V
It's
times like these
you learn to live again
It's
times like these you give and give again
It's
times like these you learn to love again
It's
times like these time and time again
[Foo
Fighters – Times
Like These]
Non appena l’auto della polizia accostò, notai
subito la
figura di zia Maura ferma sulla soglia: aveva le braccia incrociate
sull’ampio
petto e i capelli scuri raccolti in un disordinato chignon, che
lasciavano
libero il volto dai lineamenti marcati e induriti dalla rabbia.
Sospirai. Non sarebbe stato facile affrontarla.
Il poliziotto che stava sul sedile del passeggero scese,
venne ad aprirmi la portiera e mi scortò fin davanti alla
porta di casa; prima
di andarsene, mi assestò una forte pacca sulla schiena e
salutò brevemente mia
zia.
Rimanemmo solo io e lei.
Entrammo in casa in un silenzio tombale, ma zia Maura si
piazzò sulla soglia che separava il piccolo ingresso dal
resto della casa,
segno che non mi avrebbe lasciato andare così facilmente. Mi
scrutò con i suoi
occhi scuri e io ebbi l’impressione che le sue iridi colme
d’ira potessero
trapassarmi come un coltello affilato. Ancora non aveva aperto bocca,
sicuramente stava cercando di trattenersi perché, se si
fosse lasciata andare,
mi avrebbe demolito.
Decisi di affrontarla, tanto ormai il danno era fatto;
incrociai le braccia sul petto a mia volta e le lanciai
un’occhiata offesa.
“Hai mandato la polizia a
cercarmi?”
“Non ti azzardare! Quella arrabbiata tra i due dovrei essere
io” ribatté, e la sua voce profonda
risultò ancora più cupa e glaciale del
solito. Si interruppe, ma dal suo volto che si faceva paonazzo
immaginai che
stava lottando con l’impulso di urlarmi contro.
Zia Maura spesso aveva paura di ferirmi, lo sapevo: mi aveva
visto crescere, piangere, tremare e avere paura, sapeva quanto fossi
vulnerabile. Ma non aveva ancora capito che ormai non ero
più quel bambino che
correva tra le sue braccia a farsi consolare non appena riceveva un
pugno dalla
vita, ormai ero diventato grande ed erano poche le cose in grado di
sconvolgermi.
“Non dovresti essere al lavoro a
quest’ora?” improvvisai,
ostentando una certa indifferenza.
“È domenica, Ives”
mi gelò lei prima di avvicinarsi a
me e immobilizzarmi per una spalla. “Te lo dico per
l’ennesima e ultima volta:
togliti subito questo vizio di non tornare a casa, altrimenti ti
impedisco di
uscire per il resto della tua vita. È chiaro?”
Sapevo che non sarebbe mai stata capace di farlo, anche
perché per tutta la settimana lavorava e non mi poteva
controllare, ma il suo
tono minaccioso mi fece comunque rabbrividire.
“E dai, è la prima volta che passo la notte
fuori…” cercai
di sminuire la faccenda, abbozzando un sorriso.
“Non è normale che tu passi la notte fuori a tredici
anni! E non è normale che tu stia in giro fino a tardi tutti
i giorni!”
sbraitò, il suo vocione rimbombò spaventosamente
tra le pareti dell’ingresso.
“Beh, scusa, tu non me l’hai mai
impedito” ribattei, anche
se sapevo di starmi addentrando in argomentazioni che non era il caso
di
portare fuori.
Zia Maura non riusciva a starmi appresso perché era da sola
a crescere me e Maggie, si spaccava la schiena ogni giorno dividendosi
tra
mille lavori per non farci mancare niente e per permettere a mia cugina
di
studiare all’università; sapevo di passare per
ingrato, ma non importava, io
volevo solo uscire con i miei amici e divertirmi come mi pareva.
