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autorizzazione scritta.
Buongiorno,
questa
storia originale si intreccia con una mia storia già scritta
precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta,
riconoscerà
subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT!
Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto
poiché contiene spoiler per questa originale.
Il
rating della storia varierà man mano scriverò i
capitoli, motivo
per cui per ogni capitolo avrà un proprio rating.
Ringrazio
con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in
veste di Beta Reader!
Rating
capitolo: verde
Personaggi
capitolo: Brent,
Yoshiko, Taichi, sorpresa
CAPITOLO
11
Sono
trascorsi quattro anni da quel fatidico giorno che ha cambiato per
sempre la mia vita.
Yoshiko
continua a ripetersi che è stato solo un bene che suo padre
si sia
dimostrato per quello che realmente era. Sono, però,
convinto che
non lo creda davvero. Probabilmente lo dice perché nel suo
subconscio sta cercando di trovare una motivazione al suo cambiamento
e, vista la sua indole da perenne sognatrice romantica, è
convinta
che persino quel triste ricordo che ha di lui sia stato utile a
raggiungere l'apice della felicità, portandola a tornare tra
le mie
braccia e vivere finalmente la nostra storia d'amore.
Vi
parlo di una storia sognata e bramata da anni e per anni. Yoshiko
è
sempre stata una fissazione per me, tanto da temere di poter
impazzire per amore. Ero convinto di averla idealizzata troppo e di
non poter più bearmi del calore e dell'amore di una persona,
a meno
che questa non avesse il suo nome. Ed in effetti non ho avuto torto
in questo mio pensiero, perché alla fine sono riuscito a
trovare la
pace interiore solo stando con lei.
Ora
lei è stesa accanto a me. Sono a casa da soli due giorni per
via di
un congedo straordinario che mi sono preso. Un congedo che, per
meglio dire, lei mi ha forzato a prendere.
Posso
intravedere le prime luci dell'alba farsi spazio tra le tende
turchesi della nostra stanza. Saranno sì e no le cinque e
mezza del
mattino. Il sole sorge presto in questo periodo dell'anno.
Lei
dorme a pancia in giù, come al suo solito. La sua gamba
sinistra è
leggermente alzata in avanti, mentre il volto è inclinato
verso di
me. Potrei dirvi che è una donna perfetta, ma quel rivolino
di
saliva che le cola malamente dal labbro inferiore distorce un po' la
realtà dei fatti. Eppure per me lo è veramente,
perfetta dico. Le
scosto una ciocca dal volto e lei fa una delle sue smorfie
infastidite. Devo ancora capire come mai non le piaccia affatto
essere toccata in viso. Eppure io le consumerei il volto di baci e
carezze, se solo me lo lasciasse fare.
Vorrei
bearmi di questa visione in eterno, ma la natura chiama e sono
costretto ad alzarmi dal letto per poter andare in bagno a fare due
gocce. Dopo la notte trascorsa a rimpinzarmi di pizza e birra, tipico
piatto orientale, ho la vescica che esplode.
Neanche
il tempo di rientrare in camera da letto e lei è sveglia,
accostata
alla finestra che si gode la visione di quell'alba che ha tinto il
cielo di un caldo arancio.
L'abbraccio
dal dietro e appoggio il mento sulla sua spalla sinistra senza
fiatare o dire una parola. Quell'istante è perfetto
esattamente così
com'è.
Le
mie mani scivolano sul suo ventre e lo accarezzano, mentre trattengo
il fiato ancora e ancora. Non sono eccitato, seppur il suo corpo mi
attiri come sempre. Eppure trattengo il fiato e una lacrima solca il
mio volto, mentre chiudo gli occhi e con i polpastrelli proseguo la
mia corsa a circumnavigare quel piccolo mappamondo che alberga in
lei.
La
cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è
il suo tempo. E
quale migliore tempo se non nove lunghi ed estenuanti mesi di
incubazione. Sorrido al pensiero che nove mesi appaiano tanto
infiniti quanto brevi. Ci sono giorni in cui mi accorgo di non essere
pronto e di non aver nulla di pronto. Altri, al contrario, in cui
l'attesa appare eterna e la voglia di poter incontrare il nostro
piccolo Isaac è immensa.
Isaac.
