I
minuti che passano da quando Seth e Annabel vengono lasciati soli a
quando i due giovani escono dal tempio sono venti, e non dieci come
anticipato da Elsa, ma nessuno viene a disturbarli.
Annabel
non ha pianto. Gli occhi di Seth si sono velati di lacrime, ma quelli
di lei no. Non c’è motivo di piangere, pensa,
perché quello non è
un addio: è solo un maledetto incidente di percorso, un
inconveniente che supererà e si lascerà alle
spalle come ha fatto
con tanti altri inconvenienti che ha incontrato lungo la sua vita. In
fin dei conti, un matrimonio combinato non può essere
peggiore del
fatto di venire abbandonata in mezzo ai rifiuti un solo giorno dopo
essere venuta al mondo, no? Se è sopravvissuta a quelle
prime
ventiquattro ore a Yuba, sopravviverà anche a
quell’anno a Huim.
Senza contare che, se ne avrà
l’opportunità, intende accorciare
sensibilmente il proprio soggiorno in quel villaggio: ha già
un
piano; deve solo trovare il modo migliore per metterlo in atto.
Seth
posa una mano sulla maniglia della porta e con l’altro
braccio la
stringe un’ultima volta. “Troveremo un modo per
parlarci” le
dice affondando il viso tra i suoi capelli. “Tra un anno ce
ne
andremo da questo posto. Nel frattempo, però, troveremo un
modo per
stare insieme, che a loro piaccia o no.”
“Certo”
annuisce decisa la ragazza. All’improvviso ha una gran voglia
di
uscire fuori e di andare avanti con quella maledetta cerimonia. Prima
inizia e prima finisce,
pensa. La cosa è inevitabile, quindi è meglio
affrontarla in
fretta: sarà come strappare un cerotto. Una volta fatto,
avrà tutto
il tempo per leccarsi le ferite e meditare vendetta.
“Allora
andiamo?” le chiede Seth, con la voce tremula di chi vorrebbe
fare
di tutto, fuorché aprire quella porta.
“Andiamo”
conferma lei. “Non ha senso aspettare oltre.”
Il
giovane spalanca la porta e, malgrado sia determinata ad affrontare
ciò che l’attende a testa alta, Annabel vacilla
nel vedere la
gente radunata davanti al tempio. Non che si siano aggiunte altre
persone rispetto a prima, ma ora gli spettatori le sembrano malevoli
e minacciosi.
Mentre
scende i pochi gradini che separano la cappella dal terreno sul quale
sorge, passa accanto a Kabir e Kalika. Le basta voltare di un poco il
capo per incrociare gli occhi neri dell’uomo, che la studiano
con
una strana espressione che non sa interpretare. Annabel leva
fieramente il capo e sostiene il suo sguardo, sentendo la
necessità
di comunicargli un messaggio. Non
ho paura,
pensa, e spera che Kabir colga il suo pensiero. Forse
pensano di avermi convinta a fare quello che vogliono loro, ma si
sbagliano di grosso.
Kabir
annuisce in modo quasi millimetrico e un angolo delle sue labbra si
solleva in maniera pressoché impercettibile. Ha
capito,
pensa Annabel, e
pare approvare.
Anche se non si sa spiegare il perché, il fatto di avere il
sostegno
del giovane la rinfranca.
Mastro
Leron si fa avanti. Sul viso ha stampato un sorriso gioviale e nulla
in lui lascia intendere che ciò che è accaduto
abbia rovinato il
suo buonumore. “Ottimo” dice, rivolgendo un sorriso
a Seth e ad
Annabel. “A questo punto, direi che possiamo procedere.
Iniziamo
con voi due, se non vi dispiace.”
