Mappazze aeronautiche, su
Rieducational Channel!
E
niente, vi posto il solito mezzo capitolo, sperando come sempre che
non vi abbia ancora sfrangiato le gonadi.
Grazie
a tutti quelli che mi stanno seguendo, enormi ringraziamenti a chi mi
lascia un parere!
Buon
divertimento (si spera)!
Capitolo
10
“Sorpreso
di vedermi?” chiese il Werwolf.
Von
Knobelsdorff lo contemplò in silenzio: primo reggimento ussari della
guardia, quelli che ai tempi di Blücher erano noti come gli 'Ussari
della Morte'.
“È
veramente lei?” chiese diffidente.
“Che
intende dire?”
“Se
è veramente il principe von Thurn und Taxis o se questa è una delle
sue infinite identità, come il prete diretto al fronte o il
contadino francese.”
L'uomo
sorrise lieve, come se si fosse aspettato proprio quell'obiezione.
“Karl Ludwig Amadeus von Thurn und Taxis,” si presentò poi in
tono formale, accompagnando il nome con un secco battere dei tacchi.
“Maximilian
von Knobelsdorff,” si presentò a sua volta il tenente, “ma penso
che lo sappia già, non è così?”
Il
Rittmeister annuì.
“Come
ha fatto a trovarmi?”
“È
stato facile.”
Von
Knobelsdorff fece una breve risata. “Sempre questa sua mania di non
rispondere alle domande, vero?”
“E
la sua mania di farne,” rispose l'ussaro sullo stesso tono. “Non
è cambiato per nulla.”
“Nemmeno
lei.”
Il
tenente scosse appena la testa, come di fronte a qualcosa di
scarsamente comprensibile che però non manca di verificarsi, poi
chiese: “E la sua ferita come va? Almeno questo me lo può dire?”
L'altro
si avvicinò di qualche passo, giungendo a fermarsi proprio di fronte
a lui, poi rispose: “Molto meglio, grazie.” Fece una pausa, poi
in tono più morbido precisò: “Grazie a lei.”
Von
Knobelsdorff non poté fare a meno di notare che nei suoi occhi erano
ricomparse quelle sfumature azzurre che aveva descritto con tanto
trasporto a Hoffmeyer. “Ho solo fatto quel che potevo,” rispose
distogliendo lo sguardo.
La
voce del Rittmeister lo richiamò alla realtà: “E le sue ferite
come vanno?” Prima che lui potesse replicare, gli prese una mano e
la tirò verso di sé come per far arretrare la manica. “I polsi
sono guariti, mi sembra.”
Von
Knobelsdorff si fece indietro come se fosse stato toccato da un ferro
rovente, tanto che il brusco movimento fece traballare un tavolino
che si trovava sulla sua traiettoria.
Von
Thurn und Taxis sorrise, e l'azzurro divenne più intenso. “Attento,”
gli raccomandò, protendendosi come per aiutarlo a ritrovare
l'equilibrio.
“Sto
bene,” gli disse asciutto il tenente, in tono forse più duro di
quanto si fosse riproposto. “Sto bene, è tutto in ordine.” Gli
rivolse uno sguardo torvo e arretrò di un paio di passi. “Perché
è tornato?” chiese poi.
Con
la più grande tranquillità, il Rittmeister rispose: “In fondo
sono un sentimentale: desideravo rivedere un vecchio amico.”
Il
tenente aggrottò le sopracciglia. L'inquietudine che l'aveva
assalito quando l'altro gli aveva preso il polso non voleva
abbandonarlo. Si sentiva teso, come pronto a scattare. Era certo che
i suoi battiti fossero più rapidi del normale. “Amico?” ripeté,
come se la parola gli suonasse sconosciuta.
L'altro
annuì calmo, poi gli chiese: “Lei come definirebbe un amico, ad
esempio?”
“Io...”
