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Autore: _ A r i a    20/08/2020    1 recensioni
{ Pirate!AU }
Per lunghi anni la Royal aveva imposto la sua egemonia su ciascuno dei sette mari. La nave pirata più temuta, più ammirata e, inevitabilmente, anche la più ricca. Nel corso delle loro innumerevoli scorribande avevano accumulato un bottino così considerevole che avrebbero potuto fermarsi su un’isola qualsiasi e vivere per sempre un’esistenza nello sfarzo e nel lusso più sfrenato.
Il capitano, tuttavia, probabilmente non ci sarebbe mai riuscito.
Jude, questo il nome di quel giovane uomo che, appena ventenne, guidava il più noto equipaggio pirata della storia, non aveva mai preso in considerazione l’idea di abbandonare quella vita di scorribande e razzie. Toccare terra lo innervosiva, ed era solito farlo solo se costretto.
Voleva viaggiare. Voleva visitare ogni angolo esplorabile del mondo. Sentire il vento tra i capelli lo faceva sentire vivo, potente.
Ed era per lui l’unica cosa che contasse.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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pirates

Vedere Ray camminare di nuovo lungo il ponte di una nave gli faceva battere il cuore in un modo così bizzarro.
Si sentiva talmente leggero che temeva che avrebbe potuto prendere il volo da un momento all’altro.
L’uomo si era voltato nella sua direzione, le lunghe code della giacca che indossava che dondolavano con lui, e si era ritrovato a sorridere non appena aveva incontrato l’espressione entusiasta del ragazzo.
«Che c’è? Trovi che abbia ancora dimestichezza nel camminare su queste assi?», gli aveva domandato.
Jude aveva ridacchiato, cominciando ad avviarsi nella sua direzione.
«Secondo me non hai mai perso quest’attitudine», aveva replicato. «Forse certe cose non si dimenticano mai, oppure è sempre stata dentro di te.»
Si erano ritrovati a pochi passi di distanza. Ray gli aveva circondato in fretta la vita con un braccio, attirandolo a sé, e Jude era scoppiato di nuovo a ridere.
Era così bello vederlo felice. Ray non avrebbe mai voluto vedere quel sorriso sparire dal suo volto.
Gli ultimi preparativi prima della partenza stavano per terminare. Quello che li attendeva si prospettava un viaggio lunghissimo, e per questo la stiva di entrambe le navi era stata riempita fino all’orlo.
Già, entrambe. Assieme alla Royal sarebbe salpata anche la Pearl, un veliero di dimensioni assai più modeste, ma che ospitava un discreto numero di pirati, tra cui Caleb, che era stato incaricato da Ray di occuparsi delle questioni di bordo. Se la Zeus era riuscita da sola a mettere in seria difficoltà la Royal, avrebbero avuto necessariamente bisogno di alcuni rinforzi se volevano sopraffarla.
Era un piano di Ray, su cui Jude s’era ritrovato a concordare. Insieme avevano programmato anche la strategia di offesa da attuare contro la Zeus, ma prima di tutto dovevano occuparsi di rintracciare la nave che cercavano.
Per fare questo, sarebbero dovuti salpare a loro volta in direzione delle Azzorre. Lungo la strada pianificavano di tanto in tanto di fermarsi, presso alcuni lidi strategici, per chiedere se qualcuno avesse informazioni sulla rotta seguita dalla Zeus.
Ray aveva inoltre ottenuto il compromesso da parte di Jude di poter viaggiare assieme a lui sulla Royal, e Jude era stato ben lieto di concederglielo. La loro relazione continuava a non essere esplicita, eppure entrambi sapevano che le voci sul loro conto si rincorressero di bocca in bocca, e gesti come quello di poco prima non facevano altro che farle aumentare.
Sfortunatamente, però, ai due non interessava più niente di tutto questo.
Potevano stare di nuovo assieme. Non dovevano più temere di essere separati, di non vedersi per anni.
E questo era tutto ciò che contava, davvero.


La notte lo sciabordio delle onde che s’infrangevano contro lo scafo della nave era il rumore più rilassante che Jude riuscisse ad immaginare.
La presenza di Ray nella sua stanza la rendeva magicamente più luminosa. Le candele scintillavano sulla scrivania traboccante di carte di navigazione, mentre la luna faceva capolino attraverso la grande vetrata.
Le dita di Ray gli accarezzavano le labbra, e Jude, tra le sue braccia, si sentiva così in pace, così libero.
Così felice.
Il ragazzo aveva sospirato stancamente, strofinando il capo contro il petto dell’amante.
«Detesto darti ragione, ma… avevi ragione», aveva ammesso. «Tutto l’oro del mondo non potrebbe mai valere tanto quanto la quiete che provo in questo momento.»
Ray aveva sogghignato. «La verità è che sei troppo orgoglioso per ammetterlo», gli aveva fatto notare.
Jude si era sollevato, solo per poter soffiare sulle labbra dell’altro. «Da qualcuno dovrò pur aver preso», aveva replicato.
Ray lo aveva attirato a sé, baciandolo ancora una volta. Jude non poteva fare a meno di lui, ma quel discorso valeva anche per se stesso e lo sapeva fin troppo bene.
Il ragazzo aveva strofinato la punta del naso contro la sua. Improvvisamente una strana luce era comparsa nei suoi occhi.
«C’è una cosa che non ti ho detto», aveva ammesso.
«Uhm?» Ray gli aveva rivolto un’espressione confusa.
Per tutta risposta, Jude s’era alzato dal letto. Aveva percorso la stanza a piedi nudi, solo un lenzuolo a coprirgli il corpo.
«Poche settimane prima dell’assalto», aveva cominciato «abbiamo fatto scalo in un piccolo porto. Mentre eravamo lì ho sentito alcune informazioni interessanti circa la mappa del tesoro fantasma…»
Ray aveva roteato gli occhi. Quando era il capitano della Black Dust, quella mappa era diventata la sua ossessione, e Jude lo sapeva bene. Per anni aveva letteralmente inseguito una chimera, muovendosi di porto in porto nella speranza di trovare informazioni utili per la sua ricerca.
Ovviamente, nessuna di esse si era rivelata essere utile. All’epoca quella ricerca era divenuta motivo di scontro tra lui e Jude: il ragazzo lo aveva pregato più e più volte di abbandonarla, perché temeva che lo avrebbe condotto alla pazzia. Alla fine, se aveva deciso di abbandonare la pirateria e di fermarsi su un’isola, era stato soprattutto per cercare di dimenticarsi di quella storia.
C’era riuscito, fino a quel momento. Ray non capiva perché fosse stato proprio Jude a tirare di nuovo fuori quel discorso, lui che così a lungo aveva insistito affinché se ne dimenticasse, tuttavia proprio per questo era preoccupato: temeva, infatti, che la sua stessa ossessione avesse finito per contagiare il ragazzo che amava.
Ray aveva sospirato, mentre un lieve sorriso si formava sul suo volto. «Già, un tesoro fantasma, qualcosa che nessuno ha mai visto, l’hai sempre detto anche tu. Qualcosa che non c’è, dunque.»
«E se non fosse così?»
Ray aveva sollevato il capo.
«E se in realtà quel tesoro esistesse?», aveva insistito Jude. «E se in realtà ci fosse un modo per trovarlo?»
«Jude…»
«C’è qualcosa che non va nelle mappe, Ray», aveva esclamato il ragazzo. L’uomo si era alzato pazientemente in piedi, raggiungendo il giovane presso la scrivania a cui si era seduto.
«Beh, questa era una teoria già diffusa parecchi anni fa…», aveva ammesso Ray.
