Snowy Kiss
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Questa storia è collegata a Lovely
Confusion, ma non è necessario aver letto la One
Shot citata prima di iniziare questa. A fine storia ci saranno anche le
N.d.A. Buona lettura!
Snowy
Kiss
1
«Ryoga, no».
«Kaito, sì».
Kaito
alzò gli occhi al cielo. «Mi spieghi
perché lo vuoi fare?» domandò. Gli
sfuggivano ancora dei particolari circa quanto accaduto dopo l'arrivo
di Yuya
(tutto, in realtà. Gli sfuggiva proprio tutto)
e
non comprendeva appieno come
mai Ryoga lo avesse trascinato con sé, in
disparte, fino a ritrovarsi davanti la porta della casa di Sora. La
stessa porta che avevano varcato neanche venti minuti
addietro, insieme,
intenti a battibeccare
(come al solito)
per
un nonnulla.
«Perché Sora mi ha dato il permesso»
rispose Ryoga, intento a sistemare dei ramoscelli di vischio con del
nastro rosso e del fil di ferro sottile – era alquanto
concentrato nel suo tentativo di rendere l'addobbo presentabile.
Frattanto, dal salotto si udivano tante risate alternate ad applausi e
una serie di esclamazioni di pura meraviglia. Yuya si stava dando da
fare a intrattenere gli invitati, su questo non c'era dubbio
(e con una certezza ancora più assoluta, Yuma si era perso a
osservarlo estraniandosi completamente da tutto ciò che lo
circondava).
(«Yuma! Buon Natale! Pensa a un numero!»)
(«Uhm… quattordici?»)
(«Yuma dovevi solo pensarlo, non dirlo!»)
«Fin qui c'ero arrivato anch'io» disse Kaito,
incrociando le braccia al petto. «Però vorrei
capire il vero motivo
di tutto ciò».
Ryoga
sospirò, come se improvvisamente avesse realizzato la
solennità delle parole che stava per pronunciare: «Perché
Yuma è scemo. E se Yuya si mette d'impegno, è
scemo anche lui».
(Aveva senso).
Osservando
l'impegno che ci stava mettendo nel tentativo di sistemare alla meno
peggio il vischio, Kaito fece due più due e
realizzò quello che era il vero intento di Ryoga.
«Direi che ha senso,» commentò,
«anche se mi sfugge il motivo per cui hai voluto che ci fossi
anche io».
E
per un attimo, l'assurda idea che Ryoga volesse testare il vischio
proprio con lui gli balenò in testa ed esplose in un
assordante concerto di fuochi d'artificio. Le sue gote non riuscirono
neanche a velarsi di rosso, però. Neanche il tempo di
mostrarsi diverso
rispetto al solito
(oh cielo, Kaito sapeva
esprimere le proprie emozioni)
che
Ryoga disintegrò tutto quanto con un sorriso sghembo,
un'alzata di spalle e poche parole: «Avrei bisogno di una
scala». E indicò la parte superiore della porta.
Kaito
aggrottò la fronte, ridusse gli occhi a due fessure
minacciose e strinse ancora di più le braccia al petto.
«Ryoga, no».
«Kaito, sì».
2
Alla
fine aveva ceduto. Non tanto perché la questione
“Yuma che non riusciva a dichiararsi a Yuya e Yuya che non
riusciva a fare altrettanto” gli fosse particolarmente entrata
nel cuore al punto tale da addolcirlo – anche se,
effettivamente, quei due necessitavano di un aiuto esterno in ogni caso
–, bensì perché Ryoga lo aveva portato
all'esasperazione come solo lui sapeva fare.
(«Devo solo
salire sulle tue spalle e appendere 'sto coso alla porta, che
sarà mai?»)
(«Ho detto di no. Se ti manca
un sostegno, puoi benissimo usare una sedia o uno sgabello»).
(«Non aggiungere altro, ho capito. Immagino che con
l'età che avanza ormai sia difficile, per
te…»)
(«Ryoga, non iniziare»).
(«Con uno sforzo del genere potresti sentire le ossa
scricchiolare…»)
(«Ryoga»).
(«E comprendo tu non voglia restare con la schiena
bloccata…»)
(«Non sei simpatico»).
(Un sospiro in risposta a un altro sorriso sghembo).
(«Dai, vieni. Ma vedi di fare in fretta, intesi?»)
Si
era ritrovato a sorreggere Ryoga sulle spalle per due minuti, forse
anche meno. Ryoga era… leggero. Come forse era leggero il
modo in cui prendeva la
loro relazione. Che poi, quella che avevano
poteva seriamente
essere definita una relazione? Forse, tutto sommato, non erano poi
così diversi da Yuma e Yuya: probabilmente erano scemi anche
loro.