Von Knobelsdorff tacque spiazzato. Per quanto faticasse a dare
dell'amicizia una definizione esaustiva, gli era comunque chiaro che
si trattava di un sentimento che aveva a che fare con fiducia,
simpatia, affetto e reciproca scelta. Fissò lo sguardo
sull'enigmatico personaggio, che anche dopo essersi presentato con
nome, cognome e reparto di appartenenza manteneva un'impenetrabile
aura di mistero, e rispose: “Un amico è una persona di cui ci si
può fidare.”
“E
io non mi sono fidato di lei, quando ha pilotato l'aereo nel buio?
Lei non si è fidato di me in tante occasioni?”
“Non
avevo scelta.”
L'ussaro
scosse la testa. “Una scelta c'è sempre. Solo i deboli si
raccontano di non averla.”
Di
nuovo von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia. In tono duro gli
chiese: “Quindi io sarei un debole?”
“No,
è proprio per questo che la invito a non usare una scusa così
patetica.”
“Bah.”
Il tenente fece un gesto come per scacciare un insetto. “In guerra
si fanno spesso cose pericolose facendo affidamento sui commilitoni.
Questo non implica che si sia amici, comunque.”
L'altro
alzò le spalle e rispose: “D'accordo, vedo che non riesco a
convincerla. Mi fa molto piacere comunque constatare che si è
ristabilito così bene.”
“È
stato lei a intervenire?”
Von
Thurn und Taxis sollevò le sopracciglia. “Prego?”
“Stavano
per fucilarmi come traditore, e ora sono qui. È lei che devo
ringraziare, signor capitano?”
“Temo
di sì.” Il Werwolf gli rivolse quel suo sorriso freddo e vagamente
sornione, che un po' lo faceva imbestialire, ma un po' forse lo
affascinava anche, poi soggiunse: “Come intende pagare il suo
debito?”
Il
tenente aprì la bocca intenzionato a rispondere con qualche
insolenza, ma in quel momento si fece udire una lieve vibrazione dei
vetri. “Stanno tornando!” esclamò. Subito raggiunse la finestra
e prese a scrutare ansiosamente il cielo.
Von
Thurn und Taxis lo raggiunse. “I suoi colleghi?” domandò. Guardò
a sua volta il cielo.
Il
tenente annuì senza staccare gli occhi.
“Come
mai lei è a terra? Marca visita per caso?”
Già
con lo sguardo torvo, von Knobelsdorff stava per girarsi con
l'intento di rivolgergli una tagliente replica, ma in quel momento
gli aerei spuntarono da dietro una nube e si misero in fila per
cominciare le procedure di atterraggio.
Senza
aggiungere altro, abbandonò la finestra e corse fuori.
Contò
gli aerei e con soddisfazione appurò che erano tutti presenti. Gli
Albatros erano ancora sagome nere in lontananza, ma già li scrutava
con le mani dietro la schiena cercando di capire se ce ne fosse
qualcuno danneggiato.
I
meccanici uscirono dagli hangar e si fermarono a rispettosa distanza
da lui, anch'essi intenti a fissare lo stormo in avvicinamento.
“Sembrano
tutti a posto,” constatò Kramer.
Un
altro rise e ribatté: “Come fai a dirlo? A cinquanta metri non
distingui un Albatros dal camion dei rifornimenti!”
Qualcuno
ridacchiò.
Lungi
dall'offendersi, col tono di chi la sa lunga, il capo meccanico
rispose: “Non si sente nessun rumore strano.”
Si
aggiustò sulla testa il vecchio Krätzschen unto d'olio motore.
Gli
aerei frattanto stavano prendendo terra uno dopo l'altro, e già nel
rullaggio venivano seguiti da gruppetti di meccanici pronti a
rifornirli di benzina e munizioni.
Von
Knobelsdorff vide poi un Albatros avvicinarsi in modo strano.
