Solo una
pedina
5 gennaio 2004
Sophie osservò L incupirsi mentre
leggeva la lettera che Ukita, dal Ministero, aveva inviato loro: secondo
l’agente, erano finalmente arrivate informazioni importanti.
«Watari, “Naomi Misora”» scandì il
detective, e l’uomo si connetté rapidamente a un database che, la strega ne era
sicura, doveva essere più consistente di quello dell’intera Confederazione
Internazionale dei Maghi.
Gli occhi neri di L si spalancarono
leggermente mentre scorreva con lo sguardo le informazioni trovate, e la rossa
prese un altro sorso di tè.
In cuor suo, Sophie si rendeva conto
di star osservando troppo e parlando troppo poco per essere sé stessa, ma il
leggero disagio nei confronti dei nuovi agenti e l’arrivo di quegli incubi
l’avevano scossa abbastanza da ignorare la cosa. Per un giorno, per
quell’anniversario, si disse, poteva concedersi un po’ di silenzio.
Peccato che L non sembrasse dello
stesso parere.
«Quando Raye Penber si è recato in
Giappone, la sua fidanzata era con lui. Stavano nello stesso hotel» iniziò a
spiegare, mentre la lettera nelle sue mani si consumava in un fuoco purpureo,
«dal giorno successivo alla morte di Penber, se ne è persa ogni traccia».
In quel momento, Sophie si ricordò
della foto che aveva raccolto da terra, in un pomeriggio di dicembre: la foto
di Raye Penber e di una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri, entrambi in
costume, entrambi sorridenti e visibilmente felici mentre si stringevano
davanti all’obbiettivo.
La rossa storse la bocca e prese un
altro sorso di tè.
«Chiunque cadrebbe in disperazione
per la morte del proprio fidanzato… non si sarà mica…»
«Suicidata?!» terminò Aizawa per Matsuda,
lo sbigottimento scritto in volto, ma L respinse subito l’ipotesi, dando a
intendere di aver già lavorato con lei.
Nel frattempo, Sophie rifletteva col
naso affondato nella tazza di ceramica, fissando le foglie di tè sparse sul
fondo: sapeva che L in rari, rarissimi casi, si avvaleva della collaborazione
di maghi e streghe al servizio governativo- chi più di lei poteva
saperlo? No, non era quello a farla meditare. Piuttosto, lo era il fatto che il
ragazzo conoscesse abbastanza Naomi Misora da poter essere così certo circa la
sua analisi caratteriale… e rimanere comunque impassibile davanti alla sua
morte.
La strega si chiese distrattamente se
sarebbe successo così anche a lei, se un giorno L avrebbe liquidato la notizia
della sua dipartita con una serie di elucubrazioni su ciò che la sua morte avrebbe
implicato nel caso di turno.
Si ritrovò a studiare il profilo del
detective, ancora intento a parlare.
Quanto ci metterei a dimenticarti
di me?
Affondandosi le unghie nei palmi
delle mani, Sophie riportò testardamente l’attenzione alla sua tazza di tè.
«Ascoltatemi» concluse L, «indagheremo
soltanto su coloro che sono stati pedinati da Raye Penber prima del 19
dicembre, il giorno in cui Kira ha iniziato i test sui carcerati… è un numero
molto ristretto di persone.
«Tuttavia, se tra loro si nasconde
Kira, non possiamo permetterci di effettuare normali interrogatori, sarebbe
troppo pericoloso…»
Sophie lo ascoltò, quasi certa di
dove volesse andare a parare: raccogliere prove, senza spaventare o aizzare
Kira, utilizzare un approccio indiretto che li facesse arrivare con maggiore
certezza al risultato.
Ergo, qualcosa di spiacevole, che
agli agenti non sarebbe piaciuto per niente.
Soprattutto perché Sophie ricordava benissimo
su chi stesse indagando il collega.
«Chi sono le due persone sulle quali
indagava Penber?» chiese il Sovrintendente, teso, mentre Matsuda si affrettava
a recuperare delle pergamene da un mobile vicino all’ingresso.