“Vuoi che te lo impedisca, eh? Me lo stai chiedendo? Se vuoi
ti accontento subito!” ruggì lei, scuotendomi
violentemente per la spalla per
poi lasciarmi andare bruscamente. Mi incenerì con lo
sguardo, ma notai
ugualmente la nota di preoccupazione in fondo a quegli occhi
così severi. “Io
ti ho sempre lasciato libero per non tarparti le ali, nella speranza
che
riuscissi a capire da solo cosa fosse giusto o sbagliato, ma a quanto
pare ti
ho dato troppa fiducia. Da quanti giorni non ti fai una doccia,
eh?”
Mi afferrò una ciocca di capelli unti e ispidi, ma io scossi
il capo e mi scrollai le sue mani di dosso. “Sono abbastanza
grande per
prendermi cura di me stesso.”
“Non sei grande per niente, Ives!” esplose
nuovamente lei.
“Tu ti senti grande, ma hai soltanto
tredici anni, sei un bambino
ingenuo e del mondo non hai ancora capito nulla! Vuoi rovinarti la
vita? Non lo
capisci che la gente che frequenti, le cose che fai, ti fanno
male?”
“Non conosci la gente che frequento” replicai,
fingendomi
per niente colpito dalle sue parole – in realtà
sotto sotto sapevo che non
aveva tutti i torti, spesso avevo l’impressione di
impigliarmi in situazioni
per cui non ero ancora pronto e mi sentivo inadeguato.
“Adesso mi fai passare?
Così vado a farmi la doccia e ti faccio contenta.”
“Ma hai almeno ascoltato quello che ti ho detto?”
Zia Maura
si portò una mano sulla fronte, esasperata. “Dove
sei stato stanotte? Cos’hai
fatto?” incalzò, inchiodandomi nuovamente con lo
sguardo.
Se solo me lo ricordassi…
“Ero con i miei amici, non abbiamo fatto niente di
che”
abbozzai – almeno la prima parte della storia era vera.
Lei sospirò, cercando le parole giuste con cui ribattere.
“Pensavo fossi preoccupata per me, invece mi hai aggredito
non appena mi hai visto” borbottai io abbassando lo sguardo.
“Ma io sono preoccupata, è
proprio per quello che mi
arrabbio! Non so più come dirtelo!”
Sbuffai. “Adesso posso andare in camera mia? Sono
stanco…”
“Vai. Tanto, qualsiasi cosa io ti dica, ti entra da un
orecchio e ti esce dall’altro.”
Trattenni un sospiro di sollievo mentre mi dirigevo in
camera mia e mi ci chiudevo dentro; misi su uno dei miei vinili dei
Clash e mi
buttai sul letto, esausto. Per l’ennesima volta avevo
risposto male a zia
Maura, che era sempre così paziente, e una parte di me mi
suggeriva che mi
sarei dovuto sentire in colpa, ma non avevo nessuna voglia di pensarci:
volevo
solo dormire per ore e ore, sentivo addosso una spossatezza incredibile.
Prima che potessi accorgermene, ero già sprofondato nel
sonno.
A ridestarmi fu lo squillo acuto del telefono in corridoio;
aprii gli occhi e il sole del tardo pomeriggio me li riempì.
Il telefono smise di trillare e qualche istante dopo sentii
bussare alla porta di camera mia; mi alzai a fatica e andai ad aprire,
ritrovandomi davanti il viso contratto di zia Maura. “Ti
vogliono al telefono”
mi comunicò in tono piatto, prima di scomparire velocemente
in cucina.
Mi accostai al tavolino su cui era posato l’apparecchio e
afferrai la cornetta. “Chi è?”
“Mick Jagger” rispose la voce di Ethan
dall’altro capo.
“Spiritoso. Come mai mi hai chiamato? Non sapevo nemmeno che
avessi il mio numero di casa.” In effetti quella era forse la
prima volta che
Ethan mi telefonava, le cose ce le dicevamo sempre di persona.
