CAPITOLO 1
Era il crepuscolo e, quindi, l’ora migliore per la caccia al
cervo.
Jackson soffiò sulle mani intirizzite dal freddo e una
nuvola di vapore acqueo
gli donò un attimo di calore: quello stupido mantello rosso,
ora piegato nella
bisaccia, era certamente un pugno in un occhio in mezzo alla foresta
innevata
e, di conseguenza, non il miglior alleato di un cacciatore, tuttavia,
svolgeva
egregiamente il suo compito di tenere al caldo e, ora che ne era
sprovvisto, lo
comprendeva più che mai.
Eseguì alcuni esercizi per le dita, in modo da non lasciarle
intorpidire: la
luce ormai stava scemando e, da lì a poco, la luna sarebbe
sorta nel cielo.
Imprecò fra sé, già pronto a rientrare
con il magro bottino di una sola lepre
quando, improvvisamente, un maestoso cervo maschio entrò nel
suo campo visivo.
Era magnifico ma anche decisamente troppo grosso per essere trasportato
da lui
soltanto che, incurante della Notte del Lupo imminente e di tutte le
leggi del
suo villaggio, si era addentrato in solitaria nella foresta.
Fortunatamente,
ben presto, gli fu chiaro il motivo della presenza di
quell’esemplare: dal
fitto sottobosco, si fece avanti un nutrito gruppo di femmine, di cui
una
giovane e meravigliosa, assolutamente perfetta per essere issata in
spalla una
volta pulita.
Drizzò l’arco stretto nella sua mano e
incoccò la freccia con una maestria tale
da non fare alcun rumore, perse solo un secondo a contemplare la
profanità del
suo gesto ma non c’era piacere in quel che stava facendo,
solo pura
sopravvivenza, la carne era fondamentale per superare un inverno
così rigido:
scoccò.
Il taglialegna più aitante della città
finì di scaricare
l’ultima cassa del suo carro, ancora allacciato ai finimenti
della sua fidata
renna Sven, sul bancone a lui dedicato del mercato cittadino. Quello
era il
centro pulsante del villaggio: non erano una comunità
numerosa, per cui
l’economia delle famiglie si basava più su
semplici baratti che non su veri e
propri scambi monetari, chi aveva le capacità adatte
assumeva il ruolo
appropriato e sopperiva a chi non poteva o non aveva il tempo di
dedicarsi a determinate
attività. Le uniche ricchezze erano, di fatto, custodite dal
capo villaggio che
le utilizzava per mandare avanti quei pochi commerci con i paesi
vicini, di
cui si occupava personalmente assieme al resto della sua famiglia.
Quella mattina, però, non c’era il solito allegro
vociare di sempre, tutti
erano in tensione e in attesa del resoconto relativo alla Notte del
Lupo appena
trascorsa. Ormai, erano passati anni dall’ultima vera
tragedia che li
aveva colpiti e le recenti notizie riferivano, ogni tanto, di alcuni
capi di
bestiame spariti nei villaggi vicini ma, nonostante questo, nessuno si
sentiva
libero di abbassare la guardia. Perciò anche quel giorno
aveva indossato il suo
mantello rosso, come le norme imponevano: per quanto surreali fossero
alcune di
esse, avevano davvero giovato alla serenità del villaggio da
quando erano state
messe in atto e non sarebbe, di certo, stato lui a minare quel periodo
di pace
apparente.
Si diede un’occhiata intorno, era molto presto e gli
avventori erano ancora
pochi ma lei era già lì, a
girare fra le bancarelle dall’altra parte
della strada. Lei non ne aveva una propria, chi
necessitava degli
interventi della sua famiglia si recava direttamente al laboratorio
della
sorella che, al momento, sembrava non essere in sua compagnia. Si
riscoprì per
niente dispiaciuto di quel fatto: Elsa sapeva davvero essere glaciale
con quel
suo sguardo freddo e tagliente. Anna, al contrario, era raggiante,
esuberante
e, sebbene il colore dei suoi occhi fosse molto simile a quello
dell’altra, il
suo sguardo sprizzava gioia e curiosità per il mondo, era
indomita così come
suggerivano i suoi capelli fulvi ai quali, purtroppo doveva ammettere,
la mantella rossa non sapeva
rendere il giusto merito. Nonostante i suoi diciotto anni era
un’inesauribile
fonte di guai ma tutti la adoravano per questo. Lui, dal canto suo, era
cotto
di lei almeno da un paio d’anni ma, purtroppo, non aveva
abbastanza coraggio
per dichiararsi, troppo timoroso del giudizio della sorella che
sembrava
bollare come inetti tutti quelli su cui posava lo sguardo. Come quelle
due
ragazze potessero essere legate dal sangue era un mistero per tutti.