Già, non potevo scegliere nome migliore. Sono uno di quegli
uomini
che mai si sarebbe sognato nella vita di chiamare il proprio figlio
come suo padre. Eppure Isaac è stata la scelta
più spontanea per
me. Il nome Isaac deriva dall'ebraico isehaq
e significa "Dio sorride". È stata Yoshiko ad andare a
conoscerne l'etimologia e, vista la connotazione tanto positiva che
assume questo nome, è stato facile decidere.
Accarezzo
ancora il suo pancione da sotto la magliettina intima e mi lascio
cullare dal momento spensierato che stiamo vivendo.
Alle
volte mi viene quasi spontaneo guardarmi alle spalle e scoprire che,
nonostante tutto, la mia vita non ha poi fatto così schifo.
Yoshiko
è un punto cardinale per me e per l'esattezza è
il mio est. Ma come
si suol dire, una rosa dei venti è dotata di quattro punte.
Non ho
faticato molto a trovare il mio sud, il sergente Gamble, il mio nord,
mio padre, ed infine il mio ovest, Sam.
Yoshiko
sa tutto di Sam, della nostra relazione e dei nostri trascorsi
insieme. Non vi nego che inizialmente ne è rimasta un
tantino
sconcertata, soprattutto perché ha faticato a comprendere
come può
un etero stare con una lesbica e viceversa. E va bene, non posso
certo darle torto. Ma Yoshiko è sempre stata una donna di
ampie
vedute e me lo ha dimostrato in più occasioni e anche questa
volta
non è stata da meno.
Sam
per me non è il passato, ma è il presente, ora
più che mai. Le ho
presentato Yoshiko quasi un anno fa e l'emozione è stata
fortissima.
Sam, la cara e forte Sam, si è commossa nel vederla e ha
pianto
ininterrottamente per diversi minuti quando l'ha abbracciata. Quel
giorno mi ha guardato negli occhi e mi ha detto una frase che non
dimenticherò mai: “lei
è preziosa, Brent, perché è la
dimostrazione del fatto che i sogni
possono davvero diventare realtà”.
Da
allora lei è stata una presenza costante nella nostra vita.
Quel
pomeriggio decidiamo di andare a fare compere per il bambino. Yoshiko
è ormai a metà gravidanza e ancora non abbiamo
comprato nulla,
neppure il necessario per l'ospedale. Lei è tutta eccitata e
l'idea
di poter andare a fare shopping per sé e per il bambino la
rende
particolarmente felice. Il suo telefono, però, squilla
animatamente
ed è costretta a mettere l'entusiasmo da parte per poter
rispondere
alla chiamata.
Il
suo viso si fa cupo, poi risplende e si spegne nuovamente. Alla fine
un velo di stupore misto ad eccitazione si dipinge sulla sua candida
pelle.
«Ti
prego, siediti» mi dice a fine chiamata con
fermezza e senza indugio.
«Sono
due?» le domando quasi spaventato.
«Due
cosa?» mi chiede lei stranita.
«Isaac»
rispondo solamente, quasi inebetito alla notizia.
«Bee,
ma ti pare!» mi rimprovera ridacchiando.
Per
fortuna, vorrei quasi sospirare mentre mi accascio sul divano.
«Promettimi
di non arrabbiarti con me...» inizia lei preannunciando un
argomento
a me ostico e rendendomi nervoso.
«Cos'hai
combinato?» le domando guardandola di
sbieco.
«Tu,
prometti!» dice lei con tono fermo.
«Croce
sul cuore» rispondo io emulando il gesto
con la mano.
«Ho
ingaggiato un detective privato per scoprire chi è la tua
madre
biologica» mi dice tutto ad un fiato
guardandomi negli occhi.
Scoppio
a ridere. E pensare che per un istante quasi ci sono cascato. Ma la
mia risata mi muore in gola nel momento in cui osservo la sua
espressione quasi apatica. E capisco. Lei non sta scherzando. Sta
dicendo la verità.
«No,
non mi interessa» le rispondo alzandomi di scatto
dalla mia
postazione e uscendo come una furia fuori dalla nostra abitazione.
Lei
non mi rincorre. Lei resta in casa. Perché lo sa benissimo
che il
mio istinto mi porta sempre a tornare da lei. Ed in effetti ritorno
sui miei passi in meno di trentaquattro secondi.
«Perché
mi ha abbandonato?» le domando con rancore, rabbia e
risentimento.
«Io...
non lo so» il mio volto si incupisce e lei capisce subito di
dover
aggiungere dell'altro.
