Edward
si rinfrescò la faccia nel piccolo
bagno del suo studio, cercando di togliersi di dosso la stanchezza.
Sistemò
la camicia e la cravatta scura, avvertì la sua solerte
segretaria della sua
uscita. Nora, che
aveva raccolto i
lunghi capelli castani in un delicato chignon, era seduta alla
scrivania e
lavorava rapida al computer, sollevò la testa.
“Generale, dovrebbe prendersi una pausa. Non ha
mangiato nulla.”
Edward
le concesse un sorriso divertito. “Hai
visto Nora, chi si è scomodato oggi? Quindi
cosa altro avrei potuto fare? Ora
vado a pranzare, ma avvisami se ci sono
problemi.” Nora
annuì, lo lasciò andare
senza gravarlo di altre preoccupazioni.
Cooper
camminò verso la mensa, sapeva che
era tardi, ma
sperava che il fratello lo avesse aspettato, infatti lo
trovò che chiacchierava
con un sergente. Gli fece un cenno col capo, poi andò verso
i vassoi per
servirsi alla tavola calda.
Si
accontentò di un piatto veloce, non indugiò
nella scelta del pranzo, irritato dalla mattinata pesante e
dall’incontro
sgradevole con Collins. Doveva
capire
bene cosa fare, niente collimava e si chiese se la sua decisione fosse
stata
giusta.
Si
sistemò in un angolo della mensa, ingoiò un
boccone dietro l’altro in attesa che
Steve si avvicinasse.
Il
Maggiore era rimasto a parlottare, ma
intanto studiava il fratello.
Lo
vide innervosito, non assaporava nulla, buttava giù tutto in
fretta.
Lasciò
il suo sottoposto e si diresse verso Edward.
“Come
è andata? Collins cosa voleva?”
Lo
rimproverò. “Mangia
piano fratellone,
ti stai strozzando.”
Cercò di essere gentile, anche se vibrava
dentro per la
situazione in cui si erano trovati.
Edward
rallentò, prese fiato, buttò giù un
bicchiere d’acqua. “Prova ad immaginarlo, era per
Norbury. Visto che Turner e
Malcom hanno probabilmente rifiutato Reginald, ha voluto capire
perché. Ha
avocato a sé tutte le cartelle, sia mediche che di
valutazione.” Si pulì la
bocca con il tovagliolo, esitava, cercando di leggere il volto del
fratello.
Steve
prese in malo modo la sedia, si sedette.
“Ma
ha potuto farlo? Alla
fine ti ha scavalcato,
glielo hai permesso?” Come
al solito
cominciava già a perdere la
pazienza, Edward cercò di
contenerlo, parlò senza inflessione.
“Steve,
è il mio superiore. Credi che avrei potuto rifiutarmi? È il Generale
Maggiore, lui comanda e io devo
obbedire.” Posò la forchetta, allungò
la mano stringendo il polso del fratello.
“Volevi che mi prendessi una nota di insubordinazione? Lo comprendi che ho degli
obblighi o no,
fratellino testardo?” Si
sottrasse alla sua
stretta seccato, sapeva che era vero. Vedendo il volto contratto di
Edward,
smorzò i toni.
“Come
farai con John? Anche
lui capirà dopo
quello che gli hanno fatto?”
Inclinò il
capo senza distogliere lo sguardo, le responsabilità del
fratello erano
evidenti.
Edward
socchiuse gli occhi, si sentì debole
senza difese, respirò un paio di volte impacciato.
“Ha
deciso di non denunciare, molto probabilmente avrebbe solo ottenuto di
essere
trasferito. Collins è un osso duro ed è dalla
parte di Norbury.” Mise
fine al pranzo, spinse frettoloso il
piatto.
Ora
doveva dirgli dello zio, già si sentiva
stringere lo stomaco.
“Le
cartelle saranno consegnate in presenza di John. Inoltre vorrei
incontrarlo in
un posto sicuro, che non ammetta nel tempo smentite.”
Steve
corrugò la fronte. “E dove,
fratello?” Edward
tentennò.
“Da
zio William, al Dipartimento di sicurezza nazionale.”
“Cristo
Santo! Alla sede del MI6!”
Steve sbottò acido,
“credi che accetterà?
E soprattutto, ti
sosterrà?” Si appoggiò allo schienale
della sedia, incrociando le braccia. Non
era mai stato felice di rivedere lo zio, gli ricordava con dolore la
perdita
della famiglia.