«Non è solo una teoria!», aveva insistito Jude. «Guarda! Queste sono due mappe dello stesso identico posto e, come vedi, la rappresentazione è assai diversa!»
Jude gli aveva porto le mappe, e Ray si era ritrovato ad osservarle attentamente.
Conosceva bene quella zona, ci si era ritrovato a passare davanti decine di volte. E, in effetti, una delle due mappe presentava un’imprecisione: in essa, infatti, non erano rappresentate diverse insenature della costa.
«Cosa può voler dire questo, secondo te?», aveva domandato Ray.
«Probabilmente le mappe in circolazione non riportano la presenza del luogo in cui è nascosto il tesoro», era stata la risposta. «Dev’esserci un’unica mappa giusta, che indichi quale sia la strada giusta da percorrere. Il problema è che non ho la più pallida idea di dove sia.»
Ray aveva carezzato con apprensione il capo di Jude. Il suo sguardo si era perso all’esterno, oltre la vetrata, nel buio della notte, tra onde bianche di spuma che si rincorrevano e la luna che, in cielo, brillava come una pietra preziosa.
«E come la troverai?», aveva domandato.
«Non lo so», aveva risposto Jude. «Ma ho come la sensazione che sia più vicina di quanto possa immaginare.»


Byron Love aveva sempre cercato di essere un buon capitano.
Decidendo di salpare con la Zeus, si era ripromesso di affrontare quella nuova avventura al meglio delle sue possibilità, circondato da uomini che gli avevano sempre dimostrato la sua lealtà.
Dopo la sosta a Black Dust si erano riforniti di provviste a sufficienza per mesi, e l’attacco alla Royal era stata la loro più grande fortuna.
Solo a ripensarci, non poteva fare a meno di domandarsi se fosse successo davvero.
Avevano assaltato la nave più forte di tutti i tempi ed erano riusciti a sottrarre al suo equipaggio un forziere pieno d’oro.
Avrebbero potuto sostentarsi per anni solo grazie a quello.
Per questo aveva deciso che avrebbero potuto muoversi con calma d’ora in avanti. Si erano fermati in una piccola cala per la notte, protetti dalle correnti oceaniche grazie alle alte falesie all’ingresso della baia.
Era una notte tranquilla, con vento pressoché assente e la luna, calante nel cielo, che illuminava appena il paesaggio.
La maggior parte dell’equipaggio era sottocoperta, a riposarsi per la notte. Byron si sentiva piuttosto stanco, per cui quasi certamente avrebbe a breve raggiunto a sua volta la propria stanza. Stava giusto ultimando un controllo sul ponte, i pochi uomini presenti intenti a sorseggiare liquore e a giocare a carte.
Era allora che era successo.
Una nave piccola, quasi invisibile aveva fatto ingresso all’interno della cala. Byron aveva inizialmente creduto di essersela sognata, infatti aveva dovuto battere le palpebre e strizzarle diverse volte prima di essere certo di non avere avuto un miraggio.
«Ehi», aveva richiamato in fretta uno dei suoi uomini, che gli si era subito avvicinato. «La vedi anche tu?»
«Affermativo», gli aveva risposto Jeff Iron, quello il nome del membro che l’aveva raggiunto. «Sembra un’imbarcazione piuttosto piccola, però.»
Byron si era leccato nervosamente le labbra. «C’è qualcosa di strano», aveva commentato. «Non hanno nemmeno mezza fiaccola accesa, come fanno a navigare senza? E poi si muovono così lentamente…»
«Che facciamo, allora?», aveva domandato Jeff, passandosi nervosamente una mano tra i capelli violetti.
«Aspettiamo», era stata la conclusione di Byron.
E avevano atteso. La nave in effetti si muoveva con particolare lentezza, come se a spingerla fossero soltanto le scarse correnti che dall’oceano penetravano nella cala.
Nel frattempo, sul fianco della Zeus volto in direzione della piccola barca s’era formato un capannello: tutti gli uomini presenti sul ponte, infatti, s’erano radunati attorno a Byron che, le dita serrate attorno al parapetto, valutava il da farsi.
C’era qualcosa che non gli tornava, in tutta quella questione. Era come se una sensazione macabra avesse cominciato a martellargli le ossa, ma non aveva alcuna idea del perché.
Forse si stava solo lasciando suggestionare troppo. Di recente stava andando tutto per il verso giusto, per cui aveva cominciato a temere di poter compiere un passo falso da un momento all’altro.
Così, aveva cercato di scacciare quel pensiero dalla sua mente.
Nel frattempo, la nave s’era avvicinata sempre di più.
«Prendete i rostri», aveva ordinato Byron.
Subito, nel ricevere il suo ordine, due uomini s’erano mossi, raggiungendo di nuovo poco dopo il parapetto trasportando le grandi travi. Avevano agganciato senza difficoltà l’altra nave, avvicinandosi ad essa.
Una volta che le due fiancate s’erano ritrovate a collidere l’una contro l’altra, tuttavia, il senso di inquietudine di Byron non aveva fatto altro che accrescere.
Il ponte, infatti, era deserto. Nessun uomo sembrava essere presente, né lì né in nessun altro punto della nave.
Una porta si era aperta, e dall’interno della nave era riemerso Henry House, il suo vice.
«Capitano», l’aveva chiamato. «Ho sentito dei rumori e mi sono affrettato a raggiungervi. Che cosa succede?»
Byron aveva scosso la testa. «Non lo so nemmeno io», aveva ammesso. «Questa nave ha fatto ingresso nella cala molto lentamente e…»
Un sibilo.
Subito dopo, il rumore secco di un colpo che andava a segno.
Byron aveva sollevato lo sguardo, il terrore più puro negli occhi.
Una freccia infuocata aveva colpito la vela maestra della nave.
Nel momento esatto in cui aveva reclinato il capo verso l’alto, inoltre, una seconda freccia li aveva raggiunti.
E, d’improvviso, tutto era stato chiaro.
«Un’imboscata!», aveva gridato. «Dobbiamo subito andare via da…»
Troppo tardi.
Una nuova nave era già comparsa all’ingresso della cala.
«Rostri», aveva ordinato Jude, impassibile.
In piedi a prua della nave, osservava la disfatta della Zeus non senza una certa soddisfazione.
In fin dei conti, il merito di quel piano era anche suo.
In cima alle falesie, Caleb e Herman avevano scagliato le frecce infuocate. Ma il vero colpo di genio era stato lasciar entrare nella cala la Pearl senza equipaggio a bordo, sfruttando solamente le correnti oceaniche esterne. Era stato Ray, che ben conosceva i moti di quella zona, a dargli l’idea.
E Jude non avrebbe potuto esserne più elettrizzato.
David e Joe erano corsi verso il parapetto, rostri alla mano.
«È andato tutto secondo i nostri piani.»
Jude aveva sentito Ray avvicinarsi lentamente, e non aveva potuto fare a meno di sorridere.
«Dovresti esserne fiero», aveva replicato.
Ray lo aveva stretto a sé, poggiandogli le labbra sul collo. «Sono fiero di te», aveva precisato.
L’equipaggio della Royal, nel frattempo, aveva aggirato la Pearl, agganciando coi rostri la Zeus.
Byron e i suoi uomini, tuttavia, sembravano ben lontani dall’arrendersi. Una feroce battaglia era già scoppiata tra le due parti, sebbene la Royal, in netta superiorità numerica assieme all’equipaggio della Pearl, fosse già sul punto di sopraffarli.
Byron aveva serrato i pugni, fumante di rabbia.
«Henry!», aveva gridato. «Corri ad aiutare‒»
La punta di una sciabola era stata premuta contro la sua gola.
«Un buon capitano lotta assieme ai suoi uomini.»
