La solitudine divenne la sua compagna di giochi all'indomani di quel
giorno.
Non fu improvviso, ma neanche esattamente graduale, da un giorno
all'altro Hayato realizzò di essersi chiuso in se stesso.
Il mattino seguente la sua vita cambiò, vennero inserite
tutta una serie di cose inaspettate. Hayato iniziò a
studiare, aveva un insegnante per ogni materia, insegnanti privati e
molto esigenti, i migliori nel loro campo probabilmente. Otto lingue:
italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese e
giapponese. Materie scientifiche e umanistiche. In men che non si dica
le sue giornate furono occupate da ore interminabili di studio.
Non gli dispiacevano, anzi saziavano la sua sete di conoscenza, ma
aveva sempre meno tempo per dedicarsi al piano e ne sentiva la mancanza.
Alfonso non pervenuto, non aveva nessuno a cui fare storie per chiedere
un cambio degli orari.
Bianca iniziò a lamentare la sua assenza a chiedergli di
giocare insieme più spesso, ma tra tutti i compiti che gli
venivano dati Hayato non riusciva a ricavare del tempo materiale per
farlo.
Quando qualche mese dopo suo padre fece rientro alla villa Hayato
voleva raccontargli come si trovasse con le lezioni, quanto gli
piacessero, ma anche quanto si sentiva stanco e stressato. Fu invece
liquidato da un cenno rapido della mano e poi Diana lo venne a
recuperare mentre sbatteva i piedi sul pavimento richiedendo attenzione.
Lavinia non tornò più e Hayato si
domandò che cosa fosse successo. Forse era colpa sua?
Nessuno gli dava spiegazioni, suo padre aveva chiuso qualunque forma di
dialogo.
Gli era stato insegnato a scrivere così Hayato
iniziò a raccontare tutto ciò che gli stava
succedendo in questi lunghi messaggi indirizzati a Lavinia. Aveva
chiesto l'indirizzo per spedirli e Daniele un giorno gli aveva detto
"gliele consegno io". Non c'era mai stata risposta.
Un giorno che aveva finito di studiare prima andò nella
stanza di Bianca, si misero a giocare subito ai travestimenti, gli
mancava davvero tanto sentirsi Lavinia. Bianca era entusiasta, gli fece
i codini alti e gli fece indossare un suo vecchio vestitino estivo
verde. Insieme andarono in giardino e fecero una coroncina di fiori.
Tra quelle risate e quella spensieratezza Hayato dimenticò
quel vuoto che gli aveva spillato il cuore dal 14 di settembre del 1996
e quando Bianca lo chiamò "Lavinia" si sentì di
nuovo vivo.
Più tardi tornarono in camera, fecero un puzzle e poi
giocarono con le bambole. Divenne un'abitudine, un appuntamento fisso,
poi uscì da quella stanza e così un giorno Hayato
si presentò nei panni di Lavinia a uno dei gran balli che
villa Bianchi era solita ospitare.
Alfonso non fece gli onori di casa e Bianca disse a chiunque
incontrasse che Hayato era in realtà una femmina ed era la
sua sorellina. Uno scherzo innocente, entrambi si stavano divertendo
molto.
Quel momento idilliaco fu turbato dall'irrompere prepotentemente di
Alfonso in quello spazio sicuro che avevano creato all'indomani del
gran ballo.
"Bianca, ma ti è dato di volta il cervello?"
urlò, strattonò la bambina per un braccio e la
costrinse a inginocchiarsi.
"E Hayato, tu che cazzo di problemi hai?" inveì contro suo
figlio.
"Sei un maschio, Hayato. I maschi non indossano vestiti da principessa
e non giocano con le bambole" sottolineò.
"Ma padre, ad Hayato piace tanto giocare con me, non facciamo nulla di
male" provò a dire Bianca.
"Zitta tu" tuonò Alfonso.
"Che me lo farai diventare frocio!"
Hayato rimase in silenzio, non sapeva quale fosse il problema, ma
sentiva di aver fatto qualcosa di molto sbagliato.
