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Autore: Digihuman    10/02/2021    0 recensioni
[IN CORSO]
Mi chiamo Brent Smith, ho trent'anni e voglio raccontarvi la mia storia. […]
A dirla tutta il mio certificato di nascita indica Tokyo come mia città natale, ma la città in cui ho vissuto per la maggior parte della mia infanzia e adolescenza è Exeter. […] E niente, la maggior parte dei miei ricordi sono proprio legati a questa città. Ricordi, che tra le tante cose, mi riportano a lei, alla mia dolce Yoshiko. […]
Spesso mi ritrovo a pensare a quando, temporaneamente parlando, potrei collocare il momento esatto in cui mi sono innamorato di lei. Avevo sentito le farfalle allo stomaco già la prima volta che la vidi. […] L'unica certezza che ho è che il mio amore è nato con lei e che morirà ciecamente con lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buongiorno,

questa storia originale si intreccia con una mia storia già scritta precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta, riconoscerà subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT! Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto poiché contiene spoiler per questa originale.

Il rating della storia varierà man mano scriverò i capitoli, motivo per cui per ogni capitolo avrà un proprio rating.


Ringrazio con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in veste di Beta Reader!


Rating capitolo: verde
Personaggi capitolo: Brent, Yoshiko, Taichi, sorpresa



CAPITOLO 11




Sono trascorsi quattro anni da quel fatidico giorno che ha cambiato per sempre la mia vita.
Yoshiko continua a ripetersi che è stato solo un bene che suo padre si sia dimostrato per quello che realmente era. Sono, però, convinto che non lo creda davvero. Probabilmente lo dice perché nel suo subconscio sta cercando di trovare una motivazione al suo cambiamento e, vista la sua indole da perenne sognatrice romantica, è convinta che persino quel triste ricordo che ha di lui sia stato utile a raggiungere l'apice della felicità, portandola a tornare tra le mie braccia e vivere finalmente la nostra storia d'amore.
Vi parlo di una storia sognata e bramata da anni e per anni. Yoshiko è sempre stata una fissazione per me, tanto da temere di poter impazzire per amore. Ero convinto di averla idealizzata troppo e di non poter più bearmi del calore e dell'amore di una persona, a meno che questa non avesse il suo nome. Ed in effetti non ho avuto torto in questo mio pensiero, perché alla fine sono riuscito a trovare la pace interiore solo stando con lei.