“Dato che oggi non ti ho visto in giro, volevo solo dirti
che ho parlato col tizio degli Hell Night…”
“Il cantante! Cazzo, ieri me ne sono dimenticato!”
sbottai,
portandomi una mano davanti alla bocca.
“Ci ho pensato io. Si chiama Oliver, comunque. Ha detto che
stava pensando già da tempo di lasciare la sua band e ha
accettato di provare
con noi: abbiamo appuntamento in sala prove domani sera. Ecco, volevo
avvisarti
per essere sicuro che non mancassi.”
Aggrottai le sopracciglia. “Quale sala prove? Ti ricordo che
Sammy non fa più parte della band.”
“Ho risolto anche quel problema: ho parlato con Sammy e ci
ha concesso di incontrare Oliver nel suo garage, almeno
finché non troveremo
una nuova saletta e della nuova attrezzatura.”
“Già. Peccato che non abbiamo un batterista con
cui
provare…”
“Ah, a proposito di questo: ho appeso un fottuto annuncio
sulla porta dell’Alibi, speriamo che qualcuno
risponda.”
Sbattei le palpebre un paio di volte. “Che
efficienza!”
“Io mi do da fare mentre tu sei impegnato a collassare,
sai?”
Risi. “Grazie Ethan. Ci vediamo domani, okay?”
“Non mancare, mi raccomando.”
“Ci lamentavamo del garage di Sammy, che era gratis, e
adesso ci fanno pagare per questa merda” constatai,
osservando le macchie di
umidità sulla parete che un tempo doveva essere stata
bianca. Qualche giorno
prima c’era stato un piccolo temporale estivo ed era
così che avevamo scoperto
le terrificanti infiltrazioni d’acqua all’interno
della nostra nuova saletta.
“Non so come fosse questo garage di Sammy, ma sappi che
questo buco è un luogo di lusso rispetto alla sala prove
degli Hell Night”
commentò Oliver.
Lo osservai mentre era alle prese col mixer nel tentativo di
regolare il volume del microfono: da minuti interi non faceva che
bestemmiare
contro quell’aggeggio, prima perché non riusciva a
capire come collegare il
cavo del microfono e ora perché il volume era troppo basso.
Ormai cantava nella nostra band da qualche settimana, ci
eravamo trovati subito in sintonia con lui e averlo alla voce era un
vero
sogno, sprigionava esattamente quell’energia a cui
aspiravamo. Oltre ad avere
già dei testi pronti per le nostre canzoni, era finalmente
riuscito a mettere
in musica quello di Ethan, dando vita alla prima vera canzone della
nostra
band.
Caratterialmente era esplosivo come quando stava sul palco,
io e Ethan lo adoravamo.
Eravamo sulla buona strada per diventare la band che avremmo
sempre voluto essere, mancava solo il batterista.
Mi alzai, camminai avanti e indietro per lo stanzino con
fare annoiato, poi mi affacciai alla porta e sbuffai. “Ma
Ethan quanto ci
mette?”
“Magari il tizio è in ritardo. A proposito: sai
per caso chi
è?” mi chiese Oliver, per poi lasciarsi sfuggire
un’imprecazione tra i denti e
mollare un pugno al mixer.
“Ora che ci penso non mi ha detto nessun nome, solo che un
tizio aveva risposto all’annuncio.”
“Speriamo sia la volta buona che troviamo un batterista, non
ho nessuna intenzione di diventare una specie di Phil
Collins” commentò Oliver,
poi lanciò un’occhiata alla batteria stipata in un
angolo.
Risi, poi mi accostai a lui. “Hai mai provato a suonare la
batteria?”
“Sinceramente no… ma lo farò
oggi” affermò, mentre i suoi
occhi venivano attraversati da una scintilla.
Sorrisi divertito mentre Oliver si posizionava goffamente
dietro la batteria. “Spacca tutto!” lo esortai.
