Conosceva
le note a memoria, le dita premevano i tasti del pianoforte senza che
li guardasse e aveva imparato da tempo a chiudere gli occhi per
lasciarsi trasportare dalla musica. Il salone di villa Luthor
ospitava parecchie persone, quella sera, ma restavano in silenzio ad
ascoltare, con i bicchieri in mano e un goccio di liquore appena
tastato sulle labbra. C'era armonia e Lena era orgogliosa che potesse
esibirsi davanti a un pubblico tanto importante come gli amici dei
suoi genitori; non voleva in nessun modo far fare brutta figura a suo
padre e ce la metteva tutta. Si era preparata con giorni di anticipo
senza tregua. Ma poi il campanello aveva suonato, qualcuno
bisbigliato all'orecchio di suo padre e lui si era alzato dalla
poltrona: aveva prima sentito i suoi passi e dopo aveva sbirciato
riaprendo gli occhi, voltandosi l'attimo necessario perché
sua madre
le dicesse di non smettere. Suo padre era uscito lasciando il portone
socchiuso e sua madre lo aveva seguito, restando ferma all'ingresso e
guardando fuori, davanti alla finestra. Lena aveva cercato di far
finta di niente, doveva continuare cosicché suo padre non
avesse
notato nessun calo una volta tornato. Ma quando lui era di nuovo in
salone, era lui quello cambiato, come se non potesse più
compiacersi
della sua musica. Si era distratto. Lena aveva continuato a suonare,
le dita seguivano la memoria, le note la musica. Aveva smesso di
colpo quando tutti si erano alzati, sentendo quel rumore: il portone
si era aperto sbattendo e un uomo, piuttosto esile, era entrato
sbraitando.
«Non
potete chiudermi la porta in faccia!».
In
quel periodo, i suoi genitori erano spesso accompagnati da bodyguard.
E loro erano schizzati immediatamente e avevano afferrato per le
scapole quell'uomo prima che le sue scarpe fangose potessero sfiorare
un tappeto persiano.
«Dopotutto
quello che ho fatto in questi anni è questo il
ringraziamento, eh?
Io merito di meglio e voi lo sapete, Luthor! Lo sapete!»,
aveva
continuato a urlare.
Lena
aveva guardato suo padre che, livido, aveva ordinato di portarlo
fuori. E sua madre, nera di rabbia, che aveva boccheggiato sperando
di calmarsi, per poi girarsi e discuterne con alcuni di quegli amici.
Non aveva badato a come tutti sembrassero conoscerlo. Perfino Lex,
che aveva abbassato lo sguardo.
«Senza
di me sareste ancora a spulciarvi tra voi come delle maledette
scimmie! Voi non potete farmi questo! È oltraggioso, non
potete!».
I
bodyguard avevano portato fuori quell'uomo e suo padre si era girato
in sua direzione. Gli era bastato un solo suo sguardo per farle
capire che avrebbe dovuto riprendere a suonare. Così Lena si
era
piegata il vestitino ceruleo dietro le ginocchia e si era seduta,
pronta a continuare.
«Lo
ricordo, adesso», disse a bassa voce, socchiudendo gli occhi
pregni
di lacrime. «Avevo nove anni, i miei genitori avevano
organizzato un
piccolo ritrovo con alcuni amici… E lui era entrato
e… aveva
cominciato a gridare…», si fermò,
portandosi una mano contro la
bocca. Kara la raggiunse, involgendola con un braccio. «Ha
ucciso
lui mio padre…?».
Non
sapeva come avrebbe dovuto sentirsi. Leggera, sollevata, oppure
rancorosa, o abbattuta. Sapeva solo che faticava a sentirsi ancorata
al pavimento. Aveva l'assassino di suo padre davanti ed eppure il suo
cuore non riusciva a darsi pace, come se non fosse vero niente. Ma lo
era. Lo era.
La
porta della saletta si aprì con uno scatto e Kara
indietreggiò,
mentre Lena abbassò lo sguardo e si asciugò le
lacrime,
distogliendo la sua attenzione dal vetro che affacciava alla saletta
adiacente: Jackson Ur Phillings era chiuso lì, in manette,
seduto
con assurda tranquillità davanti a un tavolo.
«Serene,
sono io», Alex entrò e richiuse dietro di lei.
Scorse sua sorella
riavvicinarsi a Lena e prenderle una mano, intanto che si fermava
dall'altro lato. «Ti è venuto in mente
qualcosa?». Aprì un
fascicolo, sfogliandolo lentamente. «Zod sta arrivando,
preferirei
sapere qualcosa prima che ci sia lui a metterci il naso».
Lena
annuì, mordendosi un labbro. «È stato
lui», guardò lei e dopo
Phillings attraverso il vetro. «Era un membro
dell'organizzazione ma
è stato cacciato», annuì, «ed
è stato licenziato dalla Luthor
Corp, il che lo ha portato a vendicarsi. Ha senso».
«Lena,
sei…?».
«Sicura?»,
si rivolse a Kara. Prese fiato, asciugandosi di nuovo gli occhi.
«Ma
certo. Mia madre aveva fatto intendere che doveva trattarsi di uno di
loro o legato a loro, tanto che temeva che, prendendolo, avrebbe
messo tutti nei guai, lei compresa».
Alex
scambiò uno sguardo con Kara, a quel punto, come potessero
parlarsi
con gli occhi. «Lena, io…».
«Lo
so, devi arrestarli tutti», affermò glaciale.
«Non fartene una
colpa. È per questo che…»,
indugiò, ricordando i loro telefoni
accesi e la loro farsa, «è per questo che ti
dà tanto fastidio che
abbiamo fatto cancellare quei dati. Il lavoro prima di tutto, agente
Danvers». Lasciò la presa di Kara e
avanzò qualche passo,
girandosi un'ultima volta prima di uscire. «Io non so altro,
parlane
con Lex e con lei. Sapranno essere più utili».
Alex
sospirò e Kara girò lo sguardo, osservando quel
Phillings. L'aria
si era fatta molto più tesa.
«Le
parlerò io».
«No,
Kara, le parlerò io. Devo. Non è che io abbia una
particolare
smania nel mettere le manette ai polsi di Lillian: è la
moglie di
mia madre, accidenti».
«Lei
lo sa», scosse la testa. «È convinta che
adesso che lui è stato
preso sia l'inizio della fine per l'organizzazione».
«E
sai una cosa? Vorrei che lo fosse», replicò la
sorella con durezza,
spalancando le sopracciglia. «Ma qualcosa mi dice che se si
è fatto
arrestare in questo modo e non sarà presto morto, questo non
accadrà. Credi che l'organizzazione se ne starà
con le mani in mano
se lui è così importante?».
«E
Zod sta arrivando. Giusto?».
«Giusto»,
annuì. «E ne sembrava sorpreso quanto noi alla
festa…», lasciò
la frase a mezz'aria e si guardarono di nuovo negli occhi,
«Non so a
cosa credere. Ci penseranno le indagini a far luce sulla questione.
Se l'organizzazione non la intralcerà».
Lena
non riusciva a fare a meno che vedersi, nella testa, la scena di
Jackson Ur Phillings che, alla festa di Lord, rideva e ammetteva di
aver ucciso suo padre. E ancora e ancora. A Lex che le diceva che la
loro famiglia era malvagia, quel giorno in ascensore alla Luthor Corp
di Metropolis, quando gli chiese di raccontarle di più. E
Phillings
che lo ribadiva alla festa. E sua zia Lorna che, forse, odiava i
Luthor. Cosa aveva scoperto l'agente Jonzz lo faceva pensare. Era
tutto collegato, tutto connesso, tutto tornava. I Luthor erano
malvagi, e così era nata l'organizzazione, e così
suo padre era
stato ammazzato. E ogni cosa ricadeva in lei, adesso, perché
sangue
del loro sangue. Per tutti era stata adottata, ma Lena sapeva di
essere sangue del loro sangue.
Poteva
una discendenza essere maledetta? La malvagità essere
trasmessa come
una malattia ereditaria?
Lex
era malvagio? Aveva incastrato Roulette e il modo in cui aveva
sorriso, godendo nel distruggere la festa di Maxwell Lord…
Erano
state loro a chiedergli di fermare quella vendita e prendersi la
paternità dalle pillole, ma come lo aveva fatto…
Ricordava ancora
con quanta ferocia colpì quel ragazzo nella sua
università.
Lei
era malvagia? Lo sarebbe diventata? Un giorno avrebbe riso di fronte
a ipotesi del genere, ma quel che disse quel Phillings… E le
aveva
parlato poco prima in cerca di un lavoro. Lui, la persona che aveva
messo fine alla vita di suo padre aveva avuto abbastanza fegato da
parlare a lei di lavoro.
Guardò
il cellulare mentre camminava in corridoio: l'avevano invitata a una
festa che, a giorni, si sarebbe tenuta nella sua università.
L'assassino di suo padre era stato preso, poteva riprendere in mano
la sua vita e andare avanti più serena, adesso?
«Allora?».
Indigo era seduta incrociando le gambe su una delle sedie per
l'attesa, in mano il suo cellulare, squadrando Lena.
«È stato
davvero
lui?».
«Sei
sorpresa? Lo conoscevi?».
«No»,
si tirò gli occhiali finti sul naso, «Era in bagno
alla festa prima
di entrarci io. Tutto qui».
Indigo
conosceva suo padre e, da come ne parlava, sembrava essere stato una
figura importante anche per lei. Lena si sedette al suo fianco e
provò a sorriderle mestamente, rendendosi conto che la
ragazza aveva
allungato al mano sinistra per reggere la sua, in conforto. Indigo
non poteva sapere cosa passasse per la testa di Lena ma qualcosa
doveva pur immaginarla; sapeva abbastanza sulla sua vita e su quella
di suo padre, dopotutto. E doveva saperla anche il suo angelo custode
ma, da quella festa, aveva smesso di parlarle. Non aveva ricevuto
più
alcun messaggio da parte sua, neanche di fronte alle sue domande, era
sparito. Era sparito ma sarebbe stato per poco, lei sapeva che
sarebbe tornato a farsi sentire presto.
Passò
qualche giorno dalla festa e da quella terribile confessione che
portò all'arresto di Jackson Ur Phillings. Conteso tra
polizia e
D.A.O. fu interrogato a lungo da ambo le parti rilasciando
dettagliate confessioni su come aveva commesso il delitto, sempre
coerente con se stesso e senza tentennamenti, tanto che Alex Danvers
cominciò a credere che si fosse studiato tutto e che stesse
recitando come davanti a un pubblico. Lena non ne voleva sapere. Si
era chiusa e, ogni volta che tentavano di mettere in dubbio la
colpevolezza di quell'uomo, se ne andava affermando che perdevano il
loro tempo. Era stato lui, lo avevano preso, era finita. In fin dei
conti, Lillian stessa aveva confermato alle ragazze che poteva
benissimo essere stato lui: il fatto che lei al suo arresto ne fosse
più sollevata che preoccupata era però un chiaro
segnale che non
solo non era lui quello che Lillian credeva essere stato prima della
confessione, ma anche che, per sconforto di Alex, erano ben lontane
dallo sgominare l'organizzazione. E se lo aspettava.
«Adesso
potete cogliere questo momento per smettere di mettere naso in affari
che non vi riguardano e andare avanti», commentò
placidamente
Lillian davanti a Lena, Kara e Alex. «Potete lasciar perdere
l'organizzazione e vivere finalmente appieno la vostra vita di
fanciulle». Adocchiò Lena, seria, poi Kara,
più dubbiosa, e infine
Alex, che aveva il broncio. «O almeno la maggior parte di voi
può
iniziare a farlo; consiglierei all'altra di cambiare
mestiere».
Kara
fermò Alex ad un braccio.
«Datemi
retta», mormorò un'ultima volta la donna,
voltandosi per
allontanarsi, «godetevi questi attimi ora: non
torneranno».
Se
ne andò e Alex prese un lungo respiro, appoggiandosi a un
mobile
della cucina, lì in casa Danvers-Luthor. Lena e Kara erano
lì con
Indigo per passare due giorni di vacanza, e Alex le aveva raggiunte
quel pomeriggio per parlare con loro di Phillings, prima che la donna
le interrompesse. «Bella faccia tosta…»,
commentò acida, «Con
quello che sa sull'organizzazione, sarebbe una miniera d'oro se
confessasse, ci aiuterebbe tantissimo. Ma preferisce fingere di non
saperne niente, che non porta che acqua al loro mulino». Si
sedette
sul mobile e allungò lo sguardo a Lena, che era ancora ferma
sui
suoi passi. «Se decidesse di lavorare con noi, non ci sarebbe
neppure bisogno di arrestarla: siglerebbe un patto ed entrerebbe
nella protezione
testimoni».
Fu
allora che Lena la guardò, voltandosi appena.