Un sonoro tonfo, sul bancone accanto al suo, lo strappò dai
suoi pensieri,
facendolo sobbalzare «Pensi che riuscirai mai a farti
avanti?» lo canzonò una voce familiare alle sue
spalle.
«Cavolo Jack, mi hai fatto prendere un colpo! Quante volte ti
ho detto che non
devi fare queste cose da cacciatore con me?» lo riprese,
portandosi una mano al
petto pronto a scoppiare.
«Mi spiace» gli rispose l’altro con finto
rammarico, finendo di sistemare il
suo bottino di caccia «Ormai ce l’ho nel sangue,
sono troppo bravo. E a
proposito di cooolpi…» canticchiò,
invitandolo a voltarsi con un’espressione
eloquente sul viso.
Fu così che il cuore gli fece una nuova capriola
nella cassa toracica,
nel trovarsi di fronte l’oggetto dei suoi pensieri.
«Ciao Kristoff» lo salutò lei con un
leggero rossore sulla gote, probabilmente
dovuto al freddo, anzi, di sicuro dovuto al freddo,
mica era imbarazzata
perché stava parlando con lui, o
sì?
Vedendolo imbambolato, Jackson alzò gli occhi al cielo e gli
rifilò una
gomitata nel costato.
«Ah, ehm… uh… ciao, Anna» si
riprese, più o meno, quello «Come mai da queste
parti?»
La ragazza lo guardò confusa «A chiederti del
legname che ti ha commissionato
mia sorella?» chiese, come se la cosa fosse ovvia
«Perché l’ha fatto, no?
Oddio, non l’ha fatto, che figura»
Il cacciatore si strizzò l’attaccatura del naso,
rassegnato, chiedendosi che
razza di figli sarebbero mai potuti uscire da due così.
Per non si sa quale grazia divina, Kristoff si riprese «Certo
che l’ha fatto ma
visto il grosso quantitativo ho già predisposto per farvela
consegnare e scaricare,
così non dovrete preoccuparvi di nulla»
«Grazie» gli sorrise lei riconoscente.
Lui si perse in quel sorriso, per un tempo che gli parve infinito.
«Bacialaaaa» gli disse l’altro
nell’orecchio usando, però, un volume
deliberatamente elevato in modo da farsi sentire anche da lei.
Anna, di fatti, avvampò mentre il taglialegna gonfiava le
guance irritato «Jack, tu
sei un…»
«Idiota» completò per lui una tagliente
voce femminile. Il cacciatore,
voltandosi, incontrò lo sguardo glaciale della maggiore
delle due sorelle.
«E
puzzi di morto» concluse lei, allargando appena le narici.
Quello non si scompose «Ma davvero, Fiocco di Neve?
Chissà mai perché?» la
sfidò, mostrandogli le carcasse sul tavolino.
Elsa deglutì, come se ne fosse nauseata: se dalla carne
ancora sanguinolenta o
da lui in particolare, non era dato saperlo. «Sei di nuovo
andato a caccia da
solo nella Notte del Lupo» constatò «Sei
uno sconsiderato, dov’è la tua
mantella?» lo riprese da sotto al suo cappuccio. Se era vero
che il rosso non
donasse alla giovane Anna, lo era altrettanto che, invece, esaltasse
alla
perfezione la sua figura eterea.
«Eccola qua, nonnina» le
spiegò l’altro, prendendola dalla bisaccia e
sventolandola platealmente prima di portarsela alle spalle
«Oh, adesso sì che
mi sento sicuro: in fin dei conti, il rosso non è di
certo un colore che
sarebbe in grado di attirare Satana in persona, mi
proteggerà di sicuro
da questa terribile bestia che le leggi del nostro capo villaggio
tengono
lontana, talmente bene che – in prossimità di una
nuova Notte del Lupo – lui se
ne va. Questo dovrebbe farvi capire quanto lui stesso creda alle sue
regole»
concluse sprezzante.
La vide arricciare le labbra, irritata – estremamente
irritata – con tutta
probabilità stava pure stringendo i denti, visto
com’era contratta la sua
mascella. Per Jack, tuttavia, infastidirla era un richiamo
pressoché
irresistibile: più lei lo investiva di ondate cariche di
gelido disprezzo, più
lui si riparava sotto coltri di pungente sarcasmo. Eppure, nonostante
tutto
l’astio che gli riversava costantemente addosso, era sempre
da lui che andava a
cercare la selvaggina, nonostante non fosse certamente
l’unico cacciatore del
villaggio anche se, in effetti, era di sicuro il più bravo:
silenzioso, rapido,
letale, sembrava nato per cacciare.
