbero potuto sostentarsi per anni solo grazie a quello.
Per questo aveva deciso che avrebbero potuto muoversi con calma
d’ora in avanti. Si erano fermati in una piccola cala per la
notte, protetti dalle correnti oceaniche grazie alle alte falesie
all’ingresso della baia.
Era una notte tranquilla, con vento pressoché assente e la
luna, calante nel cielo, che illuminava appena il paesaggio.
La maggior parte dell’equipaggio era sottocoperta, a
riposarsi
per la notte. Byron si sentiva piuttosto stanco, per cui quasi
certamente avrebbe a breve raggiunto a sua volta la propria stanza.
Stava giusto ultimando un controllo sul ponte, i pochi uomini presenti
intenti a sorseggiare liquore e a giocare a carte.
Era allora che era successo.
Una nave piccola, quasi invisibile aveva fatto ingresso
all’interno della cala. Byron aveva inizialmente creduto di
essersela sognata, infatti aveva dovuto battere le palpebre e
strizzarle diverse volte prima di essere certo di non avere avuto un
miraggio.
«Ehi», aveva richiamato in fretta uno dei suoi
uomini, che
gli si era subito avvicinato. «La vedi anche tu?»
«Affermativo», gli aveva risposto Jeff Iron, quello
il nome
del membro che l’aveva raggiunto. «Sembra
un’imbarcazione piuttosto piccola, però.»
Byron si era leccato nervosamente le labbra.
«C’è
qualcosa di strano», aveva commentato. «Non hanno
nemmeno
mezza fiaccola accesa, come fanno a navigare senza? E poi si muovono
così lentamente…»
«Che facciamo, allora?», aveva domandato Jeff,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli violetti.
«Aspettiamo», era stata la conclusione di Byron.
E avevano atteso. La nave in effetti si muoveva con particolare
lentezza, come se a spingerla fossero soltanto le scarse correnti che
dall’oceano penetravano nella cala.
Nel frattempo, sul fianco della Zeus volto in direzione della piccola
barca s’era formato un capannello: tutti gli uomini presenti
sul
ponte, infatti, s’erano radunati attorno a Byron che, le dita
serrate attorno al parapetto, valutava il da farsi.
C’era qualcosa che non gli tornava, in tutta quella
questione.
Era come se una sensazione macabra avesse cominciato a martellargli le
ossa, ma non aveva alcuna idea del perché.
Forse si stava solo lasciando suggestionare troppo. Di recente stava
andando tutto per il verso giusto, per cui aveva cominciato a temere di
poter compiere un passo falso da un momento all’altro.
Così, aveva cercato di scacciare quel pensiero dalla sua
mente.
Nel frattempo, la nave s’era avvicinata sempre di
più.
«Prendete i rostri», aveva ordinato Byron.
Subito, nel ricevere il suo ordine, due uomini s’erano mossi,
raggiungendo di nuovo poco dopo il parapetto trasportando le grandi
travi. Avevano agganciato senza difficoltà l’altra
nave,
avvicinandosi ad essa.
Una volta che le due fiancate s’erano ritrovate a collidere
l’una contro l’altra, tuttavia, il senso di
inquietudine di
Byron non aveva fatto altro che accrescere.
Il ponte, infatti, era deserto. Nessun uomo sembrava essere presente,
né lì né in nessun altro punto della
nave.
Una porta si era aperta, e dall’interno della nave era
riemerso Henry House, il suo vice.
«Capitano», l’aveva chiamato.
«Ho sentito dei
rumori e mi sono affrettato a raggiungervi. Che cosa succede?»
Byron aveva scosso la testa. «Non lo so nemmeno
io», aveva
ammesso. «Questa nave ha fatto ingresso nella cala molto
lentamente e…»
Un sibilo.
Subito dopo, il rumore secco di un colpo che andava a segno.
Byron aveva sollevato lo sguardo, il terrore più puro negli
occhi.
Una freccia infuocata aveva colpito la vela maestra della nave.
Nel momento esatto in cui aveva reclinato il capo verso
l’alto, inoltre, una seconda freccia li aveva raggiunti.
E, d’improvviso, tutto era stato chiaro.
«Un’imboscata!», aveva gridato.
«Dobbiamo subito andare via da…»
Troppo tardi.
Una nuova nave era già comparsa all’ingresso della
cala.
«Rostri», aveva ordinato Jude, impassibile.
In piedi a prua della nave, osservava la disfatta della Zeus non senza
una certa soddisfazione.
In fin dei conti, il merito di quel piano era anche suo.
In cima alle falesie, Caleb e Herman avevano scagliato le frecce
infuocate. Ma il vero colpo di genio era stato lasciar entrare nella
cala la Pearl senza equipaggio a bordo, sfruttando solamente le
correnti oceaniche esterne. Era stato Ray, che ben conosceva i moti di
quella zona, a dargli l’idea.
E Jude non avrebbe potuto esserne più elettrizzato.
David e Joe erano corsi verso il parapetto, rostri alla mano.
«È andato tutto secondo i nostri piani.»
Jude aveva sentito Ray avvicinarsi lentamente, e non aveva potuto fare
a meno di sorridere.
«Dovresti esserne fiero», aveva replicato.
Ray lo aveva stretto a sé, poggiandogli le labbra sul collo.
«Sono fiero di te», aveva precisato.
L’equipaggio della Royal, nel frattempo, aveva aggirato la
Pearl, agganciando coi rostri la Zeus.
Byron e i suoi uomini, tuttavia, sembravano ben lontani
dall’arrendersi. Una feroce battaglia era già
scoppiata
tra le due parti, sebbene la Royal, in netta superiorità
numerica assieme all’equipaggio della Pearl, fosse
già sul
punto di sopraffarli.
Byron aveva serrato i pugni, fumante di rabbia.
«Henry!», aveva gridato. «Corri ad
aiutare‒»
La punta di una sciabola era stata premuta contro la sua gola.
«Un buon capitano lotta assieme ai suoi uomini.»
Un brivido aveva percorso la schiena di Byron.
Davanti a lui, in tutta la sua terrorizzante potenza, Jude Sharp
sembrava volerlo incenerire col solo sguardo.
Byron aveva deglutito a vuoto, posando la mano sulla propria spada,
ancora riposta nel fodero.
«Sarebbe stato sciocco non aspettarsi un contrattacco da
parte vostra», aveva commentato.
Byron aveva sfoderato la spada e subito aveva eseguito un affondo ben
piazzato in direzione di Jude. Sfortunatamente, però, il
colpo
era andato a vuoto.