"Padre, io sto solo recitando. Io e Bianca abbiamo inventato questo
gioco dove io sono la sua sorellina e il mio nome è
Lavinia..."
Hayato si ammutolì perché gli occhi di Alfonso
divennero rossi e lui poté vedere un'aura spaventosa attorno
a lui.
Gli arrivò uno schiaffo, così forte che fece un
incontro diretto col pavimento, Bianca urlò spaventata.
"Lavinia è morta, Hayato! È morta, cazzo! Vedi di
fartene una ragione e non fare la femminuccia. Sii uomo!"
Hayato sentì un fischio assordante nelle sue orecchie, il
cuore si strinse così tanto da farlo soffocare, le lacrime
negli occhi di Alfonso le vide solo Bianca.
Ci furono delle urla strazianti, così forti da fare tremare
le pareti, Hayato non sapeva di chi fosse quella voce, non sapeva fosse
la sua, lui non sentiva niente, era morto in un istante.
Bianca osservò suo padre crollare in ginocchio, cercare
disperatamente di accarezzare Hayato che continuava a sgolarsi senza
sosta, che aveva iniziato a tremare come una foglia. Ci vollero un
medico e un sedativo, quella fu la prima volta che Trident Shamal si
occupò di un maschio.
All'alba dei quattro anni Hayato Bianchi aveva accumulato
più sofferenza di quanto il suo piccolo corpo potesse
contenere.
La sua unica amica era morta e lui aveva trovato conforto solo nei
libri, non quelli di studio, ma quelli che raccontavano di mondi
bellissimi pieni di avventure e affetto.
Sognava di viverne di simili, ma aveva la sensazione che il suo libro
non fosse uno di quelli in cui alla fine c'è scritto "e
vissero per sempre felici e contenti."
Lui e Bianca furono separati, routine completamente incompatibili per
evitare che incidenti simili si ripetessero.
Gli mancava essere Lavinia, ma ancora di più gli mancava
giocare con Bianca e gli mancava ricevere attenzioni.
Andrea, il figlio di Diana, si era preso una brutta influenza
quell'estate e con questo erano ufficialmente azzerate le persone che
di solito si dedicavano a lui.
Gli uomini di suo padre erano tutti impegnati, le balie oltre che
lavarlo, vestirlo, dargli da mangiare non facevano. Hayato voleva
conversare, voleva le coccole, un contatto fisico che gli desse
sicurezza, ma non c'era niente di tutto questo.
Qualcosa stava cambiando, anche quel compleanno ne era testimonianza.
Non aveva ricevuto così tanti regali come al solito,
l'atmosfera non era stata così allegra. Le persone non lo
rispettavano più? Non lo amavano più?
Non sapeva dirlo, la solitudine crebbe in lui ogni giorno di
più andando ad anestetizzare il cuore. Soffiò
cinque candeline che era diventato cinico e acido e non aveva
più rispetto per nessuno.
Senza sapere né quando né come Hayato
iniziò ad arrampicarsi sugli alberi, a parlare con gli
scoiattoli e gli uccellini. Sembravano molto più capaci di
tenere una conversazione soddisfacente delle persone che lo
circondavano.
Passava intere giornate sugli alberi nel frutteto restostante la villa
e a nulla valevano le preghiere di Diana perché scendesse.
I gatti randagi che di tanto in tanto venivano a fare visita nel suo
giardino si rivelarono amici ancora più interessante, Hayato
amava osservarli, studiarne il comportamento e imitarli.
Non gli importava più, Alfonso lo picchiava continuamente
sperando che cambiasse atteggiamento che la smettesse di essere
così impertinente, ma per Hayato poteva anche ammazzarlo,
non aveva più senso vivere senza Lavinia.
Fare saltare i nervi a tutti era il suo passatempo preferito, era
così carico di rabbia che il pensiero di mettere ogni
persona nella sua stessa situazione mentale gli sapeva di giustizia, di
vendetta.
Scoprì presto a furia di scappare dalle eventuali mazzate
che gli spettavano di sapersi arrampicare non solo sugli alberi, ma
anche sulle grate e sui tetti dei palazzi, la sua villa compresa.