Ora lei è stesa accanto a me. Sono a casa da soli due giorni per via di un congedo straordinario che mi sono preso. Un congedo che, per meglio dire, lei mi ha forzato a prendere.
Posso intravedere le prime luci dell'alba farsi spazio tra le tende turchesi della nostra stanza. Saranno sì e no le cinque e mezza del mattino. Il sole sorge presto in questo periodo dell'anno.
Lei dorme a pancia in giù, come al suo solito. La sua gamba sinistra è leggermente alzata in avanti, mentre il volto è inclinato verso di me. Potrei dirvi che è una donna perfetta, ma quel rivolino di saliva che le cola malamente dal labbro inferiore distorce un po' la realtà dei fatti. Eppure per me lo è veramente, perfetta dico. Le scosto una ciocca dal volto e lei fa una delle sue smorfie infastidite. Devo ancora capire come mai non le piaccia affatto essere toccata in viso. Eppure io le consumerei il volto di baci e carezze, se solo me lo lasciasse fare.
Vorrei bearmi di questa visione in eterno, ma la natura chiama e sono costretto ad alzarmi dal letto per poter andare in bagno a fare due gocce. Dopo la notte trascorsa a rimpinzarmi di pizza e birra, tipico piatto orientale, ho la vescica che esplode.
Neanche il tempo di rientrare in camera da letto e lei è sveglia, accostata alla finestra che si gode la visione di quell'alba che ha tinto il cielo di un caldo arancio.
L'abbraccio dal dietro e appoggio il mento sulla sua spalla sinistra senza fiatare o dire una parola. Quell'istante è perfetto esattamente così com'è.
Le mie mani scivolano sul suo ventre e lo accarezzano, mentre trattengo il fiato ancora e ancora. Non sono eccitato, seppur il suo corpo mi attiri come sempre. Eppure trattengo il fiato e una lacrima solca il mio volto, mentre chiudo gli occhi e con i polpastrelli proseguo la mia corsa a circumnavigare quel piccolo mappamondo che alberga in lei.
La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo. E quale migliore tempo se non nove lunghi ed estenuanti mesi di incubazione. Sorrido al pensiero che nove mesi appaiano tanto infiniti quanto brevi. Ci sono giorni in cui mi accorgo di non essere pronto e di non aver nulla di pronto. Altri, al contrario, in cui l'attesa appare eterna e la voglia di poter incontrare il nostro piccolo Isaac è immensa.
Isaac. Già, non potevo scegliere nome migliore. Sono uno di quegli uomini che mai si sarebbe sognato nella vita di chiamare il proprio figlio come suo padre. Eppure Isaac è stata la scelta più spontanea per me. Il nome Isaac deriva dall'ebraico isehaq e significa "Dio sorride". È stata Yoshiko ad andare a conoscerne l'etimologia e, vista la connotazione tanto positiva che assume questo nome, è stato facile decidere.
Accarezzo ancora il suo pancione da sotto la magliettina intima e mi lascio cullare dal momento spensierato che stiamo vivendo.
Alle volte mi viene quasi spontaneo guardarmi alle spalle e scoprire che, nonostante tutto, la mia vita non ha poi fatto così schifo. Yoshiko è un punto cardinale per me e per l'esattezza è il mio est. Ma come si suol dire, una rosa dei venti è dotata di quattro punte. Non ho faticato molto a trovare il mio sud, il sergente Gamble, il mio nord, mio padre, ed infine il mio ovest, Sam.
Yoshiko sa tutto di Sam, della nostra relazione e dei nostri trascorsi insieme. Non vi nego che inizialmente ne è rimasta un tantino sconcertata, soprattutto perché ha faticato a comprendere come può un etero stare con una lesbica e viceversa. E va bene, non posso certo darle torto. Ma Yoshiko è sempre stata una donna di ampie vedute e me lo ha dimostrato in più occasioni e anche questa volta non è stata da meno.
Sam per me non è il passato, ma è il presente, ora più che mai. Le ho presentato Yoshiko quasi un anno fa e l'emozione è stata fortissima. Sam, la cara e forte Sam, si è commossa nel vederla e ha pianto ininterrottamente per diversi minuti quando l'ha abbracciata. Quel giorno mi ha guardato negli occhi e mi ha detto una frase che non dimenticherò mai: “lei è preziosa, Brent, perché è la dimostrazione del fatto che i sogni possono davvero diventare realtà”.
Da allora lei è stata una presenza costante nella nostra vita.

Quel pomeriggio decidiamo di andare a fare compere per il bambino. Yoshiko è ormai a metà gravidanza e ancora non abbiamo comprato nulla, neppure il necessario per l'ospedale. Lei è tutta eccitata e l'idea di poter andare a fare shopping per sé e per il bambino la rende particolarmente felice. Il suo telefono, però, squilla animatamente ed è costretta a mettere l'entusiasmo da parte per poter rispondere alla chiamata.
Il suo viso si fa cupo, poi risplende e si spegne nuovamente. Alla fine un velo di stupore misto ad eccitazione si dipinge sulla sua candida pelle.
«Ti prego, siediti» mi dice a fine chiamata con fermezza e senza indugio.
«Sono due?» le domando quasi spaventato.
«Due cosa?» mi chiede lei stranita.
«Isaac» rispondo solamente, quasi inebetito alla notizia.
«Bee, ma ti pare!» mi rimprovera ridacchiando.
Per fortuna, vorrei quasi sospirare mentre mi accascio sul divano.
«Promettimi di non arrabbiarti con me...» inizia lei preannunciando un argomento a me ostico e rendendomi nervoso.
«Cos'hai combinato?» le domando guardandola di sbieco.
«Tu, prometti!» dice lei con tono fermo.
«Croce sul cuore» rispondo io emulando il gesto con la mano.
«Ho ingaggiato un detective privato per scoprire chi è la tua madre biologica» mi dice tutto ad un fiato guardandomi negli occhi.
Scoppio a ridere. E pensare che per un istante quasi ci sono cascato. Ma la mia risata mi muore in gola nel momento in cui osservo la sua espressione quasi apatica. E capisco. Lei non sta scherzando. Sta dicendo la verità.
«No, non mi interessa» le rispondo alzandomi di scatto dalla mia postazione e uscendo come una furia fuori dalla nostra abitazione.
Lei non mi rincorre. Lei resta in casa. Perché lo sa benissimo che il mio istinto mi porta sempre a tornare da lei. Ed in effetti ritorno sui miei passi in meno di trentaquattro secondi.
«Perché mi ha abbandonato?» le domando con rancore, rabbia e risentimento.
«Io... non lo so» il mio volto si incupisce e lei capisce subito di dover aggiungere dell'altro.
«Ma so chi conosce tutte le risposte alle tue domande» alzo il volto nella sua direzione e il mio sguardo parla da solo. Lei è la luce dei miei occhi, il mio faro durante una cupa notte in tempesta.