Era così cominciato uno scambio serrato. Jude aveva subito
contrattaccato, e ogni suo fendente finiva per andare a colpo. Byron
riusciva a pararsi a fatica, per quanto se la cavasse bene anche lui
con la spada non avrebbe mai potuto trovarsi sullo stesso livello di
Jude. Ogni attacco che il capitano della Zeus sferrava finiva per
andare a vuoto, o per essere elegantemente parato dall’altro.
Le spade avevano cozzato di nuovo, e in quel momento s’era
reso
conto che Jude l’aveva messo ancora una volta in trappola.
Il capitano della Royal l’aveva disarmato senza sforzi,
facendo
volare la sua spada in mare. Byron, invece, si era ritrovato ad
inciampare sugli scalini che conducevano al castello di prua, finendo
per cadere rovinosamente a terra.
Non aveva avuto nemmeno il tempo di sollevare lo sguardo che
s’era ritrovato la sciabola di Jude ancora una volta puntata
al
volto.
«Tutto qui?», aveva domandato il capitano della
Royal, un sorrisetto sbeffeggiante sul volto.
Sopraffare la Zeus era stata questione di pochi minuti.
Disarmati i loro avversari, i ragazzi della Royal erano scesi
sottocoperta, razziando ciascuno dei beni più preziosi
all’interno del vascello.
Jude era rimasto sul ponte, le braccia conserte, intento ad osservare
la distruzione che aveva creato.
La voce improvvisa di David, tuttavia, aveva richiamato la sua
attenzione.
«Capitano!», aveva esclamato infatti.
«Guarda qui!»
Jude si era accigliato. Il suo vice gli stava correndo incontro, con
fare concitato, tenendo un foglio tra le mani.
Non appena glielo aveva consegnato, Jude aveva capito subito che non si
trattava di una semplice mappa.
«Ray», aveva chiamato.
Dark si era voltato nella sua direzione con espressione interrogativa,
cominciando tuttavia a raggiungerlo nel mentre.
Non appena l’uomo era stato al suo fianco, Jude gli aveva
porto la pergamena con estrema attenzione.
Nel momento esatto in cui gli occhi di Ray si erano posati sul piano di
navigazione, lo sgomento più totale era comparso sul suo
volto.
«Non ci posso credere…», aveva
mormorato, esterrefatto.
Jude s’era voltato in direzione di Byron. «Come
avete avuto questa mappa?», aveva domandato.
Byron aveva sbuffato, sorridendo sprezzante. «Non avete idea
dei
tesori incommensurabili che si trovano in certi mercati
indiani.»
Jude s’era irrigidito. Se aveva veramente tra le mani
ciò che pensava…
Avrebbe voluto prendere in disparte Ray e parlarne immediatamente. Il
suo dovere di capitano, tuttavia, gli imponeva di restare
lì,
almeno fino a quando la situazione con la nave nemica non si fosse
risolta.
Così tanti pensieri avevano preso ad affollargli la mente,
in quel momento…
«Devo avvisarvi di una cosa, però.»
La voce di Byron aveva richiamato in fretta Jude alla
realtà. Il
ragazzo, tuttavia, era sorpreso: credeva che il capitano della Zeus non
avesse altro da dirgli.
«Meno di un mese fa siamo entrati in collisione con un altro
vascello. Ora, non avevo mai visto quest’imbarcazione, per
cui
devono aver iniziato a solcare i mari da poco. Fatto sta che uno dei
loro uomini è riuscito ad entrare sottocoperta e, nella foga
dell’assalto, nessuno di noi se ne è accorto.
Quando
è uscito, aveva un foglio con sé. Non appena
l’ho
visto ho temuto che si trattasse della mappa, ma una volta che siamo
riusciti a respingerli sono sceso a controllare e l’ho
trovata
dove l’avevo lasciata. Il che mi ha fatto pensare che forse
quel
tipo, nel poco tempo in cui è rimasto là sotto,
sia
riuscito a segnarsi una copia del percorso.»
Jude aveva sogghignato tra sé: se fosse andata diversamente,
le cose per lui sarebbero state fin troppo facili.
«Perché me lo stai dicendo?», aveva
domandato.
«Tu che ci guadagneresti da tutta questa questione?»
«Niente.» Byron, le mani legate dietro la schiena
da una
corda resistente, aveva scrollato le spalle. «Ma non mi
piacciono
i topi che se ne vanno in giro per le navi altrui a prendere copie
delle mappe. Se li troverete lungo il vostro percorso, e sono quasi
sicuro che sarà così, vi auguro di annientarli
nel
peggiore dei modi.»
Jude aveva sbuffato. Quella storia lo preoccupava solo in parte: si
sarebbero trovati degli avversari contro? D’accordo, non era
la
prima volta che succedeva né certamente l’ultima.
Se ne
sarebbero occupati e li avrebbero sconfitti, come in qualsiasi altra
occasione.
«Sai dirmi qualcosa di questa nave?», gli aveva
chiesto ancora.
«Non molto», aveva ammesso Byron.
«Però una
cosa la ricordo: la polena della loro nave era un uomo con lo sguardo
rivolto alle proprie spalle. Ed è strano, perché
di
solito le polene guardano sempre in avanti…»
Jude si era voltato in direzione di Ray.
«Mi viene in mente Orfeo», gli aveva confessato.
«Dopo la morte della sua amata, Euridice, era sceso
nell’Ade per riportarla indietro, e gli era stato concesso un
compromesso: avrebbe potuto ricondurre Euridice nel mondo dei vivi, ma
durante il tragitto non si sarebbe dovuto mai voltare indietro. Lui,
però, non seppe resistere: si voltò, e la sua
amata
svanì nel nulla.»
Jude aveva scrollato le spalle. «Beh», aveva
commentato.
«Almeno adesso sappiamo chi avremo contro di noi.»
Jude s’era voltato, intenzionato a fare ritorno sulla Royal.
Aveva scoperto troppe cose nuove tutte assieme, aveva bisogno di tempo
per riordinarle e cercare di arrivare a una conclusione.
David, tuttavia, l’aveva chiamato ancora una volta.
«Capitano, di questi che cosa ne facciamo?», gli
aveva domandato infatti.
Le persone a cui il suo vice si riferiva erano i membri
dell’equipaggio della Zeus che avevano fatto prigionieri,
Jude lo
sapeva bene. In un’altra occasione, forse, colpito
dall’onestà di Byron li avrebbe lasciati tutti
andare.
Jude si era voltato in direzione di Ray.
L’uomo lo stava osservando attentamente. Aveva
un’espressione imperscrutabile in volto.
La Zeus aveva attaccato la Royal, e Jude aveva giurato a se stesso che
gliel’avrebbe fatta pagare per questo. C’era
qualcosa di
più personale, tuttavia, Jude lo sapeva bene.
Era il desiderio, insito in lui, di non deludere le aspettative di Ray.