Sospirò, decidendo che l’aveva torturata fin
troppo «Cosa mi hai portato,
Fiocco di Neve?» o forse no.
Elsa mise mano al suo cestino e ne estrasse un
pugnale dalla lama lunga
e lucente, dall’impugnatura chiara in legno di pino,
finemente levigata.
Assottigliò gli occhi e lo piantò di punta nel
legno del tavolino «Questo»
Jack trasalì, perché aveva quella netta
sensazione che l’avrebbe volentieri
piantato da un’altra parte? Nella sua carne, per esempio?
Cercò di ricomporsi e
lo prese, soppesandolo: era meraviglioso, perfetto per adattarsi alla
sua mano,
leggero ed estremamente affilato. Inconsapevolmente sorrise nel vedere
un fiocco
di neve magistralmente cesellato sotto la lucidatura del legno. La
bravura con
cui quella ragazza riuscisse a fare un mestiere prettamente maschile
era fonte
di pettegolezzi e stupore per tutto il villaggio ma non per lui: lui
non ne era
per niente stupito, anzi, ne era sinceramente ammirato. Chiaramente lei
non
avrebbe mai dovuto scoprirlo, fu per questo che, invece, disse
«Sì, carino, ma
funziona?»
Lei sbuffò e recuperò, con malagrazia, il
coltello dalla sua mano, sebbene con
un’impercettibile accortezza a non fargli male «Per
eventuali problemi del
filo dovrai porgere le tue rimostranze al fabbro, non a me»
afferrò un pezzo
della pancia della carcassa del cervo e affondò nella carne:
la lama scivolò
via come se si trovasse all’interno di un panetto di burro
«Ma mi pare che non
sia questo il caso» constatò «Questo lo
prendo io» gli fece presente, adagiando
nel suo cestino il trancio appena tagliato «E la
pelle?»
«E’ già dal conciatore, puoi andare da
lui se ti serve»
L’altra annuì ma non riuscì a
rispondere, in quanto il suono di una campanella
attirò l’attenzione di tutti verso il centro della
piazza dove Hans, il figlio
del capo villaggio, stava prendendo posto per dar notizia
dell’evolversi della Notte
del Lupo appena trascorsa. Deglutì in tensione, avvertendo
la sorella farsi più
vicina: si strinsero l’un l’altra per farsi forza,
assieme.
«Cittadini» prese parola il giovane «Sono
lieto di comunicarvi che non si sono
verificati attacchi nel nostro villaggio, né in quelli delle
immediate
vicinanze» l’atmosfera si fece improvvisamente
più leggera «Tuttavia, la
spedizione di mio padre riporta che il mese scorso una stalla sia stata
divelta
con conseguente razzia del bestiame in un paese oltre le montagne,
perciò vi preghiamo
di non abbassare la guardia e continuare ad usare tutte le accortezze
stabilite. A breve saranno disponibili le merci recuperate, potrete
venire a
prendere la vostra razione quanto prima. E’ tutto»
Jack tirò le labbra di lato in una smorfia «Certo,
come no» commentò sprezzante
«Di nuovo solo voci e niente prove»
«Perché devi essere sempre così
scettico?» fu la voce dell’amico a riprenderlo,
questa volta.
«Andiamo Kristoff! Quando è stata
l’ultima volta che è successo qualcosa
qui?»
La faccia atterrita del taglialegna gli fece comprendere di aver
decisamente
parlato troppo.
«Già, quando?» lo congelò
Elsa con un’occhiata di puro disprezzo, mentre
cercava di rincuorare la sorella – dagli occhi già
colmi di lacrime – con una
carezza «Andiamo via, Anna»
La comprensione si fece largo sul volto del cacciatore «Oh,
cazzo…» sbottò
mentre le vedeva sparire fra il resto della gente «Kristoff,
occupati tu della
mia bancarella per favore»
Non attese nemmeno una risposta e si lanciò subito al loro
inseguimento. Per
una volta non poté fare a meno di essere assolutamente
d’accordo con lei: era
un perfetto idiota.
Elsa sollecitò, premurosa, la sorella a precederla nella
strada verso casa, poi, prese un grosso respiro e, indurendo lo
sguardo, si
voltò di scatto «Smettila di urlare il mio
nome» ammonì il suo inseguitore «Ci
guardano tutti»
Jack riprese fiato, che si fottessero quei bigotti curiosi
«Perché ve ne siete
andate così? Andiamo, lo sai come sono fatto, spesso non
penso prima di
parlare, non avreste dovuto prendervela così tanto»
La ragazza inarcò le sopracciglia e sgranò gli
occhi, quelle erano davvero le
peggiori scuse che avesse mai sentito in vita sua «Noi non avremmo
dovuto prendercela?» sbottò
«E’ tutto un gioco per te, non è
vero? Perché devi sempre sminuire ogni cosa?»