«Jonzz in coma in un
letto d'ospedale e pensate di poterla proteggere? Non sapete
proteggere voi stessi».
«Lena»,
balzò dal mobile per andarle incontro e Kara strinse le
labbra,
alzando una mano come per fermarla, lasciandola invece passare.
«Non
credere che mi piaccia tutto questo-».
«Fai
il tuo lavoro».
«Non
è solo questo: la mia compagna rischia grosso infiltrandosi
tra
loro, mentre loro tentano di infiltrarsi nella sua testa»,
lanciò
uno sguardo a lei e a Kara.
«Mi
pare però che Maggie inizi a prenderne atto»,
continuò Lena,
decisa. «Molti altri hanno cercato di porre fine
all'organizzazione
prima di noi e hanno fallito», si fermò solo un
secondo pensando di
aver potuto dire qualcosa di sbagliato davanti a Kara per via dei
suoi genitori, ma lei si limitò ad abbassare lo sguardo:
forse ne
prendeva atto anche lei. «È entrata nella nostra
quotidianità;
sono ovunque, potrebbero essere arrivati a mettere radici anche a
capo del D.A.O. senza che tu te ne possa essere resa conto. Saranno
loro a guidare i fili di ogni cosa, anche di questa indagine. E della
tua su di loro».
«Allora
cosa ci consigli di fare?», domandò stizzita,
«Mollare tutto?».
Lei e Maggie avevano capito di dover convivere con quella indagine in
corso, la loro nuova realtà, ma lo avevano deciso anche per
andare
avanti, non per arrendersi.
Lena
prese fiato. «Se Maggie prenderà un giorno il
posto di Zod possiamo
stare tranquille, no?». Alex la guardò malissimo,
ma non si sarebbe
pentita di averlo detto.
«Cosa
credi che dovremo fare?», le domandò allora Kara e
Lena finalmente
le sorrise, le sorrise con amore, di gusto, come se appena prima non
stesse controbattendo con la sua sorellastra.
«Goderci
questi attimi. Lillian per una volta ha ragione. Goderci noi,
adesso», Lena le prese una mano e la baciò davanti
ad Alex, che
arrossì, distogliendo lo sguardo. «L'assassino di
mio padre è
stato preso, l'assassina dei tuoi genitori è a Fort Rozz.
Abbiamo
vinto, Kara», le carezzò il viso,
circondandoglielo con un palmo.
«Dovremo semplicemente vivere la nostra vita, adesso. Siamo
libere».
Lena
era raggiante, e Kara non se la sentì di smontare il suo
entusiasmo.
Si lasciò trascinare fuori dalla cucina mano nella mano e si
girò
appena prima di uscire per lasciare detto ad Alex, con il solo
movimento delle labbra, di tenerla aggiornata su Phillings.
Kara
accettò la decisione di Lena, pur non concorde. Anche per
lei, come
per Alex, la confessione di Phillings non convinceva fino in fondo e
sapeva che non si sarebbe arresa con l'organizzazione. I suoi
genitori non l'avrebbero fatto.
«L'organizzazione?».
Il giorno dopo, Phillings scrollò le spalle, per poi battere
la mani
sul tavolo dov'era stretto in manette, nella saletta degli
interrogatori. «Quale
organizzazione? Di cosa diavolo andate cianciando, voi
piedipiatti?»,
sorrise sghembo, aumentando il battere delle nocche sul tavolo.
Voleva andare a fumare, maledizione… Quando aveva confessato
quell'omicidio, non aveva pensato affatto che non l'avrebbero
lasciato fumare. E forse, credeva, avrebbero usato quell'espediente
per torturarlo mentalmente o ricattarlo in cambio di informazioni.
Non sapevano con chi avevano a che fare.
Davanti
a lui sul tavolo, Alex era seduta a fianco di Jeremiah Danvers, con
le braccia a conserte. Era la prima volta che seguivano un caso
insieme. Maggie era con altri agenti dietro al vetro nella saletta
accanto, e Alex sapeva che doveva anche esserci Zod, con loro.
«Non
prenderci in giro», Alex lo inchiodò con lo
sguardo. «Sappiamo
benissimo che sai di quale organizzazione parliamo». Sul
tavolo,
davanti a lui, avevano disposto in sequenza delle foto: di Faora Hui,
in vita e quando la trovarono morta nella sua cuccetta d'ospedale,
del commercialista Michaels ufficialmente suicidato in carcere, e
così anche di altri volti noti dell'organizzazione. Anche
Rhea Gand.
Lui non nascose di conoscere qualcuno di loro come il commercialista,
ma solo perché di fatto era il suo commercialista prima che
lo
arrestassero; e Rhea Gand, poiché era un volto molto noto al
pubblico. Fu attento a non tradirsi. «Facciamo
così…», si
guardarono negli occhi e Phillings deglutì,
«confessa e noi, in
cambio, ti offriremo una sigaretta».
Maledizione!
Lo sapeva! Ma lui era un uomo duro, non l'avrebbero piegato…
«Una
sigaretta per ogni informazione. Potrai fumarla qui davanti a noi:
allenteremo le manette».
«…
credete che sia così stupido?».
«Quindi
non se ne fa niente? Sei sicur-».
«Accetto!
Datemi quella sigaretta, maledizione: non vedete che sto
impazzendo?».
Alex
sospirò: non faceva che ripensare alle parole di Lena il
pomeriggio
precedente. Davvero Phillings avrebbe detto qualcosa
sull'organizzazione? Adocchiò suo padre a fianco. Odiava
ammetterlo,
ma al momento non riusciva a fidarsi neppure di lui. Suo padre,
accidenti! Avrebbe dovuto scagionarlo il più in fretta
possibile
perché non poteva arrivare a non fidarsi perfino del proprio
padre.
Intanto, Phillings si stava godendo quella sigaretta con lo sguardo
soave di un bimbo. «Ottimo. Ora che hai la tua sigaretta,
puoi
cominciare a parlare».
«Di
cosa, signorina?».
Alex
Danvers si accigliò. «Agente,
non signorina. Dell'organizzazione». Acc…
lo sapeva.
«Ah,
non ne ho idea», scrollò le spalle, «Ma
avrei detto di tutto per
una sigaretta… signorina».
Erano
buchi nell'acqua. Continui buchi nell'acqua. La prossima sigaretta
gliel'avrebbe fatta sudare.
Aveva
come l'impressione che indagare sull'organizzazione fosse come
nuotare controcorrente.
Per
di più, di lui avevano solo una confessione che non valeva
niente
senza prove, ed erano impossibili da trovare, diceva di aver fatto
sparire tutto e gli credevano. Era meticoloso, lo confermò
Lillian
quanto Lex, da quel che ricordava di lui. Non fosse altro, Lillian
Luthor aveva lasciato detto parecchio di quando lavorava alla Luthor
Corp e di come lo avesse licenziato lei stessa. Il passato dello
scienziato alle sue dipendenze aveva lasciato di ghiaccio tutte,
sempre più convinte che il suo posto sarebbe dovuto essere
la
prigione: in tempi non sospetti, una collega lo aveva denunciato per
aver rapito e seviziato il suo cane. Lo trovarono per strada mesi
dopo la sparizione malconcio e affamato, malato, morì
nell'ambulatorio veterinario senza che capissero cosa gli fosse
accaduto. Non c'erano state delle vere e proprie connessioni con lo
scienziato e tutto finì con un nulla di fatto, fino a quando
non
sparirono altri animali che ritrovarono morti. Messo sotto torchio,
aprirono un'indagine e ne conseguì che non rispettava le
norme ed
era crudele con le cavie. L'ultima volta aveva portato un bambino in
laboratorio. Non era stato denunciato solo poiché la madre
del
piccolo aveva firmato una liberatoria ed era stata adeguatamente
compensata in anticipo. Era in astinenza, avrebbe fatto qualunque
cosa per avere i soldi necessari a una dose ma a lui non sembrava
importargli. Phillings giurò che il bambino sarebbe tornato
a casa
con un cerotto e una caramella. Infine, fu preso di peso dalle
guardie e scortato fuori. Per molte volte successive al licenziamento
tentò di riavvicinarsi al suo vecchio laboratorio per
riprendersi il
suo lavoro e ogni volta fu sbattuto fuori. Si guardarono bene dal
portarlo in tribunale e la polizia, sul resto, non fece nulla. Era
chiaro a tutte che se ne occupò l'organizzazione. Ma anche
da lì,
giurò Lena secondo i suoi ricordi, fu fatto fuori. E poteva
ancora
respirare… anche dopo l'arresto.
La
porta della loro camera in comune in casa Danvers-Luthor era chiusa a
chiave. Il laptop di Lena poggiato sulla scrivania di Kara vicino a
una copia del CatCo Magazine. L'indomani le ragazze sarebbero tornate
a National City e Alex, con Maggie e Jamie, avrebbero preso il loro
posto per passare lì un week-end. La finestra era aperta ma
le
tapparelle erano abbassate e i raggi del sole illuminavano una parte
della stanza, come il letto che una volta apparteneva ad Alex. Lena e
Kara erano sdraiate, godendosi l'aria e- no, più che altro
cercavano
di godersi un momento solo per loro con le loro madri in salotto e
Indigo nella stanzetta accanto. Pur la stringesse a sé e le
baciasse
il collo, Kara non faceva che pensare a Phillings. E in quel momento,
accidenti, era più inopportuno che mai. Era stato licenziato
da
Lillian ma aveva ucciso Lionel. Era stato licenziato ed espulso
dall'organizzazione. Aveva perso il lavoro e, contemporaneamente, i
vantaggi nello stare tra le fila dell'organizzazione. Quell'uomo
doveva essere pieno di rancore e alla festa ne aveva dato prova, ma
durante gli interrogatori, astinenza da nicotina a parte, era
tranquillo. Il suo comportamento continuava a confonderla.
Lena
mise via il cellulare e lo spense, sistemandolo accanto a quello di
Kara, sul cuscino oltre le loro teste. «Quando torno dalla
festa
alla mia università, domani, devo passare da
Willis».
«Che
cos'ha? Sta bene?», le baciò il mento, poi sotto,
salendo dietro
l'orecchio. Lena la bloccò frapponendo una mano e Kara rise:
forse
pensò che si sarebbe vendicata per tutte quelle volte che le
aveva
leccato dentro l'orecchio in quel modo.
«No…
o meglio, non ne è sicura. Mi ha chiesto di andare da lei
per un
problema urgente».
«Se
ti chiede di andare da lei e non di vedervi… in
un bar»,
fece una smorfia con le labbra, «dev'essere davvero
grave».
Lena
spalancò la bocca e scherzosamente anche gli occhi,
stringendola più
forte a sé. «Davvero, Kara Danvers? Era una
cattiveria? Detta da
te… Io non ti riconosco più».
L'altra
rise e prese le labbra con le sue, socchiudendo gli occhi e
trattenendo il fiato, baciandosi più a fondo. Kara le mise
una mano
sotto la camicia e lei gliela guidò fino al suo seno.
Continuarono a
baciarsi finché Kara non si staccò per riprendere
fiato,
guardandola negli occhi chiari. «È la tua
influenza», dichiarò
senza mezzi termini e Lena le pizzicò una guancia, cercando
poi di
sganciarsi dalla sua presa. «Eddai, scherzavo», la
fermò
stringendo la camicia, «non andare, Lena».
«Non
vado da nessuna parte». Le strinse i polsi e si
portò sopra di lei
in un attimo, baciandola a sua volta.
«Basta
che non mi lecchi l'orecchio…»,
bisbigliò e lei alzò un
sopracciglio.
«Voglio
solo punirti».
«…
ah»,
arrossì, guardando il soffitto. Ansimò appena ma,
ancora una volta,
i suoi pensieri andarono a Phillings. Conosceva Lena ed era pronta a
giurare che non fosse affatto convinta che fosse stato lui, sembrava
solo che se ne fosse voluta convincere per chiudere quel caso. Prima
di andare a casa Danvers-Luthor erano passate in cimitero davanti
alla sua tomba ed era rimasta per molto tempo zitta fissando la foto
di suo padre. E c'era anche un'altra cosa che…
«L-Lena…?».
Continuò quando la sentì farle un verso.
«So che no-non è il
momento, ma-», si zittì quando la scorse fermarsi
per guardarla a
sottecchi. «No-Non voglio interrompere la mia giusta
punizione,
e-umh», arrossì ancora, «M-Ma mi
chiedevo cosa ne pensassi… se
quel Phillings… e se fosse anche il garante di
Indigo?».
«Proprio
ora?».
«Pensaci!
Coincide con il profilo che ci siamo fatte: nell'organizzazione,
cacciato via, non è stato fatto uccidere.
E…», proseguì
debolmente, «ce l'ha con la tua famiglia. Torna…
abbastanza».