«Ma
so chi conosce tutte le risposte alle tue domande» alzo il
volto
nella sua direzione e il mio sguardo parla da solo. Lei è la
luce
dei miei occhi, il mio faro durante una cupa notte in tempesta.
La
seguo senza alcun timore. Mi scorta sotto un portone singolare che
non richiama affatto la cultura giapponese. Appartiene quasi all'arte
neoclassica. Caratteristiche peculiare, conoscendo il luogo in cui si
regge.
Varchiamo
quel portone e subito veniamo accolti da un autentico uomo caucasico
di mezz'età. Ci fa accomodare senza giri di parole arrivando
subito
al dunque «in questa scheda troverai tutte le informazioni
che ho
scoperto sulla tua madre biologica».
Sento
un groppo alla gola che fatica quasi a scendere. Ingoio, eppure quel
macigno mi si ferma in bocca e mi toglie il fiato. Sento che potei
avere un attacco di panico da un momento all'altro.
Afferro
quell'anonima cartelletta grigia e la stringo nelle mani. Poi la
appoggio sul tavolo e la porgo a Yoshiko «ti prego, fallo
tu».
Lei
annuisce e mi sorride, prendendomi una mano tra le sue e cercando di
calmarmi con lo sguardo.
Apre
la cartelletta e ne estrae una relazione «Sanae
Shinbaya». Inizia a
leggermi la storia della sua vita, raccontandomi dove è
nata, com'è
cresciuta, quali scuole ha frequentato e com'è stata la sua
infanzia.
Quel
racconto mi scivola addosso come acqua, pungendo la mia pelle dal
tanto è fredda. Non riesco a memorizzare le informazioni che
mi
vengono date e la mia mente vaga altrove. Eppure mi conosco e so bene
che questo mio meccanismo di difesa vuole solo evitare di scontrarmi
con la realtà dei fatti: lei mi ha abbandonato. E ora a me
importa
solo scoprirne il motivo. Non mi interessa sapere chi è
stata e chi
è ora come ora, voglio solo sapere cosa l'ha spinta a darmi
via.
Yoshiko
interrompe la lettura, probabilmente ha notato quanto io sia
distratto. Poi, però, vedo i suoi occhi sfrecciare a destra
e
sinistra come all'impazzata, spalancandosi sul finale e lasciandola
letteralmente a bocca aperta.
«Bee»
mi sussurra con estrema dolcezza «lei ti amava».
Perché
dici questo, vorrei chiederle. Ma la mia reazione prevede solo un
forte corrugamento della fronte e niente di più.
«Pare
che l'anno prima di andare a fare volontariato in Venezuela, lei
abbia sconfitto una grave forma di tumore alle ovaie» dice
Yoshiko
stupita e stranita da quella informazione.
Io,
al contrario, vengo investito da un treno in corsa. Non è
possibile,
è come un loop
infinito, una storia sentita e già vissuta.
«Il
volontariato era il suo modo di condividere con i più
sfortunati, la
buona sorte che l'aveva baciata» mi spiega il detective
irrompendo
nel discorso «mi è stato riferito che ha scoperto
di essere
incinta, solo dopo aver scoperto che il cancro era tornato».
«Lei...»
le parole fanno fatica ad uscire dalla mia bocca «lei ha
scelto me».
Il
detective annuisce con un sorriso beffardo sulle labbra ed il mio
mondo ancora una volta subisce una battuta d'arresto.
«Era
stufa di combattere contro quel male che la divorava dentro. Aveva
già subito tre interventi ed era ormai alla quarta ricaduta.
Ha
deciso di utilizzare le sue ultime forze per dare la vita a
te»
aggiunge il detective.
Mi
sento pugnalato, distrutto e ferito. Sento che le forze mi stanno
abbandonando. Tutto ciò che ho sempre creduto su mia
madre... è
tutto solo una mera e falsa illusione di ciò che nel mio
piccolo
avevo voluto credere per sentirmi al sicuro. Ma la verità
è che con
lei ero più che al sicuro, perché lei ha
letteralmente dato la sua
vita per me. Un gesto che forse, solo ora che sto per diventare
padre, posso comprendere appieno.
Dopo
aver ringraziato il detective ed essere usciti da quel cimitero di
informazioni, abbiamo trascorso due ore a comprare il mondo per il
piccolo Isaac. Ho scoperto di essere un padre amante dello shopping
compulsivo. Ho comprato ogni bene possibile e inimmaginabile,
partendo da ciò che è utile, fino a spendere
soldi per piccole
frivolezze.
