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Autore: Soul Mancini    27/08/2020    4 recensioni
Estate 1981.
Ives ha tredici anni ed è un ragazzino pieno di vita. Si trova nel periodo magico e doloroso in cui l'infanzia comincia a svanire, per lasciare il posto alla vita vera e senza filtri; la fase in cui si comincia a esplorare il mondo e scoprirlo in tutta la sua crudeltà e durezza, in cui ci si ritrova a prendere le proprie decisioni, cadere, sbagliare e imparare da soli.
In uno dei peggiori quartieri di Los Angeles, dove il mondo crolla ogni giorno e lascia i giovani senza certezze a cui aggrapparsi, Ives e i suoi amici si vogliono soltanto divertire e godersi assieme i mesi più caldi dell'anno; tra prime volte, scelte giuste o sbagliate, risate, musica e delusioni, si prenderanno per mano e impareranno per la prima volta a vivere.
[Una sorta di minilong di cinque capitoli sospesa tra comicità, fluff e dramma.
Nonostante faccia parte di una serie, cercherò di colmare nelle NdA tutte le eventuali lacune per renderla accessibile a tutti ^^]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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V
 
 
 
 
It's times like these you learn to live again
It's times like these you give and give again
It's times like these you learn to love again
It's times like these time and time again
[Foo Fighters – Times Like These]
 
 
 
 
Non appena l’auto della polizia accostò, notai subito la figura di zia Maura ferma sulla soglia: aveva le braccia incrociate sull’ampio petto e i capelli scuri raccolti in un disordinato chignon, che lasciavano libero il volto dai lineamenti marcati e induriti dalla rabbia.
Sospirai. Non sarebbe stato facile affrontarla.
Il poliziotto che stava sul sedile del passeggero scese, venne ad aprirmi la portiera e mi scortò fin davanti alla porta di casa; prima di andarsene, mi assestò una forte pacca sulla schiena e salutò brevemente mia zia.
Rimanemmo solo io e lei.
Entrammo in casa in un silenzio tombale, ma zia Maura si piazzò sulla soglia che separava il piccolo ingresso dal resto della casa, segno che non mi avrebbe lasciato andare così facilmente. Mi scrutò con i suoi occhi scuri e io ebbi l’impressione che le sue iridi colme d’ira potessero trapassarmi come un coltello affilato. Ancora non aveva aperto bocca, sicuramente stava cercando di trattenersi perché, se si fosse lasciata andare, mi avrebbe demolito.
Decisi di affrontarla, tanto ormai il danno era fatto; incrociai le braccia sul petto a mia volta e le lanciai un’occhiata offesa. “Hai mandato la polizia a cercarmi?”
“Non ti azzardare! Quella arrabbiata tra i due dovrei essere io” ribatté, e la sua voce profonda risultò ancora più cupa e glaciale del solito. Si interruppe, ma dal suo volto che si faceva paonazzo immaginai che stava lottando con l’impulso di urlarmi contro.
Zia Maura spesso aveva paura di ferirmi, lo sapevo: mi aveva visto crescere, piangere, tremare e avere paura, sapeva quanto fossi vulnerabile. Ma non aveva ancora capito che ormai non ero più quel bambino che correva tra le sue braccia a farsi consolare non appena riceveva un pugno dalla vita, ormai ero diventato grande ed erano poche le cose in grado di sconvolgermi.
“Non dovresti essere al lavoro a quest’ora?” improvvisai, ostentando una certa indifferenza.
“È domenica, Ives” mi gelò lei prima di avvicinarsi a me e immobilizzarmi per una spalla. “Te lo dico per l’ennesima e ultima volta: togliti subito questo vizio di non tornare a casa, altrimenti ti impedisco di uscire per il resto della tua vita. È chiaro?”
Sapevo che non sarebbe mai stata capace di farlo, anche perché per tutta la settimana lavorava e non mi poteva controllare, ma il suo tono minaccioso mi fece comunque rabbrividire.