La seguo senza alcun timore. Mi scorta sotto un portone singolare che non richiama affatto la cultura giapponese. Appartiene quasi all'arte neoclassica. Caratteristiche peculiare, conoscendo il luogo in cui si regge.
Varchiamo quel portone e subito veniamo accolti da un autentico uomo caucasico di mezz'età. Ci fa accomodare senza giri di parole arrivando subito al dunque «in questa scheda troverai tutte le informazioni che ho scoperto sulla tua madre biologica».
Sento un groppo alla gola che fatica quasi a scendere. Ingoio, eppure quel macigno mi si ferma in bocca e mi toglie il fiato. Sento che potei avere un attacco di panico da un momento all'altro.
Afferro quell'anonima cartelletta grigia e la stringo nelle mani. Poi la appoggio sul tavolo e la porgo a Yoshiko «ti prego, fallo tu».
Lei annuisce e mi sorride, prendendomi una mano tra le sue e cercando di calmarmi con lo sguardo.
Apre la cartelletta e ne estrae una relazione «Sanae Shinbaya». Inizia a leggermi la storia della sua vita, raccontandomi dove è nata, com'è cresciuta, quali scuole ha frequentato e com'è stata la sua infanzia.
Quel racconto mi scivola addosso come acqua, pungendo la mia pelle dal tanto è fredda. Non riesco a memorizzare le informazioni che mi vengono date e la mia mente vaga altrove. Eppure mi conosco e so bene che questo mio meccanismo di difesa vuole solo evitare di scontrarmi con la realtà dei fatti: lei mi ha abbandonato. E ora a me importa solo scoprirne il motivo. Non mi interessa sapere chi è stata e chi è ora come ora, voglio solo sapere cosa l'ha spinta a darmi via.
Yoshiko interrompe la lettura, probabilmente ha notato quanto io sia distratto. Poi, però, vedo i suoi occhi sfrecciare a destra e sinistra come all'impazzata, spalancandosi sul finale e lasciandola letteralmente a bocca aperta.
«Bee» mi sussurra con estrema dolcezza «lei ti amava».
Perché dici questo, vorrei chiederle. Ma la mia reazione prevede solo un forte corrugamento della fronte e niente di più.
«Pare che l'anno prima di andare a fare volontariato in Venezuela, lei abbia sconfitto una grave forma di tumore alle ovaie» dice Yoshiko stupita e stranita da quella informazione.
Io, al contrario, vengo investito da un treno in corsa. Non è possibile, è come un loop infinito, una storia sentita e già vissuta.
«Il volontariato era il suo modo di condividere con i più sfortunati, la buona sorte che l'aveva baciata» mi spiega il detective irrompendo nel discorso «mi è stato riferito che ha scoperto di essere incinta, solo dopo aver scoperto che il cancro era tornato».
«Lei...» le parole fanno fatica ad uscire dalla mia bocca «lei ha scelto me».
Il detective annuisce con un sorriso beffardo sulle labbra ed il mio mondo ancora una volta subisce una battuta d'arresto.
«Era stufa di combattere contro quel male che la divorava dentro. Aveva già subito tre interventi ed era ormai alla quarta ricaduta. Ha deciso di utilizzare le sue ultime forze per dare la vita a te» aggiunge il detective.
Mi sento pugnalato, distrutto e ferito. Sento che le forze mi stanno abbandonando. Tutto ciò che ho sempre creduto su mia madre... è tutto solo una mera e falsa illusione di ciò che nel mio piccolo avevo voluto credere per sentirmi al sicuro. Ma la verità è che con lei ero più che al sicuro, perché lei ha letteralmente dato la sua vita per me. Un gesto che forse, solo ora che sto per diventare padre, posso comprendere appieno.