Ma
in cuor mio sono conscio del fatto che non potrò mai
raggiungere il
grado di amore che mia madre ha raggiunto mettendomi al mondo in
quelle condizioni. Eppure oggi ho imparato una lezione veramente
importante. Ovvero che dietro ad ogni azione, seppur questa possa
apparire davvero insensata o involontaria, vi è un fondo di
premeditazione e che spesso dietro a queste azioni si cela una dura
realtà.
Quella
stessa sera mi sono ritrovato a fare una cosa che mai avrei pensato
davvero di fare. Ho raccolto busta e carta e ho scritto una lettera,
come ai cari bei vecchi tempi.
Caro
Isaac,
vorrei
raccontarti della tua famiglia, delle tue radici e da dove deriva il
cinquanta percento di te.
La
famiglia è il bene più prezioso che potrai avere
nella vita e per
questo motivo bisogna tenersela stretta, così come io non ho
mai
abbandonato il pensiero di tua madre nonostante le avversità.
Oggi,
Isaac, vorrei raccontarti di tuo nonno, della persona che è
stata
per me, ma soprattutto della persona che è stata per gli
altri. Un
uomo che ha donato se stesso per il prossimo. Lui era un eroe
invisibile. Non parliamo di uno degli eroi che probabilmente
incontrerai nella tua vita leggendo i fumetti Marvel, neppure uno di
quelli che verrà mai acclamato in televisione. Ma ti
assicuro che se
chiedi alla comunità, sentirai solo parlare bene di lui.
Nessuno ha
mai versato una parola acida nei suoi confronti. Ed io mi auguro che
un domani anche tu possa essere come lui.
Vorrei
poterti dire altrettanti grandi cose anche su tua nonna, ma la
verità
è che..
Appoggio
la penna sulla scrivania e mi accorgo di non sapere davvero cosa dire
su di lei. Mi alzo e mi allontano dalla stanza fino a raggiungere
Yoshiko. Sta beatamente spiaggiata sul divano. Mi avvicino a lei e
allungo una mano in sua direzione, invitandola a seguirmi.
«Dove
mi porti di bello, tesoro?» mi domanda lei incuriosita.
«Vestiti
bene, oggi andiamo a Tokyo» lei mi guarda curiosa e confusa.
«Oggi?
Ma è un viaggio lungo da affrontare, non è certo
dietro l'angolo»
mi risponde lei, non capendo la mia fretta.
«Cosa
racconteremo domani ad Isaac sulla sua famiglia? Non potremo parlare
bene dei tuoi genitori per ovvi motivi e non potrò parlare
di mia
madre perché di lei non so assolutamente nulla. Mio padre,
che Dio
lo abbia in grazia, è morto anche lui» le rispondo
gesticolando in
maniera quasi convulsa.
«Bee,
ti prego, calmati» sussurra lei con voce pacata e tremante
allo
stesso tempo.
«No,
ho deciso. Oggi si fa a Tokyo. Andremo a visitare la tomba di mia
madre e poi andremo a parlare con la tua. Basta con i fantasmi del
passato. Dobbiamo lasciarci tutto alle spalle se vogliamo che nostro
figlio viva serenamente» le rispondo.
Questa
volta non ottengo alcuna risposta da parte sua. Yoshiko mi volta le
spalle e si chiude in camera nostra diligentemente a preparare le
valigie.
Dopo
un'ora siamo in volo per affrontare il nostro passato, presente e
futuro.
Yoshiko
è molto nervosa e lo scorgo con facilità
poiché continua a
passarsi tra le mani una vecchia collana della madre. Non ho dubbi
che la sua mente stia vagando altrove. Lei è qui con me, ma
è come
se non ci fosse veramente.
«Ho
paura di incontrare mio padre» mi confida guardandomi con
occhi
dolci e lucidi.
«Non
lo incontreremo, infatti» le rispondo io sorridendole e
cercando di
infonderle tranquillità.
«Non
capisco, hai detto che stiamo andando a Tokyo anche per questo e
ora...» la sua frase rimane in sospeso.