Le parole di L, pesanti come una
sentenza, lo batterono sul tempo: «Il Direttore Generale Kitamura e il
Sovrintendente Yagami, più i loro familiari... Vi chiedo di lasciarmi
installare telecamere e microfoni nelle vostre case».
A quel punto protestarono, certo che
protestarono, tutti insieme e vivamente, mentre Sophie si massaggiava con
discrezione le tempie pulsanti. Devo tirarmi insieme, si disse
stancamente, mentre ascoltava solo a metà una discussione inutile: L non
avrebbe mai ammesso seriamente i suoi sospetti, e tantomeno avrebbe fatto
marcia indietro su quel piano.
«E sia! Ti lascerò piazzare quelle
microspie» sentenziò il Sovrintendente. Il suo volto era terreo, e gli occhi
spalancati e ricolmi di preoccupazione, ma l’uomo parlò con la massima dignità.
«Però… devi promettermi che non ometterai alcun punto, nemmeno il bagno!»
Sophie inarcò le sopracciglia, mentre
il resto degli agenti scatenava un putiferio ancora più acceso, che fece alzare
la voce persino al loro superiore. L, totalmente incapace di calmare la
situazione con il suo fare apatico, si limitò a ringraziare l’uomo, aggiungendo:
«Come misura di riguardo, saremo soltanto Yagami e io a occuparci dei suoi
familiari…»
«O magari» intervenne Sophie, attirando
lo sguardo sorpreso degli agenti, «i bagni li controllerò io.» Malgrado fosse
evidente la vena di stanchezza con cui aveva parlato la strega, il suo tono
sapeva poco di suggerimento e molto di affermazione.
Lo sguardo affilato di L su di lei era
perfettamente percepibile, anche senza voltarsi a guardarlo. «Non credo che
questa soluzione garantisca lo stesso livello di-»
«Credo» lo interruppe fermamente
l’Auror, «dall’alto della mia esperienza, di saper dire se succede
qualcosa di losco in bagno, Ryuzaki». Matsuda ridacchiò, beccandosi
un’occhiataccia da Aizawa. Anche Sophie, però, aveva un sorrisetto di sfida
disegnato sulle labbra.
«… Sì, immagino che tu ne sia in
grado» capitolò il detective, e Sophie si dovette trattenere dal ringraziarlo
con un’abbondante dose di sarcasmo. Non ne aveva le energie. Piuttosto, sorrise
in direzione del Sovrintendente.
«Bene. Dopotutto mi sembra il minimo,
data la sua disponibilità». Soichiro la guardò con occhi pieni di gratitudine e
la rossa, per la prima volta da qualche giorno, si sentì un po’ meno un
burattino senza vita.
Guardò quell’uomo,
immobile in un angolo della stanza, i pugni serrati e il volto abbassato.
Guardò i colleghi, che avevano ripreso a lavorare e parlare, ma sottovoce e
scambiandosi sguardi carichi di tensione. Guardò L, in piedi davanti alla
finestra, le mani affondate nelle tasche e lo sguardo lontano.
Guardò
e guardò, ma non vide nessuna squadra.
Si morse un labbro, stringendosi
nella coperta avvolta attorno alle spalle, poi si alzò.
Avrebbe solo voluto andare a dormire,
avrebbe solo voluto essere sicura di poter chiudere gli occhi e fare un sonno
senza sogni, da giorni questo era tutto quello che desiderava.
Però, in quel momento, si rese conto
che c’era qualcosa di più in
quella stanza oltre a una manciata di investigatori, diffidenti per natura e
per lo più estranei. C’era più di una branca di disperati che stavano
scommettendo il tutto per tutto. Poteva, perlomeno, esserci di più, per ognuno di loro, e anche per lei. Anche
se non era a Londra.
«Signore,
vorrei dirle che lei è un Auror di tutto rispetto, e che sono fiera di lavorare
con lei» disse Sophie con sincerità, i capelli rossi che le piovevano in volto
mentre si chinava davanti al Sovrintendente, in quella che sperò essere una
buona imitazione dei saluti che aveva visto fare ai colleghi.
L’uomo,
sorpreso, agitò le mani. «Oh, non è necessario ma... il sentimento è reciproco,
signorina Clarke, e la ringrazio per quanto si è offerta di fare» le disse
compito, piegando a sua volta il capo.