Un brivido aveva percorso la schiena di Byron.
Davanti a lui, in tutta la sua terrorizzante potenza, Jude Sharp sembrava volerlo incenerire col solo sguardo.
Byron aveva deglutito a vuoto, posando la mano sulla propria spada, ancora riposta nel fodero.
«Sarebbe stato sciocco non aspettarsi un contrattacco da parte vostra», aveva commentato.
Byron aveva sfoderato la spada e subito aveva eseguito un affondo ben piazzato in direzione di Jude. Sfortunatamente, però, il colpo era andato a vuoto.
Era così cominciato uno scambio serrato. Jude aveva subito contrattaccato, e ogni suo fendente finiva per andare a colpo. Byron riusciva a pararsi a fatica, per quanto se la cavasse bene anche lui con la spada non avrebbe mai potuto trovarsi sullo stesso livello di Jude. Ogni attacco che il capitano della Zeus sferrava finiva per andare a vuoto, o per essere elegantemente parato dall’altro.
Le spade avevano cozzato di nuovo, e in quel momento s’era reso conto che Jude l’aveva messo ancora una volta in trappola.
Il capitano della Royal l’aveva disarmato senza sforzi, facendo volare la sua spada in mare. Byron, invece, si era ritrovato ad inciampare sugli scalini che conducevano al castello di prua, finendo per cadere rovinosamente a terra.
Non aveva avuto nemmeno il tempo di sollevare lo sguardo che s’era ritrovato la sciabola di Jude ancora una volta puntata al volto.
«Tutto qui?», aveva domandato il capitano della Royal, un sorrisetto sbeffeggiante sul volto.


Sopraffare la Zeus era stata questione di pochi minuti.
Disarmati i loro avversari, i ragazzi della Royal erano scesi sottocoperta, razziando ciascuno dei beni più preziosi all’interno del vascello.
Jude era rimasto sul ponte, le braccia conserte, intento ad osservare la distruzione che aveva creato.
La voce improvvisa di David, tuttavia, aveva richiamato la sua attenzione.
«Capitano!», aveva esclamato infatti. «Guarda qui!»
Jude si era accigliato. Il suo vice gli stava correndo incontro, con fare concitato, tenendo un foglio tra le mani.
Non appena glielo aveva consegnato, Jude aveva capito subito che non si trattava di una semplice mappa.
«Ray», aveva chiamato.
Dark si era voltato nella sua direzione con espressione interrogativa, cominciando tuttavia a raggiungerlo nel mentre.
Non appena l’uomo era stato al suo fianco, Jude gli aveva porto la pergamena con estrema attenzione.
Nel momento esatto in cui gli occhi di Ray si erano posati sul piano di navigazione, lo sgomento più totale era comparso sul suo volto.
«Non ci posso credere…», aveva mormorato, esterrefatto.
Jude s’era voltato in direzione di Byron. «Come avete avuto questa mappa?», aveva domandato.
Byron aveva sbuffato, sorridendo sprezzante. «Non avete idea dei tesori incommensurabili che si trovano in certi mercati indiani.»
Jude s’era irrigidito. Se aveva veramente tra le mani ciò che pensava…
Avrebbe voluto prendere in disparte Ray e parlarne immediatamente. Il suo dovere di capitano, tuttavia, gli imponeva di restare lì, almeno fino a quando la situazione con la nave nemica non si fosse risolta.
Così tanti pensieri avevano preso ad affollargli la mente, in quel momento…
«Devo avvisarvi di una cosa, però.»
La voce di Byron aveva richiamato in fretta Jude alla realtà. Il ragazzo, tuttavia, era sorpreso: credeva che il capitano della Zeus non avesse altro da dirgli.
«Meno di un mese fa siamo entrati in collisione con un altro vascello. Ora, non avevo mai visto quest’imbarcazione, per cui devono aver iniziato a solcare i mari da poco. Fatto sta che uno dei loro uomini è riuscito ad entrare sottocoperta e, nella foga dell’assalto, nessuno di noi se ne è accorto. Quando è uscito, aveva un foglio con sé. Non appena l’ho visto ho temuto che si trattasse della mappa, ma una volta che siamo riusciti a respingerli sono sceso a controllare e l’ho trovata dove l’avevo lasciata. Il che mi ha fatto pensare che forse quel tipo, nel poco tempo in cui è rimasto là sotto, sia riuscito a segnarsi una copia del percorso.»
Jude aveva sogghignato tra sé: se fosse andata diversamente, le cose per lui sarebbero state fin troppo facili.
«Perché me lo stai dicendo?», aveva domandato. «Tu che ci guadagneresti da tutta questa questione?»
«Niente.» Byron, le mani legate dietro la schiena da una corda resistente, aveva scrollato le spalle. «Ma non mi piacciono i topi che se ne vanno in giro per le navi altrui a prendere copie delle mappe. Se li troverete lungo il vostro percorso, e sono quasi sicuro che sarà così, vi auguro di annientarli nel peggiore dei modi.»
Jude aveva sbuffato. Quella storia lo preoccupava solo in parte: si sarebbero trovati degli avversari contro? D’accordo, non era la prima volta che succedeva né certamente l’ultima. Se ne sarebbero occupati e li avrebbero sconfitti, come in qualsiasi altra occasione.
«Sai dirmi qualcosa di questa nave?», gli aveva chiesto ancora.
«Non molto», aveva ammesso Byron. «Però una cosa la ricordo: la polena della loro nave era un uomo con lo sguardo rivolto alle proprie spalle. Ed è strano, perché di solito le polene guardano sempre in avanti…»
Jude si era voltato in direzione di Ray.
«Mi viene in mente Orfeo», gli aveva confessato. «Dopo la morte della sua amata, Euridice, era sceso nell’Ade per riportarla indietro, e gli era stato concesso un compromesso: avrebbe potuto ricondurre Euridice nel mondo dei vivi, ma durante il tragitto non si sarebbe dovuto mai voltare indietro. Lui, però, non seppe resistere: si voltò, e la sua amata svanì nel nulla.»
Jude aveva scrollato le spalle. «Beh», aveva commentato. «Almeno adesso sappiamo chi avremo contro di noi.»
Jude s’era voltato, intenzionato a fare ritorno sulla Royal. Aveva scoperto troppe cose nuove tutte assieme, aveva bisogno di tempo per riordinarle e cercare di arrivare a una conclusione.
David, tuttavia, l’aveva chiamato ancora una volta.
«Capitano, di questi che cosa ne facciamo?», gli aveva domandato infatti.
Le persone a cui il suo vice si riferiva erano i membri dell’equipaggio della Zeus che avevano fatto prigionieri, Jude lo sapeva bene. In un’altra occasione, forse, colpito dall’onestà di Byron li avrebbe lasciati tutti andare.
Jude si era voltato in direzione di Ray.
L’uomo lo stava osservando attentamente. Aveva un’espressione imperscrutabile in volto.
La Zeus aveva attaccato la Royal, e Jude aveva giurato a se stesso che gliel’avrebbe fatta pagare per questo. C’era qualcosa di più personale, tuttavia, Jude lo sapeva bene.
Era il desiderio, insito in lui, di non deludere le aspettative di Ray.
Fin da quando aveva cominciato a viaggiare per mare con una flotta tutta sua, Jude s’era impegnato a guadagnarsi la fama di pirata più temibile di tutti i tempi, la stessa che in precedenza era stata attribuita a Ray.
Non aveva mai voluto essere da meno rispetto al suo mentore. E voleva dimostrargli, inoltre, che il valore che tanti anni prima aveva intravisto in lui non era stato un miraggio.
«Gettateli in mare», aveva concluso.