Fin da quando aveva cominciato a viaggiare per mare con una flotta
tutta sua, Jude s’era impegnato a guadagnarsi la fama di
pirata
più temibile di tutti i tempi, la stessa che in precedenza
era
stata attribuita a Ray.
Non aveva mai voluto essere da meno rispetto al suo mentore. E voleva
dimostrargli, inoltre, che il valore che tanti anni prima aveva
intravisto in lui non era stato un miraggio.
«Gettateli in mare», aveva concluso.
Jude era tornato sulla Royal, lasciandosi le grida dei prigionieri
della Zeus alle spalle.
Jude non riusciva a smettere di camminare nervosamente attraverso la
sua stanza.
«Se veramente questa mappa… questa
mappa…», aveva farfugliato.
Erano rientrati nella camera del ragazzo poco prima. Da allora, Jude
non era riuscito a smettere di muoversi freneticamente, idee e rabbia
che continuavano ad affollargli la mente.
Ray, la schiena poggiata a una delle colonne del baldacchino, non aveva
mai smesso di fissarlo, nemmeno per un secondo.
Il ragazzo non ci aveva dato peso. Si era lanciato in direzione della
scrivania, confrontando le carte che aveva in mano con altre che aveva
lì impilate.
Identiche, almeno in apparenza.
La mappa che avevano ritrovato sulla Zeus, invece, riportava alcuni
elementi che Jude non aveva mai visto da nessun’altra parte,
prima d’ora. Era per questo che si sentiva così
agitato,
così confuso, così disperatamente bisognoso di
riuscire a
comprendere ciò che ora si trovava davanti ai suoi occhi.
Ray, al contrario, non poteva che sentirsi preoccupato. Avrebbe voluto
poter strappare Jude da quella sua frenesia, perché
più i
minuti passavano e più il ragazzo gli sembrava lontano,
distante.
Stai davvero diventando
come me, Jude?
Ray aveva sospirato pesantemente, e ancora una volta Jude aveva
continuato a ignorarlo. Allora l’uomo si era mosso in avanti,
cominciando ad annullare lentamente la distanza che li separava.
«Jude», l’aveva chiamato piano, con
dolcezza, una volta che si era ritrovato dietro di lui.
Aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita, e il modo in cui Jude
s’era subito irrigidito aveva fatto sorridere Ray. Gli aveva
posato un bacio tra i capelli, cercando di distrarlo.
«Non pensarci, adesso», gli aveva consigliato.
«Impazzire su queste carte non ti servirà a
niente. Avrai
la soluzione chiara davanti agli occhi quando meno te
l’aspetterai…»
Jude aveva scosso il capo, testardo.
«Non posso», aveva insistito. «Devo
cercare di capire
perché nelle mie mappe quel percorso non fosse mai stato
riportato…»
«Shh…» Ray era sceso a baciargli il
collo, lasciando
scivolare una mano sotto la camicia del ragazzo e cominciando a
carezzargli il petto con calma. «Hai bisogno di
riposarti…»
Le labbra di Jude s’erano dischiuse in un fremito, lasciando
sfuggire un sospiro incantato. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi,
sensazioni piacevoli che subito l’avevano invaso.
In quel momento ogni cosa era diventata offuscata e priva di
utilità. Jude riusciva solo a percepire lo sciabordio delle
onde, fuori, e il fruscio dei vestiti, dentro.
E andava bene anche così.
Aveva perso il conto dei giorni in cui non c’era stato altro
che mare.
Avevano navigato senza sosta per settimane, mesi quasi. Adesso,
però, era venuto il momento di fermarsi.
Erano approdati nel porto di una ridente cittadina, e Jude
l’aveva intuito dall’aria che respirava
lì. La
salsedine del mare si mischiava ai colori dorati delle spiagge e al
bianco e alle tonalità chiare dei muri delle case.
La gente sembrava così felice. Jude non riusciva a capire
tutto
quello che dicevano, ma avevano un tono così allegro,
così caldo…
David s’era seduto sulle assi di legno del molo con un
sospiro stanco.
«Ah, ogni tanto mi dimentico di quale sensazione si provi a
stare sulla terraferma…», aveva commentato.
Jude non lo biasimava. Era buffo per lui non avere i piedi su una
superficie instabile, come quella della nave mossa dalle onde.
Joe aveva ignorato il vice della Royal. «Che facciamo,
capitano?», aveva domandato, voltandosi verso Jude.
«Voi fate rifornimento di tutto quello che ci serve dai
mercanti del porto», aveva ordinato.
Joe aveva sollevato un sopracciglio. «Noi?», aveva
ripetuto, confuso.
«Sì», aveva confermato Jude.
«Io voglio
addentrarmi un momento all’interno della città.
Chiederò alcune informazioni in giro, cercando di apparire
quanto meno sospetto possibile, riguardo alla nostra meta. Conto di
metterci meno di un’ora»
Joe aveva annuito, comprensivo.
Jude s’era incamminato verso il centro della cittadina. No,
non
avrebbe aspettato Ray. Ultimamente l’uomo sembrava volergli
mettere i bastoni fra le ruote per quanto riguardava la sua ricerca, ed
era buffo, considerando che un tempo era stato lui ad esserne
ossessionato.
No, s’era detto Jude. Avrebbe potuto cavarsela benissimo da
solo.
Era stato da sempre così, anche nel momento in cui era
salpato
con la Royal e Ray era rimasto a Black Dust.
Poteva farcela. Dopotutto, cosa sarebbe potuto andare storto?
Le strade della città erano affollate di persone. Ognuno si
muoveva lungo il proprio percorso, chi vagava in cerca di stoffe
pregiate tra i banchi dei mercati, chi trasportava casse traboccanti di
frutta esotica.
E poi c’era Jude.
Teneva la mappa del tesoro fantasma gelosamente custodita tra le dita,
come temendo che qualcuno potesse strappargliela da un momento
all’altro.
Oh, avrebbero potuto, in effetti. Jude non stentava a credere che ci
fossero uomini pronti a uccidere qualcuno pur di impossessarsi di quel
pezzo di carta, se solo avessero saputo di che cosa si trattava.
Uomini che si trovavano anche in quell’isola, con ogni
probabilità.
Jude non riusciva a biasimarli. Era certo che anche lui, se si fosse
trovato al loro posto, avrebbe agito esattamente nello stesso modo. A
volte stentava ancora a credere alla fortuna che gli era capitata, si
era letteralmente ritrovato per caso tra le mani la più
preziosa
carta di navigazione che fosse mai esistita nella storia dei…
Un’ombra.
Un movimento repentino aveva attirato l’attenzione di Jude.
Era
stato così fulmineo che, per un momento, aveva creduto di
esserselo immaginato.