Edward
si fece serio. “Sir William è autorevole, ricopre
una carica importante, ed è
nostro zio. È
bene che Collins si renda
conto che voglio coprirmi le spalle.”
Portò la mano al mento, appoggiando il peso sul
gomito piantato sul
tavolo. “Lo
zio mi appoggerà, lo sai
quanto non gli piacciano certe prevaricazioni, certi giochetti di
potere. Accetterà
Steve, perché lo zio William non gliela perdonerebbe, se
qualcuno toccasse il
figlio del suo amato fratello Anthony, nostro padre.” Edward
quasi non respirò,
studiando la sua reazione.
Steve
scosse la testa, rilassò le braccia e si avvicinò
al tavolo, riducendo lo
spazio tra di loro.
“Avrei
preferito che non ci fosse bisogno di scomodarlo, ma se non
c’è altro da fare,
va bene. Tiriamo fuori i pezzi da novanta, Eddy.” Il modo familiare con cui
lo aveva chiamato
lo tranquillizzò, aveva il suo appoggio.
“Bene,
vedo di contattarlo, cerchiamo di finire
questa storia.” Era
dispiaciuto, leggeva
la delusione del minore.
“Lo
so cosa pensi, ma non posso risolvere tutto da solo, mi dai troppo
credito. Non
ho così tanti poteri.”
Steve rimase
silenzioso, sembrava vagliare la situazione, ma non replicò,
si alzò rimettendo
in ordine il tavolo. “Vado ai campi di
addestramento, mi trovi lì
se hai bisogno!” Lo vide uscire con il berretto stretto fra
le mani.
Il
Generale sapeva di uscirne in ogni caso sconfitto, sia per la faccenda
di
Norbury, che per quel testardo del fratello che non gli perdonava
nessuna
debolezza.
Sentì
il suo cuore rallentare, si sentì spossato, tra
antidolorifici e la ferita, stava
tirando troppo la corda.
Si
alzò svogliatamente, si diresse a passo
lento verso il suo ufficio per chiamare lo zio William.
E
i ricordi tornarono dolorosi, devastanti.
Non
lo vedeva da tempo, il fratello maggiore di suo padre. Sir William
Zackary
Cooper, ricopriva un incarico prestigioso presso il dipartimento di
sicurezza
nazionale.
Nemmeno Edward sapeva
in verità dove potesse
arrivare con il suo potere occulto, di sicuro era temuto da tutti. Lo zio non gli aveva mai
nascosto il desiderio
di vederlo lavorare al suo fianco. Alla
morte di Anthony si era occupato di loro per un paio di mesi, rimanendo
vicino
ad Edward che si era ritrovato suo malgrado capofamiglia.
Lui, giovane e
impreparato, con tre
fratelli al seguito, una dimora storica da gestire fu travolto dal
dolore. Sir Anthony
aveva sempre amato quella casa
immersa nel verde dove aveva cresciuto i figli, e aveva svolto il suo
lavoro di
ambasciatore. Edward aveva passato la sua infanzia felice, correndo nel
roseto
e venendo regolarmente sgridato per i danni che combinava con Steve.
Poi erano arrivati i
gemelli Daniel ed Ellen,
aveva dovuto comportarsi da fratello maggiore, visto che aveva otto
anni e
Steve più piccolo, cinque. Edward se ne assunse tutta la
responsabilità, benché
Steve sentisse l’oppressione di essere il secondo genito, e
penò parecchio
anche con il suo aiuto.
Mai
si sarebbero aspettati l’arrivo di un
altro fratello, Benjamin, piccolo, coccolato ultimo Cooper. Lui aveva quindici anni ed
era un adolescente
a cui già cresceva la barba.
Ben
fu una ventata di allegria e felicità, era
molto affezionato ad Edward. Quando tornava dal college se lo portava
sulle
spalle al roseto. A venti anni era già da tempo
all’accademia, ma quando
tornava era sempre una gioia trovarlo con quelle sue gambette magre che
gli
correva incontro, storpiandogli il nome in “Edard”.
Steve era
impegnato con i primi amori adolescenziali, ma amava molto il piccolo
Ben.
Ellen e Daniel lo sopportavano, ma gli dedicavano il loro tempo quando
lo
vedevano annoiarsi.
E
Ben ripagava tutti con quella sua
dolcezza da bambino amato e protetto.
Edward
rallentò il passo, avvolto dall’angoscia.
La
sua famiglia, volata via in un attimo. Un incidente stradale mentre
stavano
tornando a casa dalla rappresentazione scolastica del suo piccolo
fratello.