«Devi
ancora superare altri 4 mesi di gravidanza ed io sarò
sicuramente
via per lavoro» le dico cercando di impostare alla bene
meglio il
discorso che vorrei farle «il che significa che tu resterai
sola per
tutto il tempo e anche in caso di bisogno sarai sola... e a me questa
cosa non piace».
Lo
sguardo di Yo si illumina e finalmente capisco che è
arrivata alla
mia stessa conclusione, ma, al contrario di quanto pensato, decide di
accantonare il discorso e di non riprenderlo più per
l'intero
viaggio.
In
tarda serata raggiungiamo un albergo in periferia e affittiamo una
stanza per un paio di notti. Il mio congedo durerà ancora
una
settimana e non oltre, perciò sento di aver il tempo contato
per
poter sistemare il nostro presente.
La
mattina seguente decidiamo di dirigerci in primo luogo esattamente
dove è stata sepolta mia madre.
I
cimiteri giapponesi sono differenti da quelli inglesi. Si trovano
solitamente vicino a un tempio o un santuario e sono spesso
completamente immersi nel verde
La
tipica tomba giapponese è di solito una tomba di famiglia
costituita
da un monumento in pietra, con un posto per i fiori, per incenso e
per l’acqua, e una camera o cripta sottostante per le ceneri.
Il
nome del defunto è spesso inciso nella parte frontale della
tomba.
Spesso, però, il nome viene anche scritto su un sotoba,
una tavola di legno posta su un supporto dietro o accanto alla tomba,
insieme alla data di morte o a preghiere. Alcune tombe dispongono di
una scatola per biglietti da visita, dove amici e parenti che
visitano la tomba possono lasciare il proprio biglietto.
Ed
è proprio in questa occasione che mi ritrovo ad afferrare
uno dei
bigliettini posti sulla tomba di mia madre per fare una cosa
impensabile.
La
cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è
il suo tempo.
Non
sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo.
Perché
quello non torna indietro e quello che ha dato a te è solo
tuo,
non
importa se è stata un’ora o una vita.
(David
Grossman)
Mai
come in questa occasione ho trovato questa frase così
azzeccata e
perfetta.
Yo
si presenta alle mie spalle e mi abbraccia «È una
frase
bellissima».
«Credo di
essere un pessimo figlio»
rispondo sconsolato.
«Bee,
perché dici questo?» mi domanda lei
fronteggiandomi e prendendomi
il volto tra le mani.
«Prima
di tutto ho trascorso un'intera vita con l'idea che mia madre
fosse... una stronza!» avrei voluto ponderare le mie parole
in
questa circostanza, ma la verità dei fatti è che
ho seriamente
pensato che lei fosse una vera stronza. Voglio dire, quale madre
potrebbe mai abbandonare il proprio figlio senza darne un valido
motivo e senza mai più ripresentarsi alla sua porta?!
«Ed
ora che la incontro per la prima volta -si fa per dire- le lascio un
banale e anonimo biglietto sulla tomba» mi accuccio a terra
sprofondando il viso tra le mie stesse braccia.
Ad
un tratto mi sento quasi intrappolato in un velo di malinconia
«sono
un pessimo figlio» annuncio nuovamente «come
diavolo posso
diventare o anche solo sperare di diventare un bravo padre?».
La
reazione primaria che mi aspetto da una come Yo è quella di
consolarmi e probabilmente accarezzarmi, abbracciarmi o qualcosa di
simile. Sì, insomma, in una situazione simile avrebbe fatto
così.
Ovviamente non in questa. Lei cosa fa? Scoppia a ridere, il che mi
inebetisce il doppio.
«Cos'hai
da ridere?» le domando.
«Vedi...
ti domandi come tu possa essere un padre, quando alle spalle hai una
figura paterna degna di Nobel» afferma lei rannicchiandosi
affianco
a me «pensa a me che come figura materna di riferimento ho
una donna
completamente succube e indifesa».
Io
la guardo stranito «e la cosa ti fa ridere?».
Yo
annuisce timidamente prima di irrompere con una risata ancora
più
accesa.
Dannati
ormoni femminili e dannati ormoni della gravidanza, un mix alquanto
letale e per il quale ringrazio di essere nato uomo!
Quella
stessa sera decidiamo di fare un giro per Tokyo. L'idea di ritrovarmi
nella stessa città dove mia madre è nata e
vissuta per la maggior
parte della sua vita, mi fa venire in un certo senso i brividi.
È
tutto così diverso e lontano dalla mia cara e vecchia
Inghilterra.