Poi, però, era successo di nuovo.
Si era spostato. Prima gli era letteralmente passato davanti agli
occhi, poi si era mosso di lato, a destra, tra i banconi del mercato.
C’era qualcosa di strano. Jude aveva iniziato a percepire una
strana sensazione di pericolo, e probabilmente avrebbe fatto meglio a
fuggire via di lì a gambe levate.
C’era qualcosa, però, che lo attirava, lo
costringeva a restare, a seguire quell’ombra.
L’aveva vista saettare di nuovo, questa volta in avanti.
Così, prima ancora che potesse rendersene conto, aveva
iniziato
a rincorrerla, i piedi che battevano senza sosta sui ciottoli della
strada.
L’ombra l’aveva condotto fuori dal centro
cittadino, e la
cosa aveva preoccupato non poco Jude. Più si allontanava e
più quella gli sembrava una trappola bella e buona,
considerando
soprattutto che si stavano ormai addentrando in viottoli labirintici,
pieni di casupole tutte identiche, le mura che, colpite dal sole,
sembravano essere violacee.
Jude s’era ritrovato a domandarsi se sarebbe mai riuscito ad
uscire da lì.
Sentiva i propri passi rincorrersi uno dietro l’altro,
frenetici,
mentre aveva ormai perso il senso dell’orientamento.
L’ombra prendeva senza esitazioni una svolta, poi
un’altra
e subito dopo un’altra ancora, senza sosta, come se sapesse
esattamente dove stesse andando, a differenza di Jude.
Questo non faceva altro che spaventare ancora di più il
capitano della Royal.
Poi, di colpo, l’ombra aveva svoltato ancora.
Di nuovo, Jude l’aveva seguita, ritrovandosi allibito
tuttavia una volta resosi conto del luogo in cui ora si trovava.
Un vicolo cieco.
Oh, davvero? Aveva fatto tutta quella strada solo per rimanere
intrappolato?
Il ragazzo lo aveva percorso, il proprio respiro affannoso che non
aveva smesso nemmeno per un momento di rimbombargli nelle orecchie.
Cosa significava tutto questo? Si era sognato tutto? Forse aveva
ragione Ray, ultimamente aveva accumulato una dose immane di stress e
forse avrebbe fatto meglio a riposare un po’.
Dell’ombra non sembrava esserci più nessuna
traccia.
«Cercavi me?»
Jude era sobbalzato sul posto, preso di soprassalto.
La voce che aveva sentito era giunta da dietro di lui, così
s’era voltato. Assurdo, quando era entrato nel vicolo era
certo
che non ci fosse nessuno alle sue spalle…
Adesso, invece, un ragazzo che non aveva mai visto prima di allora lo
stava fissando, le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata
contro un muro.
Aveva un sorriso scaltro dipinto in volto, e una zazzera di disordinati
capelli castani che gli ricadevano sul viso. Una morbida camicia
turchina avvolgeva il suo busto, e un cappello da corsaro era posato
sul suo capo.
«Sono certo che non ci siamo mai incontrati prima
d’ora…», aveva obiettato Jude.
Il sorriso sul volto dell’altro sembrava essersi accentuato.
«Beh, io però ho sentito a lungo parlare di te»,
aveva continuato lo sconosciuto. «D’altronde chi
non ha mai
sentito nominare le gesta del grande capitano Jude Sharp?»
Jude non era particolarmente impressionato. Sapeva bene che le storie
sul suo conto circolassero da tempo, di nave in nave, da un oceano
all’altro.
Il capitano della Royal aveva incrociato le braccia al petto.
«E con ciò?», aveva domandato.
L’altro ragazzo s’era avvicinato a lui come un
fulmine.
«Scommettiamo che so esattamente dove stai
andando?»,
l’aveva provocato. Ora che s’era avvicinato, Jude
riusciva
a vederlo meglio: aveva occhi blu, della stessa tonalità del
mare.
Jude aveva inarcato un sopracciglio, le proprie labbra che avevano
preso la stressa piega di quelle dell’altro ragazzo, come se
ne
fosse diventato improvvisamente il riflesso.
«Non mi piace scommettere con gli sconosciuti»,
aveva
replicato, senza riuscire a nascondere un pizzico di seccatura nella
voce.
Il ragazzo dagli occhi azzurri aveva sogghignato, come se si fosse
appena ritrovato davanti ad un artefatto raro e prezioso, perduto da
secoli.
«Non c’è molto da sapere su di
me», aveva
sviato l’argomento l’altro. «Sono solo un
umile
viaggiatore in cerca di avventure, tutto qui.»
Jude non se l’era bevuta. Questa volta aveva sogghignato lui,
incrociando le braccia al petto.
«Impossibile», aveva sentenziato. «Sono
anni che navigo per mare e non ti ho mai visto prima.»
Il ragazzo sconosciuto s’era mosso di lato, con un movimento
morbido. «Se t’interessa così tanto,
allora sappi
che sono partito da Venezia.»
Jude aveva subito memorizzato l’informazione. Una delle
repubbliche marinare, il che voleva dire senza ombra di dubbio un
ottimo navigatore…
«Beh, se ti trovi qui però significa che sei
parecchio lontano da casa, no?», gli aveva domandato.
L’altro si era limitato a stringersi nelle spalle.
«Te
l’ho detto, sono un viaggiatore. Mi piace muovermi molto,
tutto
qui», s’era giustificato.
Jude non sembrava essere stato particolarmente persuaso da quella
spiegazione, il suo interlocutore tuttavia era sembrato ben poco
intenzionato a concedergli del tempo per riflettere.
«Ad ogni modo», aveva ripreso infatti
«sei abbastanza
temerario da avventurarti in un’impresa così
rischiosa
come la ricerca del tesoro fantasma ma non da accettare una semplice
scommessa?»
Jude s’era come immobilizzato sul posto. Com’era
possibile
che quel ragazzo sapesse che erano partiti alla ricerca del
tesoro…? Jude era certo di non averne fatto menzione con
nessuno.
«C-Cosa…», aveva balbettato, incredulo.
«Oh, le voci corrono più in fretta di quello che
immagini, capitano»,
aveva ripreso l’altro, senza perdere quel cipiglio divertito
che
l’aveva accompagnato fin dall’inizio della
conversazione.
«Ad ogni modo, ero passato solo per avvertirti che non avrai
vita
facile e…»
Il ragazzo s’era fermato di colpo. Jude non ne aveva compreso
da
subito il motivo, almeno finché dei rumori erano giunti
anche
alle sue orecchie.
Erano passi, e si susseguivano rapidi lungo il selciato.
Poi era arrivata anche una voce.
«Jude, sei qui?», aveva domandato qualcuno, che
Jude aveva riconosciuto subito essere quella di Ray.