“Tanto penso di aver già distrutto il mixer, danno
più o
danno meno non farà differenza”
scherzò, impugnando un paio di bacchette
abbandonate sul timpano. “Allora…
com’era quel passaggio? Qualcosa del genere,
vero?” chiese conferma, mentre cercava di eseguire
l’entrata di batteria di In
The Air Tonight, ma il risultato fu piuttosto sbilenco e non
potei evitare
di ridere.
“Che cazzo ridi, marmocchio? Tu sapresti fare di
meglio?” mi
punzecchiò, sfidandomi con lo sguardo.
“Sta’ a vedere!”
Ci scambiammo di posto e, dopo aver eseguito il medesimo
passaggio in maniera più o meno riconoscibile, tentai di
capire come si
suonasse la restante parte di batteria del brano di Phil Collins, con
scarsi
risultati e mentre Oliver mi rideva in faccia e mi dava inutili
suggerimenti.
Infine fu lui a riprendere posto sullo sgabellino, sostenendo di aver
capito
perfettamente come si doveva suonare, ma ridevamo
così tanto che lui non
riusciva nemmeno a tenere le bacchette in mano.
Eravamo talmente presi da quell’attività idiota
che ci
accorgemmo a malapena dell’arrivo di Ethan e il nostro nuovo
potenziale
batterista.
Ma quando mi voltai, mi trovai davanti l’ultima persona che
mi sarei aspettato di vedere: Alick Jacobs, il tipo dai capelli lunghi
da cui
May era corsa dopo che l’avevo salvata dal suo aggressore.
“Lui è Alick, il nuovo candidato” lo
presentò brevemente
Ethan, mentre Alick rivolgeva un sorriso amichevole a me e Oliver.
Sicuramente ero sbiancato e avevo sgranato gli occhi, ma mi
sforzai comunque di ricambiare il sorriso. Ma che situazione surreale
era mai
quella?
“Ehi amico, scusa se ti ho rubato il posto, in
realtà sono
il cantante!” lo salutò Oliver.
“No, no, resta pure!” lo rassicurò
l’altro, avvicinandosi a
lui. “Anzi, ho sentito che stavi provando a suonare qualcosa,
di cosa si
trattava?”
Cantante e batterista cominciarono a parlare tra loro, così
ne approfittai per affiancare Ethan e dargli di gomito.
“Potevi almeno
avvisarmi…”
“Di cosa?”
“Come sarebbe a dire? Quello è il tizio a cui ho
cercato di
fregare la ragazza” sibilai. Ero parecchio imbarazzato da
questa coincidenza.
Ethan si strinse nelle spalle. “E chi cazzo se lo ricorda
più?”
“Me lo ricordo io.” A quel
punto fui costretto a
zittirmi perché Oliver e Alick si trovavano nei paraggi: si
erano avvicinati al
mixer e il moro lo stava esaminando con occhio critico.
“Credo che per regolare il volume sia questa levetta.
L’hai
già provata?” disse, indicando un punto accanto
all’entrata del cavo.
Oliver strabuzzò gli occhi. “E chi cazzo
l’aveva vista
quella?”
Scoppiai a ridere di gusto, ripensando a quanto il cantante
avesse perso la testa per cercare il problema, poi mi voltai verso
Ethan.
“Finalmente abbiamo trovato qualcuno in grado di risolvere
questi problemi
senza fulminarci tutti!”
“Fottiti.”
“Ah, Ives, ti volevo dire…” Alick mosse
qualche passo verso
di me e io mi morsi il labbro inferiore, non sapendo cosa aspettarmi.
“Grazie
ancora per aver salvato May, se l’è vista davvero
brutta quella volta. Meno
male che c’eri tu nei paraggi!”
Sorrisi, indeciso se sentirmi una specie di eroe o
sotterrarmi immediatamente. E meno male che non se lo
ricordava…
“Non ho fatto nulla di che, insomma, non sarei mai rimasto a
guardare mentre quel bastardo metteva le mani addosso a una
ragazza” biascicai.