«Lei
non mi deve assolutamente ringraziare, come ho detto, è il minimo, inoltre…» la
ragazza tentennò. Con la coda dell’occhio, vide Aizawa spiarli in perfetto
silenzio, mentre Matsuda parlava a macchinetta nelle orecchie di uno stoico
Mogi.
Sospirò,
abbassando per un attimo lo sguardo con aria colpevole. «Senta, già che ci
siamo… le volevo parlare, riguardo tutta la faccenda dei pedinamenti, io… io mi
rendo conto che non abbiate motivi per avere chissà quale fiducia in me, ma
spero vivamente che possiate… che possiamo collaborare al meglio.»
Soichiro
Yagami, nonostante la tensione, parve sciogliersi abbastanza da esibire un
leggero sorriso. «Sophie, non posso negare di essere rimasto spiazzato dalla
notizia, ma comprendo le scelte di Ryuzaki… soprattutto, lei stava solo
facendo il suo lavoro.»
Sophie
batté le palpebre un paio di volte. «Quindi anche gli altri…?» chiese, indicando
gli altri agenti con un vago cenno del capo.
Il
sorriso sul volto dell’uomo si accentuò. «Sono ragazzi molto appassionati,
Sophie, e forse non sono abituati a lavorare con lei, ma non possono- non possiamo che nutrire stima per lei, è rimasta nonostante
ciò che accaduto agli altri Auror, così lontano da casa per giunta…» L’uomo la
guardò negli occhi, e Sophie vi lesse un sincero dispiacere… e una sincera gentilezza.
«Nessun risentimento, ora siamo una squadra».
Squadra.
Quella
parola le gonfiò il petto.
Dopotutto,
lei aveva sempre lavorato in squadra, sapeva quanto fosse fondamentale e non per dividersi il lavoro, o scambiarsi
sorrisi di circostanza sopra il tè. Merlino, se si fosse ridotto a quello,
allora qualsiasi investigatore avrebbe lavorato in solitaria come L.
No, la
squadra era molto più che ottimizzare i tempi: era discutere, ipotizzare,
consigliarsi, anche arrabbiarsi, e persino distruggere uffici, talvolta.
Soprattutto, era sostenersi, esserci gli uni per gli altri, gli uni dove non arrivavano gli altri.
E in
quel caso, quello stramaledetto caso… stavano mettendo in gioco le loro vite
ma, vedendo lo stato in cui era ridotto il Sovrintendente, non ci voleva molto
a intuire che quell’investigazione avrebbe potuto chiedere loro molto più della
vita.
Tutti
loro avrebbero avuto un immenso bisogno di essere una
squadra.
Un flebile
sorriso fiorì sulle labbra della strega. «Allora mi chiami Sophie,
Sovrintendente».
Lui,
sebbene con leggera sorpresa, annuì.
La
ragazza sorrise in modo più convinto, poi guardò il resto dei colleghi con aria
pensosa: Aizawa aveva smesso di fissarla, ma poteva ancora vedere quanto fosse
accigliato mentre impilava faldoni; la tensione era ancora palpabile nell’aria,
e gli agenti sarebbero sicuramente rimasti qualche ora per ricontrollare anche
l’ultima serie di nastri.
Sophie
curvò appena il capo di lato, e si sarebbe presa a calci se si fosse resa conto
di quanto quel movimento fosse lo stesso che L faceva tanto spesso. Il sogghigno
che le si disegnò in volto, però, era inequivocabilmente targato Sophie
Winchester.
«… Ragazzi,
vi ho mai raccontato di come ho fatto quasi divorare Draco Malfoy a una piovra
gigante?» esclamò, avvicinandosi ai colleghi. Gli Auror si scambiarono sguardi
straniti, e tutto nella stanza tacque per qualche secondo.
«… L’ex-Mangiamorte?!»
chiese infine Matsuda, gli occhi accesi di una curiosità nemmeno troppo velata.
«Matsuda!»
«Ahem,
i-il-l’Auror?» si corresse freneticamente l’agente, sotto lo sguardo di
disapprovazione di Aizawa.