Dopo aver ringraziato il detective ed essere usciti da quel cimitero di informazioni, abbiamo trascorso due ore a comprare il mondo per il piccolo Isaac. Ho scoperto di essere un padre amante dello shopping compulsivo. Ho comprato ogni bene possibile e inimmaginabile, partendo da ciò che è utile, fino a spendere soldi per piccole frivolezze.
Ma in cuor mio sono conscio del fatto che non potrò mai raggiungere il grado di amore che mia madre ha raggiunto mettendomi al mondo in quelle condizioni. Eppure oggi ho imparato una lezione veramente importante. Ovvero che dietro ad ogni azione, seppur questa possa apparire davvero insensata o involontaria, vi è un fondo di premeditazione e che spesso dietro a queste azioni si cela una dura realtà.
Quella stessa sera mi sono ritrovato a fare una cosa che mai avrei pensato davvero di fare. Ho raccolto busta e carta e ho scritto una lettera, come ai cari bei vecchi tempi.

Caro Isaac,
vorrei raccontarti della tua famiglia, delle tue radici e da dove deriva il cinquanta percento di te.
La famiglia è il bene più prezioso che potrai avere nella vita e per questo motivo bisogna tenersela stretta, così come io non ho mai abbandonato il pensiero di tua madre nonostante le avversità.
Oggi, Isaac, vorrei raccontarti di tuo nonno, della persona che è stata per me, ma soprattutto della persona che è stata per gli altri. Un uomo che ha donato se stesso per il prossimo. Lui era un eroe invisibile. Non parliamo di uno degli eroi che probabilmente incontrerai nella tua vita leggendo i fumetti Marvel, neppure uno di quelli che verrà mai acclamato in televisione. Ma ti assicuro che se chiedi alla comunità, sentirai solo parlare bene di lui. Nessuno ha mai versato una parola acida nei suoi confronti. Ed io mi auguro che un domani anche tu possa essere come lui.
Vorrei poterti dire altrettanti grandi cose anche su tua nonna, ma la verità è che..

Appoggio la penna sulla scrivania e mi accorgo di non sapere davvero cosa dire su di lei. Mi alzo e mi allontano dalla stanza fino a raggiungere Yoshiko. Sta beatamente spiaggiata sul divano. Mi avvicino a lei e allungo una mano in sua direzione, invitandola a seguirmi.
«Dove mi porti di bello, tesoro?» mi domanda lei incuriosita.
«Vestiti bene, oggi andiamo a Tokyo» lei mi guarda curiosa e confusa.
«Oggi? Ma è un viaggio lungo da affrontare, non è certo dietro l'angolo» mi risponde lei, non capendo la mia fretta.
«Cosa racconteremo domani ad Isaac sulla sua famiglia? Non potremo parlare bene dei tuoi genitori per ovvi motivi e non potrò parlare di mia madre perché di lei non so assolutamente nulla. Mio padre, che Dio lo abbia in grazia, è morto anche lui» le rispondo gesticolando in maniera quasi convulsa.
«Bee, ti prego, calmati» sussurra lei con voce pacata e tremante allo stesso tempo.
«No, ho deciso. Oggi si fa a Tokyo. Andremo a visitare la tomba di mia madre e poi andremo a parlare con la tua. Basta con i fantasmi del passato. Dobbiamo lasciarci tutto alle spalle se vogliamo che nostro figlio viva serenamente» le rispondo.
Questa volta non ottengo alcuna risposta da parte sua. Yoshiko mi volta le spalle e si chiude in camera nostra diligentemente a preparare le valigie.