Deglutì. «E-E poi, lo so, hai detto di aver chiuso
con il caso
della morte di tuo padre, ma il garante voleva che scoprissi
chissà
cosa sulla tua famiglia e-e, Lena, questa cosa non l'abbiamo risolta
e… sì, vorrà risolta». Lena
non si mosse e Kara capì che,
davvero, avrebbe dovuto parlargliene in un altro momento.
Probabilmente era stata indelicata. Perché non riusciva a
pensare
prima di parlare? Stava per dire qualcosa che Lena…
«E
verrà risolta. Non avere fretta. Tuttavia, temo dovremo
cercare un
altro nemico della mia famiglia».
«Indigo
non confermerà in ogni caso», obiettò,
anticipando i suoi
pensieri.
«Sì,
ma lei sa chi è e dice di aver conosciuto lui in bagno,
fumava lì
dentro. È molto nervosa quando parliamo del garante e con
lui non ha
battuto ciglio. Non è lui».
Kara
sbuffò. «Accidenti! Non ci saremmo mai abbastanza
vicine…».
«Ci
arriveremo, te l'ho detto», le sorrise, «Abbiamo
trovato
l'assassina dei tuoi genitori e ora abbiamo quello di mio padre.
Troveremo anche lui, non ho dubbi. Capiremo cosa voglia che
scopra».
Si sorrisero con complicità fino a quando Lena non strinse
più
forte le unghie sulla carne di Kara, sulle braccia che teneva ancora
sotto le sue. «E ora, per avermi interrotto, la punizione
sarà di
gran lunga peggiore».
Lena
sembrò sufficientemente appagata quando Kara si
presentò a cena,
rossa talmente dall'imbarazzo da avere le orecchie in pendant con la
t-shirt che indossava, con una sciarpa di lino intorno al collo. In
realtà, anche lei si imbarazzò un po', sapeva di
aver esagerato, ma
non poteva capire cosa provasse Kara quando Indigo, Eliza e Lillian
capirono perché indossasse la sciarpa. Ancora poco e Lillian
non si
strozzava con il vino.
Invece,
Indigo si godeva quei giorni di relax con un non
troppo:
le veniva da sorridere ma non troppo, dormiva ma non troppo, guardava
un film ma non troppo, era spensierata ma non troppo. Alle altre
poteva sembrare la sé di sempre ma, più tempo
trascorreva senza
notizie da quello che lei, erroneamente, aveva sempre definito angelo
custode,
e più ne aveva paura. Ma aveva fatto ciò che le
aveva chiesto,
aveva eliminato quel video e non si era intromessa, non avrebbe
dovuto arrabbiarsi con lei. Il suo sesto senso, però, non le
dava
pace.
Il
giorno successivo, le ragazze lasciarono casa Danvers-Luthor e
tornarono a National City. John Jonzz uscì dal coma proprio
quella
mattina e andarono a trovarlo in ospedale con il cuore un po'
più
leggero, trovando Megan in sala d'attesa. Molti erano i colleghi del
D.A.O. venuti a vedere come stesse, e stavano arrivando anche vicini
e conoscenti da Marsington. Suo padre arrivò sul tardi ma lo
lasciarono entrare per primo e da solo, poi lasciarono entrare Alex
che permise a Megan di farglielo salutare. Per terzo, fu il turno di
Jeremiah Danvers, prima di pranzo. Dopo di lui dovettero tutti
tornare a casa poiché gli infermieri chiusero alle visite.
John era
stanco e non dovevano fargli fare sforzi, non soprattutto dopo
ciò
che dovette dirgli Jeremiah, che ora prendeva il suo posto come
comandante ad interim: ai piani alti non dovevano aver apprezzato
troppo il suo lavoro in solitaria né come insistesse sul
coinvolgimento del capitano di polizia Adrian Zod, poiché
non
sarebbe stato sostituito solo per un breve periodo, era stato
licenziato. Di certo, un po' tutte pensarono che doveva essere la
piccola vendetta messa in atto da Zod per aver fatto domande a sua
figlia sulla sua vita. Il potere dell'organizzazione era davvero
diventato grande e vasto come sembrava. Considerando ciò che
gli era
successo con Armek, e ciò che l'organizzazione faceva alle
persone
scomode, iniziarono a pensare che, dopotutto, fosse meglio
così, per
la sua incolumità. A pensarlo per prima era Megan, che non
vedeva
l'ora di poterlo portare fuori dall'ospedale.
La
ragazza decise di restare lì nonostante non glielo avrebbero
fatto
vedere e Kara passò a prendere la cagnolina Nana dal campus,
o
l'avrebbero lasciata sola chissà quanto. Da quando
arrivò in villa,
Nana sembrò agitata anche se aveva già conosciuto
e odorato il
posto: non faceva che girarsi e rigirarsi e Lena temette che facesse
pipì da qualche parte, pregando Kara di farla uscire in
cortile.
«I
cani sono molto intelligenti», spiegò
quest'ultima. «Forse Nana
capta le emozioni di Megan, la sua padrona. Sente che John si
è
svegliato».
«Oppure
vuole cacare sotto le scale», la indicò Indigo e
Kara andò subito
a prenderla in braccio, prima che dal naso, sul tappeto, ci passasse
la coda. Ci mancava solo che Lillian, dopo aver visto la sciarpa,
decidesse di chiedere il divorzio da Eliza perché la
figliastra
aveva fatto fare i bisogni a una cagnolina sul suo prezioso tappeto.
Aprì la portafinestra superando il pianoforte e la
lasciò fuori,
richiudendo.
«Mi
preparo ed esco, non voglio far tardi», l'avvertì
Lena e si
scambiarono un bacio.
«Hai
bisogno di me in doccia?».
L'altra
le sorrise compiaciuta, portando i suoi occhi in alto e fingendo di
pensarci a lungo. «Ho sempre
bisogno di te in doccia», le baciò il naso,
«Ma non oggi: non devo
far tardi».
La
lasciò per andare al piano di sopra e Kara
sospirò, Indigo la prese
in giro e allora le fece la linguaccia, girandosi per controllare
Nana: era ancora lì davanti e spingeva con la zampa per
aprire la
portafinestra.
Lena
uscì poco dopo per andare alla festa organizzata nella sua
università e Kara si preparò di fretta per uscire
anche lei. Non ne
aveva fatto parola con Lena e, quando gliele chiese Indigo, le disse
solo che andava a far fare a Nana la consueta passeggiata.
La
ragazza si era raccolta i capelli con la sua iconica treccia e aveva
gettato i finti occhiali da vista su una sedia della sala da pranzo,
mettendosi sul tavolo a trafficare con il laptop di Lena e il suo
cellulare collegati. «Anche quando me lo chiederà
Lena dovrò dirle
così…? Una passeggiata?».
Kara
arrossì, imbronciandosi. Non sapeva come, ma riusciva anche
lei a
cogliere le sue bugie. «N-Non te lo chiederà,
tornerò prima io.
Sicura che posso lasciarti sola, invece? Che stai facendo?».
Indigo
le mostrò uno sguardo scocciato come se in fondo, anche se
glielo
avesse detto, non avrebbe capito. Decise di essere sintetica:
«Lavoro
su una nuova app messaggistica con tracciamento dei cellulari
personalizzata che aveva pensato Lena prima di…»,
sospirò, «prima
di accettare l'idea che quel Phillings avesse ucciso suo padre.
È
per via di Kyle, che se n'era andata dalla festa senza dire niente.
In questo modo, ognuna di noi invierà segnali gps alle altre
anche
quando non avrà voglia di scrivere: le manderà la
app in
automatico».
«È
una bella idea, ma… la privacy? Viola un tan-tinello la
privacy».
Indigo
rise finché non si accorse che era seria. «Ah…
Senti, stiamo agendo contro l'organizzazione e quando facciamo robe
come quella, è importante che nessuna di noi sparisca e
basta per
riapparire sui social due giorni dopo e dire scusate,
non avevo voglia di avvertirvi»,
sbraitò Indigo, «O mi sbaglio?».
Beh,
in effetti si era molto preoccupata per Selina, scoprendo che lei, al
contrario, non se n'era preoccupata affatto. L'aveva sgridata, ma non
cambiava la situazione.
«Senti,
rompiballe: la master del gruppo potrà disabilitare la app
quando
vuole con una password e quella master sarà Lena. Non io. Ti
fa
sentire più tranquilla?».
Kara
alzò le mani in segno di resa, girandosi per andare a
prendere Nana
con il guinzaglio in mano. Stiamo.
Non si lasciò sfuggire quella parola: stiamo.
Indigo si considerava parte del gruppo. «Ehi! Non chiamarmi
così».
«Nascondi
meglio quel succhiotto!».
«T-Tu
non guardarlo!».
Era
l'undici di luglio e il sole particolarmente cocente, neanche l'ombra
di una nuvola. Lena parcheggiò al solito posto nel
parcheggio
sotterraneo dell'università e, con il rumore dei tacchi sul
cemento,
si diresse in ascensore. Aveva indossato un fine completo nero, con
pantaloni larghi, aperto sulla schiena e a fascia sul seno; orecchini
dorati e lunghi, pendenti; rossetto rosso scuro; e i capelli tenuti
legati in una coda alta. Sapeva che alla festa sarebbero stati
presenti tutti i pezzi grossi dell'università: dagli
studenti più
abbienti e meritevoli agli insegnanti di rilievo, fino agli ex
studenti che ora erano adulti in carriera, pezzi grossi della
città.
Sapeva perché si trovava lì: da settembre si
sarebbe conclusa la
successione a Lillian alla Luthor Corp, stava diventando un pezzo
grosso di National City anche lei. Era lì perché
una Luthor.
All'improvviso sentì di dover prendere un respiro
più lungo e fermò
l'ascensore, appoggiandosi allo specchio dietro di lei, tremando. I
Luthor che erano malvagi. Lei sarebbe stata lì per
rappresentarli,
perché parte di loro, perché ora era adulta e
sarebbe diventata una
di loro a tutti gli effetti. Quel pensiero le faceva male dentro, da
qualche parte. E aveva ancora il coraggio di pensare che non avrebbe
voluto che sua madre finisse in prigione? Ne andava della loro
famiglia allargata… Magari pensava più al bene
comune che al bene
di Lillian come singola. Aveva una famiglia allargata meravigliosa e
il suo arresto avrebbe distrutto tutto.
Kara
era felice di camminare sotto al sole con Nana che le tirava al
guinzaglio da quando avevano lasciato la villa. All'inizio la
cagnolina non se ne voleva andare, poi si arrese, seguendo altri
odori. Aveva portato la borraccia per lei per quando si fossero
fermate, procedendo piuttosto svelte. Seguendo quell'andatura,
sarebbe arrivata molto prima dell'appuntamento. O quasi, alla fine si
erano fermate perché Nana era visibilmente stanca e, dopo
averla
fatta bere e aver bevuto anche lei, Kara continuò con la
cagnolina
in braccio, coccolandola un po'. Ormai la piccolina aveva anche una
certa età. Inviò una sua foto a Megan,
dispiacendosi di non poter
essere con lei a farle compagnia in ospedale, e arrivò a
destinazione, davanti al loro chiosco all'Angel Children's Memorial.
C'era poca gente, forse perché il sole era ancora troppo
alto, e
Siobhan Smythe non era ancora arrivata. Beh, Kara era in anticipo di
cinque minuti e, conoscendola, lei sarebbe stata in ritardo di almeno
venti, doveva mettersi l'anima in pace.
In
villa, Indigo stava lavorando a gran ritmo su quel progetto. Non era
la prima volta che creava un'app quasi da zero, ma stavolta era molto
importante che riuscisse e in tempo celere. Dopo aver dovuto fingere
di fallire alla festa di Lord con quel video, non voleva di nuovo
deludere Lena. Non voleva, e non doveva. Oh, le mancava
qualcosa…
Forse il suo quaderno degli appunti poteva tornarle utile. Masticando
la cannuccia del succo di frutta, si alzò e corse con le
sole calze
ai piedi al piano di sopra, raggiungendo la sua camera. Il
quaderno…
Il quaderno… Nel cassetto del comodino, probabilmen- Indigo
si
fermò, e il suo cuore si fermò allo stesso tempo.
Il lemure peluche
sul suo letto… il lemure aveva un coltello piantato in pieno
petto.
Cosa… No.
La ragazza si ghiacciò, tornando indietro di mezzo passo,
spalancando gli occhi. Doveva andarsene… subito.