Era
mai capitato che non battibeccassero per qualcosa quando si
incontravano? Kaito aveva riflettuto a riguardo mentre Ryoga gli
intimava di spostarsi un po' più a destra
(«Più
in là, verso il centro!»)
ed
era arrivato alla conclusione che
no, non c'era un episodio in cui non si fossero fatti la
guerra da quando si conoscevano.
Inizialmente
– e con molta probabilità – non si
sopportavano nemmeno. Il costante battibeccare, però, li
aveva portati ad avvicinarsi a
modo loro, arrivando a stare bene insieme, a trovare un
equilibrio che stranamente funzionava. Poi un bel giorno, all'ennesima
discussione, Yuma aveva sbottato esasperato
(«La smettete di bisticciare ogni volta che ci vediamo? Mi
sembrate una coppia sposata da trent'anni!»)
e
dopo un minuto abbondante di imbarazzo avevano ripreso da dove si erano
interrotti apparentemente come se niente fosse, con Yuma che aveva
alzato gli occhi al cielo e si era allontanato borbottando insieme a
Yuya. Da che pulpito, poi: la frase che più aveva smosso
qualcosa dentro di loro era stata detta proprio da Yuma.
Davano
davvero questa impressione a chi li osservava? Di due persone impegnate
in una relazione stabile?
Era a dir poco assurdo. Eppure, da quando Yuma si era lasciato andare a
quella considerazione esagitata, Kaito ci aveva pensato spesso. E
chissà, magari ci aveva pensato anche Ryoga.
3
Dopo
aver sistemato il vischio alla meno peggio ed essere sceso dalle sue
spalle, Ryoga aveva osservato il proprio operato con una punta di
soddisfazione stampata in volto, prima di voltarsi e dirigersi in
salotto, dove Yuya stava continuando a intrattenere gli invitati con
chissà quale trucco di magia.
Kaito,
invece, era rimasto qualche altro istante davanti alla porta, intento a
fissare il vischio con espressione muta e indecifrabile.
(Che occasione sprecata).
4
(«Perché
guardavi Yuma in quel modo?»)
(«Per incoraggiarlo»).
(«Ryoga, sembrava che tu lo volessi sbranare. O prendere a
parole. O entrambe le cose»).
(«La mia faccia agguerrita fa davvero così
paura?»)
(Kaito alzò gli occhi al cielo. «Bevi la
cioccolata, prima che si raffreddi. E… Ryoga: non osare
andare a sbirciare»).
(«Ma… non sto facendo niente!»)
(«Però lo hai pensato»).
(Ryoga inarcò un sopracciglio. «Che fai, ora?
Leggi nel pensiero come Yuya?»)
(«Probabile»).
(La verità era che Ryoga, per Kaito, era ormai un libro
aperto quasi su tutto, tranne che per loro stessi e ciò che
stavano inconsapevolmente costruendo giorno dopo giorno).
5
Era
stata una bella serata. Sora era soddisfatto, gli invitati contenti,
Yuya aveva offerto uno spettacolo memorabile e con molta
probabilità lui e Yuma erano riusciti, finalmente, a
coronare il loro sogno sotto al vischio. Non era dato saperlo, anche se
Ryoga aveva tentato di sbirciare più e più volte
e Kaito lo aveva sempre fermato in tempo, riportandolo indietro tra
sbuffi infastiditi e borbottii mischiati a imprecazioni sconnesse tra
loro.
Lui
e Ryoga lasciarono la festa sul tardi, circa verso mezzanotte. Quando
giunsero davanti la porta, il vischio era ancora lì, intento
a osservarli con muta e statica impazienza; come se stesse tacitamente
intimando a entrambi di non sprecare quell'occasione una seconda volta.
Fu
Ryoga a spezzare la magia: avvolto nel cappotto pesante, intento a
guardare dritto davanti a sé, aprì la porta senza
proferir parola e con una velocità che quasi sorprese Kaito.
Un attimo prima erano carezzati dal calore della casa di Sora e un
attimo dopo si ritrovarono ad affrontare la gelida notte invernale. E
stava anche nevicando.
«Kaito».
«Sì?»
«Dovevamo venire in macchina».
«Per una volta ti do ragione».