Dopo un'ora siamo in volo per affrontare il nostro passato, presente e futuro.
Yoshiko è molto nervosa e lo scorgo con facilità poiché continua a passarsi tra le mani una vecchia collana della madre. Non ho dubbi che la sua mente stia vagando altrove. Lei è qui con me, ma è come se non ci fosse veramente.
«Ho paura di incontrare mio padre» mi confida guardandomi con occhi dolci e lucidi.
«Non lo incontreremo, infatti» le rispondo io sorridendole e cercando di infonderle tranquillità.
«Non capisco, hai detto che stiamo andando a Tokyo anche per questo e ora...» la sua frase rimane in sospeso.
«Devi ancora superare altri 4 mesi di gravidanza ed io sarò sicuramente via per lavoro» le dico cercando di impostare alla bene meglio il discorso che vorrei farle «il che significa che tu resterai sola per tutto il tempo e anche in caso di bisogno sarai sola... e a me questa cosa non piace».
Lo sguardo di Yo si illumina e finalmente capisco che è arrivata alla mia stessa conclusione, ma, al contrario di quanto pensato, decide di accantonare il discorso e di non riprenderlo più per l'intero viaggio.
In tarda serata raggiungiamo un albergo in periferia e affittiamo una stanza per un paio di notti. Il mio congedo durerà ancora una settimana e non oltre, perciò sento di aver il tempo contato per poter sistemare il nostro presente.

La mattina seguente decidiamo di dirigerci in primo luogo esattamente dove è stata sepolta mia madre.
I cimiteri giapponesi sono differenti da quelli inglesi. Si trovano solitamente vicino a un tempio o un santuario e sono spesso completamente immersi nel verde
La tipica tomba giapponese è di solito una tomba di famiglia costituita da un monumento in pietra, con un posto per i fiori, per incenso e per l’acqua, e una camera o cripta sottostante per le ceneri. Il nome del defunto è spesso inciso nella parte frontale della tomba. Spesso, però, il nome viene anche scritto su un sotoba, una tavola di legno posta su un supporto dietro o accanto alla tomba, insieme alla data di morte o a preghiere. Alcune tombe dispongono di una scatola per biglietti da visita, dove amici e parenti che visitano la tomba possono lasciare il proprio biglietto.
Ed è proprio in questa occasione che mi ritrovo ad afferrare uno dei bigliettini posti sulla tomba di mia madre per fare una cosa impensabile.

La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo.
Non sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo.
Perché quello non torna indietro e quello che ha dato a te è solo tuo,
non importa se è stata un’ora o una vita.
(David Grossman)

Mai come in questa occasione ho trovato questa frase così azzeccata e perfetta.
Yo si presenta alle mie spalle e mi abbraccia «È una frase bellissima».
«Credo di essere un pessimo figlio» rispondo sconsolato.
«Bee, perché dici questo?» mi domanda lei fronteggiandomi e prendendomi il volto tra le mani.
«Prima di tutto ho trascorso un'intera vita con l'idea che mia madre fosse... una stronza!» avrei voluto ponderare le mie parole in questa circostanza, ma la verità dei fatti è che ho seriamente pensato che lei fosse una vera stronza. Voglio dire, quale madre potrebbe mai abbandonare il proprio figlio senza darne un valido motivo e senza mai più ripresentarsi alla sua porta?!
«Ed ora che la incontro per la prima volta -si fa per dire- le lascio un banale e anonimo biglietto sulla tomba» mi accuccio a terra sprofondando il viso tra le mie stesse braccia.
Ad un tratto mi sento quasi intrappolato in un velo di malinconia «sono un pessimo figlio» annuncio nuovamente «come diavolo posso diventare o anche solo sperare di diventare un bravo padre?».
La reazione primaria che mi aspetto da una come Yo è quella di consolarmi e probabilmente accarezzarmi, abbracciarmi o qualcosa di simile. Sì, insomma, in una situazione simile avrebbe fatto così. Ovviamente non in questa. Lei cosa fa? Scoppia a ridere, il che mi inebetisce il doppio.
«Cos'hai da ridere?» le domando.
«Vedi... ti domandi come tu possa essere un padre, quando alle spalle hai una figura paterna degna di Nobel» afferma lei rannicchiandosi affianco a me «pensa a me che come figura materna di riferimento ho una donna completamente succube e indifesa».
Io la guardo stranito «e la cosa ti fa ridere?».
Yo annuisce timidamente prima di irrompere con una risata ancora più accesa.
Dannati ormoni femminili e dannati ormoni della gravidanza, un mix alquanto letale e per il quale ringrazio di essere nato uomo!