«Quello,
in tutto il suo biondo e laccato splendore» confermò annuendo la rossa, mentre
aiutava a riordinare le pile di documentazioni e nastri con pochi gesti della
bacchetta.
«Ehm,
no, direi di no…»
Il
sogghigno di Sophie si allargò. «Bene.»
Dieci
minuti più tardi, Watari stava servendo coppette di gelato mentre un attonito
Sovrintendente guardava la sua squadra ridere di gusto: i tre agenti si erano
raccolti attorno al tavolino per compilare richieste da spedire alla compagnia
ferroviaria che gestiva la linea Yamanote. La loro attenzione, però, era
rivolta all’allegra parlantina di Sophie.
Il
clima della stanza si era fatto improvvisamente più leggero, la cupa tensione di
prima quasi svanita. Il Sovrintendente alzò lo sguardo sul limitare della
stanza, da dove L fissava la scena col capo inclinato di lato: sebbene avesse
dimostrato più volte una mal sopportazione delle chiacchiere inutili, il
detective non sembrava minimamente intenzionato a intervenire.
In tal
caso, decise Soichiro, non sarebbe stato lui a farlo.
«Sovrintendente,
questa la deve sentire!»
A
Londra, seduto alla sua scrivania, Draco Malfoy imprecò per l’ennesimo starnuto.
***
8
gennaio 2004
L uscì
dalla suite di Watari quando era ormai notte inoltrata.
Assieme
al mago, aveva trascorso ore a incantare le videocamere e i microfoni da
installare l’indomani: Watari amava gingillarsi con la tecnologia
babbana, ed era stato lui stesso l’ideatore di una delicata magia in grado di interagirvi.
L considerò distrattamente che i suoi collaboratori non sarebbero mai più stati
zitti se si fossero resi conto di chi fosse davvero Watari.
In ogni
caso, i dispositivi avrebbero trasmesso loro ogni dettaglio di casa Yagami e
casa Kitamura, ben protetti dalla magia comune: ciò significava niente
cortocircuiti, una difesa contro incantesimi rilevatori, e un paio di settimane
di copertura.
Soddisfatto
del lavoro svolto, camminò nella penombra del soggiorno con le mani in tasca,
sentendosi ben più a suo agio nel buio silenzio di una stanza vuota che
nell’ambiente concitato di quei giorni… un ambiente a cui, ne era
fastidiosamente consapevole, si sarebbe dovuto abituare in fretta.
Del
resto, non era stato poi così difficile abituarsi a Sophie.
Un
fruscio improvviso raggiunse il fine orecchio del mago, che si voltò di scatto
verso il divano. Inarcò un sopracciglio, gettando un’occhiata al costoso
orologio appeso a una parete. Era tardi, davvero tardi, o almeno questo
gli insegnavano i rapporti prolungati con esseri umani dotati di un ritmo
sonno-veglia standard.
Si
avvicinò sapendo esattamente chi avrebbe trovato: Sophie era seduta in
mezzo a delle pergamene illeggibili, la schiena contro i piedi del divano. La
strega, però, aveva il capo abbandonato sulle ginocchia, e una penna le era
rotolata via dalle dita, sul tappeto cosparso di candele spente.
La
fissò per qualche secondo, prima di schiarirsi la voce. «Sophie?»
«…Eh?»
fu la risposta scocciata, brontolata nel dormiveglia. L, divertito, la chiamò
nuovamente.
«Sophie?»
«S-sono
sveglia!» farfugliò la giovane, svegliandosi in un sobbalzo. Si sfregò il volto
con entrambe le mani, mentre le candele si riaccendevano con un guizzo. Gli
occhi di Sophie sembrarono stranamente sbarrati, nervosi, ma solo per la durata
di un secondo.