Aggrottò le sopracciglia preoccupato, ma si accorse che
quell'anormalità era intenzionale: il pilota stava scuotendo le ali.
Il
tenente sorrise fra sé e sé: quello era un segno di trionfo.
L'aereo
si avvicinò ancora ed egli identificò i colori di Hoffmeyer. Attese
che il collega spegnesse il motore e gli corse incontro. “Allora?”
volle sapere, prima ancora di essere faccia a faccia.
Il
collega, con gli occhi accesi e l'espressione raggiante, rispose: “Un
abbattimento!”
“Ecco
perché facevi tutto quel can-can in finale!”
“Ballavo
di gioia,” ammise l'altro stringendosi nelle spalle.
“Attento,
che se ti vede il Vecchio ti spedisce a riordinare la corrispondenza
fino alla fine della guerra.”
Camminando
fianco a fianco, i due si allontanarono dall'Albatros. Hoffmeyer si
tolse la cuffia da pilota e si strofinò un fazzoletto sul volto
annerito dagli scarichi del motore, poi disse: “Lo sai che cosa si
dice del Vecchio?”
“Che
è un ottuso maniaco del regolamento?”
“No,
che con tutti gli abbattimenti che ha potrebbe ricevere tre Pour le
Mérite, ma non gliene importa nulla.”
“Impossibile,”
sentenziò von Knobelsdorff.
“Eppure
a te ha salvato la vita, no?”
L'altro
alzò le spalle. “È quello che avrebbe fatto chiunque per un
camerata in difficoltà, persino io per lui. Kunz ragionerà anche
come un burocrate, ma su certe cose è come noi.”
“Volevo
dire che è un ottimo pilota.”
“Peccato
che le sue scarse qualità umane rovinino tutto.”
I
due fecero una risata e proseguirono verso l'edificio degli alloggi.
Nell'aria aleggiava l'odore delle vivande che venivano allestite
nella mensa per 'rifornire' i piloti mentre i meccanici rifornivano
gli aerei e ricaricavano le armi.
Von
Knobelsdorff lanciò uno sguardo di nostalgia ai velivoli e disse:
“Raccontami un po' del tuo abbattimento.”
“Un
osso duro,” rispose Hoffmeyer. “Un Bristol Scout agile come un
dannato furetto, mi ha fatto sudare sangue.”
“Sono
gli avversari che preferisco.”
“Già,
non c'è gusto a fare la caccia alle anatre.”
“No
davvero.”
Mentre
procedevano, von Knobelsdorff pensava al principe von Thurn und
Taxis. Si sentiva stranamente emozionato all'idea di presentarlo al
collega. Cos'avrebbe detto? Ovviamente non poteva dire la verità, ma
poteva sempre tirare in ballo qualcosa che avesse a che fare con le
ascendenze aristocratiche che entrambi possedevano. Avrebbe potuto
raccontare a Hoffmeyer che lui e il principe avevano un parente in
comune, ad esempio.
Si
stupì della disinvoltura con cui da qualche tempo inventava balle.
Oppure, più che balle, versioni della realtà che rassicurassero
l'interlocutore e lo rendessero felice di procedere su una falsa
pista. Il suo collega, per esempio, era del tutto convinto che da
qualche parte ci fosse una bella valchiria bionda che grazie a lui
pilotava l'apparecchio.
La
storia gli era talmente piaciuta – forse perché anche lui avrebbe
desiderato vivere un'avventura del genere – che non aveva nemmeno
sospettato che non fosse la verità.
Si
chiese se classificare quella sua nuova competenza tra le abilità o
i vizi. Scassinare una serratura, ad esempio, richiedeva perizia e
precisione, ma si trattava di una cosa di cui andare fieri?
Attraverso
le ampie finestre iniziò a scrutare all'interno, ma non vide da
nessuna parte la snella figura di von Thurn und Taxis.
Il
Werwolf era scomparso.