Quella stessa sera decidiamo di fare un giro per Tokyo. L'idea di ritrovarmi nella stessa città dove mia madre è nata e vissuta per la maggior parte della sua vita, mi fa venire in un certo senso i brividi. È tutto così diverso e lontano dalla mia cara e vecchia Inghilterra. Eppure sono qui, in Giappone, da diversi anni ormai e ancora non riesco a capacitarmi e ad entrare nello spirito di questo Paese che ha davvero tanto da regalare.
Taichi è di queste zone. Mi ha raccontato tantissime cose su Tokyo e per quanto io sia abituato in un certo senso a metropoli altrettanto vaste, l'immensità di questa città è sbalorditiva. La meccanica, la precisione e l'uniformità con la quale è stata costruita è quasi inumana. Eppure è proprio grazie a questa rigidità e precisione su cui si basa, che Tokyo appare quasi perfetta. Per le strade la gente cammina sorridendo, tenendosi per mano e con passo piuttosto pacato. Guardo Yoshiko al mio fianco e mi viene quasi istintivo stringerle più forte la mano. Inutile dire che il mio gesto non fa altro che attirare la sua attenzione. Ma non mi chiede nulla, mi sorride dolcemente e torna ad ammirare le luci notturne che illuminano la città.
Tutto appare affascinante e lontano, come se a vivere questo istante non fossi io ma un'altra persona. Tokyo è magica, ha proprio ragione Taichi.
Ad un tratto, forse sono io ad avere un passo troppo felpato, ma mi sento tirare per il braccio. Mi volto indietro e trovo Yoshiko immobile, occhi sgranati e bocca semiaperta. Il mio primo pensiero va ad Isaac, perciò mi avvicino a lei e le chiedo se va tutto bene. Lei, però, non ha modo di rispondermi, perché alle mie spalle si sente audace una voce femminile.
«Yoshiko» mi volto e mi ritrovo a fronteggiare una bella donna di mezz'età, capelli lunghi e lisci, scuri ma con diverse ciocche argentate. Una donna di bell'aspetto, ma dalla presenza contenuta e quasi timida.
«Mamma...» sussurra Yo quasi a bocca asciutta.
Realizzo che ciò che avremmo dovuto fare la mattina seguente, ci aveva anticipati. Che brutti scherzi che gioca il destino alle volte.
La madre abbassa lo sguardo e subito nota il gonfiore all'addome di Yoshiko, realizzando senza grande perspicacia che sua figlia è in dolce attesa.
Decido di prendere le redini della situazione abbozzando una domanda che risulta stretta a tutti quanti «suo marito?».
Credo che la mia impertinenza non le sia andata a genio, o per lo meno quel broncio sul suo volto mi fa intendere così.
«Ci possiamo prendere un thè? Ho bisogno di sedermi» afferma Yo avvinghiandosi al mio braccio come a cercare conforto.
Ci avviciniamo al primo locale a portata di schiocco e l'imbarazzo è evidente per tutti. Cavolo, ho sempre odiato queste situazioni. Sono un chiacchierone, ma mi trovo a disagio a conoscere sua madre proprio in questa circostanza.
«Lui è Brent Smith, il mio compagno» mi presenta Yoshiko a sua madre.
«Non è giapponese» risponde lei senza neanche stringermi la mano.
Sul mio volto compare un sorriso falso. Ecco uno di quei momenti in cui vorrei essere invisibile o per lo meno trovarmi altrove. Eppure è tutta colpa mia se ora come ora mi ritrovo in questa situazione al limite dell'irreale.
«In realtà preferirei definirmi un cittadino del mondo. Sono anglo-giapponese, in ogni caso. Non che in realtà questo faccia differenza, giusto?» le domando a colpo diretto.
La donna appare quasi intimidita da me, dal mio fare e dalla mia risposta secca. Yoshiko al contrario mi tira leggermente il lembo della felpa come a volermi pregare di rimanere calmo.
«Comunque, mi fa piacere che ci siamo incontrati per caso questa sera, l'idea era comunque quella di venire a trovarvi domani» aggiungo ancora.
«Io e mio marito ci siamo lasciati, in realtà. Perciò non mi avreste trovata a casa» risponde la donna abbassando lo sguardo e giocherellando con il bicchiere di acqua davanti a sé.
«Vi siete lasciati?» domanda Yoshiko assumendo un'aria piuttosto preoccupata.
«Tesoro, quando ho realizzato che eri scappata via solo a causa nostra... mia! Sono stata una vigliacca e non ti ho concesso di avere la vita che tanto meritavi» la madre di Yoshiko scoppia a piangere come una bambina e per la prima volta inizio a provare compassione nei suoi confronti.
Yoshiko mi guarda con occhi languidi e già capisco cosa mi vuole chiedere.
«Signora, io credo sia il caso di ripartire da zero» le allungo nuovamente la mano nella speranza che almeno questa volta si decida ad afferrala.
«Mi chiamo Brent Smith, ho conosciuto sua figlia tantissimi anni fa e me ne sono innamorato all'istante. Chiamatelo colpo di fulmine o qualsiasi cosa sia, ma lei mi è entrata nella mente e nel cuore come nessun'altra» la donna stringe timidamente la mia mano questa volta e quasi rimane attratta dal mio racconto.
«Sono scappata da lui... hai ragione, non sopportavo più papà» aggiunge Yoshiko accostando la propria sedia a quella della madre «da allora io e Bee siamo sempre rimasti insieme e ora...» Yo si accarezza dolcemente il grembo per poi aggiungere «siamo in attesa del piccolo Isaac».
La madre si commuove nell'udire le parole della figlia. Certo, aveva ben capito lei fosse incinta, ma dirlo così apertamente e con quel velo di gioia infinita che riesce sempre a trasmettere Yoshiko, sicuramente è un'altra cosa.