Così
dicendo, l’uomo rivolge un cenno a Kalika e a Kabir, che
annuiscono
e si dirigono verso il tempio. Quasi tutte le Sapienti si incamminano
alle loro spalle; e lo stesso fanno gli uomini che hanno accompagnato
il capo villaggio, Elsa e il Maggiore Nelson. Rimangono solo il
bambino, due donne di cui Annabel non conosce il nome e Mada, che
riprende il suo posto tra lei e Seth. E, naturalmente, Janus e Liri,
che se ne stanno immobili a ridosso del muro del tempio: lo sguardo
della donna è alto e perso nel vuoto, quello
dell’uomo è fisso
sulla punta dei suoi piedi.
Mentre
le sfila accanto, Romed si ferma per un istante accanto ad Annabel e
lei viene assalita dalla voglia di sputargli addosso. Si trattiene a
stento, quando già la saliva le si è raccolta
dietro le labbra.
Figlio
di puttana,
pensa stringendo i pugni. Adesso il discorso che le ha fatto il
giorno prima assume un senso tutto nuovo e la giovane sente di
odiarlo. Non ha mai odiato nessuno, non veramente, ma non ha dubbi su
cosa sia il sentimento che le brucia dietro lo sterno.
Il
suo volto deve tradire i suoi pensieri, perché
l’uomo scrolla il
capo e la fissa con un’occhiata di disappunto.
“Ieri, quando
abbiamo parlato, mi sei sembrata una ragazza intelligente” le
dice
in tono basso, parlando con una strana cadenza lenta. “Adesso
è il
momento di dimostrarlo, Annabel.”
La
giovane si sente avvampare. Vorrebbe urlare, vorrebbe colpirlo, ma le
parole le si bloccano in gola e, in realtà, non ha davvero
il
coraggio di aggredire fisicamente un uomo adulto. Romed la percorre
da capo a piedi con i suoi occhi neri e poi sparisce anche lui dietro
la porta del tempio, chiudendosela alle spalle.
Il
silenzio nel piazzale è quasi totale e ad Annabel sembra di
udire
soltanto il sibilo del proprio respiro. Per qualche secondo non vede
altro che il terreno sotto ai suoi piedi, poi i suoi occhi si alzano
quasi senza il suo consenso e si posano sul bambino che ancora
stringe tra le mani la gonna della vecchia che gli sta
accanto.
È
oggettivamente un bel bambino, lo deve ammettere. Il visino pallido
è
contratto in un’espressione preoccupata e la giovane si
domanda se
si renda conto di cosa sta accadendo. Chissà
se chiamerà Seth ‘papà’,
si chiede, e il solo pensiero le fa venir voglia di vomitare. Non
ha nessun diritto di farlo!
Pensa,
forse in maniera un po’ irrazionale, provando
l’impulso di
attraversare la piazza e spingere via quel ragazzino dai capelli
neri. Vorrebbe allontanarlo, farlo sparire dalla sua vista,
perché
nel profondo del suo animo avverte che potrebbe essere lui il suo
vero pericolo. C’è infatti un’altra
domanda a cui non osa dar
voce, ma che sta comunque piantando radici nei recessi della sua
mente: chissà
se Seth lo chiamerà figlio.
Annabel
non vuole pensarci - soprattutto non vuole pensare a come le cose
sarebbero state diverse, se l’idea di avere un bambino non le
fosse
sembrata tanto sgradevole, quando ancora erano a Yuba - e allora
segue lo sguardo di Haken fino ad arrivare inevitabilmente a Liri.
Dovrebbe
odiarla così come odia Romed, eppure nei suoi confronti non
prova
altro che una bizzarra curiosità bellicosa. Forse
è colpa di quel
suo sguardo altero, caparbiamente perso nel vuoto, o dei suoi
lineamenti così perfettamente privi di espressione. Quella
donna è
una fortezza di ghiaccio e Annabel prova una minuscola punta di
ammirazione nei suoi confronti. Ha sempre desiderato raggiungere quel
livello di indifferenza nei confronti del mondo, ma i suoi scatti
d’ira e il suo carattere facilmente infiammabile non
gliel’hanno
mai permesso.