L'unica
traccia che trovò di lui fu un portasigarette d'oro con monogramma,
appoggiato negligentemente su una consolle.
Non
pensò nemmeno per un attimo che l'avesse dimenticato. Lo intascò
discretamente, sicuro che sarebbe arrivato il momento in cui
l'elusivo agente segreto si sarebbe presentato per chiederlo
indietro.
Si
chiese se fosse una specie di messaggio che aveva voluto lasciargli.
Qualcosa come una relazione esclusiva fra loro, che tagliava fuori
chiunque altro.
La
voce di Hoffmeyer lo distrasse: “Cosa cerchi?”
Egli
sfilò rapido la mano dalla tasca. “Niente.” Lo raggiunse, con il
peso dell'oggetto che gli batteva contro la coscia a ogni passo.
“Niente, mi stavo solo annoiando. Trascorro le giornate a contare i
pezzi di ricambio come una specie di intendente, non ne posso più.”
“Eh,
ti capisco.”
“Io
penso che il Vecchio ce l'abbia con me.”
“Il
Vecchio è imparziale, tratta male tutti.”
Si
diressero alla mensa, dove ordinanze in guanti bianchi stavano
servendo ai tavoli, e presero posto.
Hoffmeyer
attese che gli venisse portato il caffè, ne sorbì un sorso e disse:
“Ormai ti ho raggiunto, eh.”
Von
Knobelsdorff annuì e rispose: “Se il Vecchio continua a tenermi a
terra, anche la famosa aviatrice metterà insieme più vittorie di
me.”
L'altro
assunse l'espressione consapevole di chi ha capito tutto e gli
chiese: “Pensi a lei?”
“Penso
di più al mio aereo,” rispose von Knobelsdorff. “Kramer mi ha
detto che le ali sono così distrutte che non vale la pena di
ripararle, devo aspettarne uno nuovo.”
Hoffmeyer
fece una risatina. “Non so se otterrai il Pour le Mérite, ma
secondo me tra un po' una decorazione te la faranno avere gli
inglesi: hai fatto fuori più aerei tedeschi della maggior parte dei
loro piloti!”
“Spiritoso.”
“Uno
l'hai sfasciato in atterraggio prima di andare dalla tua bella...”
“Non
è la mia bella,” interloquì asciutto von Knobelsdorff.
L'altro
non se ne diede per inteso. “Uno, dicevamo, prima della tua
missione galante,
chiamiamola così, e l'altro appena hai ripreso servizio. La Albatros
Flugzeugwerke lavora
solo per te, ormai.”
“Non
è la mia bella e non ho sfasciato proprio niente in atterraggio,”
puntualizzò von Knobelsdorff. “L'aereo era già così danneggiato
che sono stato fortunato a raggiungere il campo. Von Stade, che a
differenza di certe altre persone era un signore, non mi disse
niente, se ben ricordi.”
Sorbì
un sorso del caffè che nel frattempo gli era stato portato. Gli
altri si stavano già preparando a uscire di nuovo; se guardava
fuori, vedeva gli Albatros già pronti e riforniti, con i meccanici
in attesa di far partire i motori.
Si
alzò e fece girare lo sguardo tutt'intorno: piloti che parlottavano
fra loro, scambiandosi scherzi e battute, una generale aria di
entusiasmo. Apparentemente immune a quel clima, Kunz sedeva un po' in
disparte, approfittando della pausa per compilare un foglio d'ordini.
In piedi al suo fianco, il furiere attendeva deferente.
Si
ripromise di andare a parlargli alla fine della giornata di volo: per
quanto lo riguardava, la faccenda di rimanere a terra come uno
scritturale qualsiasi mentre i camerati volavano e ottenevano
vittorie era già durata anche troppo.