“E dai, è la prima volta che passo la notte fuori…” cercai di sminuire la faccenda, abbozzando un sorriso.
“Non è normale che tu passi la notte fuori a tredici anni! E non è normale che tu stia in giro fino a tardi tutti i giorni!” sbraitò, il suo vocione rimbombò spaventosamente tra le pareti dell’ingresso.
“Beh, scusa, tu non me l’hai mai impedito” ribattei, anche se sapevo di starmi addentrando in argomentazioni che non era il caso di portare fuori.
Zia Maura non riusciva a starmi appresso perché era da sola a crescere me e Maggie, si spaccava la schiena ogni giorno dividendosi tra mille lavori per non farci mancare niente e per permettere a mia cugina di studiare all’università; sapevo di passare per ingrato, ma non importava, io volevo solo uscire con i miei amici e divertirmi come mi pareva.
“Vuoi che te lo impedisca, eh? Me lo stai chiedendo? Se vuoi ti accontento subito!” ruggì lei, scuotendomi violentemente per la spalla per poi lasciarmi andare bruscamente. Mi incenerì con lo sguardo, ma notai ugualmente la nota di preoccupazione in fondo a quegli occhi così severi. “Io ti ho sempre lasciato libero per non tarparti le ali, nella speranza che riuscissi a capire da solo cosa fosse giusto o sbagliato, ma a quanto pare ti ho dato troppa fiducia. Da quanti giorni non ti fai una doccia, eh?”
Mi afferrò una ciocca di capelli unti e ispidi, ma io scossi il capo e mi scrollai le sue mani di dosso. “Sono abbastanza grande per prendermi cura di me stesso.”
“Non sei grande per niente, Ives!” esplose nuovamente lei. “Tu ti senti grande, ma hai soltanto tredici anni, sei un bambino ingenuo e del mondo non hai ancora capito nulla! Vuoi rovinarti la vita? Non lo capisci che la gente che frequenti, le cose che fai, ti fanno male?”
“Non conosci la gente che frequento” replicai, fingendomi per niente colpito dalle sue parole – in realtà sotto sotto sapevo che non aveva tutti i torti, spesso avevo l’impressione di impigliarmi in situazioni per cui non ero ancora pronto e mi sentivo inadeguato. “Adesso mi fai passare? Così vado a farmi la doccia e ti faccio contenta.”
“Ma hai almeno ascoltato quello che ti ho detto?” Zia Maura si portò una mano sulla fronte, esasperata. “Dove sei stato stanotte? Cos’hai fatto?” incalzò, inchiodandomi nuovamente con lo sguardo.
Se solo me lo ricordassi…
“Ero con i miei amici, non abbiamo fatto niente di che” abbozzai – almeno la prima parte della storia era vera.
Lei sospirò, cercando le parole giuste con cui ribattere.
“Pensavo fossi preoccupata per me, invece mi hai aggredito non appena mi hai visto” borbottai io abbassando lo sguardo.
“Ma io sono preoccupata, è proprio per quello che mi arrabbio! Non so più come dirtelo!”
Sbuffai. “Adesso posso andare in camera mia? Sono stanco…”
“Vai. Tanto, qualsiasi cosa io ti dica, ti entra da un orecchio e ti esce dall’altro.”
Trattenni un sospiro di sollievo mentre mi dirigevo in camera mia e mi ci chiudevo dentro; misi su uno dei miei vinili dei Clash e mi buttai sul letto, esausto. Per l’ennesima volta avevo risposto male a zia Maura, che era sempre così paziente, e una parte di me mi suggeriva che mi sarei dovuto sentire in colpa, ma non avevo nessuna voglia di pensarci: volevo solo dormire per ore e ore, sentivo addosso una spossatezza incredibile.
Prima che potessi accorgermene, ero già sprofondato nel sonno.