Si voltò in fretta e un urlo muto le scappò dalle
labbra quando la
donna uscì dall'armadio. Veloce, Indigo svoltò
fuori dalla stanza
in corridoio ma lei la strinse con una morsa tra le braccia e
lasciò
che perse la cannuccia, scivolandole dai denti; la donna chiuse con
un calcio la porta della camera e cercò di bloccarla. Indigo
scalciò, tentò di morderla, e urlò
prima che le tappasse la bocca,
non si sarebbe lasciata uccidere senza lottare, ma Carol la
sollevò
da terra dandosi slancio e infine tentò di farla sedere
sulla sedia
davanti alla scrivania, calciandola per sistemarla davanti a lei.
«Shh…
Shh…
Indi, calmati. Calmati, cara, calmati», la spinse col sedere
sulla
sedia, lasciando che la guardasse negli occhi. Oh, si era messa a
piangere… Carol le passò il pollice destro sul
viso, asciugandole
le lacrime, così tolse lentamente la mano sinistra dalla sua
bocca.
«Piccola… Non sono qui per ucciderti, stai
tranquilla, va tutto
bene».
Tutto
bene…?
Aveva piantato un coltello nel petto del lemure ed era spuntata
dall'armadio vestita di pelle nera. Indigo aveva tra la lingua e i
denti il sapore della plastica dei suoi guanti. Se non per ucciderla,
allora per che cosa si era introdotta lì? E come aveva
fatto? C'era
un ottimo impianto di sicurezza e lei stessa lo aveva testato, per
essere certa che non fossero entrati a far del male alle uniche
persone che aveva. Perché Carol era
lì… se non forse per
spaventarla a morte?
Verosimilmente,
agli altri, tra studenti e professori, la rettrice, ed ex studenti in
carriera, Lena Luthor doveva apparire a suo agio. Conosceva solo
pochi di loro, ma parlava con tutti, rideva e scherzava, brindava.
Lena sapeva di non essere al suo massimo perché non faceva
che
pensare alla sua famiglia e a come questo l'avrebbe influenzata, ma
era stata talmente abituata, fin da bambina, a comportarsi in un
certo modo, che le veniva naturale come respirare. Doveva
già essere
stata influenzata, pensò. Era già stato fatto.
Qualunque cosa
avessero di sbagliato i Luthor, lei era già compromessa: non
solo il
sangue, ma l'educazione, il modo di pensare e di comportarsi, tutto.
Era già
come loro. Per un attimo pensò di avere un attacco di
panico, finché
un ragazzo non si avvicinò a lei con un calice in mano e una
bottiglia dall'altra. Tutto si fermò, prese respiro e
tornò lì,
davanti a lui, in quell'aula e a quella festa. Lui le sorrise e lei
si sforzò per fare altrettanto, accettando che le versasse
da bere.
Era un ragazzo non troppo alto, robusto, con un panciotto elegante e
scarpe laccate, i capelli legati indietro in una piccola coda, bassa.
Lo aveva sentito parlare con altri prima ed era un ex studente, uno
di quelli modello, che aveva lasciato l'università col
massimo dei
voti. Ora che ci pensava, il suo ritratto doveva essere affisso in un
corridoio da qualche parte. Forse anche il suo lo sarebbe stato, ora
che se ne andava.
«Avevo
scommesso con un amico che non saresti venuta».
Con
quanta insolenza, pensò. Neanche lo conoscesse, cos'era
quella
confidenza? Lei gli sorrise e lui indicò l'amico non troppo
distante
da loro, che la salutò innalzando il suo calice.
«Cosa ti dava
questa sicurezza?».
«Dicono
tutti che ormai sei troppo snob per noi… Dopo aver
frequentato per
un periodo il pupillo di Gotham Bruce Wayne, noi dobbiamo apparirti
come delle nullità, dico bene?», rise e bevve un
sorso, poggiando
il bicchiere sul tavolino accanto.
Oh,
lei neanche ricordava di aver finto una relazione con Bruce Wayne, in
quel momento. Era così che appariva agli altri? Una snob? Di
certo,
Lillian sarebbe stata più felice se avesse davvero avuto una
relazione con Wayne. Sarebbe stata più adatta a lei, al nome
dei
Luthor. «Eppure… eccomi qui».
«Eccoti
qui…», ripeté il giovane.
«Sei molto bella stasera, comunque. E
a breve diventerai una delle signorine più potenti di
National City.
Non che tu ora non lo sia praticamente
già…». Il suo sguardo la
squadrò attentamente da capo a piedi, focalizzandosi sul suo
seno,
come se lei non se ne accorgesse. «Come ti fa sentire? I
Luthor
hanno tutto e tu… tu erediterai ogni cosa. E»,
cambiò tono di
voce, «hai già un nuovo compagno, a proposito?
Bruce Wayne non sa
cosa si è perso».
Lei
lo guardò negli occhi, glaciale, riservandogli un
altrettanto freddo
sorriso. «E neanche tu». Gli versò il
contenuto del suo bicchiere
in faccia e si allontanò, sentendo l'amico del suo
spasimante
ridacchiare sotto i baffi. I
Luthor hanno tutto.
I
Luthor hanno tutto.
No, lei poteva avere ancora una scelta. Poteva ancora salvarsi
dall'essere come loro.
Stava
per andarsene che la rettrice e una donna che non conosceva la
fermarono, pregandole di ascoltarle perché avevano qualcosa
da
offrirle. Da offrire a lei?
All'Angel
Children's Memorial, Kara aveva aspettato Siobhan per ben quarantotto
minuti. Il sole stava sparendo per lasciare il posto alla sera e il
parco si era riempito di bambini e famiglie. L'unica cosa che
riuscì
a dirle fu che c'era troppo caldo per uscire di casa. Non ci pensava
neanche a una scusa da darle.
«Ringrazia
che sono uscita solo
per te,
semmai», le lanciò un'occhiata seccata.
«In questi giorni c'è
troppo caldo anche per vivere». Si lamentò ancora
sventolando una
mano e infine le chiese se potesse allontanare il cane che le stava
odorando intorno, quasi temesse per la sua vita.
«Hai
paura dei cani, Siobhan?».
«Non
ho paura delle bestie…»,
fece una smorfia, «è solo che puzzano».
Guardò Nana con orrore,
divincolandosi finché Kara non pensò di prenderla
in braccio.
«Non
è una bestia», brontolò. Le
carezzò la testolina pelosa,
imbronciandosi e coprendole le orecchie per proteggerla dalle sue
parole, inviandole poi un bacio.
Lei
la guardava con sconcerto. «Sì, come ti
pare», sventolò una mano
e guardò solo per un attimo Nana che, a lingua all'infuori,
la
osservava. Quando la abbaiò saltò dallo spavento,
chiedendo
all'altra di farla smettere. «Allora, vuoi sapere cos'ho
scoperto
per
te,
o vuoi continuare a giocare a minacciarmi con quella
bestia?».
«Nana
non è una bestia, e su, dammi qua».
Incredibile,
ma Siobhan Smythe le era stata utile davvero. Conservò i
fogli nel
suo zainetto e la ringraziò.
«E
così è stato lui?», domandò
Siobhan, mettendo le braccia sui
fianchi. «È stato questo Phillings a uccidere
Lionel Luthor? Un
tizio che lavorava per lui! Tipico».
«Non
lo sappiamo ancora», Kara si accigliò.
«Le indagini non stanno
andando da nessuna parte».
«Roma
non è stata costruita in un giorno»,
boccheggiò, fingendo
disinvoltura. «E ora vado a casa, pietà, ho
bisogno di abbracciare
il ventilatore. Credo che, con questo, io mi sia sdebitata
abbastanza. Ora siamo pari, biondina». Le lanciò
un'occhiata al
collo e formò un sorriso sghembo.
Kara
si rabbuiò e Nana l'abbaiò, forse anche lei
perplessa. «Sdebitata
di cosa?».
Davvero
Kara Danvers non ricordava i suoi singhiozzi terrorizzati al telefono
quando Rhea Gand mandò quegli uomini ad ucciderla alla
CatCo? Oh
beh, allora non era il caso di rinfrescarle la memoria, dopotutto.
L'importante era che avesse pareggiato i conti. «Lasciamo
perdere»,
la salutò con un gesto, attenta a non avvicinarsi troppo.
«Ci
vediamo, bestia».
«Non
chiamarla bestia».
«Stavolta
non mi riferivo a lei», sogghignò, toccandosi il
collo e facendola
avvampare. «Sei così innocente che sei tu a farmi
paura». Scosse
la testa e se ne andò.
In
villa, Indigo era ancora seduta sulla sedia nella sua camera.
Tremava, era sudata, non riusciva a respirare normalmente. Carol si
era introdotta lì e l'aveva quasi fatta morire di paura. Se
n'era
andata da poco, e lei non riusciva a calmarsi. E avrebbe dovuto farlo
preso, perché non solo doveva tornare al lavoro al piano di
sotto,
ma presto o tardi una delle due sarebbe tornata a casa e lei doveva
far finta di niente.
«Si
farà sentire presto», le aveva detto Carol
riguardo lui,
che da quella festa era sparito. «Mi aveva solo chiesto di
venirti a
trovare, cara. Era molto deluso per delle informazioni
inesatte».
«N-Non…»,
Indigo aveva deglutito, «I-Io lo avevo aggiornato, lui mi
aveva
ignorata! E avevo fatto come mi aveva chiesto», si era
difesa, «mi
sono fatta da parte». Poi aveva stretto i denti, respirando a
fatica, cercando di essere forte: «Allora deve essere
più chiaro,
quando parla con me».
Carol
aveva scosso la testa. «Non intende per il video».
Dopo aveva
deciso di andarsene, sbadigliando. «Il fuso orario mi sta
uccidendo…
Come si chiama? Jattlog
qualcosa. Ero fuori per lavoro e non sono ancora tornata a casa. Non
vedo l'ora di fare i biscotti con Amber e Adam. Magari te ne metto da
parte un po'. E scusami per questo… ti prego».
Credeva avesse già
qualcosa per cui scusarsi, invece si era avvicinata alla tigre bianca
di peluche, anche quella sul suo letto, e l'aveva decapitata davanti
ai suoi occhi.
Indigo
non poteva descrivere cosa provasse in quel momento e, prima che la
donna uscisse, aveva avuto il coraggio di chiamarla:
«Ca-», aveva
preso fiato a pieni pomoni, «Carol». Per fortuna
lei si era fermata
davvero, pronta ad ascoltarla. «Perché fai questo
per lui…? È
davvero… lavoro?». Le faceva schifo pensare che
alcune persone
facessero certe cose per lavoro. Lei aveva fatto cose orribili prima
che l'arrestassero. Veniva pagata perché era brava e
internet era il
suo regno. Aveva distrutto la vita di tanti, senza toccarne nemmeno
uno di persona. Aveva la coscienza pulita, allora? Era lavoro. Anche
quello che faceva per lui era iniziato come un lavoro. Un lavoro come
un altro. Così si guadagnava da vivere: distruggendo gli
altri. Ora
quel pensiero le faceva schifo. Che quello fosse il karma venuto a
chiederle il conto? L'aveva vista sospirare, prima di decidere di
risponderle.
«No,
non è lavoro, cara», scosse pacatamente la testa,
continuando a
sorriderle. «Lui non è davvero così
come sembra. Nel profondo, è
molto dolce anche lui; ha sofferto tanto e non riesce a mettersi
l'animo in pace. È molto disilluso e hanno cercato di
infondergli un
odio che nemmeno gli apparteneva. Il mio
cuginetto…», aveva
lasciato cadere la frase, abbassando gli occhi prima di guardarla di
nuovo e sorriderle con dolcezza. «Non vuole davvero che
qualcuno si
faccia male, la sua è solo facciata, Indi. Comportati bene.
E non
dovremo rivederci presto. Oh!
E non dirgli che te l'ho detto».
Il
mio cuginetto…
Indigo
si alzò dalla sedia, trascinando le gambe pesanti come
macigni, e
raccolse la testa della tigre bianca. Aveva perso dell'ovatta tra il
tappeto e il letto e, inchinata, pensò di rimettergliela
all'interno, o almeno ci provava. Doveva ripulire tutto prima del
loro ritorno. Abbracciò la testa e trattenne il fiato, con
gli occhi
azzurri pregni di lacrime.
Phillings
e Carina Carvex? Dopo
aver chiuso il cancello ai cavalli della villa insieme a Lena,
più
tardi, Kara ricontrollò i documenti che le aveva passato
Siobhan
Smythe su quell'uomo, all'interno della sua camera. I suoi
informatori avevano scoperto che una donna lo andava a trovare spesso
al suo vecchio indirizzo e, sia ricercando il suo identikit negli
archivi e sia parlando con il ragazzo della portineria del palazzo,
l'avevano identificata come l'agente del D.A.O. Carina Carvex, la
partner di sua sorella Alex. Secondo il portinaio, l'ultima volta
lì
si era precipitata con un piede di porco. E, secondo Indigo, lui alla
festa fumava in bagno… di nascosto? Carvex era alla festa.