Papà non aveva voluto l’autista, perché
quella maledetta sera era in ritardo. Una
fatalità, l’asfalto scivoloso e una curva
troppo stretta mentre sopraggiungeva un furgone non gli aveva lasciato
scampo.
.
Sentì
salire un dolore cupo, sordo, che non era mai passato,
rallentò, si dovette
fermare mentre percorreva la poca strada che mancava per raggiungere il
suo
ufficio. Aveva il
fiato corto, si tolse
la giacca, slacciò il primo bottone della camicia,
allentò la cravatta che
sembrava soffocarlo. Si
portò sulla panchina
che costeggiava il viale, rimase appoggiato, la schiena rilassata,
lasciò il
dolore sciogliersi e i ricordi percorrerlo.
Aveva
compiuto da poco venticinque anni, ricordava
ogni minuto di quella notte. Era
stato
chiamato dal suo superiore in accademia che l’aveva messo al
corrente dell’incidente.
Non si rese conto di come raggiunse l’ospedale.
Entrò quasi correndo nella
piccola sala d’aspetto.
Zio William era
già lì con la faccia che
diceva tutto. E zia
Costance, la sorella
più giovane del padre piangeva sommessamente in un angolo.
Edward sentì
cedergli le gambe, ma lo zio lo afferrò forte e lo spinse da
parte, contro il
freddo della parete a cui dovette appoggiarsi.
Poche
parole dello zio che gli ordinavano di essere forte per amore dei suoi
fratelli. I genitori erano morti subito, ma Ben era vivo, e la speranza
gli aprì
il cuore, asciugò le lacrime in fretta per nascondere un
dolore devastante.
Quando entrò
nella sala d’aspetto fredda
e impersonale, fu terrorizzato nel vedere Steve, stretto ad Ellen e
Daniel,
pallido e tremante, che prese a fissarlo smarrito, non distogliendo mai
lo sguardo.
Cercava la sua forza e una risposta che non riusciva a dargli,
aggrappato alla speranza
che Ben, in coma, ma vivo, si salvasse.
Ma
Benjamin volò via una settimana dopo, senza mai riprendere
conoscenza, mentre
erano tutti presenti, stretti in un dolore disperato.
E la sua vita non fu
più la stessa. I
funerali, prima dei genitori poi del
piccolo Ben, furono pesanti per tutti.
Oppressi da gente che
veniva a Roses
House per fare le condoglianze, non ebbero pace per le due settimane
successive. Nei due
mesi che vennero dopo,
aiutò lo zio a sbrigare le pratiche del padre, mentre Steve
divenne la sua
ombra, dimenticando le sue fidanzatine.
Daniel ed Ellen stavano
con zia
Constance, ma lo spiavano preoccupati, temevano di andare in adozione,
e
finivano per chiudersi in camera a piangere. E lui reggeva per loro,
nel
rispetto del nome della famiglia.
Ma la
responsabilità e la perdita, lo spezzavano giorno dopo
giorno, Edward pensava
di non farcela, e smise di mangiare.
Steve fu il primo ad
accorgersene. Lo
assalì disperato, temendo di perdere anche lui, lo
minacciò e informò
lo zio che Edward spesso saltava il pranzo o la cena, oppure faceva
tardi
apposta.
Così
iniziarono a sorvegliarlo, Steve
coinvolse i gemelli, che divennero
responsabili e attenti. Mai durante i pasti, fu lasciato
solo, spingendolo
lentamente a prendersi cura di sé. Solo allora si accorsero
di essere una
famiglia, di avere una speranza, così piano e faticosamente
ne uscì, anche se
ancora adesso quando è troppo stressato, ricade nello stesso
problema,
portandosi dietro il dispiacere di Steve.
Respirò
profondamente, ricacciò indietro con rabbia ogni ricordo,
afferrò la giacca, la
buttò sul braccio. Edward
cercava
continuamente di rimuovere quei ricordi dolorosi, elaborando un lutto
che non
passava mai. Si alzò, senza che nessuno si fosse
insospettito, si diresse verso
la dirigenza. Chiese a Nora di contattare il numero privato dello zio.
Lei
lo squadrò preoccupata, in camicia, e con
la giacca nel braccio, probabilmente si era allarmata. Lo conosceva
bene e
sapeva che non girava per la Cittadella in disordine. Lui
alzò la mano per
tranquillizzarla.
“Sta
serena Nora ho pranzato. Immagino
di non
aver un bel aspetto, da come mi guardi, ma dopo me ne vado a casa,
promesso.” Lo
sgridò benevolmente e gli
allungò il pass.
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