Sebbene la vita si intrecci continuamente in quell'altalenare di emozioni che tutti noi conosciamo, tra delusioni, amarezze, brividi di gioia, di malinconia, cuori che sobbalzano e amori che sbocciano, mi sorprendo ogni volta ad ammirare questo flusso a spirale che mi avvolge. È la natura umana, provare almeno una volta nella vita queste emozioni. Credo di aver toccato ormai con mano ogni singola emozione esistente. La tristezza che la perdita di mio padre mi ha lasciato, la sorpresa, eccitante e un po' sconvolgente, di rivisitare il pensiero che ho sempre avuto di mia madre, il coraggio e la protezione che provo ad avere accanto un compagno di armi come Taichi, l'amicizia e l'incredibile forza d'animo che mi ha potuto donare Sam... e l'amore incondizionato che ha saputo trasmettermi Yoshiko sin dal nostro primo incontro, fino alla nostra prima notte insieme, alla scoperta di diventare genitori. La vita è anche questo, una ricerca della felicità, avvolta in un pizzico di avventura cieca, mischiata all'esperienza nata dal contatto con persone a te diverse, per natura o cultura. E in ultimo, ma non meno importante, l'impatto che l'imprevedibilità e la varietà di ciò che ci circonda si fonde con il piccolo bagaglio che abbiamo caricato fin'ora sulle spalle. Un concetto forse difficile da comprendere, ma la verità è che la mia vita, come quella delle persone a me care che mi circondano, è in perenne evoluzione perché vola, alle volte controcorrente, alle volte seguendo la giusta scia. Ed è qui che nasce il concetto di effetto farfalla. Perché ciò che per gli altri può apparire un incontro-scontro di lieve importanza, per altri può trasformarsi in un uragano di mutazioni. Motivo per cui non credo ai “e se”. Per me non esistono. Ciò che è accaduto nel passato è servito a forgiare il presente di oggi e probabilmente a plasmare le basi del futuro di domani.

È meraviglioso scoprire come il mondo si presenta ai nostri occhi dopo che si ha preso la consapevolezza di questo concetto. Chiamatela fisica, teoria del caos, magia o semplicemente disillusione, ma la verità è che vi è un ciclo di tempo che, seppur futuro, è già stato scritto. Come si suol dire, siamo solo dei passeggeri in questo mondo. Viaggiatori nel tempo e del tempo, che viviamo in una frazione di mondo in cui stabiliamo le nostre vite, credendo che queste possano durare per l'eternità o almeno sperando in questo concetto. Ma siamo fugaci, come orme sulla sabbia che vengono cancellate dalle onde del mare. A noi non è dato sapere il nostro destino, allo stesso tempo questo è già stato scritto e non possiamo che partecipare passivamente a questo loop infinito.
  
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