«Perché tu devi sempre ingigantirla,
invece?» si difese l’altro.
«I nostri genitori sono
morti, trucidati dal lupo a cui tu non credi e,
non solo, ne parli con una leggerezza disarmante e io ingigantisco la
cosa?» furiosa, si voltò, decisa più
che mai a non perdere con lui un secondo
di più. Avvertire la sua mano, a bloccarla, sulla spalla
sinistra rallentò il
suo proposito. Girò nuovamente il viso nella sua direzione,
sprezzante:
allontanò quella mano con stizza «Non osare
toccarmi mai più» quasi gli ringhiò
contro.
Jackson rimase un attimo disorientato da quella reazione, dovette
sbattere le
palpebre un paio di volte prima di tornare pienamente in sé
«Volevo chiedervi e
chiederti
scusa, d’accordo?» riuscì finalmente a
confessare «Mi dispiace di
essermi comportato come un arrogante spocchioso, non volevo in alcun
modo
sminuire la tragedia che vi è capitata cinque anni
fa» si pentì, sincero «Scusami»
L’espressione di lei non si addolcì
«Delle tue scuse non so che farmene»
concluse, andandosene una volta per tutte.
Il cacciatore calciò un cumulo di neve lì
accanto, si arruffò i capelli
irritato ed imprecò. Che cosa le aveva mai fatto per
meritarsi tutto quel
disprezzo? Dov’era finita quella graziosa bambina con cui amava così
tanto giocare? Timida, sì, ma intelligente e coraggiosa,
desiderosa di
avventure tanto quanto lui, forse di più. Era andata,
sparita, persa in quegli
otto anni di malattia in cui nessuno l’aveva più
vista. Ne era uscita sedicenne
- dopo la tragica morte dei genitori - ormai donna, meravigliosa e
glaciale. Tutti
avevano dato la colpa al trauma subito ma, mentre gli anni passavano e
Anna
diventava sempre più solare, Elsa non cambiava di una
virgola, anzi,
peggiorava.
Jackson si ritrovò a pensare che, forse, anche quella
bambina era morta laggiù
– nel bosco – assieme ai suoi genitori, fagocitata dalle
fauci del lupo.
Ebbene sì, sono
tornata.
Proviamo a
rilanciarci in una mini long in un nuovo universo alternativo.
Questa storia mi
è stata
ispirata da un edit trovata su Pinterest della locandina di Cappuccetto
Rosso Sangue in cui
al posto dei protagonisti c'erano Elsa, Jack e Hans e mi è
ripartito il trip per la favola di Cappuccetto Rosso che è
una
delle mie preferite, come i muri di casa mia possono confermare,
infatti
indovinate un
po' chi era il mio personaggio preferito in Once Upon a Time? Peccato che, poi, me l'abbiano tolto ç_ç Ma bando alle ciance...
Qui i nostri
personaggi preferiti
tornano ad essere più giovani e hanno, di fatto, le stesse
età del primo film di Frozen: Anna ha diciotto anni, Kristoff venti e
Elsa ventuno. Ho
ipotizzato Jack più grande di Elsa di un anno.
Lo sapete che il
richiamo al
canone per me è irresistibile perciò anche qui
Elsa
è stata segregata per 8 anni a causa di una misteriosa
malattia
e, chiaramente, Agnarr e Iduna sono passati a miglior vita, pace
all'anima loro.
Per chi ha
già seguito Seasons, avrete
intuito - anche se non si vede - che ho deciso di riutilizzare una
vecchia conoscenza... non vi mancava, suppongo XD
Fra i nostri due
adorati, questa volta, ho voluto inserire un po' di attrito... non vi
resta che scoprire il perché.
Mio caro Jack, la
figlia che
uscirà da Anna e Kristoff sarà favolosa e te ne
innamorerai prima di subito... hai poco da fare lo spiritoso ;)
Spero che questo
primo capitolo vi
abbia incuriosito, non so bene con quale frequenza
aggiornerò
questa volta, è un periodo un po' incasinato, abbiate
pazienza.
Al solito vi
ringrazio per aver
letto, se vorrete lasciarmi due parole per farmi sapere che ne pensate,
ovviamente, mi farete molto felice.
Alla prossima
Cida
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