“Possiamo cominciare le prove” intervenne Ethan,
salvandomi
dal momento di estremo imbarazzo.
Alick non esitò un attimo e corse dietro la batteria, mentre
io, Ethan e Oliver collegavamo i nostri strumenti e discutevamo sulle
canzoni
che avremmo potuto usare per testare il nuovo membro della band. Era
meglio
cominciare da qualcosa che fosse noto a tutti per capire se potevamo
entrare in
sintonia.
“Come sei messo coi Led Zeppelin?”
domandò Oliver ad Alick.
Lui annuì mentre giocherellava con una bacchetta.
“A cosa
stavate pensando?”
“Whole Lotta Love, ci stai?”
Alick annuì nuovamente. “Dovrei ricordarla a
memoria.
Perfetto.”
Fu chiaro a tutti, ancora prima di arrivare al primo
ritornello, che avevamo trovato il batterista giusto per noi: Alick si
incastrava perfettamente nel nostro sound, era creativo e pulito, ma
soprattutto era come se avesse suonato insieme a noi da sempre; il
risultato
finale era un sound compatto e coordinato.
Suonavamo già come una band.
Eseguimmo un sacco di cover e, brano dopo brano, eravamo
sempre più entusiasti e soddisfatti; alla fine gli facemmo
sentire qualche
nostro inedito – inclusa Don’t Care,
la canzone col testo di Ethan – e Alick
trovò sempre il modo più congeniale di inserire
la batteria e dare ai brani
quel tocco di classe ed energia in più.
“Wow, con questa roba andremo al Whisky e al Rainbow nel
giro di un mese!” esultò Oliver al termine delle
prove, carico ed euforico.
“E chi ha voglia di aspettare un mese?” fece notare
Ethan
mentre riponeva la sua chitarra nella custodia.
Mi illuminai e schioccai le dita. “E chi ci dice che
dobbiamo aspettare?”
Tre paia di occhi si posarono su di me, incitandomi a
continuare.
Sorrisi. “Uno di questi giorni perché non suoniamo
in
strada, proprio qui di fronte? Portiamo tutto fuori e spacchiamo il
culo al
vicinato, così sarà impossibile non notarci! In
fondo attirare la gente tramite
la nostra musica è il modo migliore per farci conoscere,
no?”
Ethan, Oliver e Alick si scambiarono occhiate complici, poi
il chitarrista posò lo sguardo su di me e si
lasciò sfuggire un sorrisetto
ironico. “Da quando ti vengono in mente idee intelligenti,
Ives?”
“Infatti l’idea non è mia, me
l’ha suggerito Bess qualche
tempo fa” ammisi.
Oliver scoppiò a ridere, poi sollevò il pollice
in alto. “Io
ci sto!”
“Ci vorranno un bel po’ di prolunghe e cavi, ma si
può fare”
concordò Ethan, mentre Alick si limitò ad annuire
in silenzio.
“Magari aspettiamo qualche giorno in modo da spargere la
voce e invitare più gente possibile, poi abbatteremo
l’intera città con la
nostra musica!” propose Oliver, già carico e
pronto.
Abbattere…
“Sperando che non si scateni una tempesta come quella dei
giorni scorsi” aggiunse Alick mentre si alzava dal seggiolino
della batteria.
Tempesta…
“Storm It Down! Che ne dite, non
è fantastico?”
saltai su.
Gli altri tre si voltarono a guardarmi interrogativamente.
“Per il nome della band, intendo! Storm It Down mi sembra
carino: forte, d’impatto, orecchiabile. E stavolta
l’idea è davvero mia!”
precisai, strizzando l’occhio ai miei amici.
“Mi piace” affermò Alick abbozzando un
sorriso.
“Grandioso!” concordò Oliver.
“Piace anche a me” acconsentì infine
Ethan.