Eppure sono qui, in Giappone, da diversi anni ormai e ancora non
riesco a capacitarmi e ad entrare nello spirito di questo Paese che
ha davvero tanto da regalare.
Taichi
è di queste zone. Mi ha raccontato tantissime cose su Tokyo
e per
quanto io sia abituato in un certo senso a metropoli altrettanto
vaste, l'immensità di questa città è
sbalorditiva. La meccanica,
la precisione e l'uniformità con la quale è stata
costruita è
quasi inumana. Eppure è proprio grazie a questa
rigidità e
precisione su cui si basa, che Tokyo appare quasi perfetta. Per le
strade la gente cammina sorridendo, tenendosi per mano e con passo
piuttosto pacato. Guardo Yoshiko al mio fianco e mi viene quasi
istintivo stringerle più forte la mano. Inutile dire che il
mio
gesto non fa altro che attirare la sua attenzione. Ma non mi chiede
nulla, mi sorride dolcemente e torna ad ammirare le luci notturne che
illuminano la città.
Tutto
appare affascinante e lontano, come se a vivere questo istante non
fossi io ma un'altra persona. Tokyo è magica, ha proprio
ragione
Taichi.
Ad
un tratto, forse sono io ad avere un passo troppo felpato, ma mi
sento tirare per il braccio. Mi volto indietro e trovo Yoshiko
immobile, occhi sgranati e bocca semiaperta. Il mio primo pensiero va
ad Isaac, perciò mi avvicino a lei e le chiedo se va tutto
bene.
Lei, però, non ha modo di rispondermi, perché
alle mie spalle si
sente audace una voce femminile.
«Yoshiko»
mi volto e mi ritrovo a fronteggiare una bella donna di
mezz'età,
capelli lunghi e lisci, scuri ma con diverse ciocche argentate. Una
donna di bell'aspetto, ma dalla presenza contenuta e quasi timida.
«Mamma...»
sussurra Yo quasi a bocca asciutta.
Realizzo
che ciò che avremmo dovuto fare la mattina seguente, ci
aveva
anticipati. Che brutti scherzi che gioca il destino alle volte.
La
madre abbassa lo sguardo e subito nota il gonfiore all'addome di
Yoshiko, realizzando senza grande perspicacia che sua figlia
è in
dolce attesa.
Decido
di prendere le redini della situazione abbozzando una domanda che
risulta stretta a tutti quanti «suo marito?».
Credo
che la mia impertinenza non le sia andata a genio, o per lo meno quel
broncio sul suo volto mi fa intendere così.
«Ci
possiamo prendere un thè? Ho bisogno di sedermi»
afferma Yo
avvinghiandosi al mio braccio come a cercare conforto.
Ci
avviciniamo al primo locale a portata di schiocco e l'imbarazzo
è
evidente per tutti. Cavolo, ho sempre odiato queste situazioni. Sono
un chiacchierone, ma mi trovo a disagio a conoscere sua madre proprio
in questa circostanza.
«Lui
è Brent Smith, il mio compagno» mi presenta
Yoshiko a sua madre.
«Non
è giapponese» risponde lei senza neanche
stringermi la mano.
Sul
mio volto compare un sorriso falso. Ecco uno di quei momenti in cui
vorrei essere invisibile o per lo meno trovarmi altrove. Eppure
è
tutta colpa mia se ora come ora mi ritrovo in questa situazione al
limite dell'irreale.
«In
realtà preferirei definirmi un cittadino del mondo. Sono
anglo-giapponese, in ogni caso. Non che in realtà questo
faccia
differenza, giusto?» le domando a colpo diretto.
La
donna appare quasi intimidita da me, dal mio fare e dalla mia
risposta secca. Yoshiko al contrario mi tira leggermente il lembo
della felpa come a volermi pregare di rimanere calmo.
«Comunque,
mi fa piacere che ci siamo incontrati per caso questa sera, l'idea
era comunque quella di venire a trovarvi domani» aggiungo
ancora.
«Io
e mio marito ci siamo lasciati, in realtà. Perciò
non mi avreste
trovata a casa» risponde la donna abbassando lo sguardo e
giocherellando con il bicchiere di acqua davanti a sé.
«Vi
siete lasciati?» domanda Yoshiko assumendo un'aria piuttosto
preoccupata.
«Tesoro,
quando ho realizzato che eri scappata via solo a causa nostra... mia!