La
donna deve sentirsi osservata, perché i suoi occhi
incontrano
brevemente quelli di Annabel. La ragazza sa che non è
educato
fissare la gente, ma si sente all’improvviso coinvolta in una
sfida
a cui non ha deciso di partecipare. Sostiene lo sguardo di Liri e ne
imita la postura, cercando di ostentare la sua stessa fredda
indifferenza. Non si illude di riuscirci: il battito accelerato che
avverte alla base del collo e la tensione che le fa tremare lo
stomaco le fanno capire che è ben lontana dal raggiungere la
compostezza dell’altra giovane.
Non
è poi così importante, però: anche se
non la odia, avverte
comunque la necessità
di
sfidarla, di attirare la sua attenzione e di farle capire che Seth
è
suo e che ha ogni intenzione di lottare per lui.
Non
sentirti troppo tranquilla, bella mia,
pensa, piegando le labbra in una smorfia.
Le
sopracciglia di Liri si aggrottano per una frazione di secondo e
Annabel pensa di essere riuscita a farsi notare, ma l’istante
successivo la donna è già scivolata
nell’indifferenza che ha
ostentato fino a un attimo prima. La ragazza contrae la mascella,
contrariata. Si crede forse superiore a lei? La giovane non riesce a
spiegarselo: è possibile che quella donna sia felice di
sposare un
uomo che non ha mai visto prima di allora? Non può aver
scelto
liberamente di metterselo in casa, soprattutto perché ha
anche un
bambino a cui pensare.
Annabel
espira lentamente dal naso e poi, senza che riesca a evitarlo, i suoi
occhi scivolano verso Janus. L’uomo sembra non essersi mosso
di un
centimetro anche se, ora che lo guarda meglio, vede che dei guizzi
nervosi percorrono di tanto in tanto il suo volto. Patetico,
pensa la giovane, sentendosi sopraffare dal disgusto. Nella sua
volontà di evitare ogni forma di contatto non
c’è nulla della
gelida eleganza di Liri: Janus sembra quasi spaventato,
il suo capo reclinato parla di timore e di desiderio di evitare i
conflitti, non di un percepito senso di superiorità. La
ragazza
sente di disprezzarlo.
Il
tempo scorre lento, quasi vischioso
nell’immobilità dell’attesa,
ma alla fine la porta del tempio si apre rivelando Kalika e Kabir,
che si stagliano sulla soglia tenendosi per mano. Nulla è
cambiato
nel loro aspetto, fatta eccezione per dei lampi di colore dipinti
sulle loro mani. Annabel non ha modo di esaminarli con più
attenzione, perchè una delle Sapienti di cui non conosce il
nome si
frappone tra la coppia e la gente che attende nel piazzale. La
vecchia si incammina verso la strada che Annabel ha percorso per
arrivare lì e i due giovani la seguono senza una parola. La
ragazza
si sarebbe quasi aspettata di incontrare gli occhi di Kabir, ma
l’uomo tiene lo sguardo basso, concentrato sul terreno. Non
che
questo impedisca ad Annabel di notare la tensione delle sue spalle.
Ferma
all’entrata del tempio, Nisha si schiarisce la voce.
“Seth e
Liri: ora tocca a voi” dice, prima di aggiungere:
“Liri, porta
anche il bambino: è giusto che assista.”
A
un cenno della donna che gli sta accanto, Haken trotterella verso la
madre e Annabel si sente sopraffare da un’ondata di nausea. È
tutto vero,
pensa. Sta
succedendo veramente. Qualcosa
nel suo petto si contorce
e
la giovane prova l’impulso di scagliarsi in avanti e di
avvinghiarsi a Seth, impedendogli di varcare la soglia della
cappella.
Ma
no,
si impone, stringendo le mani in un pugno. Questo è il
momento di
tenere la testa bassa, di fingere una rassegnazione che in
realtà
non prova. Il momento di reagire verrà dopo. Lei e Seth ne
hanno
parlato come meglio potevano nel poco tempo che è stato loro
concesso all’interno del tempio: hanno concordato che il modo
migliore per uscire da quella situazione è dichiarare che i
loro
matrimoni non funzionano.