A un certo punto Alfonso convenne che era il caso di lasciare che si
sfogasse col pianoforte che aveva sempre tanto amato. Prese questa
decisione troppo tardi, Hayato aveva già tentato il suicidio.
Alfonso lo raccolse dal pavimento contro il quale si era schiantato,
aveva fatto un volo di tre metri ciò nonostante non gli era
andata bene ed era ancora vivo.
"Scusami piccolo mio, perdonami" pianse Alfonso stringendolo appena tra
le braccia, le sue ferite erano gravi, la peggiore era il trauma
cranico. Non poteva occuparsene un medico qualsiasi. Quella fu la
seconda volta che Shamal trattò un maschio.
Le cose avevano ripreso una buona direzione, Hayato era tornato a
studiare, a ricevere attenzioni, a suonare il pianoforte e le sue
ferite erano quasi del tutto guarite almeno quelle fisiche.
Sua madre, Clara, era una specie di entità mistica che non
vedeva mai e quelle rare volte che vedeva si pentiva di averlo fatto.
La donna non aveva mai una buona parola per lui mentre Bianca riceveva
complimenti anche per quanto fosse brava a respirare.
Era da un po' che si domandava se fosse normale avere un rapporto
simile e inesistente con la propria madre.
"Prendi esempio da tua sorella" era la frase preferita di Clara.
Hayato non sapeva davvero in che modo visto che l'ultima volta che
aveva preso esempio da Bianca l'aveva pagata cara e amara.
Clara neanche si faceva chiamare "mamma", non da lui. Nacque presto in
Hayato la convinzione che Clara lo odiasse e ne ebbe conferma quando un
giorno dopo aver rovesciato una tazza di tè sul tappeto
persiano in salotto Clara gli disse senza mezzi termini "vorrei che non
esistessi".
Hayato passava le notti a piangere, sentendosi solo e abbandonato anche
tra le braccia di Diana che canticchiava ninnananne cercando di farlo
addormentare senza successo.
Presto si convinse di dover eccellere in tutto così Clara lo
avrebbe amato, ma tutti i suoi tentativi avevano come unico risultato
un glaciale "Bianca lo sa fare meglio".
Senza rendersene conto iniziò a odiare sua sorella, odiarne
la presenza, la voce, tutto. Si chiedeva perché Bianca
sì e lui invece che era figlio a propria volta di Clara no.
Pro e contro di essere maschio? A un certo punto si diede questa
spiegazione, ma presto finì per domandarsi quali fossero i
pro tanto decantati.
Un giorno avvenne una cosa inusuale a villa Bianchi, suo padre lo
convocò nel suo ufficio e gli presentò una
bambina, aveva dei lunghi riccioli d'oro e gli occhi blu, indossava un
vestitino rosa a balze e sembrava uscita da uno di quei libri di fiabe
che aveva letto.
Hayato si intimidì, ebbe la tentazione di nascondersi dietro
una gamba del padre, ma non lo fece rimase invece in silenzio a fissare
la bambina dando di tanto in tanto uno sguardo all'uomo alto che la
affiancava.
"Permettimi di presentarti Beatrice Rossi, figlia di Vittorio Rossi,
nostro stimatissimo alleato" disse Alfonso.
La bambina fece un elegante inchino al quale Hayato rispose con un
leggero cenno della testa.
"Avete la stessa età" spiegò Alfonso cercando di
mettere suo figlio a proprio agio.
Hayato annuì, tese una mano e si presentò a
propria volta.
"Ha-Hayato Bianchi" disse timidamente.
L'uomo alto accanto alla bambina sorrise ampiamente.
"Devo ammetterlo Alfonso, sono proprio una bella coppia" disse.
Alfonso sorrise fieramente a propria volta, Hayato sentì
esplodergli il cervello.
"Coppia?" domandò confuso.
"Sì, io sono tua moglie" disse Beatrice con entusiasmo.
"Un giorno ci sposeremo e avremo trenta bambini."