Gli occhi azzurri dell’altro ragazzo sembravano essersi ora
riempiti di scintille.
«Questa deve essere la mia giornata fortunata»,
aveva mormorato, troppo piano perché Jude potesse sentirlo.
Un battito di ciglia dopo, Ray era comparso all’entrata del
vicolo.
«Eccoti, finalmente! Mi chiedevo dove fossi
finito…», aveva commentato entusiasta, in
riferimento al
capitano della Royal, nel momento in cui aveva posato gli occhi sulla
sua figura. Ben presto, però, aveva notato anche la presenza
dell’altro ragazzo.
Prima che Ray potesse prendere di nuovo parola, il ragazzo dagli occhi
azzurri si era mosso nella sua direzione, con un’espressione
estatica in volto.
«Allora è vero quello che si dice»,
aveva
constatato. «Il più grande pirata di tutti i tempi
ha
ripreso il largo assieme alla Royal! Che immensa fortuna!»
A Jude non piaceva nulla di tutta quella situazione. Non piaceva il
modo in cui quello sconosciuto l’aveva attirato nel vicolo,
non
piaceva come gli parlava e, soprattutto, adesso non gli piaceva affatto
il modo in cui ronzava attorno a Ray. Non aveva idea di quale
divinità l’avesse trattenuto fino a quel momento,
fermandolo dal passarlo a fil di spada, di colpo però tutto
l’autocontrollo di Jude stava andando pericolosamente a farsi
benedire. Finché si trattava solo di lui poteva anche
tollerarlo, ma il modo in cui quello sconosciuto si stava rivolgendo e
avvicinando a Ray lo mandava fuori di senno. Chi era? Che diavolo
voleva?
Ray, di per sé, sembrava piuttosto spiazzato. Osservava quel
ragazzo che non aveva mai visto, cercando di trovare in lui anche solo
un vago indizio ma, evidentemente, senza riuscirci.
«Uhm, sarei curioso di sapere con chi ho il piacere di
parlare…», aveva ammesso, infatti.
Lo sconosciuto s’era arrestato sul posto.
«Il mio nome?», aveva ripetuto. «Oh,
fidatevi, non è poi così
importante…»
Il giovane era scivolato di lato ancora una volta, passando oltre Ray.
«… ma non temete, ci rivedremo molto prima di
quanto possiate immaginare», aveva concluso.
Un secondo dopo, era uscito dal vicolo, svanendo nel nulla.
Ray si era voltato in direzione di Jude, con un’espressione
interrogativa dipinta in viso.
Negli occhi del ragazzo, tuttavia, non aveva trovato
nient’altro che rabbia.
Avevano ripreso la navigazione in serata.
Jude s’era rifugiato nei suoi appartamenti, rifiutando di
parlare
pressoché con chiunque. Ray era l’unico che era
riuscito a
seguirlo, ma, nonostante ciò, Jude non sembrava intenzionato
a
lasciargli proferire parola.
«È inaccettabile», aveva esordito,
aprendo
furiosamente la porta della sua stanza. «Quel tipo non
avrebbe
dovuto permettersi…!»
Ray si era affacciato oltre la soglia della porta, quasi timoroso di
avere a che fare col capitano della Royal in quelle condizioni.
«Oh, non esagerare, adesso», aveva commentato, con
tono
conciliante. «Con ogni probabilità non lo vedremo
mai
più in vita nostra…»
Jude s’era fermato al centro della stanza, serrando i pugni
con
rabbia. «N-Non è così!»,
aveva obiettato.
«Hai sentito anche tu quello che ha detto, no? “Ci
rivedremo molto prima di quanto possiate
immaginare”… non
mi pare che sia una frase che lascia aperte molte
prospettive…!»
Ray gli aveva sorriso, cercando di rassicurarlo.
«Beh, sai, a volte certe cose si dicono così, a
titolo di
minaccia, forse però voleva solo spaventarti e basta, non
intendeva mettersi davvero sulle tracce della
Royal…»,
aveva tentato ancora.
Jude l’aveva fissato. Per un momento sembrava essersi
calmato,
l’istante successivo tuttavia s’era voltato
nuovamente,
fumante d’ira.
«N-Non è solo questo!», aveva insistito
infatti.
«Pensi che non abbia visto il modo in cui ti guardava?
Sembrava
volerti saltare addosso da un momento all’altro!»
Ray aveva trattenuto a stento una risata. Certo che Jude era davvero
buffo quando si arrabbiava.
L’uomo, avendo compreso ormai cosa avesse scatenato tanta
rabbia
nel ragazzo, aveva preso coraggio, cominciando ad avvicinarsi a lui.
Non appena si era ritrovato alle sue spalle, gli aveva circondato la
vita con le braccia, come per una vecchia abitudine.
«Certo che a volte sei proprio uno sciocco», aveva
commentato, affondando il volto tra i suoi capelli.
Jude s’era mosso tra le braccia dell’uomo, fino a
che non s’era ritrovato faccia a faccia con lui.
«Non sottovalutarmi, Ray», aveva protestato,
indignato.
«Sono pur sempre il capitano di questa nave
e…»
Ray gli aveva premuto l’indice contro le labbra, con premura.
«… e ti sei fatto prendere dalla
gelosia», aveva
concluso. «Shh. Davvero credi che i toni suadenti di un
perfetto
sconosciuto possano adularmi? Il mio cuore l’ha
già rapito
un pirata dagli occhi rossi, anni fa, e non esiste nei sette mari
qualcuno che possa sperare di riuscirci a sua volta»
Le mani di Ray gli avevano circondato il volto e, sotto quel tocco
gentile, la sicurezza di Jude aveva vacillato.
Si sentiva così stupido per aver dubitato di lui. Ray gli
aveva
chiesto di seguirlo in quel nuovo viaggio per non restare lontano da
lui, come poteva ora Jude credere che un ragazzo che non avevano mai
visto prima avrebbe potuto portarglielo via tanto facilmente?
Jude aveva sospirato pesantemente, lasciandosi cadere col capo contro
il petto di Ray.
«Scusami», lo aveva pregato. «Non so cosa
mi sia
successo, ho lasciato che l’impulsività avesse la
meglio
su di me e…»
Era vero. Jude non era mai stato impulsivo. Era risoluto, quando si
trattava di dover adottare in fretta decisioni per proteggere la Royal
e il resto dell’equipaggio, ma nessuna delle sue scelte
venivano
prese senza essere state prima attentamente ponderate. In fatto di
sentimenti, però, era davvero una frana, così di
solito
finiva per reagire d’istinto, col rischio di combinare dei
disastri.