6
Le
vie della città erano ricoperte da uno spesso strato di neve
candida e ovviamente anche il parco pubblico non era rimasto esente da
quell'abbondante spolverata di fiocchi ghiacciati. Quel luogo che,
nella maggior parte dei casi, si era rivelato una salvezza
poiché fungeva da scorciatoia e faceva risparmiare diversi
minuti preziosi, specie quando fuori gelava e si desiderava tornare a
casa il più presto possibile per barricarsi tra le coperte
calde e accoglienti.
I
lampioni illuminavano quella che durante l'estate era un'area
completamente verde che profumava di petali di infiniti tipi di fiori e
nella quale riecheggiavano le grida divertite dei bambini che si
rincorrevano coi gavettoni. L'acqua della fontana era gelata e pareva
una raffinata scultura di ghiaccio; tutt'intorno non si udiva altro se
non i passi di Kaito e Ryoga che affondavano un poco nella neve e i
borbottii di quest'ultimo legati alle pessime condizioni atmosferiche.
A Kaito il gelo non dispiaceva, a differenza di Ryoga che preferiva di
gran lunga l'afa estiva.
Fu
in quel momento, mentre camminavano in silenzio nel parco pubblico
– mormorii di Ryoga a parte – che Kaito
pensò alla loro relazione ancora una volta. Un improvviso
moto di frustrazione gli invase ogni cellula del corpo, portandolo a
stringersi ancora di più nel cappotto bianco che quasi si
mimetizzava con la neve.
«Ryoga» lo chiamò, convinto che stesse
ancora camminando accanto a lui. Non ricevendo risposta, si
voltò e si accorse della sua assenza. Sussultò.
«Ryo…»
Non
fece neanche in tempo a pronunciare nuovamente il suo nome che qualcosa
(un movimento sospetto)
lo
portò a scansarsi di lato, come se il suo istinto di
sopravvivenza si fosse risvegliato tutto in una volta e avesse
cominciato a muovere il suo corpo verso la salvezza.
Ed
effettivamente fu proprio così, dato che evitò
per un soffio una palla di neve che altrimenti gli sarebbe piombata
dritta in faccia.
«Devo dire che nonostante
l'età i tuoi riflessi sono ancora
ottimi» commentò Ryoga, intento a modellare una
seconda palla di neve tra le mani – come facesse a tollerare
tutto quel gelo sui polpastrelli scoperti, Kaito non ne aveva idea.
«Non ti stavi lamentando del freddo fino a un attimo
fa?» gli domandò, pur restando sull'attenti.
«Potrebbe essere un buon modo per scaldarmi un po', anche se
non ho i guanti» rispose Ryoga, pronto a lanciare la seconda
bomba gelata.
(E l'ennesimo sorriso sghembo gli incurvò le labbra sottili).
Kaito
si incupì. Uno sguardo minaccioso gli adombrò i
lineamenti del volto, come se una tempesta di dimensioni colossali
fosse in procinto di abbattersi sulla città.
«Ryoga, no».
«Kaito, sì».
7
Ryoga
non demordeva. Continuava a spostarsi da una parte all'altra,
raccogliendo tra le mani quanta più neve possibile, al solo
scopo di centrarlo almeno una volta. Dal modo in cui sghignazzava,
pareva si stesse alquanto divertendo
(Kaito un po' meno).
Era
una battaglia a palle di neve assolutamente a senso unico –
Ryoga lanciava e Kaito schivava – e in quel tumulto di azioni
reiterate all'infinito forse si erano entrambi persi e forse si stavano
anche avvicinando. A modo loro
(sempre e soltanto a
modo loro)
ma
qualcosa, tra la neve che scendeva lentamente, stava per cambiare. E
stava per cambiare sul
serio.
8
«Ryoga sme–»
Accadde
in un attimo. Non era riuscito ad anticipare la sua nuova mossa e
nell'ennesimo tentativo di intimargli di smettere, ecco che Ryoga aveva
fatto centro. Kaito avvertì una tonnellata di gelo
imprimersi sul volto e gocciolare piano piano lungo le tempie, le gote
e il mento, pizzicandogli il collo e facendolo sentire come un
surgelato al banco frigo.
E
Ryoga rise. Rise portando le mani al ventre, mentre Kaito le portava al
volto per togliersi quella strana
sensazione di freddezza che gli punzecchiava la pelle. Poi
fu il turno di Ryoga di essere preso in contropiede, perché
era tanto impegnato a crogiolarsi nella sua piccola vittoria
(e rideva e rideva e rideva)
da
non accorgersi che Kaito si era pericolosamente avvicinato a lui e che
a passo spedito aveva annullato le distanze tra i loro corpi.
Se
ne accorse solo quando Kaito poggiò le mani sulle sue
spalle. O forse se ne accorse per
davvero solo quando entrambi caddero sul prato bianco e le
loro labbra si unirono in un bacio innevato.