La
sua parte le è chiara: basterà far credere al
Maggiore Nelson che
Janus è una persona pericolosa. Annabel pensa che forse non
ci sarà
bisogno di mentire: non senza una certa preoccupazione, ricorda che
l’uomo è un assassino e che, stupido o meno,
potrebbe essere
davvero uno squilibrato. Spera che non sia così,
naturalmente, ma è
pronta a tutto: è determinata a difendersi con ogni mezzo e
a
scoraggiare qualsiasi tipo di rapporto tra lei e lo sconosciuto con
cui dovrà dividere una casa.
Seth
si trova in una situazione un po’ più complicata:
stando a quanto
ha detto Nisha, Liri è una brava persona e le leggi di Huim
non
dovrebbero consentire il divorzio. Dopo averci riflettuto
rapidamente, i due ragazzi sono giunti alla conclusione che
dovrà
essere Seth a farle desiderare di non avere nulla a che fare con lui.
Come? Annabel non ha una risposta, ma solo un suggerimento: il
ragazzo potrebbe trattare male Haken, portando Liri ad allontanarsi
da lui per proteggere il figlio. Annabel non è
un’esperta di
relazioni madre-figlio, ma è abbastanza certa che
l’istinto
materno della donna possa giocare a loro favore.
Senza
dire una parola, quasi senza nemmeno respirare, la ragazza guarda il
suo fidanzato - il suo ex-fidanzato,
ora - procedere verso la cappella, accompagnato da Liri, che continua
a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, e da Haken, che
invece alza
i grandi occhi chiari sul giovane, un’espressione di sgomento
sul
visetto pallido.
Quando
la porta si chiude alle loro spalle, Annabel permette
all’aria di
defluirle dai polmoni in un sibilo lento. Ancora una volta,
l’attesa
le pare interminabile. Mentre aspetta che venga il suo turno, cerca
di estraniarsi dal mondo. È più facile,
così. Non studia più
Janus e ignora l’ingombrante presenza di Mada che, ora che
non c’è
più Seth, le si è avvicinata, forse con
l’intento di infonderle
un po’ di coraggio. Non sa cosa farsene, della sua vicinanza:
non
ha paura, è solo arrabbiata.
I
minuti scivolano via e si moltiplicano. Dieci, quindici, venti:
Annabel non sa quantificarli, ma il tempo ha ormai perso importanza.
L’esito non può essere che uno ed è
irrilevante che l’attesa
duri un minuto o un’ora.
La
porta si apre, segnalando che la cerimonia si è conclusa. La
ragazza
sente un rumore di passi, ma non alza il capo per osservare
ciò che
sta accadendo. Forse è un errore di cui si
pentirà, ma non desidera
incontrare lo sguardo di Seth e vedere che il giovane è
ormai legato
a un’altra persona: anche se è consapevole che si
tratta di
qualcosa di temporaneo, Annabel sa che quella vista la distrarrebbe,
proprio ora che invece ha bisogno di concentrarsi su se stessa.
Seth
lo rivedrò a breve, si
ripromette. Adesso
vediamo di affrontare questa buffonata.
“Annabel
e Janus: è il vostro turno.”
La
voce di Nisha non la sorprende e la ragazza alza per un attimo lo
sguardo su di lei, sperando che la smorfia che le piega le labbra
esprima appieno il disgusto che prova in quel momento.
Con
la coda dell’occhio vede che Mada sta protendendo una mano
verso di
lei. Senza conoscere l’intento di quel gesto, Annabel scrolla
bruscamente le spalle per sottrarsi al suo tocco e poi marcia verso
Nisha e le scale del tempio. Non si prende il disturbo di guardarsi
attorno: sarà obbediente, ma non compiacente.