Ray gli aveva posato un bacio tra i capelli. «Sta’
tranquillo», lo aveva rassicurato. «Continuo a dire
che
avresti solo bisogno di riposarti, niente di più.»
Jude aveva scosso piano la testa. «Non posso, devo
controllare la rotta sulla mappa e…»
«No.» Ray gli aveva preso di nuovo il volto tra le
mani,
deciso. «Adesso io e te ci mettiamo nel letto, restiamo
vicini e
io veglio su di te finché non ti addormenti. Non puoi
pensare di
riuscire a condurre in modo efficace i tuoi uomini senza darti un
po’ di tregua. Come potresti prendere decisioni importanti se
non
sei lucido?»
Jude gli aveva rivolto il proprio sguardo, un accenno di sorriso sul
volto. Era grato a Ray per così tante cose, e sapeva che, in
fondo, aveva ragione anche quella volta.
Dormire tra le sue braccia, in fin dei conti, non avrebbe potuto essere
un’idea malvagia. Per la verità, Jude non riusciva
ad
immaginare nulla di più rilassante.
Così aveva posato la propria mano in quella di Ray e gli
aveva
permesso di condurlo verso il letto, anche se da lui si sarebbe
lasciato portare ovunque.
La notte si era rivelata più burrascosa del previsto.
Erano in pieno autunno, e le tempeste erano all’ordine del
giorno. Onde altissime avevano preso in ostaggio la nave e, per quanto
Jude si fosse aggrappato saldamente alla camicia di Ray, continuava
ugualmente a sentirsi sballottato con violenza.
C’era qualcosa che non gli tornava. Dopo l’incontro
con
quel ragazzo aveva continuato a percepire una strana sensazione e, per
quanto Ray cercasse di tranquillizzarlo, entrambi sapevano fin troppo
bene che il suo sesto senso difficilmente falliva.
Jude s’era tirato a sedere sul letto, facendo attenzione a
non
svegliare Ray. Il ragazzo faticava a prendere sonno: continuava a
pensare allo strano incontro con quello sconosciuto che aveva avuto nel
pomeriggio, senza riuscire a darsi pace. Come faceva a sapere che erano
sulle tracce del tesoro fantasma? Cosa voleva da loro?
Il capitano della Royal aveva scosso il capo. Sapeva che non sarebbe
riuscito ad addormentarsi, troppi i pensieri che gli affollavano la
mente. Così si era lasciato scivolare di lato e, continuando
a
fare attenzione a non svegliare Ray, era uscito dalla stanza.
Come aveva intravisto lanciando uno sguardo in direzione della vetrata,
fuori il buio regnava ancora sovrano, il che significava che doveva
essere notte fonda.
Nei corridoi della nave, in effetti, aleggiava il silenzio
più
assoluto. Gli uomini che non erano di guardia dovevano star dormendo
profondamente, di un giusto e meritato riposo.
Jude s’era incamminato lungo le assi lignee del pavimento,
che
così bene conosceva, attento a calibrare ogni scricchiolio.
Era
difficile, considerando che il mare in burrasca continuava a spostare
con violenza la nave da una parte all’altra, anni di
navigazione
tuttavia gli avevano insegnato a non perdere l’equilibrio in
una
situazione del genere.
Una volta dischiusa la porta che conduceva al ponte, s’era
reso
conto che la situazione era più complessa di quel che aveva
immaginato.
Una pioggia battente e intensa continuava a colpire impietosa la Royal,
mentre l’equipaggio faceva del suo meglio per non cadere in
mare.
Un uomo era affacciato oltre il parapetto e probabilmente stava
vomitando, un altro era stretto ad un barile di rum e stava rotolando
assieme ad esso.
Jude li avrebbe ripresi tutti, condannandoli per la loro
superficialità, se solo lui stesso non si fosse reso conto
che
quella che stavano affrontando era una tempesta di dimensioni
eccezionali.
Il capitato nella Royal aveva spostato lo sguardo di lato e, sebbene la
pioggia che continuava a colpirgli il volto gli rendesse difficile
vedere, era riuscito ad individuare la figura di David. Il suo vice era
aggrappato al parapetto del cassero, e sembrava l’unico che
riuscisse a mantenere una certa stabilità, oltre a non
soffrire
troppo per via delle onde.
Jude non ne era affatto sorpreso. David, d’altronde, aveva
diversi anni di navigazione alle spalle, pertanto aveva esperienza in
fatto di tempeste.
Jude s’era lasciato sfuggire un lieve sorriso,
dopodiché
aveva cominciato a salire su per le scalette che conducevano al cassero
di poppa.
David l’aveva notato quasi subito e, nonostante la pioggia,
Jude lo aveva visto ricambiare il suo sorriso.
«Capitano!», l’aveva salutato subito.
«Non mi aspettavo di vederti da queste parti!»
«Fatico a prendere sonno», gli aveva confessato
Jude.
«Piuttosto, qui sul ponte non mi sembrate messi
bene…»
David s’era portato una mano dietro alla nuca, come a disagio.
«Una tempesta coi fiocchi», aveva commentato.
«Già», aveva convenuto Jude.
«Eppure non
riesco a togliermi la sensazione che ci sia qualcosa di strano in tutto
ciò…»
«Che intendi?» David aveva urlato per farsi sentire
sopra
al ruggito del vento. «Quando siamo ripartiti eravamo
consapevoli
di star andando incontro a una tempesta…»
«Lo so...», aveva confermato il capitano.
«Ma ho un brutto presentimento…»
Jude era stato costretto a lasciare la frase in sospeso. Uno scatto
improvviso, infatti, aveva portato lui e David a voltare il capo di
lato.
Prima che potessero rendersi conto di cosa stesse succedendo, tuttavia,
qualcosa di grosso aveva impattato contro la Royal, facendoli cadere
all’indietro.
Erano stati fortunati a non cadere oltre i limiti del vascello,
c’era mancato davvero poco. In compenso, la caduta era stata
rovinosa, e adesso Jude si sentiva piuttosto indolenzito.
Il ragazzo aveva riaperto lentamente gli occhi rubizzi, trattenendo tra
i denti un ringhio di dolore. Aveva battuto la schiena con
così
tanta violenza da ritrovarsi col fiato mozzato, era un miracolo che non
avesse perso i sensi…
S’era reso conto in fretta, tuttavia, che non aveva tempo per
pensare al dolore. Un altro vascello era sfilato loro di lato,
sfruttando le onde furenti della tempesta. Quando s’era
ritrovata
fianco a fianco con la Royal, però, aveva colliso nuovamente
contro quest’ultima, e per Jude era stato fin troppo chiaro
che
non s’era trattato di un errore dovuto alla tempesta
indomabile,
ma di una manovra volutamente eseguita.