Li fissai negli occhi uno per uno, leggendo il loro entusiasmo
e quasi tremando per l’emozione.
Eravamo ufficialmente gli Storm It Down. Eravamo parte di
qualcosa e, anche se non ci conoscevamo ancora benissimo e non sapevamo
dove il
destino e la passione ci avrebbero portato, in cuor mio sapevo che da
quel momento
ci saremmo sempre stati l’uno per l’altro.
“Ehi ehi ehi, ragazzi! Chi vuole fare la conoscenza degli
Storm It Down?”
Era veramente surreale: il sole era basso nel cielo e
proiettava i suoi raggi arancioni, noi ci trovavano in mezzo alla
strada e, con
amplificatori e batteria sull’asfalto, stavamo per suonare
per la prima volta
davanti a un pubblico.
C’erano tutti: Sammy, Viktor, Bogdan, Jeff, May, Bess con le
sue amiche – compresa Emily – e tutti i nostri
amici abituali. Perfino
Mitchell, l’ex compagno di scuola di Ethan con cui
bighellonavamo sempre da
piccoli, era ricomparso apposta per assistere al nostro show,
nonostante
frequentasse sempre più di rado la nostra cerchia.
E poi c’erano tanti volti nuovi, persone che si erano
incuriosite vedendoci lavorare fin dal primo pomeriggio per portare il
nostro
live in strada; qualcuno poteva pensare che fossimo pazzi ad ammazzarci
al
caldo per eseguire solo quattro canzoni – due inediti e due
cover –, ma mentre
stringevo il mio basso tra le braccia e facevo scorrere lo sguardo tra
i volti
sorridenti dei nostri ascoltatori, capii che ne era valsa la pena.
Per la musica ne valeva sempre la pena.
“Okay, per scaldare un po’ i motori facciamo
qualcosa che
conoscono tutti. Chi la sa, la canti!” spiegò
Oliver al microfono, attirando su
di sé gli sguardi curiosi degli spettatori.
C’era chi strillava, chi gridava a gran voce i nomi dei vari
componenti della band, chi si era accomodato in un angolo e chi invece
stava in
piedi accanto a noi per manifestarci il suo entusiasmo.
Il nostro piccolo pubblico impazzì letteralmente quando
eseguii le prime note di Crazy Train; avevamo
deciso di proporre la
cover del brano di Ozzy perché piaceva a tutti, era stato il
tormentone
dell’ultimo periodo… e poi ci veniva davvero bene.
Mentre suonavo, non riuscivo a levarmi il sorriso dalle
labbra: tutti cantavano, gridavano, ballavano, applaudivano, salutavano
le
poche auto che passavano da quelle parti, in quell’angolo di
mondo dimenticato.
Mental
wounds not
healing
Life's
a bitter shame
I'm
goin' off the rails on a crazy train
I'm
goin' off the rails on a crazy train
Mentre un coro di voci ci investiva, cantando insieme a
Oliver il ritornello, mi domandai se un giorno i nostri spettatori
avrebbero
intonato con la stessa foga e la stessa gioia anche i testi delle
nostre
canzoni.
Chissà dove ci avrebbe condotto quello strano viaggio.
Un moto d’affetto improvviso mi riempì il cuore ed
ebbi
l’impulso di mollare il basso e correre ad abbracciare una
per una le persone
che mi stavano attorno.
Eravamo ragazzi strani e bizzarri, bambini cresciuti troppo
in fretta e pieni di lividi che la vita ci aveva lasciato
sull’anima; ci
trovavamo in mezzo a una strada squallida e sudicia, in un quartiere
malfamato,
con degli amplificatori da quattro soldi e i vestiti incollati alla
pelle
sudata. Eravamo poveri, distrutti, dimenticati e senza futuro, ma
eravamo una
grande famiglia che non aveva mai perso la voglia di vivere,
emozionarsi e
divertirsi.