9
Kaito
non aveva capito più nulla. Nel momento in cui Ryoga aveva
fatto centro, nella maniera più bizzarra possibile aveva
compreso una cosa. Qualcosa che mosse i muscoli delle gambe verso di
lui, verso quella risata, verso quelle labbra sottili e quegli occhi
scuri e al contempo brillanti.
(Ryoga aveva fatto
centro. In ogni modo. In ogni sfumatura possibile).
Avevano
perso l'equilibrio insieme, sempre insieme erano caduti e Kaito si
ritrovò sopra di lui, le labbra poggiate sulle sue, gli
occhi socchiusi e un calore che stava crescendo nel petto e che pian
piano si stava diramando in ogni parte del corpo.
E
comprese, forse, perché Ryoga non si era mai esposto a
riguardo: perché rendere reale
ciò che erano veramente
avrebbe irrimediabilmente cambiato le carte in tavola. E forse era
meglio restare “una coppia sposata da trent'anni” per finta e
accontentarsi delle briciole che quel tipo di rapporto offriva rispetto
al concretizzarlo, col rischio che forse nella realtà
non si sarebbero sopportati per
davvero, portandoli a una rottura definitiva.
Perché dopo
non sarebbe rimasto più nulla: nessun battibecco, nessuna
presa in giro, nessun sorriso sghembo e nessun sospiro rassegnato.
Niente. Non sarebbe rimasto niente.
E
per un attimo pensò che forse era meglio staccarsi e
dimenticarsi di quel bacio. Ma nel momento in cui Ryoga
affondò le dita tra i suoi capelli
(potevano essere gelate e bollenti al tempo stesso?)
e
schiuse le labbra, si lasciò completamente andare e
incontrò la sua lingua
(era calda)
e
fremette e si sciolse e si innamorò perdutamente di lui.
Quando
si staccarono per riprendere fiato, delle nuvolette bianche e compatte si
miscelarono tra loro, unendosi e dissolvendosi nel giro di qualche
istante.
Ryoga
lo guardò negli occhi e sorrise. Un sorriso nuovo, diverso
rispetto ai soliti sghignazzi da presa in giro. Era dolce. E Kaito
avrebbe voluto baciarlo ancora, ancora e ancora. Cosa che
effettivamente era in procinto di fare, se solo Ryoga non avesse
parlato.
10
«Kaito… è tutto bellissimo, davvero. Ma
credo che mi sia entrata della neve nelle mutande».
La
magia si era spezzata, ma non per questo era stata rovinata. In un
certo senso, continuare a scambiarsi effusioni tra la neve poteva anche
essere romantico, ma sicuramente poco salutare.
Kaito
si lasciò andare a uno sbuffo divertito mentre si staccava
da lui, aiutandolo poi a rialzarsi.
«Dai, su, ti accompagno a casa».
«E poi non resti?»
Sussultò.
«Ryoga…»
«Non vuoi?»
«Scherzi? Certo che voglio».
«Allora andiamo».
11
Non
era un per sempre.
Ma
sicuramente era un
inizio.
N.d.A.
• Prompt
Giardino: Battaglia
di palle di neve [15]
•
Ebbene… sì. Ecco la storia incentrata sugli altri due,
quelli che hanno fatto la magia per Yuma e Yuya con il vischio e li
hanno aiutati dietro le quinte senza pensare che anche loro
necessitavano di una piccola spinta per farsi avanti – giusto
un po', eh.
• Sono
davvero felice di aver finalmente pubblicato questa One Shot, avrei
voluto farlo qualche giorno fa, lo ammetto, ma da quando Emy ha detto
che si poteva pubblicare anche dopo la scadenza… niente, mi
sono un po' lasciata andare, ecco.
Mi auguro, quantomeno,
che ne sia valsa l'attesa!
• Come ho
scritto all'inizio, dedico questa storia a Rhurab e A_Liebert, due
autrici meravigliose che ho avuto la fortuna di conoscere in questi
ultimi mesi e alle quali devo molto, perché tutto
l'entusiasmo che hanno mostrato nei confronti di questa ship mi ha resa
felicissima e io, a mia volta, ho avuto modo di scoprire storie e
personaggi meravigliosi grazie a loro – ogni
riferimento alla FrUk e alla Klance è puramente
casuale *fischietta*
Spero abbiate gradito
questo piccolo pensiero *^*
• Nella
speranza di avervi offerto una lettura piacevole, vi ringrazio di cuore
per essere arrivati fino a qui.
Ame
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