Sono stata una vigliacca e non ti ho concesso di avere la vita che
tanto meritavi» la madre di Yoshiko scoppia a piangere come
una
bambina e per la prima volta inizio a provare compassione nei suoi
confronti.
Yoshiko
mi guarda con occhi languidi e già capisco cosa mi vuole
chiedere.
«Signora,
io credo sia il caso di ripartire da zero» le allungo
nuovamente la
mano nella speranza che almeno questa volta si decida ad afferrala.
«Mi
chiamo Brent Smith, ho conosciuto sua figlia tantissimi anni fa e me
ne sono innamorato all'istante. Chiamatelo colpo di fulmine o
qualsiasi cosa sia, ma lei mi è entrata nella mente e nel
cuore come
nessun'altra» la donna stringe timidamente la mia mano questa
volta
e quasi rimane attratta dal mio racconto.
«Sono
scappata da lui... hai ragione, non sopportavo più
papà» aggiunge
Yoshiko accostando la propria sedia a quella della madre «da
allora
io e Bee siamo sempre rimasti insieme e ora...» Yo si
accarezza
dolcemente il grembo per poi aggiungere «siamo in attesa del
piccolo
Isaac».
La
madre si commuove nell'udire le parole della figlia. Certo, aveva ben
capito lei fosse incinta, ma dirlo così apertamente e con
quel velo
di gioia infinita che riesce sempre a trasmettere Yoshiko,
sicuramente è un'altra cosa.
Sebbene
la vita si intrecci continuamente in quell'altalenare di emozioni che
tutti noi conosciamo, tra delusioni, amarezze, brividi di gioia, di
malinconia, cuori che sobbalzano e amori che sbocciano, mi sorprendo
ogni volta ad ammirare questo flusso a spirale che mi avvolge.
È la
natura umana, provare almeno una volta nella vita queste emozioni.
Credo di aver toccato ormai con mano ogni singola emozione esistente.
La tristezza che la perdita di mio padre mi ha lasciato, la sorpresa,
eccitante e un po' sconvolgente, di rivisitare il pensiero che ho
sempre avuto di mia madre, il coraggio e la protezione che provo ad
avere accanto un compagno di armi come Taichi, l'amicizia e
l'incredibile forza d'animo che mi ha potuto donare Sam... e l'amore
incondizionato che ha saputo trasmettermi Yoshiko sin dal nostro
primo incontro, fino alla nostra prima notte insieme, alla scoperta
di diventare genitori. La vita è anche questo, una ricerca
della
felicità, avvolta in un pizzico di avventura cieca,
mischiata
all'esperienza nata dal contatto con persone a te diverse, per natura
o cultura. E in ultimo, ma non meno importante, l'impatto che
l'imprevedibilità e la varietà di ciò
che ci circonda si fonde con
il piccolo bagaglio che abbiamo caricato fin'ora sulle spalle. Un
concetto forse difficile da comprendere, ma la verità
è che la mia
vita, come quella delle persone a me care che mi circondano,
è in
perenne evoluzione perché vola, alle volte controcorrente,
alle
volte seguendo la giusta scia. Ed è qui che nasce il
concetto di
effetto farfalla. Perché ciò che per gli altri
può apparire un
incontro-scontro di lieve importanza, per altri può
trasformarsi in
un uragano di mutazioni. Motivo per cui non credo ai “e
se”. Per
me non esistono. Ciò che è accaduto nel passato
è servito a
forgiare il presente di oggi e probabilmente a plasmare le basi del
futuro di domani.
È
meraviglioso scoprire come il mondo si presenta ai nostri occhi dopo
che si ha preso la consapevolezza di questo concetto. Chiamatela
fisica, teoria del caos, magia o semplicemente disillusione, ma la
verità è che vi è un ciclo di tempo
che, seppur futuro, è già
stato scritto. Come si suol dire, siamo solo dei passeggeri in questo
mondo. Viaggiatori nel tempo e del tempo, che viviamo in una frazione
di mondo in cui stabiliamo le nostre vite, credendo che queste
possano durare per l'eternità o almeno sperando in questo
concetto.
Ma siamo fugaci, come orme sulla sabbia che vengono cancellate dalle
onde del mare. A noi non è dato sapere il nostro destino,
allo
stesso tempo questo è già stato scritto e non
possiamo che
partecipare passivamente a questo loop infinito.
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