 
 
A ridestarmi fu lo squillo acuto del telefono in corridoio; aprii gli occhi e il sole del tardo pomeriggio me li riempì.
Il telefono smise di trillare e qualche istante dopo sentii bussare alla porta di camera mia; mi alzai a fatica e andai ad aprire, ritrovandomi davanti il viso contratto di zia Maura. “Ti vogliono al telefono” mi comunicò in tono piatto, prima di scomparire velocemente in cucina.
Mi accostai al tavolino su cui era posato l’apparecchio e afferrai la cornetta. “Chi è?”
“Mick Jagger” rispose la voce di Ethan dall’altro capo.
“Spiritoso. Come mai mi hai chiamato? Non sapevo nemmeno che avessi il mio numero di casa.” In effetti quella era forse la prima volta che Ethan mi telefonava, le cose ce le dicevamo sempre di persona.
“Dato che oggi non ti ho visto in giro, volevo solo dirti che ho parlato col tizio degli Hell Night…”
“Il cantante! Cazzo, ieri me ne sono dimenticato!” sbottai, portandomi una mano davanti alla bocca.
“Ci ho pensato io. Si chiama Oliver, comunque. Ha detto che stava pensando già da tempo di lasciare la sua band e ha accettato di provare con noi: abbiamo appuntamento in sala prove domani sera. Ecco, volevo avvisarti per essere sicuro che non mancassi.”
Aggrottai le sopracciglia. “Quale sala prove? Ti ricordo che Sammy non fa più parte della band.”
“Ho risolto anche quel problema: ho parlato con Sammy e ci ha concesso di incontrare Oliver nel suo garage, almeno finché non troveremo una nuova saletta e della nuova attrezzatura.”
“Già. Peccato che non abbiamo un batterista con cui provare…”
“Ah, a proposito di questo: ho appeso un fottuto annuncio sulla porta dell’Alibi, speriamo che qualcuno risponda.”
Sbattei le palpebre un paio di volte. “Che efficienza!”
“Io mi do da fare mentre tu sei impegnato a collassare, sai?”
Risi. “Grazie Ethan. Ci vediamo domani, okay?”
“Non mancare, mi raccomando.”
 
 
“Ci lamentavamo del garage di Sammy, che era gratis, e adesso ci fanno pagare per questa merda” constatai, osservando le macchie di umidità sulla parete che un tempo doveva essere stata bianca. Qualche giorno prima c’era stato un piccolo temporale estivo ed era così che avevamo scoperto le terrificanti infiltrazioni d’acqua all’interno della nostra nuova saletta.
“Non so come fosse questo garage di Sammy, ma sappi che questo buco è un luogo di lusso rispetto alla sala prove degli Hell Night” commentò Oliver.
Lo osservai mentre era alle prese col mixer nel tentativo di regolare il volume del microfono: da minuti interi non faceva che bestemmiare contro quell’aggeggio, prima perché non riusciva a capire come collegare il cavo del microfono e ora perché il volume era troppo basso.
Ormai cantava nella nostra band da qualche settimana, ci eravamo trovati subito in sintonia con lui e averlo alla voce era un vero sogno, sprigionava esattamente quell’energia a cui aspiravamo. Oltre ad avere già dei testi pronti per le nostre canzoni, era finalmente riuscito a mettere in musica quello di Ethan, dando vita alla prima vera canzone della nostra band.
Caratterialmente era esplosivo come quando stava sul palco, io e Ethan lo adoravamo.
Eravamo sulla buona strada per diventare la band che avremmo sempre voluto essere, mancava solo il batterista.
Mi alzai, camminai avanti e indietro per lo stanzino con fare annoiato, poi mi affacciai alla porta e sbuffai. “Ma Ethan quanto ci mette?”
“Magari il tizio è in ritardo. A proposito: sai per caso chi è?” mi chiese Oliver, per poi lasciarsi sfuggire un’imprecazione tra i denti e mollare un pugno al mixer.