Lui
stava appresso a Maxwell Lord, paonazzo. Che avesse usato il padrone
di casa per proteggersi da lei? E perché? Quali erano i loro
rapporti? Inviò un messaggio ad Alex con le foto dei
documenti, non
aveva tempo per telefonarle. Nascose tutto sotto il letto e
uscì,
trovando Nana che odorava in corridoio come un segugio, osservandola
poi masticare qualcosa. Era di nuovo strana da quando
tornarono… La
prese in braccio e la spupazzò, scendendo insieme di sotto.
«Dove
l'hai trovata questa?», le tolse da bocca la cannuccia da
succo di
frutta. Indigo!
Aveva l'abitudine di lasciare sempre tutto in giro!
Quella
notte restò lì e, dopo cena, fuori in cortile e
sedute sugli sdrai,
finalmente Lena vuotò il sacco circa cosa le era capitato
quell'oggi
alla festa dell'università. Indigo si era chiusa nella sua
camera
molto presto e la cagnolina Nana si era coricata ai loro piedi, dopo
aver aspettato che Megan arrivasse, davanti al portone della villa.
Per fortuna, alla ragazza avevano concesso di vedere John, ora che
l'ospedale era più tranquillo. Le permisero di passare
lì la notte
ma, questo, Kara non poteva spiegarlo a Nana.
«Una
cattedra?», lei spalancò gli occhi dalla sorpresa
e la vide
arrossire, sorridendo pacatamente. «Ti hanno proposto di
andare ad
insegnare?».
«Storia
dell'arte», la informò, guardando le stelle.
«Ma…
Ma è meraviglioso, Lena», si portò
dritta con la schiena di colpo,
facendo spaventare Nana, che rizzò le orecchie.
«È-È proprio ciò
che… Tu sei portata per la storia dell'arte! Ti piace! E ti
piace
insegnare! Ah»,
la indicò con un dito quando la vide fare una smorfia con la
bocca,
«Non provare a dirmi che non è vero! Questa
è la tua occasione».
Lena
non aveva avuto il coraggio di rifiutare. Aveva detto loro che ci
avrebbe pensato e avevano continuato a spiegarle in che istituto
sarebbe stata, in che classe, quando poteva iniziare se avesse
accettato, quando avrebbe avuto le ferie e altri mille dettagli. Non
erano neanche sicure che tutto questo sarebbe poi rimasto uguale a
come lo raccontavano. Sembrava… bello. Proprio quando si
stava
mettendo in testa che poteva essere diversa dal resto dei Luthor, le
si era paventata questa possibilità. L'aveva colta
così di
sorpresa… Aveva sempre saputo che sarebbe finita a lavorare
alla
Luthor Corp. Non poteva diventare un'insegnante perché era
una
Luthor. Ma l'idea di esserlo le piaceva da impazzire. «Credi
che io
possa farcela?». Finalmente si voltò, guardandola
negli occhi. «Non
ho mai pensato di avere una scelta».
«Ricordi
cosa mi dissi quando ero decisa a entrare in un corpo di polizia con
Mike?», la fissò con serietà:
«Sei tagliata per questo incarico,
Lena. Hai letteralmente gli occhi che si illuminano quando parli di
arte, qualunque
tipo di arte,
ne sai sempre una in più dei documentari e non vedi l'ora di
rimetterti a lavorare per la mostra! E ami insegnare alle ragazze a
cui facevi da turor. Sapevi che era un impegno e-e le hai guidate
nonostante fossi oberata, portandole a concludere degli esami
importanti. Prova a scegliere per te, lascia da parte il nome della
tua famiglia. Lillian si arrabbierebbe, sì, ma…
voglio dire, non
sarebbe la prima volta che la fai arrabbiare», sorrise,
«con
l'unica differenza che ora si parla di una scelta che ti cambierebbe
tutto. Non precluderti questa possibilità! Non farlo a te
stessa».
Zitta,
gli occhi verdi le si riempirono di lacrime e abbassò il
capo per
asciugarseli, arrossendo e cominciando a ridere e annuire.
«Ci
penserò».
Kara
l'aiutò ad asciugarsi gli occhi, accarezzandole il viso. Si
baciarono, sotto la luce delle lampade.
«Inchiodata!»,
Alex batté un piede, al chiosco nella piazza, pensando a
Carina
Carvex. Era passata una settimana da quando Kara si fece dare quei
documenti da Siobhan Smythe e da quando l'avvertì per
messaggio, ma
leggere per bene le varie dichiarazioni su quei fogli in mano era
più
appagante. «I miei dubbi dall'inizio sono fondati,
è
nell'organizzazione e mi prende in giro da sempre».
Kara
era più perplessa. Non che dubitasse di Carvex e
l'organizzazione,
ma… «Ormai ce ne sono così tanti
ovunque che cominci a chiederti
chi
non è
nell'organizzazione, sorellona, siamo piene all'orlo». Che
avesse
ragione Lena, almeno un po'? «È così
importante smascherare
proprio lei?».
Alex
arrossì appena, distogliendo lo sguardo.
«Sì, lo è». Flirtava
con lei da tempo e le interessava sapere se era per conto loro o
meno. Eccome. Ma, non fosse altro, scagionare suo padre aveva la
priorità e proprio a causa sua e di quella telefonata quando
arrestarono Armek a Marsington non riusciva più a fidarsi.
Intanto,
in televisione, la quasi totalità dei programmi tv come i
talk show
e i telegiornali non facevano che parlare del loro fratellastro Lex
Luthor, di quelle pillole e di Maxwell Lord, e Roulette, che era
stata intervistata a proposito del suo arresto e della sua relazione
con i due giovani da una conduttrice famosa che l'avrebbe mandata in
onda in prima serata a giorni. La ragazza si dichiarava ancora
innocente. Pure Lillian era apparsa in televisione, ripresa a
Metropolis mentre scendeva da una lussuosa macchina pronta a
raggiungere la loro proprietà, dove abitava il figlio.
Sapevano che
lei ed Eliza erano andate a trovarlo, quando scoppiò il
caso. Anche
Eliza apparve per brevi secondi in schermo, lontano, intenta a
scendere dalla vettura. Kara si teneva ancora in contatto con Lucy
Lane che le giurava che le acque si stavano muovendo per vie legali e
che tutto si sarebbe trascinato fino a settembre, senza entrare nei
dettagli.
«Senti,
sorellina», la guardò a sottecchi e Kara si
voltò, appoggiata sul
corrimano in ferro del chiosco. «E se tornassimo a qualche
vecchia
abitudine?», Alex sorrise con fierezza, «Ci serve
il suo telefono».
Lei
fece una smorfia con le labbra. «E come pensi di
fare?».
«Una
festa per l'arresto di Phillings? Al
bowling?»,
Lena alzò un sopracciglio quando glielo proposero, andate in
villa
per riprendere Nana. «Perché proprio al
bowling?».
«N-Non
ci sei mai stata, Lena?», le domandò Kara. Stava
sudando freddo;
non potevano parlargliene o avrebbe dovuto dirle che stava indagando
su Phillings che per lei era un caso chiuso, ma la sua agitazione per
poco non si tagliava con il coltello e Alex le diede una spallata,
simulando un colpo di tosse.
«Il
bowling è divertente, il salone è spazioso. Siamo
giovani»,
commentò lei, «dovremo pur goderci come si deve
questa vittoria».
E
la musica è alta e ci saranno le luci psichedeliche,
aggiunse Kara per sé. Perfetto per un furto.
«Non
ci sono mai stata», Lena abbassò lo sguardo, per
poi annuire con
sempre più convinzione. «Facciamolo. Voglio
provare a giocare».
«Questo
è lo spirito giusto, Luthor», Alex le diede
manforte e Kara
l'abbracciò.
«E
se poi Carvex decidesse di non venire?», bisbigliò
quest'ultima
alla maggiore solo pochi attimi più tardi.
Alex
si accigliò. «Verrà»,
fissò un punto vacuo, «Verrà di
certo».
Jackson
Ur Phillings aveva conosciuto i Luthor nel
millenovecentosettantacinque, iniziando a lavorare per loro quando
aprirono a nuovi settori della loro azienda che un giorno si sarebbe
evoluta nella Luthor Corp attuale. Alex gliene parlò a un
nuovo
interrogatorio, con una foto di Lionel Luthor sul tavolo, leggendo
davanti a lui alcuni passaggi della sua vita. Phillings si era deciso
a fare scena muta fino a quando non gli avessero elargito una nuova
sigaretta, ma non era così che funzionavano le cose e ci
tenevano a
farglielo capire. Aveva lavorato per la famiglia Luthor per gran
parte della sua vita ed era stato licenziato nel duemilasei, dunque
perché uccidere Lionel Luthor nel lontano
duemiladiciassette? Undici
anni di vuoto erano tanti! Com'era che avesse deciso di mettere in
moto la sua vendetta proprio allora e non molto prima? Mancava
qualcosa. Carvex era entrata con lei e fissava insistentemente l'uomo
in manette. Phillings, d'altro canto, da quando c'era lei si
comportava in un modo ancor più strano: la sfidava con lo
sguardo,
quasi in modo arrogante e, se non battesse le mani sul tavolo
dall'astinenza, avrebbe dato una maggiore impressione della sua
sicurezza.
«Ho
ucciso Lionel Luthor perché lo odiavo»,
ribadì quando riuscirono a
farlo parlare, dopo un po'. «E ora datemi quella maledetta
sigaretta, per piacere».
Doveva
essere uno che fumava davvero molto per non riuscire a resistere
qualche ora e Carvex lo sapeva bene; per poco non gli sputò:
«Dovrai
guadagnartela».
Lui
ebbe un sussulto, solo un secondo. «Lo odiavo, cos'altro
c'è da
dire, eh? Lo odiavo così come li odio tutti quegli impiastri
che si
credono i re e regine di questa città! Lionel Luthor si dava
tante
arie e un giorno ho deciso che lo avrei soppresso. È tutto.
Voglio
la mia sigaretta!».
Alex
diede uno sguardo alla collega vicino e lei se ne accorse, poggiando
le mani sul tavolo e piegandosi verso il sospettato.
Inaspettatamente, sorrise. «Magari questa è
l'occasione giusta per
smettere».
Lui
sbiancò e prese a urlare in preda agli spasmi quando le due
agenti
lo chiusero dentro da solo.
«Lo
conosci, Carina?».
«Eh?
Conoscerlo?».
«Sì…
Sembrava lo conoscessi, e che lui conoscesse te».
Lei
le regalò un grande sorriso, aprendo la porta per la saletta
adiacente, collegata dal vetro. «Forse perché
passo le notti a
leggere ciò che abbiamo di lui e mi sembra di conoscerlo. A
te non
succede mai, partner?», entrarono. «Mi disgusta. Ha
fatto cose
veramente orribili, non pensi anche tu?».
Le
aveva mentito in un battito di ciglia, davvero brava. Alex si
domandava quante volte lo avesse fatto, forse anche su come si era
fatta quel livido al collo. Maggie le aspettava e, sapendo che erano
solo loro tre, lei e Alex si lasciarono andare a un veloce bacio,
ignorando la presenza della collega. «È stato lui
senz'altro», le
disse Alex. «Hai sentito poco fa? Quell'uomo è
fuori di testa: li
odia davvero. Ne parlavo giusto ora con Carina».
Maggie
annuì, sorridendo a entrambe. «Almeno Lena
potrà tornare
tranquilla alla sua vita. E la festa? Si è deciso cosa
fare?».
Forse ci stava mettendo troppa enfasi, doveva risultare naturale.
«Oh,
sì», la cinse per i fianchi. «Abbiamo
prenotato al bowling: Lena
non ha mai giocato e sarà divertente». Allora si
voltò verso
Carina, rimasta in disparte. «Che idea! Perché non
vieni anche tu?
Ci saranno degli amici, non puoi mancare. Festeggiamo l'arresto! Un
altro assassino consegnato alla giustizia. Non accetto un no
come risposta… partner». La vide dondolare sul
posto, puntando
altrove lo sguardo e formando un sorriso. Era
sua.
Una
festa per l'arresto del dottor Jackson Ur Phillings. Forse solo Lena
e pochi altri che non conoscevano i retroscena erano convinti che
quell'uomo fosse al cento per cento l'assassino di Lionel Luthor, ma
non importava, a quella festa dovevano crederci tutti o fingere che
fosse così perché funzionasse. Avevano affittato
la pista,
commissionato un buffet, portato da bere e invitato chiunque venisse
loro in mente. Più gente sarebbero riuscite a portare,
più la
confusione sarebbe stata maggiore. Questa volta non ebbe da ridire
nemmeno Indigo, quando la invitarono.
Quando
ancora non erano che solo loro, Kara giocò con Lena quasi
esclusivamente da sole, aiutandola a capire il gioco. Alla prima le
sembrava che la boccia fosse troppo pesante e si fece accompagnare
più volte verso la pista con le braccia di Kara su di
sé,
saltellando quando beccava i birilli.