Jude era tornato sulla Royal, lasciandosi le grida dei prigionieri della Zeus alle spalle.


Jude non riusciva a smettere di camminare nervosamente attraverso la sua stanza.
«Se veramente questa mappa… questa mappa…», aveva farfugliato.
Erano rientrati nella camera del ragazzo poco prima. Da allora, Jude non era riuscito a smettere di muoversi freneticamente, idee e rabbia che continuavano ad affollargli la mente.
Ray, la schiena poggiata a una delle colonne del baldacchino, non aveva mai smesso di fissarlo, nemmeno per un secondo.
Il ragazzo non ci aveva dato peso. Si era lanciato in direzione della scrivania, confrontando le carte che aveva in mano con altre che aveva lì impilate.
Identiche, almeno in apparenza.
La mappa che avevano ritrovato sulla Zeus, invece, riportava alcuni elementi che Jude non aveva mai visto da nessun’altra parte, prima d’ora. Era per questo che si sentiva così agitato, così confuso, così disperatamente bisognoso di riuscire a comprendere ciò che ora si trovava davanti ai suoi occhi.
Ray, al contrario, non poteva che sentirsi preoccupato. Avrebbe voluto poter strappare Jude da quella sua frenesia, perché più i minuti passavano e più il ragazzo gli sembrava lontano, distante.
Stai davvero diventando come me, Jude?
Ray aveva sospirato pesantemente, e ancora una volta Jude aveva continuato a ignorarlo. Allora l’uomo si era mosso in avanti, cominciando ad annullare lentamente la distanza che li separava.
«Jude», l’aveva chiamato piano, con dolcezza, una volta che si era ritrovato dietro di lui.
Aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita, e il modo in cui Jude s’era subito irrigidito aveva fatto sorridere Ray. Gli aveva posato un bacio tra i capelli, cercando di distrarlo.
«Non pensarci, adesso», gli aveva consigliato. «Impazzire su queste carte non ti servirà a niente. Avrai la soluzione chiara davanti agli occhi quando meno te l’aspetterai…»
Jude aveva scosso il capo, testardo.
«Non posso», aveva insistito. «Devo cercare di capire perché nelle mie mappe quel percorso non fosse mai stato riportato…»
«Shh…» Ray era sceso a baciargli il collo, lasciando scivolare una mano sotto la camicia del ragazzo e cominciando a carezzargli il petto con calma. «Hai bisogno di riposarti…»
Le labbra di Jude s’erano dischiuse in un fremito, lasciando sfuggire un sospiro incantato. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi, sensazioni piacevoli che subito l’avevano invaso.
In quel momento ogni cosa era diventata offuscata e priva di utilità. Jude riusciva solo a percepire lo sciabordio delle onde, fuori, e il fruscio dei vestiti, dentro.
E andava bene anche così.



Aveva perso il conto dei giorni in cui non c’era stato altro che mare.
Avevano navigato senza sosta per settimane, mesi quasi. Adesso, però, era venuto il momento di fermarsi.
Erano approdati nel porto di una ridente cittadina, e Jude l’aveva intuito dall’aria che respirava lì. La salsedine del mare si mischiava ai colori dorati delle spiagge e al bianco e alle tonalità chiare dei muri delle case.
La gente sembrava così felice. Jude non riusciva a capire tutto quello che dicevano, ma avevano un tono così allegro, così caldo…
David s’era seduto sulle assi di legno del molo con un sospiro stanco.
«Ah, ogni tanto mi dimentico di quale sensazione si provi a stare sulla terraferma…», aveva commentato.
Jude non lo biasimava. Era buffo per lui non avere i piedi su una superficie instabile, come quella della nave mossa dalle onde.
Joe aveva ignorato il vice della Royal. «Che facciamo, capitano?», aveva domandato, voltandosi verso Jude.
«Voi fate rifornimento di tutto quello che ci serve dai mercanti del porto», aveva ordinato.
Joe aveva sollevato un sopracciglio. «Noi?», aveva ripetuto, confuso.
«Sì», aveva confermato Jude. «Io voglio addentrarmi un momento all’interno della città. Chiederò alcune informazioni in giro, cercando di apparire quanto meno sospetto possibile, riguardo alla nostra meta. Conto di metterci meno di un’ora»
Joe aveva annuito, comprensivo.
Jude s’era incamminato verso il centro della cittadina. No, non avrebbe aspettato Ray. Ultimamente l’uomo sembrava volergli mettere i bastoni fra le ruote per quanto riguardava la sua ricerca, ed era buffo, considerando che un tempo era stato lui ad esserne ossessionato.
No, s’era detto Jude. Avrebbe potuto cavarsela benissimo da solo. Era stato da sempre così, anche nel momento in cui era salpato con la Royal e Ray era rimasto a Black Dust.
Poteva farcela. Dopotutto, cosa sarebbe potuto andare storto?


Le strade della città erano affollate di persone. Ognuno si muoveva lungo il proprio percorso, chi vagava in cerca di stoffe pregiate tra i banchi dei mercati, chi trasportava casse traboccanti di frutta esotica.
E poi c’era Jude.
Teneva la mappa del tesoro fantasma gelosamente custodita tra le dita, come temendo che qualcuno potesse strappargliela da un momento all’altro.
Oh, avrebbero potuto, in effetti. Jude non stentava a credere che ci fossero uomini pronti a uccidere qualcuno pur di impossessarsi di quel pezzo di carta, se solo avessero saputo di che cosa si trattava.
Uomini che si trovavano anche in quell’isola, con ogni probabilità.
Jude non riusciva a biasimarli. Era certo che anche lui, se si fosse trovato al loro posto, avrebbe agito esattamente nello stesso modo. A volte stentava ancora a credere alla fortuna che gli era capitata, si era letteralmente ritrovato per caso tra le mani la più preziosa carta di navigazione che fosse mai esistita nella storia dei…
Un’ombra.
Un movimento repentino aveva attirato l’attenzione di Jude. Era stato così fulmineo che, per un momento, aveva creduto di esserselo immaginato.
Poi, però, era successo di nuovo.
Si era spostato. Prima gli era letteralmente passato davanti agli occhi, poi si era mosso di lato, a destra, tra i banconi del mercato.
C’era qualcosa di strano. Jude aveva iniziato a percepire una strana sensazione di pericolo, e probabilmente avrebbe fatto meglio a fuggire via di lì a gambe levate.
C’era qualcosa, però, che lo attirava, lo costringeva a restare, a seguire quell’ombra.
L’aveva vista saettare di nuovo, questa volta in avanti. Così, prima ancora che potesse rendersene conto, aveva iniziato a rincorrerla, i piedi che battevano senza sosta sui ciottoli della strada.
L’ombra l’aveva condotto fuori dal centro cittadino, e la cosa aveva preoccupato non poco Jude. Più si allontanava e più quella gli sembrava una trappola bella e buona, considerando soprattutto che si stavano ormai addentrando in viottoli labirintici, pieni di casupole tutte identiche, le mura che, colpite dal sole, sembravano essere violacee.
Jude s’era ritrovato a domandarsi se sarebbe mai riuscito ad uscire da lì.
Sentiva i propri passi rincorrersi uno dietro l’altro, frenetici, mentre aveva ormai perso il senso dell’orientamento. L’ombra prendeva senza esitazioni una svolta, poi un’altra e subito dopo un’altra ancora, senza sosta, come se sapesse esattamente dove stesse andando, a differenza di Jude.
Questo non faceva altro che spaventare ancora di più il capitano della Royal.
Poi, di colpo, l’ombra aveva svoltato ancora.