Anche
se avverte i suoi occhi su di sé, la ragazza torna a
ignorare la
vecchietta, tenendo invece lo sguardo fisso sulla porta chiusa.
Quello che non può ignorare, però, è
la presenza di Janus che
improvvisamente si materializza al suo fianco: l’uomo
è una massa
scura e silenziosa, alto - Annabel ricorda improvvisamente le gambe
lunghe di Romed - e con un corpo solido.
La
sua vicinanza la opprime, simile a un mantello troppo pesante che
preme sui suoi sensi e sulla sua consapevolezza. La giovane socchiude
per un istante gli occhi nel tentativo di ritrovare il proprio
equilibrio e il giusto livello di indifferenza.
“Andiamo”
borbotta Nisha, facendo loro strada verso l’interno del
tempio. La
donna li scorta sino alle due sedie poste davanti all’altare,
un
semplice pannello di legno dipinto di bianco sul quale spicca un sole
dorato. I raggi dell’astro si allungano fino a lambire i
bordi
della tavola e la vernice è stata lasciata colare lungo lo
spessore
laterale fino a creare delle piccole pozze auree sul pavimento di
pietra della cappella. È un simbolismo piuttosto semplice e
Annabel
si chiede per l’ennesima volta come abbia fatto a finire in
un
posto così primitivo:
forse sarebbe davvero stato meglio andare a lavorare su QZ-3.
Gli
spettatori si dispongono in semicerchio alle loro spalle e Annabel
sente qualcuno mormorare più volte il nome del suo futuro
marito. È
una voce femminile e la giovane cerca di tendere le orecchie per
cogliere il senso del discorso, ma la donna parla in un tono troppo
sommesso perché lei possa distinguere le parole.
Prima
che possa decidere di voltarsi per vedere almeno quale delle Sapienti
stesse parlando, Mastro Leron si fa avanti e si pone di fronte
all’altare, posando su lei e Janus uno sguardo al contempo
solenne
e compiaciuto. “Ed eccoci al terzo matrimonio della
giornata”
sospira come se la cosa lo rendesse infinitamente felice. “Il
più
importante, consentitemi di dirlo: oggi è il giorno del
vostro
riscatto.”
Annabel
non riesce a evitare uno sbuffo sarcastico e anche Janus, ancora in
piedi al suo fianco, si lascia sfuggire un’esalazione quasi
impercettibile. Guarda
un po’,
pensa la giovane, con una punta di irritazione. Pare
che anche lui abbia qualcosa da ridire su questa faccenda. Come se
avesse il diritto di protestare, visto quello che ha combinato!
Il
capo villaggio ignora l’evidente scetticismo dei due giovani
e fa
loro cenno di sedere. Annabel si lascia cadere pesantemente sulla
sedia, ripiegando compostamente sotto sé le gambe e facendo
sparire
i piedi sotto l’orlo dell’abito azzurro che le
hanno fatto
indossare.
Mastro
Leron si avvicina e afferra loro una mano. Quando le dita della sua
mano destra sfiorano il palmo caldo e ruvido del vecchio, Annabel
è
scossa da uno strano tremore. Non le piace che la gente le tocchi le
mani: le sembra una cosa troppo intima,
un gesto che sa quasi di fiducia e controllo.
Le
sue dita hanno un piccolo spasmo involontario, ma l’uomo non
vi
bada e stringe un poco la presa. “Sarò
breve” dice, il che, per
quanto riguarda Annabel, è un’ottima cosa:
malgrado stia cercando
di estraniarsi quanto più possibile da quello che sta
succedendo,
l’atmosfera all’interno della piccola cappella le
sembra farsi
sempre più opprimente ogni istante che passa.
“Normalmente”,
riprende il vecchio, “il rito del matrimonio si basa su una
benedizione. Nel vostro caso, però, dovrete prima dimostrare
di
meritarvela. Oggi ci limiteremo quindi all’aspetto legale
della
vostra unione: poi, se tra un anno le cose tra di voi andranno bene e
avrete dato prova di essere bravi cittadini, completeremo la
cerimonia e voi potrete ricevere la benedizione del Dio Sole.”