“Ora che ci penso non mi ha detto nessun nome, solo che un tizio aveva risposto all’annuncio.”
“Speriamo sia la volta buona che troviamo un batterista, non ho nessuna intenzione di diventare una specie di Phil Collins” commentò Oliver, poi lanciò un’occhiata alla batteria stipata in un angolo.
Risi, poi mi accostai a lui. “Hai mai provato a suonare la batteria?”
“Sinceramente no… ma lo farò oggi” affermò, mentre i suoi occhi venivano attraversati da una scintilla.
Sorrisi divertito mentre Oliver si posizionava goffamente dietro la batteria. “Spacca tutto!” lo esortai.
“Tanto penso di aver già distrutto il mixer, danno più o danno meno non farà differenza” scherzò, impugnando un paio di bacchette abbandonate sul timpano. “Allora… com’era quel passaggio? Qualcosa del genere, vero?” chiese conferma, mentre cercava di eseguire l’entrata di batteria di In The Air Tonight, ma il risultato fu piuttosto sbilenco e non potei evitare di ridere.
“Che cazzo ridi, marmocchio? Tu sapresti fare di meglio?” mi punzecchiò, sfidandomi con lo sguardo.
“Sta’ a vedere!”
Ci scambiammo di posto e, dopo aver eseguito il medesimo passaggio in maniera più o meno riconoscibile, tentai di capire come si suonasse la restante parte di batteria del brano di Phil Collins, con scarsi risultati e mentre Oliver mi rideva in faccia e mi dava inutili suggerimenti. Infine fu lui a riprendere posto sullo sgabellino, sostenendo di aver capito perfettamente come si doveva suonare, ma ridevamo così tanto che lui non riusciva nemmeno a tenere le bacchette in mano.
Eravamo talmente presi da quell’attività idiota che ci accorgemmo a malapena dell’arrivo di Ethan e il nostro nuovo potenziale batterista.
Ma quando mi voltai, mi trovai davanti l’ultima persona che mi sarei aspettato di vedere: Alick Jacobs, il tipo dai capelli lunghi da cui May era corsa dopo che l’avevo salvata dal suo aggressore.
“Lui è Alick, il nuovo candidato” lo presentò brevemente Ethan, mentre Alick rivolgeva un sorriso amichevole a me e Oliver.
Sicuramente ero sbiancato e avevo sgranato gli occhi, ma mi sforzai comunque di ricambiare il sorriso. Ma che situazione surreale era mai quella?
“Ehi amico, scusa se ti ho rubato il posto, in realtà sono il cantante!” lo salutò Oliver.
“No, no, resta pure!” lo rassicurò l’altro, avvicinandosi a lui. “Anzi, ho sentito che stavi provando a suonare qualcosa, di cosa si trattava?”
Cantante e batterista cominciarono a parlare tra loro, così ne approfittai per affiancare Ethan e dargli di gomito. “Potevi almeno avvisarmi…”
“Di cosa?”
“Come sarebbe a dire? Quello è il tizio a cui ho cercato di fregare la ragazza” sibilai. Ero parecchio imbarazzato da questa coincidenza.
Ethan si strinse nelle spalle. “E chi cazzo se lo ricorda più?”
“Me lo ricordo io.” A quel punto fui costretto a zittirmi perché Oliver e Alick si trovavano nei paraggi: si erano avvicinati al mixer e il moro lo stava esaminando con occhio critico.
“Credo che per regolare il volume sia questa levetta. L’hai già provata?” disse, indicando un punto accanto all’entrata del cavo.
Oliver strabuzzò gli occhi. “E chi cazzo l’aveva vista quella?”
Scoppiai a ridere di gusto, ripensando a quanto il cantante avesse perso la testa per cercare il problema, poi mi voltai verso Ethan. “Finalmente abbiamo trovato qualcuno in grado di risolvere questi problemi senza fulminarci tutti!”
“Fottiti.”