Di nuovo, Jude l’aveva seguita, ritrovandosi allibito tuttavia una volta resosi conto del luogo in cui ora si trovava.
Un vicolo cieco.
Oh, davvero? Aveva fatto tutta quella strada solo per rimanere intrappolato?
Il ragazzo lo aveva percorso, il proprio respiro affannoso che non aveva smesso nemmeno per un momento di rimbombargli nelle orecchie. Cosa significava tutto questo? Si era sognato tutto? Forse aveva ragione Ray, ultimamente aveva accumulato una dose immane di stress e forse avrebbe fatto meglio a riposare un po’.
Dell’ombra non sembrava esserci più nessuna traccia.
«Cercavi me?»
Jude era sobbalzato sul posto, preso di soprassalto.
La voce che aveva sentito era giunta da dietro di lui, così s’era voltato. Assurdo, quando era entrato nel vicolo era certo che non ci fosse nessuno alle sue spalle…
Adesso, invece, un ragazzo che non aveva mai visto prima di allora lo stava fissando, le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata contro un muro.
Aveva un sorriso scaltro dipinto in volto, e una zazzera di disordinati capelli castani che gli ricadevano sul viso. Una morbida camicia turchina avvolgeva il suo busto, e un cappello da corsaro era posato sul suo capo.
«Sono certo che non ci siamo mai incontrati prima d’ora…», aveva obiettato Jude.
Il sorriso sul volto dell’altro sembrava essersi accentuato.
«Beh, io però ho sentito a lungo parlare di te», aveva continuato lo sconosciuto. «D’altronde chi non ha mai sentito nominare le gesta del grande capitano Jude Sharp?»
Jude non era particolarmente impressionato. Sapeva bene che le storie sul suo conto circolassero da tempo, di nave in nave, da un oceano all’altro.
Il capitano della Royal aveva incrociato le braccia al petto.
«E con ciò?», aveva domandato.
L’altro ragazzo s’era avvicinato a lui come un fulmine.
«Scommettiamo che so esattamente dove stai andando?», l’aveva provocato. Ora che s’era avvicinato, Jude riusciva a vederlo meglio: aveva occhi blu, della stessa tonalità del mare.
Jude aveva inarcato un sopracciglio, le proprie labbra che avevano preso la stressa piega di quelle dell’altro ragazzo, come se ne fosse diventato improvvisamente il riflesso.
«Non mi piace scommettere con gli sconosciuti», aveva replicato, senza riuscire a nascondere un pizzico di seccatura nella voce.
Il ragazzo dagli occhi azzurri aveva sogghignato, come se si fosse appena ritrovato davanti ad un artefatto raro e prezioso, perduto da secoli.
«Non c’è molto da sapere su di me», aveva sviato l’argomento l’altro. «Sono solo un umile viaggiatore in cerca di avventure, tutto qui.»
Jude non se l’era bevuta. Questa volta aveva sogghignato lui, incrociando le braccia al petto.
«Impossibile», aveva sentenziato. «Sono anni che navigo per mare e non ti ho mai visto prima.»
Il ragazzo sconosciuto s’era mosso di lato, con un movimento morbido. «Se t’interessa così tanto, allora sappi che sono partito da Venezia.»
Jude aveva subito memorizzato l’informazione. Una delle repubbliche marinare, il che voleva dire senza ombra di dubbio un ottimo navigatore…
«Beh, se ti trovi qui però significa che sei parecchio lontano da casa, no?», gli aveva domandato.
L’altro si era limitato a stringersi nelle spalle. «Te l’ho detto, sono un viaggiatore. Mi piace muovermi molto, tutto qui», s’era giustificato.
Jude non sembrava essere stato particolarmente persuaso da quella spiegazione, il suo interlocutore tuttavia era sembrato ben poco intenzionato a concedergli del tempo per riflettere.
«Ad ogni modo», aveva ripreso infatti «sei abbastanza temerario da avventurarti in un’impresa così rischiosa come la ricerca del tesoro fantasma ma non da accettare una semplice scommessa?»
Jude s’era come immobilizzato sul posto. Com’era possibile che quel ragazzo sapesse che erano partiti alla ricerca del tesoro…? Jude era certo di non averne fatto menzione con nessuno.
«C-Cosa…», aveva balbettato, incredulo.
«Oh, le voci corrono più in fretta di quello che immagini, capitano», aveva ripreso l’altro, senza perdere quel cipiglio divertito che l’aveva accompagnato fin dall’inizio della conversazione. «Ad ogni modo, ero passato solo per avvertirti che non avrai vita facile e…»
Il ragazzo s’era fermato di colpo. Jude non ne aveva compreso da subito il motivo, almeno finché dei rumori erano giunti anche alle sue orecchie.
Erano passi, e si susseguivano rapidi lungo il selciato.
Poi era arrivata anche una voce.
«Jude, sei qui?», aveva domandato qualcuno, che Jude aveva riconosciuto subito essere quella di Ray.
Gli occhi azzurri dell’altro ragazzo sembravano essersi ora riempiti di scintille.
«Questa deve essere la mia giornata fortunata», aveva mormorato, troppo piano perché Jude potesse sentirlo.
Un battito di ciglia dopo, Ray era comparso all’entrata del vicolo.
«Eccoti, finalmente! Mi chiedevo dove fossi finito…», aveva commentato entusiasta, in riferimento al capitano della Royal, nel momento in cui aveva posato gli occhi sulla sua figura. Ben presto, però, aveva notato anche la presenza dell’altro ragazzo.
Prima che Ray potesse prendere di nuovo parola, il ragazzo dagli occhi azzurri si era mosso nella sua direzione, con un’espressione estatica in volto.
«Allora è vero quello che si dice», aveva constatato. «Il più grande pirata di tutti i tempi ha ripreso il largo assieme alla Royal! Che immensa fortuna!»
A Jude non piaceva nulla di tutta quella situazione. Non piaceva il modo in cui quello sconosciuto l’aveva attirato nel vicolo, non piaceva come gli parlava e, soprattutto, adesso non gli piaceva affatto il modo in cui ronzava attorno a Ray. Non aveva idea di quale divinità l’avesse trattenuto fino a quel momento, fermandolo dal passarlo a fil di spada, di colpo però tutto l’autocontrollo di Jude stava andando pericolosamente a farsi benedire. Finché si trattava solo di lui poteva anche tollerarlo, ma il modo in cui quello sconosciuto si stava rivolgendo e avvicinando a Ray lo mandava fuori di senno. Chi era? Che diavolo voleva?
Ray, di per sé, sembrava piuttosto spiazzato. Osservava quel ragazzo che non aveva mai visto, cercando di trovare in lui anche solo un vago indizio ma, evidentemente, senza riuscirci.
«Uhm, sarei curioso di sapere con chi ho il piacere di parlare…», aveva ammesso, infatti.
Lo sconosciuto s’era arrestato sul posto.
«Il mio nome?», aveva ripetuto. «Oh, fidatevi, non è poi così importante…»
Il giovane era scivolato di lato ancora una volta, passando oltre Ray.
«… ma non temete, ci rivedremo molto prima di quanto possiate immaginare», aveva concluso.
Un secondo dopo, era uscito dal vicolo, svanendo nel nulla.
Ray si era voltato in direzione di Jude, con un’espressione interrogativa dipinta in viso.
Negli occhi del ragazzo, tuttavia, non aveva trovato nient’altro che rabbia.


Avevano ripreso la navigazione in serata.
Jude s’era rifugiato nei suoi appartamenti, rifiutando di parlare pressoché con chiunque. Ray era l’unico che era riuscito a seguirlo, ma, nonostante ciò, Jude non sembrava intenzionato a lasciargli proferire parola.