Il capitano della Royal aveva stretto con rabbia l’elsa della
propria spada tra le dita, dopodiché s’era
lanciato di
corsa giù dalle scale del cassero di poppa. Ogni tanto
avrebbe
voluto sbagliarsi, invece, a quanto pareva, il suo sesto senso non
voleva saperne di smettere di essere infallibile.
La porta che dava sull’interno del vascello –
nonché
la stessa da cui era acceduto al ponte poco prima – si era
aperta
nel momento in cui vi era passato accanto. Jude s’era sentito
afferrare per il polso, e aveva saputo di chi si trattasse prima ancora
di sentirne la voce.
«Jude!», l’aveva chiamato infatti la voce
concitata di Ray. «Che sta succedendo?»
«Siamo sotto attacco!», aveva tagliato corto il
ragazzo.
«Non so da dove sia uscita fuori questa
nave…»
Jude s’era interrotto nel momento in cui aveva incontrato
l’espressione terrea che s’era formata sul volto di
Ray.
«Jude, guarda la polena!», aveva urlato
l’uomo.
Il capitano s’era voltato e, non appena i suoi occhi avevano
individuato la polena della nave che s’era ormai affiancata
alla
Royal, un brivido gli aveva percorso la schiena.
Un uomo, lo sguardo rivolto alle proprie spalle.
Lo sguardo di Jude era volato verso il ponte di
quell’imbarcazione, e lì aveva individuato
qualcosa che
l’aveva allarmato ancor di più.
«No, tu
guarda il ponte!», aveva gridato di rimando.
Ray aveva seguito obbedientemente la sua indicazione, e il volto
dell’uomo non aveva potuto che diventare ancor più
terrorizzato.
Un ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli castani li fissava, un
sorriso beffardo sul volto.
Il giovane
dell’isola.
Come aveva fatto a raggiungerli? Li aveva seguiti fin da quando erano
salpati?
No, non era il momento di preoccuparsi per questo. Lui e la sua ciurma,
infatti, tenevano strette tra le mani delle cime, che avevano legato
alla trave che sosteneva la vela di mezzo. Non era difficile immaginare
cosa avessero intenzione di fare.
L’istante successivo, infatti, il ragazzo che avevano
incontrato
sull’isola aveva fatto un cenno in direzione dei suoi uomini,
e
quelli si erano subito lanciati in avanti, atterrando sul ponte della
Royal.
Jude non era riuscito a trattenere la rabbia oltre. S’era
liberato con forza dalla stretta di Ray, per poi lanciarsi in avanti,
sguainando la spada nel mentre.
Aveva individuato subito il suo obiettivo. Il problema, tuttavia, era
che il ragazzo si aspettava esattamente una mossa del genere. Aveva
sorriso nella sua direzione, facendo infuriare ancora di più
Jude e, nel momento in cui il capitano della Royal gli era stato
davanti, aveva già sfoderato a sua volta la spada, parandosi
dall’assalto senza sforzo.
Il ghigno soddisfatto non si era tolto nemmeno allora dal volto del suo
avversario, e Jude aveva ringhiato di rabbia e frustrazione, del tutto
intenzionato a strapparglielo via.
«Beh, avresti dovuto immaginare che vi avremmo raggiunti, capitano»,
lo aveva schernito l’altro.
Jude aveva digrignato i denti con maggiore intensità, e
aveva
spinto ancor di più la propria spada contro quella
dell’altro.
Intorno a loro aveva già cominciato ad infuriare la
battaglia,
ma né Jude né il suo avversario se ne stavano
curando.
Erano così concentrati nella loro lotta personale che nulla
avrebbe potuto distrarli.
Jude s’era reso conto subito di essersi trovato ad affrontare
un
avversario fuori dal comune. Ogni fendente che sferrava veniva
puntualmente parato dal suo avversario, che continuava a schivarlo con
facilità ed eleganza.
Questo, però, non faceva che farlo infuriare ancor di
più. Si muoveva veloce, troppo veloce, talmente tanto che
probabilmente aveva lasciato la guardia scoperta
un’infinità di volte, ma non riusciva a curarsene,
troppo
impegnato a sferrare attacchi a raffica, uno dietro l’altro.
La loro era una battaglia che sembrava più simile a una
danza
ipnotica. I passi del suo avversario erano precisi, calibrati, come se
conoscesse alla perfezione ogni centimetro della Royal.
Questo, però, non faceva che innervosire ancor di
più
Jude, al punto che cominciava ad avvertire la propria vista offuscarsi.
No. Non avrebbe risolto niente, così. Doveva concentrarsi.
Jude aveva osservato i piedi del suo avversario. Se solo fosse riuscito
a fargliene mettere uno in fallo…
«Mi hai chiesto il mio nome, oggi pomeriggio»,
l’aveva infastidito l’altro – forse aveva
intuito il
suo piano e stava cercando di distrarlo. «Ebbene, ora posso
dirtelo. Mi chiamo Paolo Bianchi, e sono il capitano della nave che
stanotte vi sconfiggerà, la Orpheus!»
Gli occhi di Jude si erano ridotte a due fessure.
«Non credo proprio!», aveva replicato.
Le loro spade avevano cozzato nuovamente e, questa volta, Jude era
riuscito a sopraffare il colpo. La sciabola di Paolo era volata in
alto, attraversando tutto il ponte, per poi cadere dalla parte opposta
a quella in cui i due si trovavano.
Paolo aveva alzato le mani, ma un sorriso beffardo aveva continuato a
campeggiare sul suo volto.
«A quanto pare ho vinto io», aveva commentato Jude,
trionfante.
«Tu dici?», gli aveva domandato Paolo.
«Strano,
perché sembra che qualcuno laggiù sia in
difficoltà…»
Jude s’era voltato senza nemmeno pensarci.
L’istante
successivo si era ammonito, perché quello avrebbe potuto
essere
tranquillamente un bluff di Paolo…
Invece ciò che aveva visto lo aveva fatto congelare per la
paura.
Ray era di spalle, nei pressi del castello di poppa. Un membro
dell’equipaggio della Orpheus, però, si stava
avvicinando
a lui in tutta fretta, stringendo un pugnale tra le mani.
Ray non avrebbe mai fatto in tempo ad accorgersene.
L’avrebbe colpito.
«Ray…», aveva mormorato Jude.
L’istante successivo, prima ancora che potesse rendersene
conto,
il capitano della Royal era scattato in avanti, in un’ultima,
disperata azione.
«No!»,
aveva gridato, un momento prima di intromettersi tra Ray e la lama.
Solo allora Ray s’era voltato, rendendosi conto di
ciò che stava succedendo alle sue spalle.
Lo spettacolo che gli s’era parato davanti, tuttavia, si era
rivelato essere a dir poco raccapricciante.