Il
Dio Sole,
pensa la ragazza con un fremito di disgusto. Può mai esserci
qualcosa di più banale? Se le bestie fossero in grado di
formulare
un pensiero appena un po’ complesso, anche loro adorerebbero
un Dio
Sole:
questa gente non è migliore degli animali.
All’oscuro
dei pensieri che stanno passando per la testa di Annabel, Mastro
Leron si avvicina ancora di un passo, fino a quando le punte dei suoi
piedi, calzati in delle babbucce rosse, sfiorano quelle dei due
giovani. Con un cenno del capo, l’uomo invita qualcuno ad
avvicinarsi: un attimo più tardi, Shiera lo raggiunge con
uno
scalpiccio. Ha un’espressione solenne disegnata sul volto
scarno e
tra le mani regge un vassoio sul quale sono posate alcune ciotoline
di bronzo.
Mastro
Leron le sorride e poi unisce le mani dei due giovani, palmo contro
palmo. La nuova posizione costringe la giovane a voltarsi leggermente
verso il suo futuro sposo, ma lei si rifiuta di guardarlo in faccia.
“Dita intrecciate, per favore” dice loro il capo
villaggio.
Janus
obbedisce e le sue dita scivolano tra quelle della ragazza. Ha le
mani grandi, decisamente più massicce di quelle di lei, con
dita
spesse, con i polpastrelli più ruvidi anche di quelli di
Annabel,
che ha passato anni a stringere viti senza l’ausilio di
guanti
protettivi. La pelle del suo palmo è calda e asciutta, ma la
sua
presa è debole, quasi non avesse la forza o il coraggio di
afferrarla più saldamente.
La
ragazza potrebbe ritrarre la mano, se lo volesse, e per un istante
è
anche tentata di farlo. È un impulso istintivo e reprimerlo
le costa
fatica. Però lo fa perché, per ora, dimostrare di
essere
collaborativa è essenziale. Le sue dita rimangono
però inerti,
appena curvate in una piega naturale. Non intende toccare
quell’uomo,
se può evitarlo.
La
verità, tuttavia, è che, almeno per il momento,
non può evitarlo:
senza una parola, Mastro Leron le serra delicatamente le dita attorno
alla mano di Janus e poi le sorrise. Annabel irrigidisce la mascella
e non dice niente. Sa di avere le dita fredde e sudaticce e la cosa
la rallegra: il suo tocco dev’essere piuttosto sgradevole.
“Benissimo”
annuisce il capo villaggio, apparentemente soddisfatto di come stanno
andando le cose. “Ora dovete impegnarvi a essere buoni sposi
e
membri produttivi di questa società.”
“Janus”,
continua, rivolgendosi all’uomo che siede accanto ad Annabel,
“prometti di fare quanto in tuo potere per essere un buon
marito?”
Con
la coda dell’occhio, la ragazza lo vede annuire.
“Lo prometto”
mormora. Ha una voce bassa e un po’ roca e la giovane deve
tendere
le orecchie per sentirlo.
“E
prometti”, prosegue Mastro Leron, “di impegnarti
per rendere più
prospero e sicuro il nostro villaggio? Porterai il pesce alle
famiglie in difficoltà, aiuterai a riparare le case che
hanno
bisogno di essere riparate, lavorerai nei campi, se ti verrà
richiesto?”
Prima
di rispondere, questa volta l’uomo esita un attimo.
“Lo prometto”
ripete poi.
“E
Annabel”, fa il capo villaggio, rivolgendosi ora alla
giovane,
“prometti di fare quanto in tuo potere per essere una buona
moglie?”
La
ragazza stringe la mano sinistra in un pugno. “Lo
prometto”
proclama con voce squillante. Nella sicurezza della sua mano serrata,
la punta di mignolo e anulare si incrociano: un piccolo gesto
scaramantico che le dà sicurezza. Prometto
di fare quanto in mio potere per essere una pessima
moglie,
si ripromette mentalmente.