Hayato rabbrividì, pensava fosse uno strano scherzo di
cattivo gusto e impulsivamente si mise a ridere.
"Ah no... dice sul serio?" chiese supplicando con lo sguardo suo padre
di smentire la cosa.
Beatrice si lanciò letteralmente su Hayato gettandogli le
braccia al collo.
"Perché non dai un bacino alla tua mogliettina?" disse.
Hayato cercò immediatamente di liberarsi da quella presa e
iniziò a correre immediatamente, Beatrice lo
inseguì.
"Si comportano già come se fossero sposati"
commentò Vittorio.
Per fortuna Beatrice era rallentata dall'ingombrante gonna, ma Hayato
andò a sbattere contro Diana, la corsa si arrestò
e si trovò di nuovo Beatrice addosso.
"Che sta succedendo qui?" chiese Diana guardando le lacrime sul viso di
Hayato, era terrorizzato.
"Perché stai piangendo?" chiese.
Hayato tirò su col naso, si dimenò cercando di
scollarsi la bambina di dosso.
"Perché ha detto che ci sposeremo" piangnucolò.
"Stai piangendo perché non vuoi sposarla?"
domandò Diana con un tono dolce.
"Esatto" rispose Hayato asciugandosi una lacrima.
"Perché no?" proseguì Diana.
In quel momento Beatrice urlò "io ti sposerò, che
ti piaccia o meno" e Hayato urlò a propria volta un "no" che
veniva dal più profondo della sua anima.
Diana sospirò, divise i due bambini e sorrise a Beatrice.
"È presto per sposarvi, perché non andate a
giocare per il momento?" disse.
Non ci volle molto per convincere la figlia dei Rossi e Hayato
tirò un sospiro di sollievo. L'idea del matrimonio gli
metteva i brividi sempre glieli aveva messi e sempre glieli avrebbe
messi.
"Non voglio sposarti" aveva detto Hayato poi di punto in bianco mentre
giocavano con le costruzioni.
"Metti che mi stai simpatica poi ci sposiamo e finiamo come i miei
genitori che neanche si guardano più in faccia."
Beatrice ascoltò attentamente, una lacrima fugace
solcò il suo viso.
"Neanche i miei non si parlano e papà non fa che dirmi che
vuole diventi la Madonna dei Bianchi, però io voglio
qualcuno che poi mi fa le coccole e non mi fa sentire da sola."
"Anche io..." mormorò Hayato.
Per quanto potesse sembrarlo il matrimonio combinato tra Hayato e
Beatrice non era una scusa per avere un campanello Bianchi-Rossi che
facesse patriottismo e fosse al contempo motivo di scherno, ma una
mossa strategica per consolidare il legame tra le famiglie.
Così come i Bianchi erano esperti di veleni, i Rossi erano
esportatori di armi. Con questa unione il prestigio delle famiglie
sarebbe aumentato al punto tale da rappresentare un pericolo per le
famiglie in assoluto più potenti esterne all'alleanza.
Ben presto però Hayato e Beatrice si resero conto di non
sopportarsi, Beatrice lo reputava noioso e Hayato superficiale. Non
c'erano punti di contatto tra loro se non la sofferenza che dava una
famiglia in cui c'era un clima teso animato da urla e indifferenza.
Non si sviluppò mai neanche un'amicizia tra loro anzi,
Hayato le insegnò come importunare la servitù
costruendo dei piccoli petardi e Vittorio ritirò l'accordo
dicendo che l'erede dei Bianchi aveva una pessima influenza su sua
figlia. L'alleanza saltò e Hayato non rivide mai
più Beatrice. Fu sollevato al pensiero di non doversi
sposare, rimpianse quasi di averlo pensato quando suo padre decise che
stavolta andava punito a frustrate sulle mani. Non poté
suonare il piano per un mese intero.
Doveva ammetterlo, Beatrice gli mancava ed era stanco di sentirsi solo
e sfruttato da suo padre che lo trattava da schifo quasi tutti i giorni
eccezione fatta per quando doveva esibirsi nelle serate sfarzose che
ancora venivano organizzate e allora magicamente diventava il suo
prezioso Hayato.