“Ah, Ives, ti volevo dire…” Alick mosse qualche passo verso di me e io mi morsi il labbro inferiore, non sapendo cosa aspettarmi. “Grazie ancora per aver salvato May, se l’è vista davvero brutta quella volta. Meno male che c’eri tu nei paraggi!”
Sorrisi, indeciso se sentirmi una specie di eroe o sotterrarmi immediatamente. E meno male che non se lo ricordava…
“Non ho fatto nulla di che, insomma, non sarei mai rimasto a guardare mentre quel bastardo metteva le mani addosso a una ragazza” biascicai.
“Possiamo cominciare le prove” intervenne Ethan, salvandomi dal momento di estremo imbarazzo.
Alick non esitò un attimo e corse dietro la batteria, mentre io, Ethan e Oliver collegavamo i nostri strumenti e discutevamo sulle canzoni che avremmo potuto usare per testare il nuovo membro della band. Era meglio cominciare da qualcosa che fosse noto a tutti per capire se potevamo entrare in sintonia.
“Come sei messo coi Led Zeppelin?” domandò Oliver ad Alick.
Lui annuì mentre giocherellava con una bacchetta. “A cosa stavate pensando?”
Whole Lotta Love, ci stai?”
Alick annuì nuovamente. “Dovrei ricordarla a memoria. Perfetto.”
Fu chiaro a tutti, ancora prima di arrivare al primo ritornello, che avevamo trovato il batterista giusto per noi: Alick si incastrava perfettamente nel nostro sound, era creativo e pulito, ma soprattutto era come se avesse suonato insieme a noi da sempre; il risultato finale era un sound compatto e coordinato.
Suonavamo già come una band.
Eseguimmo un sacco di cover e, brano dopo brano, eravamo sempre più entusiasti e soddisfatti; alla fine gli facemmo sentire qualche nostro inedito – inclusa Don’t Care, la canzone col testo di Ethan – e Alick trovò sempre il modo più congeniale di inserire la batteria e dare ai brani quel tocco di classe ed energia in più.
“Wow, con questa roba andremo al Whisky e al Rainbow nel giro di un mese!” esultò Oliver al termine delle prove, carico ed euforico.
“E chi ha voglia di aspettare un mese?” fece notare Ethan mentre riponeva la sua chitarra nella custodia.
Mi illuminai e schioccai le dita. “E chi ci dice che dobbiamo aspettare?”
Tre paia di occhi si posarono su di me, incitandomi a continuare.
Sorrisi. “Uno di questi giorni perché non suoniamo in strada, proprio qui di fronte? Portiamo tutto fuori e spacchiamo il culo al vicinato, così sarà impossibile non notarci! In fondo attirare la gente tramite la nostra musica è il modo migliore per farci conoscere, no?”
Ethan, Oliver e Alick si scambiarono occhiate complici, poi il chitarrista posò lo sguardo su di me e si lasciò sfuggire un sorrisetto ironico. “Da quando ti vengono in mente idee intelligenti, Ives?”
“Infatti l’idea non è mia, me l’ha suggerito Bess qualche tempo fa” ammisi.
Oliver scoppiò a ridere, poi sollevò il pollice in alto. “Io ci sto!”
“Ci vorranno un bel po’ di prolunghe e cavi, ma si può fare” concordò Ethan, mentre Alick si limitò ad annuire in silenzio.
“Magari aspettiamo qualche giorno in modo da spargere la voce e invitare più gente possibile, poi abbatteremo l’intera città con la nostra musica!” propose Oliver, già carico e pronto.
Abbattere…
“Sperando che non si scateni una tempesta come quella dei giorni scorsi” aggiunse Alick mentre si alzava dal seggiolino della batteria.
Tempesta…
Storm It Down! Che ne dite, non è fantastico?” saltai su.
Gli altri tre si voltarono a guardarmi interrogativamente.