Un pirata teneva stretto tra le un pugnale insanguinato, mentre fissava
entrambi con un sorriso crudele.
Jude, davanti a lui, si teneva una mano sul fianco sinistro, dolorante,
cercando di fermare il sangue, che continuava a sgorgare a fiotti.
«Jude!», aveva urlato a sua volta, accorrendo in
avanti.
Le gambe del ragazzo avevano ceduto e lui s’era ritrovato a
rovinare verso terra, salvo poi essere afferrato da Ray un attimo prima
che le sue ginocchia potessero battere violentemente contro le assi di
legno.
Nel giro di pochi secondi, tutto intorno a Jude aveva iniziato a
vorticare vertiginosamente.
L’ultima cosa che ricordava era il sorriso vittorioso di
Paolo,
che ordinava ai suoi uomini la ritirata. Aveva ragione, aveva vinto lui.
Poi, il buio.
Caldo. Tanto, tanto caldo. E dolore.
All’improvviso tutto intorno a Jude era diventato sfocato.
Sapeva
di non essere più sul ponte, lo sentiva, perché
adesso
avvertiva una superficie morbida sotto di sé.
Un liquido era stato versato sulla sua pelle, e le fiamme lo avevano
avvolto ancora una volta.
«Capitano…»
La voce di David. Era un mormorio basso, sussurrato, eppure a Jude era
sembrato di sentirlo rotto dalle lacrime.
Perché piangeva?
«Coraggio, capitano! Tieni duro!»
Una voce più decisa. Joe, senza dubbio.
Che stava…
succedendo…
«Jude…»
Ray…
Ancora fiamme, ancora dolore. Dopo, tenebre ancora una volta.
Jude aveva perso cognizione dello scorrere del tempo.
Non aveva idea di quanto a lungo fosse rimasto privo di coscienza.
L’unica cosa che i suoi occhi chiusi riuscivano a vedere era
buio, come di notte fonda, e spesso continuava ad avvertire il proprio
corpo dilaniato dalle fiamme.
Se fosse stato sveglio, avrebbe saputo che era nella propria camera da
letto, intento ad agitarsi freneticamente tra le lenzuola e vittima di
una febbre alta che non gli lasciava tregua.
La ferita al fianco era assai profonda, e sebbene fosse stato
prontamente soccorso da David e gli altri adesso la ciurma era come
sospesa, in attesa che il loro capitano si riprendesse.
Ce l’avrebbe fatta. Aveva la tempra giusta.
Ray non si era mai mosso dal suo capezzale. Gli era rimasto accanto,
giorno e notte. Voleva esserci quando si sarebbe svegliato –
era
certo che si sarebbe ripreso –, e non aveva intenzione di
farsi
trovare assente se Jude avesse avuto bisogno di lui.
Una notte, in preda ai deliri, il ragazzo aveva preso ad agitarsi
sempre di più, mormorando nel mentre il nome
dell’uomo.
Quando se ne era reso conto, Ray si era avvicinato con cautela, attento
a non svegliarlo.
«R-Ray…», aveva biascicato ancora una
volta Jude.
Subito il capitano aveva avvertito un peso aggiungersi accanto a lui,
come se qualcuno gli si fosse inginocchiato vicino sul materasso. Due
mani avevano avvolto la sua, calda e tremante, col proprio tocco.
«Sono qui…», gli era parso di sentirsi
sussurrare.
Jude aveva mosso il capo sul cuscino, agitato.
«N-Non mi lasciare, ti prego… non mi
lasciare…», aveva mormorato ancora.
Ray si era chinato piano sul cuscino, posando un bacio sulla fronte del
ragazzo. Era bollente.
Quelli dovevano essere deliri dovuti alla febbre, nulla di
più.
Le dita di Ray avevano accarezzato le guance caldissime di Jude, ed
erano sembrate quasi gelide al contatto con la pelle del ragazzo.
«No che non ti lascio», gli aveva assicurato Ray.
Il volto di Jude era parso rilassarsi per un momento, diventare
sorridente quasi, ben presto tuttavia uno spasmo di dolore
l’aveva costretto a contrarsi di nuovo.
«N-Non mi lasciare…», aveva ripetuto, la
voce sul punto di essere rotta dalle lacrime.
Prima che potesse rendersene conto, il mondo era tornato ad essere una
spirale confusa di tenebra e fiamme.
▬
notes
Vi chiedo perdono fin da
subito, ma non ho molta voglia di parlare.
Ve l'avevo detto che i capitoli lunghi sarebbero arrivati. Questo conta
più di 8.000 parole, ma me lo sono letteralmente bevuto. Non
so
se sia un bene o un male.
Rispetto al prompt originale, adesso si potrebbe dire che io stia
vagando un po' alla cieca. L'anno scorso la mia mente aveva progettato
solo fino a Black Dust diciamocelo,
a me premeva che Jude e Ray si riunissero.
Poi, nel mentre, altre idee si sono aggiunte. Parlando della Orpheus,
inizialmente non doveva essere affatto presente nella storia, ma tanto
ormai il limite di 12.000 parole del contest l'avevo superato, e allora
tanto valeva aggiungere anche questo.
Già, perché i nostri amati protagonisti non fanno
in
tempo a liberarsi di un problema che subito ne spunta fuori un altro.
L'idea per l'assalto alla Zeus viene da Game of Thrones, lo ammetto.
Inizialmente doveva essere un richiamo totale alla Battaglia delle
Acque Nere, quindi la Pearl sarebbe dovuta esplodere senza altofuoco
però, rip.
Visto che però senza la nave secondaria non avrei saputo
dove
infilare gli uomini che da Black Dust decidono di seguire Ray, alla
fine ho optato per la più democratica e meno distruttiva
imboscata dalle falesie.
Comunque sì, sistemata la Zeus è tempo di
vedersela con
la Orpheus. Sfortunatamente, però, Jude, sebbene fosse
riuscito
ad avere la meglio contro Paolo, finisce per rimanere ferito salvando
Ray da un attacco alle spalle. Adesso non possiamo far altro che
pregare per il nostro povero capitano, sigh.
Abbiamo inoltre scoperto ciò a cui la Royal sta puntando,
ossia
questo tesoro fantasma. Ora che hanno la mappa in mano dovrebbe essere
tutto più facile, ma, come abbiamo visto, le insidie sono
dietro
l'angolo.
Mi scuso ancora una volta per l'eccessiva lunghezza di questo capitolo.
Purtroppo ho uno schema di pubblicazione ben preciso nella mia mente, e
se volevo rispettarlo non potevo fare altrimenti.
A presto –
sperando che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questa storia e
che non sia stato troppo spaventato dal muro di testo
dell'aggiornamento di oggi
Aria