Le cose cambiarono radicalmente quando a palazzo venne assunto un uomo
come dottore ufficiale. Un tipo interessante dal fascino misterioso e
un po' oscuro. Hayato si ritrovò a spiarlo e un giorno si
mise persino a curiosare tra le sue cose.
"Ma tu guarda se un mocioso come te deve ficcare il naso nelle cose dei
grandi" disse il medico, si sistemò il camice e gli
strappò dalle mani la rivista pornografica.
"Come osi parlarmi in questo modo?" domandò Hayato
indignato. Escludendo suo padre e sua madre tutti gli si rivolgevano
con grande rispetto, come se fosse un onore anche solo poter ricevere
la sua attenzione.
"Tu non sai chi sono io. Io sono Hayato Bianchi, figlio di Alfonso
Bianchi, futuro Decimo boss dei Bianchi" disse fieramente.
"E io sono quello che ti ha salvato il culo più di una
volta, vostra altezza" disse il medico con un tono impertinente e
ironico.
Hayato sorrise istintivamente, era sorpreso di aver trovato qualcuno
che gli tenesse testa.
"Che intendi?" chiese.
"Voglio dire che sua grazia è stato curato da me medesimo
sia quando ha avuto una crisi isterica che quando si è
lanciato dal tetto credendo non so forse di poter volare per poi
scoprire che la gravità è valida persino per lui."
Hayato avrebbe dovuto sentirsi offeso, invece si sentiva molto
emozionato e propenso a proseguire.
"Oltre a essere uno stronzo hai anche un nome?" chiese.
"Trident Shamal, al vostro servizio, canaglia" rispose il medico
abbozzando un sorriso.
"Sei al mio servizio?" chiese Hayato curioso.
"Ti piacerebbe" ribatté prontamente Shamal.
"Non sono proprio al servizio di nessuno. Curo le donne bellissime e
solo con te ho fatto eccezione..."
Hayato annuì, gli sorrise nuovamente e si
allontanò.
"Aspettati di ritrovarmi attorno, dottore stronzo" disse.
"Non pensare che diventerò il tuo babysitter, Hayato, figlio
di nessuno e boss proprio di nulla allo stato attuale"
ribatté Shamal salutandolo con la mano.
Esattamente come aveva detto Hayato aveva fatto e in breve tempo si era
messo a seguire Shamal in ogni dove. Dopo aver recitato per un po' la
parte di quello infastidito Shamal aveva ceduto e lo aveva accolto
sotto la sua ala. Passavano molto tempo insieme durante il quale Shamal
gli raccontava della sua incredibile vita. Non passò molto
prima che la copertura da medico saltasse e Shamal rivelasse di essere
un assassino professionista di prima categoria.
Hayato rimase stregato da quella confessione e volle saperne sempre di
più perché Shamal era semplicemente "un figo."
Gli piaceva così tanto che voleva assomigliare a lui,
così tanto che voleva stare sempre con lui così
tanto che la prima volta che lo vide baciarsi con Elisa, una delle sue
balie pianse lacrime amare e si ritrovò a cancellare con la
punta delle chiavi quel "Hayato e Shamal" che aveva inciso sul muro
proprio accanto al suo letto.
Che schifo l'amore, era solo un nome diverso da dare alla sofferenza.
Gli ci volle un po' di tempo per riprendersi, ma quando lo fece e
accettò di non essere ricambiato decise di trasformarsi in
Shamal, visto che era l'unico modo in cui potesse averlo.
Iniziò col taglio di capelli, proseguì con la
camminata, l'abbigliamento.
Al suo sesto compleanno chiese di poter passare una giornata da solo
con quel dottore al posto di quelle fottute feste inutili. Era nato in
lui il desiderio di opporsi a quelli che erano i programmi del padre.
Altro che un patetico boss che stava tutto il giorno in un ufficio del
cazzo a firmare scartoffie, lui voleva essere un cazzutissimo assassino
indipendente, temuto da tutti. Era l'unico modo per fare il cazzo che
ti pare nel mondo della mafia.
|