«È inaccettabile», aveva esordito, aprendo furiosamente la porta della sua stanza. «Quel tipo non avrebbe dovuto permettersi…!»
Ray si era affacciato oltre la soglia della porta, quasi timoroso di avere a che fare col capitano della Royal in quelle condizioni.
«Oh, non esagerare, adesso», aveva commentato, con tono conciliante. «Con ogni probabilità non lo vedremo mai più in vita nostra…»
Jude s’era fermato al centro della stanza, serrando i pugni con rabbia. «N-Non è così!», aveva obiettato. «Hai sentito anche tu quello che ha detto, no? “Ci rivedremo molto prima di quanto possiate immaginare”… non mi pare che sia una frase che lascia aperte molte prospettive…!»
Ray gli aveva sorriso, cercando di rassicurarlo.
«Beh, sai, a volte certe cose si dicono così, a titolo di minaccia, forse però voleva solo spaventarti e basta, non intendeva mettersi davvero sulle tracce della Royal…», aveva tentato ancora.
Jude l’aveva fissato. Per un momento sembrava essersi calmato, l’istante successivo tuttavia s’era voltato nuovamente, fumante d’ira.
«N-Non è solo questo!», aveva insistito infatti. «Pensi che non abbia visto il modo in cui ti guardava? Sembrava volerti saltare addosso da un momento all’altro!»
Ray aveva trattenuto a stento una risata. Certo che Jude era davvero buffo quando si arrabbiava.
L’uomo, avendo compreso ormai cosa avesse scatenato tanta rabbia nel ragazzo, aveva preso coraggio, cominciando ad avvicinarsi a lui. Non appena si era ritrovato alle sue spalle, gli aveva circondato la vita con le braccia, come per una vecchia abitudine.
«Certo che a volte sei proprio uno sciocco», aveva commentato, affondando il volto tra i suoi capelli.
Jude s’era mosso tra le braccia dell’uomo, fino a che non s’era ritrovato faccia a faccia con lui.
«Non sottovalutarmi, Ray», aveva protestato, indignato. «Sono pur sempre il capitano di questa nave e…»
Ray gli aveva premuto l’indice contro le labbra, con premura.
«… e ti sei fatto prendere dalla gelosia», aveva concluso. «Shh. Davvero credi che i toni suadenti di un perfetto sconosciuto possano adularmi? Il mio cuore l’ha già rapito un pirata dagli occhi rossi, anni fa, e non esiste nei sette mari qualcuno che possa sperare di riuscirci a sua volta»
Le mani di Ray gli avevano circondato il volto e, sotto quel tocco gentile, la sicurezza di Jude aveva vacillato.
Si sentiva così stupido per aver dubitato di lui. Ray gli aveva chiesto di seguirlo in quel nuovo viaggio per non restare lontano da lui, come poteva ora Jude credere che un ragazzo che non avevano mai visto prima avrebbe potuto portarglielo via tanto facilmente?
Jude aveva sospirato pesantemente, lasciandosi cadere col capo contro il petto di Ray.
«Scusami», lo aveva pregato. «Non so cosa mi sia successo, ho lasciato che l’impulsività avesse la meglio su di me e…»
Era vero. Jude non era mai stato impulsivo. Era risoluto, quando si trattava di dover adottare in fretta decisioni per proteggere la Royal e il resto dell’equipaggio, ma nessuna delle sue scelte venivano prese senza essere state prima attentamente ponderate. In fatto di sentimenti, però, era davvero una frana, così di solito finiva per reagire d’istinto, col rischio di combinare dei disastri.
Ray gli aveva posato un bacio tra i capelli. «Sta’ tranquillo», lo aveva rassicurato. «Continuo a dire che avresti solo bisogno di riposarti, niente di più.»
Jude aveva scosso piano la testa. «Non posso, devo controllare la rotta sulla mappa e…»
«No.» Ray gli aveva preso di nuovo il volto tra le mani, deciso. «Adesso io e te ci mettiamo nel letto, restiamo vicini e io veglio su di te finché non ti addormenti. Non puoi pensare di riuscire a condurre in modo efficace i tuoi uomini senza darti un po’ di tregua. Come potresti prendere decisioni importanti se non sei lucido?»
Jude gli aveva rivolto il proprio sguardo, un accenno di sorriso sul volto. Era grato a Ray per così tante cose, e sapeva che, in fondo, aveva ragione anche quella volta.
Dormire tra le sue braccia, in fin dei conti, non avrebbe potuto essere un’idea malvagia. Per la verità, Jude non riusciva ad immaginare nulla di più rilassante.
Così aveva posato la propria mano in quella di Ray e gli aveva permesso di condurlo verso il letto, anche se da lui si sarebbe lasciato portare ovunque.


La notte si era rivelata più burrascosa del previsto.
Erano in pieno autunno, e le tempeste erano all’ordine del giorno. Onde altissime avevano preso in ostaggio la nave e, per quanto Jude si fosse aggrappato saldamente alla camicia di Ray, continuava ugualmente a sentirsi sballottato con violenza.
C’era qualcosa che non gli tornava. Dopo l’incontro con quel ragazzo aveva continuato a percepire una strana sensazione e, per quanto Ray cercasse di tranquillizzarlo, entrambi sapevano fin troppo bene che il suo sesto senso difficilmente falliva.
Jude s’era tirato a sedere sul letto, facendo attenzione a non svegliare Ray. Il ragazzo faticava a prendere sonno: continuava a pensare allo strano incontro con quello sconosciuto che aveva avuto nel pomeriggio, senza riuscire a darsi pace. Come faceva a sapere che erano sulle tracce del tesoro fantasma? Cosa voleva da loro?
Il capitano della Royal aveva scosso il capo. Sapeva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi, troppi i pensieri che gli affollavano la mente. Così si era lasciato scivolare di lato e, continuando a fare attenzione a non svegliare Ray, era uscito dalla stanza.
Come aveva intravisto lanciando uno sguardo in direzione della vetrata, fuori il buio regnava ancora sovrano, il che significava che doveva essere notte fonda.
Nei corridoi della nave, in effetti, aleggiava il silenzio più assoluto. Gli uomini che non erano di guardia dovevano star dormendo profondamente, di un giusto e meritato riposo.
Jude s’era incamminato lungo le assi lignee del pavimento, che così bene conosceva, attento a calibrare ogni scricchiolio. Era difficile, considerando che il mare in burrasca continuava a spostare con violenza la nave da una parte all’altra, anni di navigazione tuttavia gli avevano insegnato a non perdere l’equilibrio in una situazione del genere.
Una volta dischiusa la porta che conduceva al ponte, s’era reso conto che la situazione era più complessa di quel che aveva immaginato.
Una pioggia battente e intensa continuava a colpire impietosa la Royal, mentre l’equipaggio faceva del suo meglio per non cadere in mare. Un uomo era affacciato oltre il parapetto e probabilmente stava vomitando, un altro era stretto ad un barile di rum e stava rotolando assieme ad esso.
Jude li avrebbe ripresi tutti, condannandoli per la loro superficialità, se solo lui stesso non si fosse reso conto che quella che stavano affrontando era una tempesta di dimensioni eccezionali.
Il capitato nella Royal aveva spostato lo sguardo di lato e, sebbene la pioggia che continuava a colpirgli il volto gli rendesse difficile vedere, era riuscito ad individuare la figura di David. Il suo vice era aggrappato al parapetto del cassero, e sembrava l’unico che riuscisse a mantenere una certa stabilità, oltre a non soffrire troppo per via delle onde.
Jude non ne era affatto sorpreso. David, d’altronde, aveva diversi anni di navigazione alle spalle, pertanto aveva esperienza in fatto di tempeste.