L guardò
le pergamene che la attorniavano. «Non dovresti prendere appunti»
«Lo so,
lo so, li faccio sparire…»
«Sophie,
sono giorni che ti dico di bruciarli, non di farli sparire»
«Non
brucerò i miei appunti! E anche se lo facessi, domani li riscriverei da capo…
Senti, mi aiutano a concentrarmi meglio, te l’ho detto»
«Aiuterebbero
anche Kira, se li trovasse. Per questo ho vietato alla squadra di
prendere annotazioni cartacee»
«Per
questo ho aspettato che andassero via, anche stanotte»
«Sophie…»
«Dai,
decifrali, mi hai detto che li posso tenere se sono indecifrabili» gli disse la
strega, porgendogli le pergamene. L si dovette trattenere dall’alzare gli occhi
al cielo, perché quell’ostinazione era snervante solo quanto il fatto
che gli avesse strappato quella sciocca scommessa. Lei sogghignò. «Scommetto
che stavolta non ce la fai.»
Lui
fece correre lo sguardo sulle scritte cifrate… che, effettivamente, non erano
di lettura così immediata quanto le sere precedenti. Le scoccò un’occhiata di
traverso e, se mai vi era stata, ogni traccia di leggerezza sparì dal suo
volto.
Non
sapeva perché ci avesse messo tanto a notarlo ma, nella povera luce delle
candele, era impossibile non vedere quanto fossero profonde le occhiaie
dell’Auror.
«Non
stai dormendo» mormorò. Sophie fu presa in contropiede, sia da quelle parole,
sia dal tono basso, privo della nota di disappunto, di sfida, di spiacevolezza
che solitamente condiva i suoi commenti. Lo guardò con occhi rotondi,
spalancati dalla sorpresa per un breve attimo, prima di ridere di un’allegria
incerta.
«Beh,
so che odi essere contraddetto, ma era esattamente quello che stavo
facendo… Tra l’altro, scusami, giuro che ero sveglia fino a massimo venti
minuti fa…» disse, chiudendo gli occhi mentre si stiracchiava.
L la
guardò in silenzio, leggendo il mal di schiena dietro al movimento della
strega, studiandone il pallore sotto le lentiggini, calcolando molto velocemente
quanto potesse aver dormito in quegli ultimi giorni.
Giorni
in cui l’aveva puntualmente trovata in cucina a guardare l’alba, e a lavorare
febbrilmente fino a tarda notte.
Dedizione,
aveva constatato, come del resto nelle prime settimane di indagini.
Eccitazione, aveva considerato all’arrivo degli agenti. Ma quel… nervosismo, di
poco prima?
L piegò
un angolo della bocca verso il basso.
«Perché
non vuoi dormire?»
Sophie
portò gli occhi di scatto sui suoi. Stavolta però non si fece cogliere in
fallo, limitandosi a inarcare un sopracciglio, l’ombra di un sorriso ancora
presente sulle labbra secche.
«Pensavo
fossi tu l’esperto di insonnia, Ryuzaki»
«La mia
è una scelta organizzativa»
«Anche
la mia»
«Allora
ti stai organizzando male.»
Fu
quella risposta secca a farle scivolare via ogni traccia di divertimento dal
volto.
«Sei
scontento del mio lavoro, Ryuzaki?» sbottò, alzandosi di botto. L la vide
stringere i pugni e vacillare impercettibilmente.
«No»
replicò con pacatezza, per nulla impressionato da quello scatto.
«Ti dà
fastidio avere attorno gente anche di notte?»
Come?
«… No»
«Sei
sicuro, L? Perché sappiamo fin dall’inizio che questa è una sistemazione strana
e che non peserebbe a nessuno se dormissi- se alloggiassi in un’altra
suite»
«Non ho
alcun problema con la tua presenza qui»
«E
allora cosa, L?! Non vedo proprio perché ti debba interessare-»
«Ryuzaki» la interruppe fermamente L, zittendola. «Ryuzaki».
Sophie
lo guardò con la fronte corrucciata, il labbro inferiore stretto fra i denti e
il petto che fremeva agitato sotto il maglione. Aprì bocca un paio di volte, e
la richiuse altrettante.
«Bene.
Giusto.» La rossa fece per girargli attorno e andarsene.
«Soph-»
«No,
una cosa» aggiunse la strega, troncando sul nascere il suo flebile tentativo di
fermarla e alzando il mento mentre gli parlava. «Non ti devo risposte su come e
quanto decido di dormire, fintantoché non infici le mie capacità. Non mi devi
risposte sul perché continui a far finta di non sapere che non siano affari
tuoi. Ma una cosa me la puoi dire».