§
Quando
il pericolo incombe, gli uomini appartenenti alla stessa tribù o
alla stessa famiglia tengono in minimo conto la vita dei propri
simili; ma un gruppo che si è consolidato con l'amicizia radicata
nell'amore non si scioglie mai ed è invincibile, perché gli amanti,
per paura di apparire meschini agli occhi dei propri amati, e gli
amati per lo stesso motivo, affronteranno volentieri il pericolo per
soccorrersi a vicenda.
The
Bishop sollevò la tazza e sorbì un lento sorso, quindi la posò
nuovamente sul piattino, decorato con motivi floreali bianchi e blu.
Riconobbe la porcellana di Meißen, peraltro piuttosto diffusa, lì
in Germania.
Attraverso
le vetrine del caffè lasciò vagare lo sguardo sulla piazza: c'erano
dei bambini che si rincorrevano. Davano l'idea di essere due bande
rivali, che si affrontavano in una sorta di battaglia fatta di
schiamazzi e armi di legno.
A
un certo punto, un ragazzetto dai capelli color stoppa cadde a terra.
Un altro, che procedeva un po' più avanti, si fermò e lo raggiunse,
poi lo prese per un braccio e lo fece alzare.
Scambiarono
qualche breve frase come d'intesa, poi corsero via insieme, inseguiti
dagli altri.
Bevve
di nuovo, mantenendo lo sguardo sui due.
L'acqua
gorgoglia fra le pietre, di nuovo limpida, ma ovunque essa non giunge
a lambire, vi è sangue.
Il
sangue intride il muschio, la sabbia della riva e i vestiti del
morto. Immagina che una parte di esso stia inzuppando anche i panni
del Werwolf, ma purtroppo non può accertarsene.
Il
Werwolf non c'è più.
L'uomo
che sta contemplando – una spia tedesca nota come Fenrir – l'ha
evidentemente fatto scappare, consapevole di non essere in grado di
seguirlo.
Non
dev'essere stata una decisione facile. Tutto, in ciò che sta
vedendo, parla di una risoluzione atroce ma necessaria, evidentemente
da parte di entrambi.
Le
tracce di sangue sulla camicia dell'uomo fanno capire che il suo
compagno ha provato in ogni modo a farlo alzare. Sulle maniche ci
sono impronte di dita febbrili, sul petto la stoffa è sgualcita,
come se qualcuno l'avesse afferrata e tirata. Macchie rosse su una
guancia fanno pensare a un'ultima carezza.
Il
volto dell'uomo è girato nella direzione in cui verosimilmente il
Werwolf si è allontanato. La sua espressione è di dolore, forse per
le ferite, ma anche di serenità.
Probabilmente
è spirato consapevole di aver ottenuto il suo scopo, ovvero
proteggere la fuga del compagno.
Lo
perquisisce sommariamente, ma non trova altro che una tasca vuota,
cucita all'interno della camicia.
Avvicina
il proprio viso a quello del morto, cerca di puntare gli occhi nella
stessa direzione. Si sorprende a chiedersi cos'abbia provato, vedendo
l'altro allontanarsi. Sollievo? Amarezza?
E
il Werwolf, scappando tra gli arbusti della riva, consapevole di
essersi lasciato dietro il compagno morente?
Si
alza brusco. “Sto diventando sentimentale,” brontola a mezza
voce. Si guarda intorno, come per controllare che nessuno di quelli
che lo accompagnano abbia notato quell'attimo di debolezza. Fissa di
nuovo il morto, questa volta dall'alto in basso, e dice: “Non farai
più danni.”
Realizzò
che la tazza era vuota. Alzò il braccio per chiamare la cameriera e
si fece servire altro caffè.
Non
era stato di parola: le due settimane che aveva chiesto al suo
superiore erano passate, ma non aveva la minima intenzione di tornare
indietro.
Non
prima di aver neutralizzato il Werwolf, perlomeno.
Era
assorto in quei pensieri quando nel caffè entrò una coppia di
signore. Entrambe vestivano un severo abito scuro e portavano un
cappellino privo di ogni ornamento. In mano avevano opuscoli di
un'associazione religiosa.