“Per il nome della band, intendo! Storm It Down mi sembra carino: forte, d’impatto, orecchiabile. E stavolta l’idea è davvero mia!” precisai, strizzando l’occhio ai miei amici.
“Mi piace” affermò Alick abbozzando un sorriso.
“Grandioso!” concordò Oliver.
“Piace anche a me” acconsentì infine Ethan.
Li fissai negli occhi uno per uno, leggendo il loro entusiasmo e quasi tremando per l’emozione.
Eravamo ufficialmente gli Storm It Down. Eravamo parte di qualcosa e, anche se non ci conoscevamo ancora benissimo e non sapevamo dove il destino e la passione ci avrebbero portato, in cuor mio sapevo che da quel momento ci saremmo sempre stati l’uno per l’altro.
 
 
“Ehi ehi ehi, ragazzi! Chi vuole fare la conoscenza degli Storm It Down?”
Era veramente surreale: il sole era basso nel cielo e proiettava i suoi raggi arancioni, noi ci trovavano in mezzo alla strada e, con amplificatori e batteria sull’asfalto, stavamo per suonare per la prima volta davanti a un pubblico.
C’erano tutti: Sammy, Viktor, Bogdan, Jeff, May, Bess con le sue amiche – compresa Emily – e tutti i nostri amici abituali. Perfino Mitchell, l’ex compagno di scuola di Ethan con cui bighellonavamo sempre da piccoli, era ricomparso apposta per assistere al nostro show, nonostante frequentasse sempre più di rado la nostra cerchia.
E poi c’erano tanti volti nuovi, persone che si erano incuriosite vedendoci lavorare fin dal primo pomeriggio per portare il nostro live in strada; qualcuno poteva pensare che fossimo pazzi ad ammazzarci al caldo per eseguire solo quattro canzoni – due inediti e due cover –, ma mentre stringevo il mio basso tra le braccia e facevo scorrere lo sguardo tra i volti sorridenti dei nostri ascoltatori, capii che ne era valsa la pena.
Per la musica ne valeva sempre la pena.
“Okay, per scaldare un po’ i motori facciamo qualcosa che conoscono tutti. Chi la sa, la canti!” spiegò Oliver al microfono, attirando su di sé gli sguardi curiosi degli spettatori.
C’era chi strillava, chi gridava a gran voce i nomi dei vari componenti della band, chi si era accomodato in un angolo e chi invece stava in piedi accanto a noi per manifestarci il suo entusiasmo.
Il nostro piccolo pubblico impazzì letteralmente quando eseguii le prime note di Crazy Train; avevamo deciso di proporre la cover del brano di Ozzy perché piaceva a tutti, era stato il tormentone dell’ultimo periodo… e poi ci veniva davvero bene.
Mentre suonavo, non riuscivo a levarmi il sorriso dalle labbra: tutti cantavano, gridavano, ballavano, applaudivano, salutavano le poche auto che passavano da quelle parti, in quell’angolo di mondo dimenticato.
 
Mental wounds not healing
Life's a bitter shame
I'm goin' off the rails on a crazy train
I'm goin' off the rails on a crazy train
 
Mentre un coro di voci ci investiva, cantando insieme a Oliver il ritornello, mi domandai se un giorno i nostri spettatori avrebbero intonato con la stessa foga e la stessa gioia anche i testi delle nostre canzoni.
Chissà dove ci avrebbe condotto quello strano viaggio.
Un moto d’affetto improvviso mi riempì il cuore ed ebbi l’impulso di mollare il basso e correre ad abbracciare una per una le persone che mi stavano attorno.
Eravamo ragazzi strani e bizzarri, bambini cresciuti troppo in fretta e pieni di lividi che la vita ci aveva lasciato sull’anima; ci trovavamo in mezzo a una strada squallida e sudicia, in un quartiere malfamato, con degli amplificatori da quattro soldi e i vestiti incollati alla pelle sudata. Eravamo poveri, distrutti, dimenticati e senza futuro, ma eravamo una grande famiglia che non aveva mai perso la voglia di vivere, emozionarsi e divertirsi.