Jude s’era lasciato sfuggire un lieve sorriso, dopodiché aveva cominciato a salire su per le scalette che conducevano al cassero di poppa.
David l’aveva notato quasi subito e, nonostante la pioggia, Jude lo aveva visto ricambiare il suo sorriso.
«Capitano!», l’aveva salutato subito. «Non mi aspettavo di vederti da queste parti!»
«Fatico a prendere sonno», gli aveva confessato Jude. «Piuttosto, qui sul ponte non mi sembrate messi bene…»
David s’era portato una mano dietro alla nuca, come a disagio.
«Una tempesta coi fiocchi», aveva commentato.
«Già», aveva convenuto Jude. «Eppure non riesco a togliermi la sensazione che ci sia qualcosa di strano in tutto ciò…»
«Che intendi?» David aveva urlato per farsi sentire sopra al ruggito del vento. «Quando siamo ripartiti eravamo consapevoli di star andando incontro a una tempesta…»
«Lo so...», aveva confermato il capitano. «Ma ho un brutto presentimento…»
Jude era stato costretto a lasciare la frase in sospeso. Uno scatto improvviso, infatti, aveva portato lui e David a voltare il capo di lato.
Prima che potessero rendersi conto di cosa stesse succedendo, tuttavia, qualcosa di grosso aveva impattato contro la Royal, facendoli cadere all’indietro.
Erano stati fortunati a non cadere oltre i limiti del vascello, c’era mancato davvero poco. In compenso, la caduta era stata rovinosa, e adesso Jude si sentiva piuttosto indolenzito.
Il ragazzo aveva riaperto lentamente gli occhi rubizzi, trattenendo tra i denti un ringhio di dolore. Aveva battuto la schiena con così tanta violenza da ritrovarsi col fiato mozzato, era un miracolo che non avesse perso i sensi…
S’era reso conto in fretta, tuttavia, che non aveva tempo per pensare al dolore. Un altro vascello era sfilato loro di lato, sfruttando le onde furenti della tempesta. Quando s’era ritrovata fianco a fianco con la Royal, però, aveva colliso nuovamente contro quest’ultima, e per Jude era stato fin troppo chiaro che non s’era trattato di un errore dovuto alla tempesta indomabile, ma di una manovra volutamente eseguita.
Il capitano della Royal aveva stretto con rabbia l’elsa della propria spada tra le dita, dopodiché s’era lanciato di corsa giù dalle scale del cassero di poppa. Ogni tanto avrebbe voluto sbagliarsi, invece, a quanto pareva, il suo sesto senso non voleva saperne di smettere di essere infallibile.
La porta che dava sull’interno del vascello – nonché la stessa da cui era acceduto al ponte poco prima – si era aperta nel momento in cui vi era passato accanto. Jude s’era sentito afferrare per il polso, e aveva saputo di chi si trattasse prima ancora di sentirne la voce.
«Jude!», l’aveva chiamato infatti la voce concitata di Ray. «Che sta succedendo?»
«Siamo sotto attacco!», aveva tagliato corto il ragazzo. «Non so da dove sia uscita fuori questa nave…»
Jude s’era interrotto nel momento in cui aveva incontrato l’espressione terrea che s’era formata sul volto di Ray.
«Jude, guarda la polena!», aveva urlato l’uomo.
Il capitano s’era voltato e, non appena i suoi occhi avevano individuato la polena della nave che s’era ormai affiancata alla Royal, un brivido gli aveva percorso la schiena.
Un uomo, lo sguardo rivolto alle proprie spalle.
Lo sguardo di Jude era volato verso il ponte di quell’imbarcazione, e lì aveva individuato qualcosa che l’aveva allarmato ancor di più.
«No, tu guarda il ponte!», aveva gridato di rimando.
Ray aveva seguito obbedientemente la sua indicazione, e il volto dell’uomo non aveva potuto che diventare ancor più terrorizzato.
Un ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli castani li fissava, un sorriso beffardo sul volto.
Il giovane dell’isola.
Come aveva fatto a raggiungerli? Li aveva seguiti fin da quando erano salpati?
No, non era il momento di preoccuparsi per questo. Lui e la sua ciurma, infatti, tenevano strette tra le mani delle cime, che avevano legato alla trave che sosteneva la vela di mezzo. Non era difficile immaginare cosa avessero intenzione di fare.
L’istante successivo, infatti, il ragazzo che avevano incontrato sull’isola aveva fatto un cenno in direzione dei suoi uomini, e quelli si erano subito lanciati in avanti, atterrando sul ponte della Royal.
Jude non era riuscito a trattenere la rabbia oltre. S’era liberato con forza dalla stretta di Ray, per poi lanciarsi in avanti, sguainando la spada nel mentre.
Aveva individuato subito il suo obiettivo. Il problema, tuttavia, era che il ragazzo si aspettava esattamente una mossa del genere. Aveva sorriso nella sua direzione, facendo infuriare ancora di più Jude e, nel momento in cui il capitano della Royal gli era stato davanti, aveva già sfoderato a sua volta la spada, parandosi dall’assalto senza sforzo.
Il ghigno soddisfatto non si era tolto nemmeno allora dal volto del suo avversario, e Jude aveva ringhiato di rabbia e frustrazione, del tutto intenzionato a strapparglielo via.
«Beh, avresti dovuto immaginare che vi avremmo raggiunti, capitano», lo aveva schernito l’altro.
Jude aveva digrignato i denti con maggiore intensità, e aveva spinto ancor di più la propria spada contro quella dell’altro.
Intorno a loro aveva già cominciato ad infuriare la battaglia, ma né Jude né il suo avversario se ne stavano curando. Erano così concentrati nella loro lotta personale che nulla avrebbe potuto distrarli.
Jude s’era reso conto subito di essersi trovato ad affrontare un avversario fuori dal comune. Ogni fendente che sferrava veniva puntualmente parato dal suo avversario, che continuava a schivarlo con facilità ed eleganza.
Questo, però, non faceva che farlo infuriare ancor di più. Si muoveva veloce, troppo veloce, talmente tanto che probabilmente aveva lasciato la guardia scoperta un’infinità di volte, ma non riusciva a curarsene, troppo impegnato a sferrare attacchi a raffica, uno dietro l’altro.
La loro era una battaglia che sembrava più simile a una danza ipnotica. I passi del suo avversario erano precisi, calibrati, come se conoscesse alla perfezione ogni centimetro della Royal.
Questo, però, non faceva che innervosire ancor di più Jude, al punto che cominciava ad avvertire la propria vista offuscarsi.
No. Non avrebbe risolto niente, così. Doveva concentrarsi.
Jude aveva osservato i piedi del suo avversario. Se solo fosse riuscito a fargliene mettere uno in fallo…
«Mi hai chiesto il mio nome, oggi pomeriggio», l’aveva infastidito l’altro – forse aveva intuito il suo piano e stava cercando di distrarlo. «Ebbene, ora posso dirtelo. Mi chiamo Paolo Bianchi, e sono il capitano della nave che stanotte vi sconfiggerà, la Orpheus!»
Gli occhi di Jude si erano ridotte a due fessure.
«Non credo proprio!», aveva replicato.
Le loro spade avevano cozzato nuovamente e, questa volta, Jude era riuscito a sopraffare il colpo. La sciabola di Paolo era volata in alto, attraversando tutto il ponte, per poi cadere dalla parte opposta a quella in cui i due si trovavano.
Paolo aveva alzato le mani, ma un sorriso beffardo aveva continuato a campeggiare sul suo volto.
«A quanto pare ho vinto io», aveva commentato Jude, trionfante.