“E
prometti di impegnarti per rendere più prospero e sicuro il
nostro
villaggio? Cucinerai per chi non può permetterselo, filerai
e
tesserai per chi ha bisogno di abiti, lavorerai nei campi, se ti
verrà richiesto?”
Annabel
storce le labbra e incontra lo sguardo del vecchio. “Non so
tessere
né lavorare nei campi; e la mia cucina è
pessima” ammette,
decidendo che la sua onestà sarà apprezzata.
“Ma farò del mio
meglio per imparare.”
“E
noi ce lo faremo andare bene” la rassicura Mastro Leron.
“Le
vostre promesse sono vincolanti” prosegue, afferrando tra due
dita
una delle ciotole che Shiera porta sul vassoio. “Come vi ho
anticipato, oggi non pronuncerò alcuna benedizione, ma sulle
vostre
mani traccerò comunque i segni che ricorderanno a voi stessi
e agli
altri le vostre promesse.”
Così
dicendo, l’uomo intinge l’indice destro nella
ciotola e quando lo
ritrae Annabel vede che il suo polpastrello è ricoperto da
uno
strato di pittura marrone. “Il marrone è per la
terra che ci nutre
e sostiene” dice, e la ragazza ha l’impressione che
la
spiegazione sia tutta a suo beneficio: Janus probabilmente conosce
già il simbolismo di quel colore e di quel gesto. Il vecchio
traccia
una sorta di arco che parte dal polso della giovane - sotto
l’attaccatura del pollice - e termina su quello di Janus,
disegnando due mezzelune sui dorsi delle loro mani.
Mastro
Leron intinge poi il medio in un’altra ciotolina, emergendone
con
il dito coperto di pigmento blu. “Il blu è per
l’acqua che ci dà
il pesce, che ci disseta e che irriga i nostri campi” spiega
l’uomo, tracciando un tratto ondulato sui polsi uniti dei due
giovani, a mo’ di bracciale.
“Il
verde”, prosegue il capo villaggio, intingendo
l’anulare in una
ciotola che contiene quel colore, “è per le piante
che crescono
sulla nostra terra, che sfamano noi e i nostri animali, che ci danno
frescura e legna con cui costruire le nostre barche e le nostre
case.” Partendo dal punto in cui le loro mani sono congiunte,
sotto
l’attaccatura dei mignoli, Mastro Leron traccia una spirale
che
copre le loro dita e arriva a sfiorare i loro polsi, sovrapponendosi
ai simboli che ha tracciato poco prima e sfumandone un poco i colori
ancora freschi.
Il
mignolo dell’uomo si tuffa nella quarta ciotola, quella che
contiene un pigmento rosso. “Il rosso è per il
fuoco che ci scalda
d’inverno e che ci permette di cucinare i nostri
pasti” illustra,
lasciando tracce di quel colore sulle loro nocche e
sull’intera
estensione dei loro mignoli.
Una
volta completata la sua opera, l’uomo fa cenno a Shiera di
allontanarsi. Annabel nota che sul vassoio c’è una
quinta ciotola
che non è stata toccata. Notando forse la direzione del suo
sguardo,
Mastro Leron scrolla appena il capo. “Oggi non
dipingerò d’oro
le vostre mani” spiega. “Se ve lo meriterete, tra
un anno
compiremo di nuovo questa cerimonia e allora potrete portare sulla
vostra pelle anche il segno del sole.”
Ne
faccio volentieri a meno,
pensa la ragazza, osservando il miscuglio di colori e di simboli che
il capo villaggio ha disegnato sulla sua mano. La sensazione della
vernice - o quello che è - che si asciuga sulla sua pelle
è aliena,
sgradevole e appiccicosa: esattamente come il matrimonio a cui
l’hanno costretta.
|