Sophie
sembrò prendere fiato, sembrò cercare di calmarsi, mentre L faceva di tutto per
sopprimere la bolla di frustrazione che gli stava crescendo nel petto: non
importava come rigirasse le cose, la ragazza sembrava decisa a non finire sotto
scacco, e lui non poteva quasi crederci che fosse lei a redarguire lui.
«Se
avessi rifiutato…» la voce della ragazza era bassa, quasi timida, come se
avesse esaurito tutta l’ostilità, «se avessi deciso di tornare a Londra, mi
avresti davvero cancellato la memoria?»
Sophie,
per quanto mostrasse chiari segnali di disagio in sua prossimità, e fosse tutto
sommato una persona alquanto trasparente, aveva i nervi saldi. Non una sola
volta dall’inizio delle indagini gli aveva dato modo di pensare che fosse
immatura o impreparata ad affrontare un caso con una posta in gioco così alta,
né gli aveva fatto rimpiangere di averla coinvolta in prima persona.
Al
contrario, ogni volta che si aspettava di aver raggiunto il punto di rottura
della ragazza, lei si limitava a sorridere e nascondere quali che fossero le
sue vere emozioni, esercitando un controllo su sé stessa che non si aspettava
da parte di una Auror ventenne di casata Grifondoro, cresciuta
professionalmente alle calcagna di personaggi impulsivi ed eccentrici come
Harry Potter, Ronald Weasley e Draco Malfoy. L’unica volta in cui gli era
sembrato fosse prossima a perdere il controllo, era stato in occasione
dell’intercettazione: di per sé, era rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto
che la strega non solo se ne fosse accorta, ma che avesse terminato
diligentemente di lavorare, prima di fronteggiarlo. Anche allora, però, la sua
ira sembrava essersi placata molto in fretta.
Un
altro discorso era stato comunicarle dell’attacco che Kira aveva rivolto a lei
e ai suoi colleghi: destabilizzato lui stesso da quanto successo, dalle vite
perse sotto il suo comando, aveva momentaneamente faticato a rispondere alle
esigenze emotive di Sophie. L’aveva spinta a mangiare qualcosa, l’aveva
coinvolta nella pianificazione del caso sforzandosi di non lasciarla troppo
all’oscuro, e aveva finto di non vedere come il piccolo gesto di Watari le
avesse inumidito gli occhi.
Nonostante
tutto, anche allora la strega si era ripresa rapidamente, e aveva mostrato
tutta la professionalità e la praticità che L pretendeva dai suoi
collaboratori, spesso invano peraltro.
In quel
momento, però, Sophie gli si stava mostrando in un momento di… vulnerabilità.
Non avrebbe saputo individuare il motivo, ma sotto l’ira della ragazza c’era
qualcos’altro, c’era un dubbio; la vulnerabilità dai bordi affilati che vedeva
non era quella delle false speranze, bensì quella di voler sapere, dell’essere
pronta a sapere le sue reali intenzioni. Che lui fosse sincero o meno
nella risposta.
Il
giovane, infatti, ebbe l’impressione che Sophie avrebbe avuto una risposta vera,
qualsiasi cosa lui le avesse detto.
Rifletté
per qualche minuto, distogliendo lo sguardo dal suo.
Lo
distolse perché guardarla negli occhi lo metteva in difficoltà… no, diminuiva
le sue capacità di concentrazione. E perché forse aveva capito da quel
comportamento più di quanto avrebbe voluto.
Lui non
era una persona che preferiva non sapere, mai, ma aveva l’impressione
che qualcosa sarebbe cambiato, in base alla sua risposta. Qualcosa che
aveva a che fare con la linea su cui entrambi stavano tentennando dall’inizio
delle indagini, una linea che avrebbe dovuto separare un rapporto puramente
lavorativo da… da tutto il resto.
Da
tutto quello che non dicevano.
Da
tutto quello che entrambi volevano sapere, e quello che assolutamente
preferivano ignorare.