Alex
si era seduta davanti a loro, con Indigo vicino, silenziosa.
«Secondo
me lo fa apposta», bisbigliò, indicandogliele con
lo sguardo. «Come
si fa spiegare tutte le regole e se l'abbraccia… occhio alle
mani…», si voltò indietro e
riguardò l'orologio, aspettando che
la festa potesse davvero iniziare. «Ormai non hanno
più neppure la
briga di fingere di essere sorellastre e basta». Vide Lena
venire
verso di loro, con un enorme sorriso stampato in faccia.
«Scommetto
che hai capito subito come si gioca, eh?».
Lei
aprì una bottiglia davanti a loro, riguardando la sua
ragazza e
versandosi un bicchiere. «Campionessa per due anni
consecutivi, non
dirlo a Kara», mandò giù d'un sorso e
la raggiunse di nuovo in
pista, chiedendole come funzionasse il tabellone per il punteggio.
Alex
riguardò Indigo, riservandole un'occhiata saccente.
«E tu, invece?
Cos'hai? Da giorni sei più silenziosa del solito e non
istighi più
Kara. Finiremmo per preoccuparci». Le sorrise d'istinto, come
se a
intuito avesse capito che ne aveva bisogno.
«Tutto
normale. Come al solito».
La
sua risposta era così scostante: Alex la tenne d'occhio.
«Se ti
serve qualcosa, puoi parlarcene».
«Non
devo parlare con nessuno, sorella maggiore, hai capito male».
A quel
punto si alzò e sentì lo sguardo di Alex Danvers
seguirla lungo la
pista. Se ne andò verso i bagni, dando una spallata al
palestrato
che entrava in quel momento.
James
Olsen fu il primo ad arrivare, alzando le braccia per farsi notare.
«È qui la festa?».
Le
luci psichedeliche c'erano, l'alcol c'era, gli stuzzichini c'erano,
la compagnia c'era anche quella: Alex e Kara ne rimasero soddisfatte.
Dopo
James che per fortuna lavorava da quelle parti, arrivarono anche
Maggie e Charlie Kweskill dopo il lavoro, Winn li raggiunse qualche
minuto dopo scusandosi perché credeva di essere in ritardo e
Lucy
Lane arrivò appena prima che alzarono la musica, attaccando
la
playlist. Non sapeva ci sarebbe stato anche il suo ex ragazzo, ma per
loro non sembrò un problema, mettendosi subito a giocare.
Quando era
tutto avviato, cominciarono ad arrivare anche alcune delle ragazze
della squadra di lacrosse in cui giocavano Kara e Megan. Kara le
andò
ad abbracciare come se non fosse mai successo nulla tra loro,
ringraziandole. Con sorpresa di quest'ultima, due di loro chiesero
scusa non nascondendo imbarazzo per come si erano evolute le cose in
squadra, sperando potessero farlo anche le altre. Kara era sempre
più
convinta che sarebbe riuscita a riconquistarle. Con loro, qualcuna
aveva portato anche delle amiche e i rispettivi ragazzi e altri
amici, così cominciò a crearsi atmosfera. Appena
Kara le lasciò,
scambiò uno sguardo complice con Alex, lontane, che salutava
con
Maggie tre amiche della classe di yoga che prima frequentavano,
arrivate con i loro compagni e qualche amico. Megan li raggiunse poco
dopo, felice che potesse divertirsi un po' senza l'ansia di sapere
John in coma. Era riuscita a trascinare con sé anche
qualcuno che
frequentava i suoi corsi alla Sunrise, entusiasta che alcune delle
ragazze della squadra fossero venute davvero. Saltò addosso
a due di
loro quando seppe che avevano chiesto scusa. Con meraviglia di Lena,
alla festa si unirono le ragazze a cui aveva fatto da tutor,
nonostante quello non fosse proprio l'ambiente che frequentavano di
solito. Forse per questo quando arrivò Siobhan, che non era
sicura
affatto di volerci essere fino al momento di entrare là
dentro, si
attaccò a loro, o almeno finché non
scoprì che erano più
interessate ai muscoli di Charlie Kweskill e James Olsen che ai suoi
discorsi. Non che quei due quando flettevano i bicipiti…
beh, in
fondo, sembravano interessanti anche a lei.
Carina
Carvex non era ancora arrivata e Alex adocchiò nuovamente
l'ora,
dando anche uno sguardo a Indigo, seduta lontano da tutti. Il
tabellone nella pista davanti a loro segnò un altro strike e
Lena
esultò trionfante, tornando dagli altri giocatori.
Kara
non credeva ai suoi occhi, appoggiata schiena a un tavolino, accanto
alla sorella. «Ha imparato davvero in fretta».
La
videro buttare giù d'un sorso il contenuto di un bicchiere e
sfidare
un ragazzo che prendeva la boccia. Alex inarcò un
sopracciglio.
«Ssì.
Un talento naturale…».
Megan
venne a prendere quest'ultima e lei lasciò detto alla
sorella di
dire a Lena che era con lei quando avesse finito quella partita,
correndo dalle ragazze del lacrosse per fare tutte insieme un
brindisi di pronta guarigione del loro vecchio coach John Jonzz. Non
importava che si fosse scoperto un agente del D.A.O. sotto copertura,
per loro era sempre il coach. Per Megan anche qualcos'altro, ma lo
tenne per sé.
Alex
guardò di nuovo l'ora e cercò con lo sguardo
Maggie, dall'altra
parte, che giocava con Charlie e un altro gruppo, di cui facevano
parte James e Lucy. Carina era in ritardo. Ma sarebbe venuta, lo
sapeva. Forse sarebbe stato il caso di divertirsi e giocare anche
lei, mischiarsi con gli altri, per non destarle sospetti quando si
sarebbe fatta viva. Stava per alzarsi che scorse il valletto, no, il
segretario di Lena, o meglio il suo assistente, Winn, avvicinarsi
cautamente a Indigo che era sola. Alex sapeva che lavoravano insieme.
Forse lui sarebbe riuscito nell'ardua impresa di capirla un po'.
Arrivarono
altre due amiche dello yoga e studenti della Sunrise, e Carina ancora
non si faceva vedere.
Intanto,
quando smise di giocare o per meglio dire di stracciare gli altri,
Lena si prese qualche minuto per parlare alle ragazze a cui aveva
fatto da tutor della cattedra in storia dell'arte che le avevano
proposto; le interessava sapere la loro opinione, potevano aver avuto
un'anteprima di quale professoressa sarebbe potuta essere. Kara la
vide parlare con loro dalla pista, e all'improvviso abbracciarle. Un
po' troppo all'improvviso. Ma almeno doveva essere perché
aveva
ricevuto pareri positivi.
«Quanto
sta bevendo?», Lucy prese una boccia, toccando a lei, e Kara
riguardò Lena. «Aah…
solo quattro giù. Che schifo. Devo aver perso le forze
quando ho
distrutto James».
«Un
pochino più del solito», rispose Kara, guardando
la ragazza dopo di
loro che lanciava. «Ma non voglio dirle niente…
È una festa e
hanno arrestato l'assassino di suo padre, e ha ricevuto una bella
notizia, anche se è incerta sul da farsi,
quindi…».
«Ma
non hai caldo?», si indicò il collo: Kara
indossava una maglia a
collo alto, non era nel suo stile.
Avvampò,
ingigantendo gli occhi. «S-No, no, oggi volevo- stavo bene
con
questa».
Risposta
vaga e imbarazzante. «Quindi è sicura che sia
stato questo
Phillings?». Vide Kara scrollare le spalle mentre la teneva
d'occhio
nell'andare a scambiare due parole con Indigo e Winn. «Il
fatto che
abbia confessato comunque lascia da pensare. Se è stato lui
è un
incosciente», osservò Lucy, «l'aveva
scampata fino ad ora. Se non
è stato lui, invece, perché confessare e darsi
tanto da fare?».
Effettivamente,
Kara non aveva riflettuto di questo lato della faccenda: cosa
potrebbe guadagnarci quell'uomo nel confessare un delitto non
commesso? Continuò a guardare Lena e, quando Lena
guardò lei,
arrossì. Ma l'altra si accigliò e Kara
sussultò. Perché quello
sguardo? Cosa le aveva fatto? Lucy la scrollò con una
stretta:
toccava a lei.
«Otto»,
Lucy le sorrise. «C'eri vicinissima! Peccato».
Poco
più lontano, Maggie e Charlie bevevano seduti davanti a un
tavolino.
Si stavano godendo un piccolo momento di pace. La ragazza quasi si
dispiaceva di aver lasciato Jamie con la babysitter anche quella
sera, ma sentiva il bisogno di staccare, anche se la festa era nata
solo affinché Alex incastrasse la sua collega. Non che
l'idea le
dispiacesse, dopotutto: più aveva a che fare con quella
Carvex, e
meno le piaceva. «Carina Carvex è dei
vostri?». Se lei era
un'infiltrata non le avrebbe risposto, ma d'altra parte…
«Charlie?». Era incantato al gioco davanti a loro.
O forse non
proprio
al gioco. «Ti piace?».
«Eh?».
Lui si voltò scattante in sua direzione.
«Credevo
uscissi già con qualcuno».
Il
ragazzo si grattò la nuca. «Abbiamo preso due
caffè, non ci sto
insieme…».
Maggie
rise, inclinando la testa da un lato. «Allora prova a
buttarti».
«Tu
dici?».
«Perché
no?».
Lui
indugiò, gonfiando le guance e continuando a bere.
«Tu, invece?
Stai ancora fissando la notifica della disponibilità? Non
glielo hai
ancora chiesto?».
Maggie
arrossì, abbassando gli occhi. La notifica sul cellulare,
già. Sì,
si era solo limitata a guardarla. Non vedeva l'ora che l'anello fosse
disponibile e poi non aveva fatto nulla. Ma la vita andava avanti,
doveva
andare avanti, organizzazione o meno. Non avrebbe avuto un momento
giusto,
doveva farlo e basta. «Chiedere a una persona di sposarti non
è
facile come sembra».
«È
facile eccome», bevve lui, avvicinandole una mano per
stringerle un
polso. «Compra l'anello, va' da lei, guardala negli occhi e
fa' la
magia: sii spontanea, ma decisa. Andrai alla grande, Mags».
Lei
sorrise di nuovo. Sembrava così facile davvero. Sarebbe
stato
assurdo chiedergli di essere il suo testimone?
«Beh,
io vado», si alzò di scatto. «Mi butto
come hai detto tu. Fammi
gli auguri! Se va male, me la prenderò con te che mi hai
detto di
farlo, intesi?», accennò una risata.
«Ah,
Charlie?», il ragazzo si fermò subito, ma lei
indugiò: «… ah,
nulla. Solo… Carina Carvex? Ti dice niente?».
«Quella
del D.A.O.?».
Lei
scosse la testa e lui sorrise, tornando in pista. In tutti i sensi.
Kara
vinse per un soffio e alzò le braccia al cielo, mentre le
ragazze
che giocavano con lei e Lucy si complimentavano, convinte che non le
servissero delle pillole per essere la migliore. «Potete
giurarci
che è così», riferì Lucy,
sollevandosi le maniche della maglia
fine che indossava e passandosi una mano sulla fronte sudata.
Cominciava a far caldo là dentro. «Se pensate
davvero che Kara, che
Kara Danvers, abbia assunto delle pillole solo per giocare meglio di
voi, allora non avete capito niente di lei»,
proseguì, «Di come è
fatta, o della sua vita». Kara la pregò di lasciar
perdere e la
tirò a un braccio, ma lei sembrava determinata a
strigliarle: «Loro
sono le tue vecchie compagne di squadra? Ma ti conoscono o no? Kara
si fa in quattro per tutti, anche per voi! E non avete idea di cosa
ha passato per quelle pillole». Sentirono qualcuna di loro
chiedere
scusa e allontanarsi pacatamente, così anche Kara
tirò via lei,
accostandosi a uno dei tavolini. «Scusa, non ci ho visto
più…».
«Ti
senti bene? Come va con tuo padre?».
Lei
tardò a rispondere, prendendo da bere. «Mi ha
messo in panchina, ma
me lo aspettavo. Non ha l'autorità per congedarmi o
l'avrebbe fatto,
quindi mi ha solo rimandato a casa fino a data da
destinarsi».
Kara
si rabbuiò. «Mi dispiace, Lucy».
Lei
sorrise, scuotendo appena la testa. «Non vedo l'ora di
parlarne bene
a quattrocchi con Lois. Sarà felice di sapere che non
è più
ufficialmente la figlia che ha più problemi con nostro
padre».