Al
loro ingresso un cameriere si avvicinò per intercettarle, ma uno
sguardo della più alta delle due – una legnosa matrona dai capelli
precocemente ingrigiti – lo convinse ad allontanarsi.
Da
dietro la tazza, the Bishop le seguiva con lo sguardo. Ovunque esse
posassero gli occhi, le conversazioni ammutolivano e gli avventori
del caffè assumevano una generale aria di imbarazzo, come se fossero
stati sorpresi a fare qualcosa di molto sconveniente. La signora più
alta procedeva per prima, si fermava ai vari tavoli e presentava sé
e la collega come Dame della Pentecoste. Dopo un breve scambio su
questioni religiose, invariabilmente faceva cenno alla sua
accompagnatrice, che lasciava all'interlocutore uno o più opuscoli
edificanti.
Infine
giunsero anche da lui. “Signore, lei frequenta regolarmente la sua
chiesa?” lo apostrofò da lungi la legnosa dama.
The
Bishop non batté ciglio. “Ma naturalmente, signora. Non mi
sentirei a posto con me stesso, se non lo facessi.”
La
donna lo scrutò poco convinta, quindi proseguì: “E posso chiedere
perché non è al fronte, signore? Non menta, perché Dio la sta
guardando.” Alzò brevemente gli occhi, e sembrò che stesse
scambiando uno sguardo d'intesa col Padreterno.
The
Bishop emise un sospiro sconsolato e rispose: “Lo vorrei tanto,
signora, ma sono rimasto inabile in seguito alle ferite: ho una gamba
di legno.”
“Ah.”
La donna si irrigidì come di fronte a una scusa palesemente mal
congegnata. “Questo non le impedirà di servire Dio e la sua
Patria, voglio sperare. Ci sono tanti compiti che si possono svolgere
per la Germania, pur senza essere al fronte.”
L'uomo
annuì con decisione. “Parole sante, signora.”
A
quella risposta, la Dama della Pentecoste si rivolse alla collega e
ordinò: “Felicitas, il saggio sul conforto che la Fede è in grado
di offrire nella disgrazia e quello sulla parola di Dio come
medicina.”
Due
libelli rilegati in grigio topo furono posati sul marmo del tavolino.
“Li ha scritti il nostro Reverendo,” lo informò la dama.
“Grazie,
signora,” disse con fare compunto the Bishop.
“Li
legga,” fu l'asciutta replica, “soprattutto quello sulla parola
di Dio. Sono certa che lo troverà molto edificante.” Il tono
faceva temere che nei giorni successivi la donna sarebbe tornata a
interrogarlo.
L'agente
segreto le guardò andare via. Scosse la testa, finì di sorseggiare
il caffè, poi raccolse i due opuscoli e senza nemmeno aprirli se li
infilò in tasca.
I
bambini se n'erano andati, la piazza era quasi vuota. Le due Dame
della Pentecoste erano scomparse. Alcune donne in tuta da lavoro
passeggiavano parlando e ridendo, sul tram che sferragliava in
lontananza s'intravedeva la figura di una conduttrice. La bigliettaia
si sporgeva dalla porta della carrozza e stava facendo cenni a
qualcuno.
Istintivamente
the Bishop si girò alla ricerca del destinatario, o della
destinataria, di quel saluto e vide un bimbetto con un sorriso
sdentato, che si sbracciava allegro. Chissà, forse suo figlio?
Magari il padre era al fronte?
Alzò
le spalle e si infilò le mani in tasca. Ogni nazione in guerra aveva
padri al fronte e madri che in Patria mandavano avanti la baracca.
Tirò
fuori l'opuscolo sulla parola di Dio. Lo sfogliò distrattamente,
facendo scorrere lo sguardo su frasi religiose di volta in volta
ammonitrici, edificanti o semplicemente dolciastre.