«… No,
non ti avrei cancellato la memoria.»
Sophie annuì
lentamente, ma non lo pressò con ulteriori domande. Lo superò in pochi passi
svelti, mentre le pergamene sfuggivano dalle mani del detective e la seguivano
ubbidienti.
L non
avrebbe saputo dire se le avesse mentito o meno.
«Ryuzaki?»
Il
ragazzo si voltò verso Watari, fermo sulla soglia della sua stanza in un rispettabilissimo
pigiama a righe celesti. «Vi ho sentiti alzare la voce…».
L gli
diede le spalle, andandosi a sedere nella sua poltrona. «Puoi tornare a
dormire, non è successo niente». Sentì lo sguardo scettico dell’uomo, che andò
a sedersi sul divano di fronte a lui, le gambe accavallate con tutta la classe
che un pigiama a righe celesti potesse permettere. Anzi, forse anche un tantino
di più.
Il
detective fece del suo meglio per ignorarlo. Per ben dieci minuti. Durante i
quali l’uomo appellò in tutta tranquillità un carrello portavivande,
iniziando a servire due tazze di tè.
«Hai
qualcosa da dirmi, Watari?» si arrese infine il detective.
Il mago
accennò una piccola risata sotto i baffi candidi. «Ryuzaki, non ho potuto fare
a meno di sentire…»
«Di origliare»
bofonchiò l’altro.
Watari
rimase in silenzio per qualche secondo, dosando con attenzione il latte nella
sua tazza. «Fin dall’inizio dell’operazione, mi sono premurato di affittare
l’intero piano, oltre alle suite designate come Quartier Generale»
«E io
ho già detto che non ho intenzione di farla dormire in un’altra suite» replicò
L piccato, alzando gli occhi sul suo mentore. «La corrente sistemazione mi
consente di controllare meglio i suoi movimenti»
«E di
interessarti di quante ore dorma, a quanto pare» commentò serafico Watari,
squadrandolo da sopra le lenti rettangolari.
«Un
Auror che non dorme-»
«Non è
mai stato di tuo interesse».
L
rispose, ma in un mormorio, guardando corrucciato un altro punto della stanza.
«Sembra che non voglia dormire. Devo scoprire il perché».
Watari
ponderò con cura le sue parole, prendendo un sorso di tè. «Certo… per il caso»
«Sì,
sempre per il caso» rimarcò allora il ragazzo con un’occhiata gelida.
Il mago
di fronte a lui sorseggiò serenamente l’infuso bollente, studiando L con uno
sguardo poco impressionato. «Devo essere schietto, Ryuzaki… non posso fare a
meno di notare la straordinaria affinità tra te e Sophie. Se non ti conoscessi
bene, mi verrebbe da pensare che tu stia usando una volta di troppo la scusante
del caso»
«Watari,
penso che tu abbia già protratto a sufficienza queste chiacchiere inutili»
«E io
penso che sia la sola persona a tenerti impegnato in una conversazione e a
tenerti testa almeno quanto me»
«Sono obbligato
a collaborare con lei, lo sai bene» replicò seccamente il detective, stringendo
appena la presa sui braccioli della poltrona. «Così come ora sono obbligato a
collaborare con il Sovrintendente Yagami e i suoi agenti. Inizierai a fare
suggerimenti strampalati anche su di loro?»
Watari
non si lasciò provocare, limitandosi a inarcare un sopracciglio. «Eppure, non
credo che la presenza di Sophie ti sia mai pesata quanto vorresti. Mi sbaglio?»
L
stavolta non replicò, e il maggiordomo lo incalzò senza esitare: «In effetti,
tu parli di un’occasione per sapere di più, ma ne hai già avute parecchie di occasioni.
Avresti potuto utilizzare metodi più invadenti con lei e invece non mi sembra
tu sia giunto a niente»
«Se lo
facessi, rischierei di farla fuggire da qui o di spingerla a provarci. Per
quanto sia importante scoprire di più, ha la priorità il fatto che lei
partecipi a queste indagini, quali che ne siano gli esiti»
«Quindi
le avresti cancellato la memoria, se non fosse voluta rimanere? Lei pensa si
tratti semplicemente di una precauzione contro le fughe di notizie, ma io e te
sappiamo che l’alternativa non sarebbe stata lasciarla andare a casa.»