E soprattutto sognare.
Gettai un’occhiata alla mia sinistra, dove si trovavano Ethan, Oliver e Alick: i miei compagni d’avventura.
Qualunque fossero le difficoltà davanti a cui ci avrebbe messo la vita, noi avremmo imbracciato i nostri strumenti e le avremmo riso in faccia.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Okay, sono emozionata. Sappiate che ho quasi le lacrime agli occhi per questo finale, segno che ancora una volta questi ragazzi sono stati in grado di rubarmi il cuore e l’anima.
Ma ormai di che mi sorprendo? Ives, Ethan e tutto il loro universo sono diventati la mia ragione di vita *_________*
Ma bando alle ciance, passo alle note veramente utili XD
Vi lascio qui i link delle canzoni che ho nominato!
In The Air Tonight di Phil Collins, che guarda caso è uscita proprio nel gennaio dell’81:
https://www.youtube.com/watch?v=YkADj0TPrJA
L’entrata di batteria che Ives e Oliver stavano provando a fare si trova al minuto 3:15 del video che ho linkato ^^
Ah, per chi non lo sapesse: Phil Collins, ex componente dei Genesis, è appunto cantante e batterista!
Poi…
Whole Lotta Love dei Led Zeppelin:
https://www.youtube.com/watch?v=HQmmM_qwG4k
Crazy Train di Ozzy Osbourne:
https://www.youtube.com/watch?v=RMR5zf1J1Hs
Curiosità su quest’ultima: è uscita nel 1980, quindi ci sta che fosse stata un tormentone dei mesi precedenti a questa storia – almeno per questi ragazzi amanti del rock ^^
In questo capitolo conclusivo vediamo la nascita ufficiale degli Storm It Down, con la formazione che rimarrà invariata fino alla fine della loro carriera!
Chi conosce già la serie sapeva che Alick sarebbe diventato il batterista; per chi invece non ne aveva idea, vi aspettavate il ritorno di questo personaggio?
E conosciamo anche Oliver, l’ormai ex cantante degli Hell Night, talentuosissimo! Immagino il suo timbro vocale un po’ come quello di Jared Leto dei Thirty Seconds To Mars, per darvi un’idea ^^
Devono essere davvero una bellissima band, io li voglio sentire *_______*
Non credo ci sia altro da aggiungere per quanto riguarda le note tecniche!
E ora passiamo ai ringraziamenti!
GRAZIE GRAZIE GRAZIE LETTORI, per aver tanto apprezzato questa storia e avermi dimostrato un entusiasmo che mai e poi mai mi sarei aspettata! Sono davvero legatissima a questa minilong, la sua stesura sono stati cinque giorni di febbrile scrittura e profondo delirio mentale, mi ha completamente rapito e mi ha dato modo di rappresentare ancora una volta il mondo meravigliosamente doloroso di questi ragazzi. Sapere che è stata apprezzata, sapere che il mio impegno e la mia passione traspaiono da queste righe, mi rende l’autrice più felice del mondo.
GRAZIE a Kim WinterNight, evelyn80, alessandroago_94, Sabriel_Little Storm e KUBA, perché le vostre parole mi hanno riempito il cuore di gioia. Grazie ai lettori silenziosi e grazie a tutti coloro che giungeranno qui in seguito. GRAZIE per amare i miei personaggi insieme a me!
E grazie ad Ives, Ethan, Sammy, Bess e tutti i personaggi di questa serie, per essere le mie ancore di salvezza, le mie rocce, i figlioletti da amare incondizionatamente e gli amici con cui condividere tutto.
GRAZIE!
Alla prossima avventura – nel caso ve lo stiate chiedendo, lettori: ho una marea di storie per questa serie pronte da pubblicare prossimamente *______*
 
 
   
 
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