E soprattutto sognare.
Gettai un’occhiata alla mia sinistra, dove si trovavano
Ethan, Oliver e Alick: i miei compagni d’avventura.
Qualunque fossero le difficoltà davanti a cui ci avrebbe
messo la vita, noi avremmo imbracciato i nostri strumenti e le avremmo
riso in
faccia.
♠
♠
♠
Okay, sono emozionata. Sappiate che ho quasi le lacrime agli
occhi per questo finale, segno che ancora una volta questi ragazzi sono
stati
in grado di rubarmi il cuore e l’anima.
Ma ormai di che mi sorprendo? Ives, Ethan e tutto il loro
universo sono diventati la mia ragione di vita *_________*
Ma bando alle ciance, passo alle note veramente utili XD
Vi lascio qui i link delle canzoni che ho nominato!
In The Air Tonight di Phil Collins, che guarda caso
è
uscita proprio nel gennaio dell’81:
https://www.youtube.com/watch?v=YkADj0TPrJA
L’entrata di batteria che Ives e Oliver stavano provando a
fare si trova al minuto 3:15 del video che ho linkato ^^
Ah, per chi non lo sapesse: Phil Collins, ex componente dei
Genesis, è appunto cantante e batterista!
Poi…
Whole Lotta Love dei Led Zeppelin:
https://www.youtube.com/watch?v=HQmmM_qwG4k
Crazy Train di Ozzy Osbourne:
https://www.youtube.com/watch?v=RMR5zf1J1Hs
Curiosità su quest’ultima: è uscita nel
1980, quindi ci sta
che fosse stata un tormentone dei mesi precedenti a questa storia
– almeno per
questi ragazzi amanti del rock ^^
In questo capitolo conclusivo vediamo la nascita ufficiale
degli Storm It Down, con la formazione che rimarrà invariata
fino alla fine
della loro carriera!
Chi conosce già la serie sapeva che Alick sarebbe diventato
il batterista; per chi invece non ne aveva idea, vi aspettavate il
ritorno di
questo personaggio?
E conosciamo anche Oliver, l’ormai ex cantante degli Hell
Night, talentuosissimo! Immagino il suo timbro vocale un po’
come quello di
Jared Leto dei Thirty Seconds To Mars, per darvi un’idea ^^
Devono essere davvero una bellissima band, io li voglio
sentire *_______*
Non credo ci sia altro da aggiungere per quanto riguarda le
note tecniche!
E ora passiamo ai ringraziamenti!
GRAZIE GRAZIE GRAZIE LETTORI, per aver tanto apprezzato
questa storia e avermi dimostrato un entusiasmo che mai e poi mai mi
sarei
aspettata! Sono davvero legatissima a questa minilong, la sua stesura
sono stati
cinque giorni di febbrile scrittura e profondo delirio mentale, mi ha
completamente rapito e mi ha dato modo di rappresentare ancora una
volta il
mondo meravigliosamente doloroso di questi ragazzi. Sapere che
è stata
apprezzata, sapere che il mio impegno e la mia passione traspaiono da
queste righe,
mi rende l’autrice più felice del mondo.
GRAZIE a Kim WinterNight, evelyn80, alessandroago_94, Sabriel_Little
Storm e KUBA, perché le vostre parole mi hanno riempito il
cuore di gioia. Grazie
ai lettori silenziosi e grazie a tutti coloro che giungeranno qui in
seguito.
GRAZIE per amare i miei personaggi insieme a me!
E grazie ad Ives, Ethan, Sammy, Bess e tutti i personaggi di
questa serie, per essere le mie ancore di salvezza, le mie rocce, i
figlioletti
da amare incondizionatamente e gli amici con cui condividere tutto.
GRAZIE!
Alla prossima avventura – nel caso ve lo stiate chiedendo,
lettori: ho una marea di storie per questa serie pronte da pubblicare
prossimamente
*______*
|