Paninetto
in bocca, Kara si guardò attorno ma non trovava
più Lena, in
compenso era finalmente arrivata Carina Carvex e per poco non
sputò
tutto. Aveva ragione Alex: non sarebbe mancata. Cercò anche
lei ma
c'era troppa confusione e non la vedeva. Un'arma a doppio
taglio…
Per di più, non rispondeva al cellulare. Ora capiva
l'importanza
dell'app che stava sviluppando Indigo.
«Ehi,
Kara». Lucy attirò di nuovo la sua attenzione.
«Quello non è il
collega di Maggie Sawyer?».
Aguzzò
la vista e, anche se sotto luci blu e verdi, era chiaramente Charlie
Kweskill quello che palpava i bicipiti di James con tanto interesse.
James Olsen forzava il muscolo e ne parlava compiaciuto, vantandosi
degli ultimi allenamenti. Al tempo stesso, guardava e chiedeva dei
pettorali dell'altro. Le due ragazze li guardarono interessate,
annuendo e facendo delle smorfie compiaciute.
«James
lo avrà capito che ci sta provando con lui?».
Kara
scosse la testa. «Non ne sono sicura…». Ah!
Carina Carvex! Si girò subito ma l'aveva persa. Doveva
trovare Alex
e dirglielo. Chiese scusa a Lucy e la lasciò, chiedendo a
due
ragazze dello yoga se l'avevano vista, andando verso un'altra pista
del salone. D'improvviso, due braccia la colsero alle spalle e per
poco non saltò addosso a un ragazzo dallo spavento.
«L-Lena!
Dov'eri finita?». La ragazza aveva le guance imporporate,
aveva
visibilmente bevuto troppo.
«Ho
accompagnato qui fuori Indigo e Winn… Winslow», le
sorrise,
avvicinandosi a lei un po' troppo e con uno strano
sguardo, troppo
strano
considerando quanta gente c'era. Cosa aveva in mente?
«Starà a
dormire da lui, qui si stavano annoiando e avevano un torneo in non
so quale gioco, da concludere», ci pensò,
«Forse qualcosa sulle
macchine, non mi ricordo». L'abbracciò ma Kara si
divincolò da lei
pian piano, anche se non sembrava prenderla bene.
«B-Beh,
sorellastra
mia»,
precisò a voce alta. «Mi aiuteresti, p-per favore,
a ritrovare
l'altra
tua sorellastra
cioè mia
sorella maggiore?
È importante».
«Certo»,
le sorrise passandole avanti e Kara sospirò. «Cosa
avete in mente,
voi due? Avete sempre qualcosa in mente, voi due. Da quando vi
conosco. Non riesco a starvi dietro».
«Ma
no, pff»,
ridacchiò nervosa, «niente». Carina
Carvex: eccola, aveva appena
fatto strike a un tabellone. Il suo cellulare…? Forse poteva
pensarci lei. Chiese a Lena di seguirla e insieme si avvicinarono al
tavolino correlato, fingendo disinvoltura, scorgendo la borsetta
incustodita. Una coppia si stava baciando sul divanetto davanti, se
faceva abbastanza in fretta non l'avrebbero vista infilarci una mano.
«Kara».
«Ah!»,
saltò di nuovo dallo spavento, togliendo la mano dalla
borsetta e
nascondendola alle sue spalle.
«Si
sente la mancanza di Willis, non è vero?», Lena si
avvicinò di
nuovo pericolosamente a lei, allungando la mano sinistra alla schiena
dell'altra, sfiorandole la mano. «Scusa», la
lasciò andare
all'ultimo, vedendo che aveva le orecchie rosse dall'imbarazzo,
nonostante le luci blu e verdi. «È che sono un po'
su di giri».
Kara
si guardò into- oh,
la coppia le fissava. Per fortuna non li conosceva. E c'erano le luci
psichedeliche. Beh, tanto non stavano facendo nulla di sconveniente,
nulla!
Ridacchiò di nuovo, sempre più nervosa, e si
allontanò di poco,
appoggiandosi di spalle al tavolino vicino, vuoto. «Leslie
sta
ancora male?», le provò a chiedere, sperando di
farle cambiare
argomento.
Lena
allungò un sorriso, contenta che glielo avesse chiesto.
«Lo sarà
per nove mesi». Rise quando vide Kara spalancare gli occhi.
«Ricordi
quando sono andata da lei? Non aveva il coraggio di affrontare un
test di gravidanza da sola, così l'ho accompagnata per
comperarlo e
ho aspettato fuori dal bagno», raccontò.
Leslie
era uscita strepitante di gioia, girando alla vittoria!
«È
negativo! Diventerò credente e andrò a pregare
ogni giorno! L'ho
scampata per poco», le aveva mostrato il test, davanti alla
porta.
«Andrò dal medico sul ritardo, magari da ora
comincio a prendere la
pillola, ma tutto risolto, tanta ansia per nulla».
«Leslie,
è positivo».
«No».
«Sì».
«No».
«Ti
dico di sì». Si era avvicinata, mostrandole la
legenda sul
significato delle due lineette e Leslie Willis si era congelata in
espressione funerea.
«Cazzo».
A
Kara venne da sorridere e a Lena con lei. «Nessuno ancora lo
sa…
Doveva restare un segreto, veramente», allora rise e Kara
arrossì.
Era
bellissima. Aveva bevuto un po' troppo, ma era così pura e
naturale
che, per un attimo, avrebbe voluto mandare al diavolo la loro
relazione segreta e baciarla davanti a tutti. Se ne sarebbero
preoccupate il giorno dopo. Oh!
La
coppia le guardava ancora. Ma non avevano di meglio da fare, come
controllarsi le tonsille a vicenda come stavano facendo fino a un
secondo prima, magari? Si distrasse il momento in cui udirono una
ragazza urlare su quanto amasse una canzone che prese per mano Lena,
decidendo di riprendere la sua ricerca di Alex. «Vieni, sorellastra
mia»,
alzò la voce, «A-Andiamo a cercare l'altra
tua sorellastra,
cioè mia
sorella».
Beh, dopotutto era meglio rimandare.
Neanche
il tempo impiegato a cercarla o a cercare di prendere quel cellulare,
che lo aveva già lei e la ritrovarono in bagno, dopo aver
chiesto a
Maggie, intenta a scoprire la password. C'era da aspettarselo.
«Sicure
che non si sblocchi con l'orma del pollice?»,
suggerì Lena.
Alex
aveva scritto a matita su un tovagliolo tutte le possibili varianti,
ma aveva due soli tentativi rimasti.
«Potremo
prenderle il pollice e portarlo qui con un sacchetto del
ghiaccio».
Kara
e Alex la guardarono allibite. «Ma quanto ha
bevuto?», domandò la
seconda, incerta. Mancarono le parole a entrambe le Danvers quando
un'amica dello yoga uscì da uno degli scomparti, le
salutò e finse
di non aver sentito, mentre cercava di lavarsi in fretta per uscire
dai bagni il prima possibile.
«Accidenti!
Ho un'altra sola possibilità», Alex
tentò, ma era un salto nel
vuoto. Non avevano neppure un indizio, solo cose che Alex credeva di
sapere di lei.
Non
c'era Indigo ad aiutarle e alla fine decisero di non rischiare di
bloccarlo, uscendo sperando che controllare nella sua borsetta le
avrebbe portate alla soluzione ma, quando poggiarono il cellulare,
questo non c'era già più. Era stato un attimo e
Carina stava ancora
giocando, non poteva essere stata lei a riprenderlo.
Avevano… perso
la loro occasione.
«Se
vi fa sentire meglio… la festa è un
successo». Almeno Lena
imbevuta d'alcol trovava il lato positivo in ogni cosa. O quasi ogni
cosa. Bastò che Lucy tornasse a rivolgere la parola a Kara
perché
quest'ultima capisse subito il perché di quello
sguardo
quando stava giocando con lei. Normalmente Lena manteneva la propria
gelosia a livelli accettabili; era abituata, da Luthor, a saper
fronteggiare le cose a sangue freddo, ma se la quantità
d'alcol
giusta arrivasse a toglierle certe inibizioni… «Mi
sono stufata di
vederti con la cresta sempre alzata quando sei appresso alla mia
ragazza».
«Sorellastra!»,
Kara le urlò sopra, censurando la parola. Tentò
di bloccarla, ma
Lena la scansò.
«Cos'era
che dicesti a casa mia?», domandò lei a denti
stretti. Lucy guardò
Kara e Kara guardò lei, ma Lena era partita in quarta.
«Ah, già,
lo ricordo: sei una grande sostenitrice della nostra relazione».
«Amicizia!».
«Sai
invece cosa penso io?», proseguì Lena, puntandole
contro un dito e
facendola indietreggiare fino ad appoggiare la schiena a un tavolino.
«Che sei gelosa. Che sai che Kara ama
me-».
«Amaramente!».
«E
la cosa ti fa stare malissimo», Lena strinse un pugno e Lucy
le
labbra, deglutendo; smise di guardare Kara. D'altra parte, lei
iniziò
a guardarla sotto una nuova luce. «Hai ancora una cotta per
lei,
vero? È così. Schifosamente. Evidente».
A
quel punto, Alex e Maggie richiamarono tutti quelli distratti alla
festa e ai tabelloni segnapunti, in modo che avessero qualche
spettatore in meno. Quella storia di certo non riguardava nessuno di
loro. Anche Carina Carvex smise di ascoltare, mettendosi alla ricerca
del suo cellulare con un sorriso.
«È…
vero, Lucy?», Kara arrossì. Non se n'era accorta.
Lei e Lucy
avevano avuto un flirt e, ammetteva, con lei c'era sempre un non
so che
di fondo che sapeva non sarebbe mai stato di più, ma forse
quel
non so che,
per Lucy, aveva dimensioni maggiori.
Lei
aprì la bocca lentamente, distanziandosi dal tavolino e
vergognandosi abbastanza per non riuscire a sollevare lo sguardo. Non
all'inizio, se non altro. «È… vero. Mi
piaci ancora», sorrise e
Lena sospirò.
«Va
bene, quantomeno lo hai ammesso», sentenziò lei,
smettendo di
attaccarla. «Meno occhi dolci da adesso in avanti, Lane. Lei
è la
mia
ragazza».
Kara
arrossì talmente che non si accorse che avrebbe dovuto
censurare la
parola.
«Ed
è anche la mia,
di ragazza», Alex tentò di metterci sopra una
toppa e sentì alcuni
sguardi addosso, così ridacchiò anche lei. Il
nervosismo era
contagioso. «La nostra…
sorellina».
La
festa al bowling era stata… un successo. Va bene, non erano
riuscite a sbloccare quel cellulare e ad immergersi nella tela di
segreti di Carina Carvex né a scagionare Jeremiah, ma si
erano
divertite e, se Kara e Lena erano fortunate, forse nessuno degli
invitati avrebbe parlato fuori di lì di ciò a cui
avevano
assistito. Sperare che non avessero capito era un insulto alla loro
intelligenza.
Non
seppero che era stato Charlie Kweskill a sottrarre il cellulare
rubato di Carina e a restituirglielo fuori dal complesso.
«Carvex»,
gli era spuntato alle spalle e lei lo aveva aspettato davanti alla
sua auto, così le aveva mostrato il maltolto. «Hai
perso la testa.
Occhio a dove lasci le tue cose».
Come
lui non poteva sapere che lei lo aveva lasciato incustodito di
proposito.
Appena
se n'era andato, aveva controllato che il cellulare fosse integro,
notando che avevano tentato di accedere senza successo. «La
password, cara Alex, è facile». P-a-r-t-n-e-r
digitò veloce, sbloccandolo. L'aveva messa apposta per lei,
sperava
ci sarebbe arrivata.
Non
seppero che Charlie aveva visto Alex Danvers pendere quel telefono
dalla borsa, ma che, di lì a poco, sarebbe stato impegnato,
e non
aveva potuto fermarla.
Chiusi
nel bagno degli uomini, Charlie gli aveva circondato il volto con le
mani e gli aveva accarezzato i lineamenti, poi si era avvicinato.
James era rimasto immobile, con gli occhi aperti, aspettando che lo
baciasse.
Non
seppero neppure che, nel momento in cui loro attiravano gran parte
dell'attenzione degli invitati, Siobhan Smythe aveva suggellato una
nuova amicizia con le ragazze a cui Lena aveva fatto da tutor,
facendo un selfie insieme e scambiandosi i numeri del cellulare. Ma
dopotutto, a nessuna di loro importava saperlo.
Prima
ancora che la festa finisse, Kara decise di portare via Lena in modo
che si riprendesse. Qualcuno si offrì di accompagnarle, Lena
non
poteva certo guidare, ma infine quest'ultima telefonò
direttamente a
Ferdinand l'autista che le venisse a prendere. Vecchie abitudini. Si
sdraiò sui sedili posteriori e appoggiò la testa
sulle cosce di
Kara, calde, chiudendo gli occhi. La sentì accarezzarle i
capelli.