«Tu dici?», gli aveva domandato Paolo. «Strano, perché sembra che qualcuno laggiù sia in difficoltà…»
Jude s’era voltato senza nemmeno pensarci. L’istante successivo si era ammonito, perché quello avrebbe potuto essere tranquillamente un bluff di Paolo…
Invece ciò che aveva visto lo aveva fatto congelare per la paura.
Ray era di spalle, nei pressi del castello di poppa. Un membro dell’equipaggio della Orpheus, però, si stava avvicinando a lui in tutta fretta, stringendo un pugnale tra le mani.
Ray non avrebbe mai fatto in tempo ad accorgersene.
L’avrebbe colpito.
«Ray…», aveva mormorato Jude.
L’istante successivo, prima ancora che potesse rendersene conto, il capitano della Royal era scattato in avanti, in un’ultima, disperata azione.
«No!», aveva gridato, un momento prima di intromettersi tra Ray e la lama.
Solo allora Ray s’era voltato, rendendosi conto di ciò che stava succedendo alle sue spalle.
Lo spettacolo che gli s’era parato davanti, tuttavia, si era rivelato essere a dir poco raccapricciante.
Un pirata teneva stretto tra le un pugnale insanguinato, mentre fissava entrambi con un sorriso crudele.
Jude, davanti a lui, si teneva una mano sul fianco sinistro, dolorante, cercando di fermare il sangue, che continuava a sgorgare a fiotti.
«Jude!», aveva urlato a sua volta, accorrendo in avanti.
Le gambe del ragazzo avevano ceduto e lui s’era ritrovato a rovinare verso terra, salvo poi essere afferrato da Ray un attimo prima che le sue ginocchia potessero battere violentemente contro le assi di legno.
Nel giro di pochi secondi, tutto intorno a Jude aveva iniziato a vorticare vertiginosamente.
L’ultima cosa che ricordava era il sorriso vittorioso di Paolo, che ordinava ai suoi uomini la ritirata. Aveva ragione, aveva vinto lui.
Poi, il buio.


Caldo. Tanto, tanto caldo. E dolore.
All’improvviso tutto intorno a Jude era diventato sfocato. Sapeva di non essere più sul ponte, lo sentiva, perché adesso avvertiva una superficie morbida sotto di sé.
Un liquido era stato versato sulla sua pelle, e le fiamme lo avevano avvolto ancora una volta.
«Capitano…»
La voce di David. Era un mormorio basso, sussurrato, eppure a Jude era sembrato di sentirlo rotto dalle lacrime.
Perché piangeva?
«Coraggio, capitano! Tieni duro!»
Una voce più decisa. Joe, senza dubbio.
Che stava… succedendo…
«Jude…»
Ray…
Ancora fiamme, ancora dolore. Dopo, tenebre ancora una volta.



Jude aveva perso cognizione dello scorrere del tempo.
Non aveva idea di quanto a lungo fosse rimasto privo di coscienza. L’unica cosa che i suoi occhi chiusi riuscivano a vedere era buio, come di notte fonda, e spesso continuava ad avvertire il proprio corpo dilaniato dalle fiamme.
Se fosse stato sveglio, avrebbe saputo che era nella propria camera da letto, intento ad agitarsi freneticamente tra le lenzuola e vittima di una febbre alta che non gli lasciava tregua.
La ferita al fianco era assai profonda, e sebbene fosse stato prontamente soccorso da David e gli altri adesso la ciurma era come sospesa, in attesa che il loro capitano si riprendesse.
Ce l’avrebbe fatta. Aveva la tempra giusta.
Ray non si era mai mosso dal suo capezzale. Gli era rimasto accanto, giorno e notte. Voleva esserci quando si sarebbe svegliato – era certo che si sarebbe ripreso –, e non aveva intenzione di farsi trovare assente se Jude avesse avuto bisogno di lui.
Una notte, in preda ai deliri, il ragazzo aveva preso ad agitarsi sempre di più, mormorando nel mentre il nome dell’uomo.
Quando se ne era reso conto, Ray si era avvicinato con cautela, attento a non svegliarlo.
«R-Ray…», aveva biascicato ancora una volta Jude.
Subito il capitano aveva avvertito un peso aggiungersi accanto a lui, come se qualcuno gli si fosse inginocchiato vicino sul materasso. Due mani avevano avvolto la sua, calda e tremante, col proprio tocco.
«Sono qui…», gli era parso di sentirsi sussurrare.
Jude aveva mosso il capo sul cuscino, agitato.
«N-Non mi lasciare, ti prego… non mi lasciare…», aveva mormorato ancora.
Ray si era chinato piano sul cuscino, posando un bacio sulla fronte del ragazzo. Era bollente.
Quelli dovevano essere deliri dovuti alla febbre, nulla di più. Le dita di Ray avevano accarezzato le guance caldissime di Jude, ed erano sembrate quasi gelide al contatto con la pelle del ragazzo.
«No che non ti lascio», gli aveva assicurato Ray.
Il volto di Jude era parso rilassarsi per un momento, diventare sorridente quasi, ben presto tuttavia uno spasmo di dolore l’aveva costretto a contrarsi di nuovo.
«N-Non mi lasciare…», aveva ripetuto, la voce sul punto di essere rotta dalle lacrime.
Prima che potesse rendersene conto, il mondo era tornato ad essere una spirale confusa di tenebra e fiamme.





▬ notes

Vi chiedo perdono fin da subito, ma non ho molta voglia di parlare.
Ve l'avevo detto che i capitoli lunghi sarebbero arrivati. Questo conta più di 8.000 parole, ma me lo sono letteralmente bevuto. Non so se sia un bene o un male.
Rispetto al prompt originale, adesso si potrebbe dire che io stia vagando un po' alla cieca. L'anno scorso la mia mente aveva progettato solo fino a Black Dust diciamocelo, a me premeva che Jude e Ray si riunissero. Poi, nel mentre, altre idee si sono aggiunte. Parlando della Orpheus, inizialmente non doveva essere affatto presente nella storia, ma tanto ormai il limite di 12.000 parole del contest l'avevo superato, e allora tanto valeva aggiungere anche questo.
Già, perché i nostri amati protagonisti non fanno in tempo a liberarsi di un problema che subito ne spunta fuori un altro.
L'idea per l'assalto alla Zeus viene da Game of Thrones, lo ammetto. Inizialmente doveva essere un richiamo totale alla Battaglia delle Acque Nere, quindi la Pearl sarebbe dovuta esplodere senza altofuoco però, rip. Visto che però senza la nave secondaria non avrei saputo dove infilare gli uomini che da Black Dust decidono di seguire Ray, alla fine ho optato per la più democratica e meno distruttiva imboscata dalle falesie.
Comunque sì, sistemata la Zeus è tempo di vedersela con la Orpheus. Sfortunatamente, però, Jude, sebbene fosse riuscito ad avere la meglio contro Paolo, finisce per rimanere ferito salvando Ray da un attacco alle spalle. Adesso non possiamo far altro che pregare per il nostro povero capitano, sigh.
Abbiamo inoltre scoperto ciò a cui la Royal sta puntando, ossia questo tesoro fantasma. Ora che hanno la mappa in mano dovrebbe essere tutto più facile, ma, come abbiamo visto, le insidie sono dietro l'angolo.
Mi scuso ancora una volta per l'eccessiva lunghezza di questo capitolo. Purtroppo ho uno schema di pubblicazione ben preciso nella mia mente, e se volevo rispettarlo non potevo fare altrimenti.
A presto
– sperando che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questa storia e che non sia stato troppo spaventato dal muro di testo dell'aggiornamento di oggi
Aria
   
 
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