Lo
avvicinò al volto come per legger meglio, in realtà lo annusò:
emanava un lieve sentore di sostanze chimiche.
Sorrise
fra sé e sé, lo rimise in tasca e si incamminò.
Raggiunse
una modesta pensione e vi entrò. L’uomo che sedeva alla reception
abbassò cerimoniosamente il giornale che stava leggendo e gli
chiese: “Ha trovato quello che cercava, signor ispettore?”
The
Bishop scosse la testa. “Saranno necessarie altre ricerche.” fece
una pausa, quindi abbassando la voce e protendendosi verso di lui
soggiunse: “Le sarei grato, inoltre, se evitasse di usare il mio
titolo professionale: sa, sono in incognito.”
L’altro
quasi sobbalzò sulla sedia. “Mi scusi, signor...” cominciò
d’istinto, poi si interruppe. “Mi scusi, signore,” si corresse.
L’inglese
annuì. “Molto bene. La mia chiave, per favore?”
“Subito!”
“Grazie.
Non voglio essere disturbato.”
“Certamente,
signor…” Di nuovo il concierge si interruppe all'ultimo.
“Certamente, signore.”
The
Bishop annuì di nuovo, rivolgendogli il sorriso di compatimento che
avrebbe riservato a un bambino ritardato. Prese la chiave e si
diresse su per le scale. Stupido imbecille leccaculo, pensava
frattanto, basta presentarsi con una carica ufficiale e voialtri
tedeschi subito scodinzolate come tanti cani.
Entrò
nella sua stanza e chiuse la porta a chiave. Per una precauzione
dettata dall'abitudine, più che altro, perché era certo che
l'idiota dabbasso, ricevuto l'ordine di non far passare nessuno, si
sarebbe posto a guardia della sua camera come Cerbero davanti alle
porte dell'inferno.
Di
nuovo sorrise fra sé e sé con sufficienza.
Dal
contenitore dei suoi oggetti da toletta trasse una boccettina di
vetro marrone scuro, poi andò allo scrittoio e vi si sedette. Prese
a quel punto l'opuscolo che la Dama della Pentecoste gli aveva
consegnato e cominciò ad annusare le pagine una per una. Si fermò a
quella che emanava con maggiore intensità l'odore di sostanze
chimiche.
Stappò
la boccetta e arricciò il naso all'intenso sentore di ammoniaca che
si sprigionò.
Espose
il libretto ai suoi vapori e pian piano, sul margine bianco della
pagina prescelta, comparve una scrittura fine, di un azzurro che
andava man mano facendosi più intenso.
Il
contenuto del rapporto gli confermò che fino a quel momento aveva
perso tempo: del Werwolf si parlava solo marginalmente, ma si sapeva
che era rientrato sano e salvo dall'ultima missione. Non si sapeva
però se gliene fosse stata già assegnata un'altra. Ciò che
appariva certo era che invece di rientrare in Germania, l'agente
segreto si stava inspiegabilmente trattenendo in una data zona del
fronte. Chi aveva raccolto le informazioni ipotizzava che in quel
settore potesse esserci qualcosa di suo interesse personale, dal
momento che nessun incarico ufficiale lo assegnava a esso.
The
Bishop posò il libro e di nuovo sorrise fra sé e sé. Era sicuro
che l'interesse personale del Werwolf fosse tutto incentrato su un
certo giovanotto dagli occhi verdi.
Gli
tornò in mente il leopardo: non aveva senso cercarlo nella
boscaglia, sarebbe stato molto più semplice far la posta alla
sorgente che la belva aveva scelto per dissetarsi.
Richiuse
la boccetta, lesse ancora una volta le frasi vergate a mano, poi
prese l'opuscolo e lo pose sugli alari del caminetto. Vi appiccò il
fuoco e stette a controllare che bruciasse completamente, quindi
raccolse con cura la cenere e andò a buttarla nella latrina.
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