«Grazie
per la disponibilità», Kara spezzò il
silenzio. Fuori dal
finestrino, National City era luminosa e chiassosa, piena di vita. Le
notti d'estate erano le sue preferite. «E ci scusi
se… l'abbiamo
disturbata a quest'ora».
Lui
le guardò appena attraverso lo specchio retrovisore
dell'auto,
impassibile. «È il mio lavoro».
A
volte Kara si domandava se fosse un uomo o un robot.
Le
lasciò in villa che questa notte sarebbe stata completamente
loro e
Lena mise a fare la tisana sul fuoco, dopo essersi lavate e cambiate.
Non se ne erano accorte prima, ma in fondo erano stanche e
continuavano a pensare e a ripensare a quella giornata e a quelle
precedenti. A Phillings, ai Luthor, alla cattedra in storia dell'arte
e, naturalmente, alla gelosia di Lena. Molte delle attenzioni di
entrambe andarono a quest'ultimo punto. Kara si appoggiò al
bancone
della cucina e Lena la guardò di straforo. Nel silenzio
della villa,
si ritrovarono a sorridersi.
«Perdonami…»,
Lena si avvicinò a lei pian piano, camminando con le sole
calze
corte ai piedi. «Ero un po' brilla. Non dovevo scattare in
quel modo
con Lane, ho combinato un pasticcio». Senza tacchi ancora si
meravigliava quanto diventasse bassa davanti a Kara, anche lei con le
sole calze. La vide fare una smorfia con le labbra, puntare lo
sguardo al cielo e, in un attimo, scoppiare a ridere, rossa sulle
gote.
«Mmh…
F-Forse qualcuno avrà capito che io
sono la tua ragazza», disse, continuando a guardare da
un'altra
parte. Lena si lasciò andare a un brusio con la gola e,
abbassando
il capo, lo appoggiò sul suo petto.
«Ho
combinato un pasticcio…», ribadì in un
lamento.
«Beh»,
deglutì, «Probabilmente. M-Ma un giorno lo
sarebbero venuti a
sapere comunque. E… devo ammettere che-», si
interruppe quando
scorse Lena rialzare la testa, appoggiandosi a lei con il suo corpo,
«che… non mi è dispiaciuto affatto come
tu abbia messo in chiaro
che io sia… la tua ragazza», trovò il
coraggio di guardarla negli
occhi. «Non mi è… dispiaciuto che ne
fossi gelosa».
Lena
ansimò e con il ginocchio destro riuscì a
mettersi in mezzo alle
sue cosce. La circondò con le mani e le insinuò
sotto la sua
maglietta, sulla pelle calda, e morbida. Non indossava il reggiseno.
Alzò la testa il tanto per guardarle le labbra con desiderio
e
portargliele via in un bacio, socchiudendo entrambe gli occhi.
Schiuse le labbra piano e sentì le braccia di Kara
stringerla a sé.
«Lo avevo già messo in chiaro quando ti ho fatto
questo», le leccò
il succhiotto sul collo e la sentì sospirare. Si baciarono
di nuovo,
più forte e più a fondo. «Kara, andiamo
di sopra», le sussurrò
e, neanche il tempo di aggiungere un'altra parola, che lei la
sollevò
portandosela in braccio, facendola spaventare. «No, Kara, no!
Non
così, dai!,
ho paura»,
le uscì la voce stridula e la costrinse con un colpo a
tornare
indietro per spegnere il fuoco sulla tisana. «Mettimi
giù».
«Ma
sono la tua
ragazza».
«Che
obiezione è? Ti prendo a calci, così».
Kara
passò metà rampa di scale a prendersi calci di
paura e l'altra
metà, una volta messa Lena a terra, a prendersi pizzicotti e
buffetti per non averla messa a terra prima. Al sentire la
mia ragazza
rivolta Lucy, a Kara era sembrato diverso. Non avrebbe saputo
spiegarlo. Poteva essere sembrato un nulla di che, ma invece era
tanto. Stringerla e fare l'amore, toccarla con i polpastrelli e con
le labbra, con la lingua, quella notte, le era sembrato un
suggellamento di quelle parole, un metterci la firma. Era la sua
ragazza.
Non
riuscirono a prendere sonno, dopo. Lena la stringeva a sé e
giocava
con i suoi capelli, poggiata accanto al suo seno scoperto. Forse
tutte e due avevano ancora molto a cui pensare, anche se erano
stanche.
«Kara»,
la chiamò e lei attese. «Quell'uomo non ha ucciso
mio padre».
Neppure
Indigo poteva dormire. Non che riuscisse sempre a dormire a lungo
durante la notte, ma da quando Carol le fece visita e
decapitò la
sua tigre bianca era diventato molto difficile lasciarsi andare e
coccolare da Morfeo. Aveva giocato con Winn come promesso e, dopo
averle di nuovo chiesto come stesse, il ragazzo le aveva lasciato la
sua camera e se n'era andato a dormire sul divano nel salottino. Se
anche uno come lui aveva intuito che qualcosa non andava, significava
che doveva riprendersi in fretta. Non poteva permettersi che le
facessero domande a cui avrebbe dovuto mentire. E poi, come un
fulmine a ciel sereno, neanche immaginasse che era ancora sveglia,
quello che aveva deciso di chiamare angelo
custode
si era fatto risentire dopo giorni di chiassoso silenzio:
Dovevo
capire come mi sarei dovuto approcciare di nuovo a te, Indigo. Mi hai
deluso, ma non capiterà più.
Lei
si passò le mani sul viso e, facendosi forza, gli rispose:
Mi
hai punito per qualcosa di cui non avevo colpe.
Ci
aveva impiegato più di quanto si aspettasse a risponderle:
Me
ne rendo conto. Perdonami, se puoi. Non interpretarlo come un segno
di debolezza, ho semplicemente capito di aver preteso troppo da parte
tua.
Da
Me a X
Jackson
Ur Phillings ha ucciso Lionel Luthor?
Da
X a Me
Lena
Luthor voleva un colpevole e gliel'ho dato. Sono solito a mantenere
la parola data.
Indigo
strinse i denti e il telefono sotto le dita, cominciando a sentire la
pressione salire e il suo corpo, così umano, a sudare. Così
umano.
Da
Me a X
Voglio
chiederti un favore: voglio tornare in prigione.
Da
X a Me
In
prigione? Non dovrai tornare in prigione, quando finirai con questo
incarico.
Da
Me a X
Mi
sono sopravvalutata, questo incarico non è adatto a me e
alle mie
competenze. La prigione è dove merito di stare.
Il
cellulare si bagnò di lacrime. Tutto quello che era stato,
che era
successo… Non poteva essere dalla parte di Lena neanche
volendo, lo
aveva capito tardi. Era così, dopotutto, che Carol era
entrata in
villa Luthor-Danvers: lei aveva controllato il loro impianto di
sicurezza, e loro controllavano lei. Senza saperlo, era stata lei a
farla entrare. Poteva schermarsi e sbatterli fuori dai suoi dati e
accessi, certo, ma avevano loro il coltello dalla parte del manico; e
la tigre bianca poteva diventare qualcun altro. Ogni mossa che faceva
non era libera. Non l'avrebbe mai lasciata libera…
Da
X a Me
Desolat*,
non posso. È a causa mia? Ti ho fatto paura? Devi fare per
me ancora
un'altra cosa. Quest'altra cosa e dopo avremo chiuso, Indigo. Se
andrà secondo i piani, non avrò motivo di tenerti
ancora sotto le
mie dipendenze.
Lei
spalancò gli occhi azzurri, intanto che le dita che
stringevano il
cellulare avevano iniziato a tremare.
Da
oggi potrai mettere in pratica la seconda parte del piano. Come
preferisci, quando vuoi tu. Non abbiamo troppa fretta, fai che sia
naturale.
Non
voleva… Indigo strinse gli occhi bagnati, asciugandoseli con
il
lenzuolo.
Da
Me a X
Ti
vuoi vendicare dei Luthor per tuo padre? Howard? O di Lex Luthor e
vuoi distruggere la loro famiglia?
Trattenne
il respiro nell'aspettare la risposta a quelle domande. Forse aveva
osato troppo. E aveva paura. Il suo cuore batteva impazzito, per poco
rischiava di ingoiarlo. Non avrebbe dovuto fargli quelle domande, era
stata una stupida. Una stupida. E non poteva cancellarle, ormai lui
aveva visualizzato. E stava scrivendo…
Da
X a Me
Sei
arrivata fino a questo punto? La tua è solo
curiosità o ti sei
davvero innamorata di lei? Tutto questo non ti riguarda, Indigo: io
erogo gli incarichi, tu li esegui. Sei cambiata da quando stai con
loro. Sono genuinamente felice per te, ma ti prego, non farmi
arrabbiare anche tu. Completa il piano con la seconda parte.
Buonanotte, Indigo.
Lei
strinse i denti. Non era innamorata di lei! Era solo che…
Era solo
che lei, loro… erano…
Da
Me a X
La
mia è solo curiosità. Non sono cambiata.
La
sua famiglia. Loro erano la sua famiglia.
Da
Me a X
Phillings
odiava i Luthor, ma se non è stato lui, allora chi
è stato? Anche
tu odi quella famiglia e hai sempre detto di sapere chi è
stato.
Da
X a Me
Sei
curiosa fino a questo punto? La curiosità ti ha reso chi
sei, non è
vero? E va bene.
X
sta scrivendo…
Da
X a Me
Sono
stato io.
Capitolo
in ritardo
di una settimana, scusatemi, ma la settimana scorsa non ho potuto.
Vi
è piaciuto? Sono
successe un bel po' di cose… alcune interessanti, e
altre…
Beh,
possiamo
cominciare da Phillings! Ha o non ha ucciso Lionel Luthor? Lena si
era decisa a credere che fosse colpevole, voleva l'assassino e voleva
chiudere il caso, ma troppe cose non tornavano e ora è
arrivata alla
conclusione che non sia stato lui. Ma perché confessare un
delitto
non commesso? Specialmente quando hai una dipendenza da nicotina come
quella… A quanto pare il garante di Indigo ci ha messo lo
zampino.
Lo aveva detto, in un capitolo scorso, che avrebbe dato a Lena
l'assassino che tanto voleva trovare. Peccato che, ops, a Indigo
abbia appena confessato di essere stato lui D: Il garante ha ucciso
Lionel Luthor!
Abbiamo
avuto anche
dei piccoli indizi su di lui, però, da Carol e da Indigo.
E
a proposito di
Carol e Indigo… Rip tigre bianca peluche. Regalata da Lex a
Indigo,
hai avuto una vita breve, ma intensa. Beh, anche il lemure peluche si
è beccato una coltellata.
È
bello perché
Nana la cagnolina sentiva che c'era qualcun altro in villa, ne
sentiva l'odore, e ha perfino trovato la cannuccia che aveva Indigo
in bocca quando era stata presa da Carol in corridoio… ah,
se solo
i cani potessero parlare!
E
poi, e poi, Carina
Carvex! Ora le ragazze hanno le prove che Carina è una
bugiarda
patologica, o quasi. In fondo non hanno sbloccato il suo telefono e
non hanno potuto scagionare Jeremiah Danvers. Almeno la festa al
bowling è stata una bella festa e Charlie ha flirtato con
James, che
si è lasciato andare °° Il potere dei
bicipiti! E abbiamo fatto
luce sulla notifica sul cellulare di Maggie! Vuole chiedere ad Alex
di sposarla, anche se non pensa sia una cosa facile da fare. Infine,
Lena ha sentito il bisogno di mettere i puntini sulle i a Lucy
riguardo Kara. Ops.
Cosa?
Leslie è
incinta?
E
ora spendo qualche
parola riguardo il futuro di Our home:
è di nuovo in pausa.
Non sono riuscita ancora a finire il prossimo capitolo, mi dispiace,
ma devo anche ammettere che mi viene davvero difficile scrivere
questa storia, ultimamente. Lo so, di nuovo, ma non posso farci
nulla. Anche se ho le idee ben chiare e so cosa scrivere e dove
andare a parare, il modo in cui lo faccio non mi piace, non mi
convince, e anche questo capitolo mi pare sia venuto su con la forza,
che non abbia sentimento. Magari a voi non darà le stesse
sensazioni, ma a me sa di compitino senza pretese, senza anima. E non
è così che voglio concludere questa fan fiction
per me molto
importante. Quindi nulla, sono costretta alla pausa ma va bene
così,
sono distratta e non giova a questa storia.
Ringrazio
chi mi ha
sempre sostenuto e… tornerò. Non so quando, ma
spero solo con dei
capitolo scritti con l'anima dentro, e non compitini.
Alla
prossima!
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