L non
rispose subito, la bocca lievemente piegata verso il basso e lo sguardo fisso e
altero.
«Perché
tanta esitazione, Ryuzaki?» chiese allora il maggiordomo, cogliendo
sapientemente ogni silenzio ed espressione del ragazzo che aveva cresciuto.
«Che tu sia effettivamente dibattuto su di lei?»
«Lei
è solo una pedina!».
Watari
non rispose. Rimase a fissare il suo ragazzo attraverso le strette lenti degli
occhiali, le sopracciglia bianche inarcate. Lasciò che le parole appena dette
da L si espandessero nella stanza, che il suo tono di voce secco e stranamente
alto penetrasse nelle sue stesse orecchie.
«Certamente.
Solo, non farti cogliere a dire cose del genere dalla signorina Sophie… credo
che i risultati sarebbero spiacevoli»
«Ritengo
che Sophie sarà in grado di-»
«Mi
riferivo a te, Ryuzaki» lo informò con un sorrisetto ironico l’uomo, prima di alzarsi
e rispedire il servizio di porcellana in cucina con un guizzo della bacchetta.
La
tazza di L giaceva ancora sul tavolino, intatta.
Sophie
si svegliò di scatto, terrorizzata dall’essersi nuovamente appisolata per
qualche momento. Si premette i palmi delle mani sugli occhi, cercando di
scacciare via il bruciore.
Doveva
dormire, sapeva di dover
dormire, e che prima o poi la stanchezza accumulata avrebbe davvero intralciato
il suo lavoro. La paura però non glielo consentiva: sebbene fosse ormai usa a
quegli incubi, mai erano stati tanto vividi, violenti, e aveva l’impressione
che peggiorassero ogni notte. L’ansia che diventassero davvero
ingestibili non faceva che alimentarli.
Era
evidente che negli anni precedenti avesse sottovalutato quello strazio, dando
per scontato che sarebbero andati a sparire da soli, col tempo. Non aveva previsto,
invece, che il suo quieto vivere, l’assenza di situazioni così tese e delicate
come lo era il caso Kira, la distrazione e il conforto fornitole dai suoi
amici, fossero in realtà stati per anni la sua salvezza. Improvvisamente, si
ritrovò a rimpiangere le nottate passate alla Tana, o nella stanza degli ospiti
del Malfoy Manor, o parlando e bevendo fino a tarda notte in qualche pub
londinese.
Si
ritrovò a rimpiangere persino di non aver mai ascoltato i saltuari inviti di
Ginny ed Hermione a parlare con un Guaritore, così come non aveva mai veramente
considerato di chiedere consiglio a Madama Chips per un qualche sonnifero
magico. A malapena, durante un anno particolarmente stressante, si era
azzardata ad andare in una Farmacia a chiedere qualche erba per un sonno
profondo, timorosa di diventarne dipendente.
Ora,
distante da tutto ciò che conosceva e le era familiare, non aveva niente a cui
appigliarsi. Non aveva nemmeno pensato a prevenire quel problema, anzi non lo aveva riconosciuto come tale,
perché non aveva mai capito quanto i suoi amici la proteggessero dal
fronteggiare da sola quei mostri del passato.
Strinse
la coperta al petto, desiderando scomparire, desiderando di poter parlare con
qualcuno, lei che detestava parlare
dei suoi problemi anche con i suoi amici più cari.
Quale
lusso aveva avuto, e quale lusso ora le mancava totalmente.
La
fiducia.
“… No,
non ti avrei cancellato la memoria”.
Tirò su
col naso, poi si costrinse a poggiare nuovamente la testa sul cuscino.
Non le
rimaneva altro che affrontare i suoi incubi.
Ciao bella gentaglia, scusate
il ritardo e il capitolo un po’ pesantino, fatemi sapere che ne pensate ✨
Grazie mille come sempre per
essere qui, per recensire, seguire, ricordare e preferire, davvero grazie
mille :3
Un abbraccioneee💙