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Autore: Old Fashioned    27/05/2021    9 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mappazze aeronautiche, su Rieducational Channel!
E niente, vi posto il solito mezzo capitolo, sperando come sempre che non vi abbia ancora sfrangiato le gonadi.
Grazie a tutti quelli che mi stanno seguendo, enormi ringraziamenti a chi mi lascia un parere!
Buon divertimento (si spera)!




Capitolo 10

Sorpreso di vedermi?” chiese il Werwolf.
Von Knobelsdorff lo contemplò in silenzio: primo reggimento ussari della guardia, quelli che ai tempi di Blücher erano noti come gli 'Ussari della Morte'.
È veramente lei?” chiese diffidente.
Che intende dire?”
Se è veramente il principe von Thurn und Taxis o se questa è una delle sue infinite identità, come il prete diretto al fronte o il contadino francese.”
L'uomo sorrise lieve, come se si fosse aspettato proprio quell'obiezione. “Karl Ludwig Amadeus von Thurn und Taxis,” si presentò poi in tono formale, accompagnando il nome con un secco battere dei tacchi.
Maximilian von Knobelsdorff,” si presentò a sua volta il tenente, “ma penso che lo sappia già, non è così?”
Il Rittmeister annuì.
Come ha fatto a trovarmi?”
È stato facile.”
Von Knobelsdorff fece una breve risata. “Sempre questa sua mania di non rispondere alle domande, vero?”
E la sua mania di farne,” rispose l'ussaro sullo stesso tono. “Non è cambiato per nulla.”
Nemmeno lei.”
Il tenente scosse appena la testa, come di fronte a qualcosa di scarsamente comprensibile che però non manca di verificarsi, poi chiese: “E la sua ferita come va? Almeno questo me lo può dire?”
L'altro si avvicinò di qualche passo, giungendo a fermarsi proprio di fronte a lui, poi rispose: “Molto meglio, grazie.” Fece una pausa, poi in tono più morbido precisò: “Grazie a lei.”
Von Knobelsdorff non poté fare a meno di notare che nei suoi occhi erano ricomparse quelle sfumature azzurre che aveva descritto con tanto trasporto a Hoffmeyer. “Ho solo fatto quel che potevo,” rispose distogliendo lo sguardo.
La voce del Rittmeister lo richiamò alla realtà: “E le sue ferite come vanno?” Prima che lui potesse replicare, gli prese una mano e la tirò verso di sé come per far arretrare la manica. “I polsi sono guariti, mi sembra.”
Von Knobelsdorff si fece indietro come se fosse stato toccato da un ferro rovente, tanto che il brusco movimento fece traballare un tavolino che si trovava sulla sua traiettoria.
Von Thurn und Taxis sorrise, e l'azzurro divenne più intenso. “Attento,” gli raccomandò, protendendosi come per aiutarlo a ritrovare l'equilibrio.
Sto bene,” gli disse asciutto il tenente, in tono forse più duro di quanto si fosse riproposto. “Sto bene, è tutto in ordine.” Gli rivolse uno sguardo torvo e arretrò di un paio di passi. “Perché è tornato?” chiese poi.
Con la più grande tranquillità, il Rittmeister rispose: “In fondo sono un sentimentale: desideravo rivedere un vecchio amico.”
Il tenente aggrottò le sopracciglia. L'inquietudine che l'aveva assalito quando l'altro gli aveva preso il polso non voleva abbandonarlo. Si sentiva teso, come pronto a scattare. Era certo che i suoi battiti fossero più rapidi del normale. “Amico?” ripeté, come se la parola gli suonasse sconosciuta.
L'altro annuì calmo, poi gli chiese: “Lei come definirebbe un amico, ad esempio?”
Io...” Von Knobelsdorff tacque spiazzato. Per quanto faticasse a dare dell'amicizia una definizione esaustiva, gli era comunque chiaro che si trattava di un sentimento che aveva a che fare con fiducia, simpatia, affetto e reciproca scelta. Fissò lo sguardo sull'enigmatico personaggio, che anche dopo essersi presentato con nome, cognome e reparto di appartenenza manteneva un'impenetrabile aura di mistero, e rispose: “Un amico è una persona di cui ci si può fidare.”
E io non mi sono fidato di lei, quando ha pilotato l'aereo nel buio? Lei non si è fidato di me in tante occasioni?”
Non avevo scelta.”
L'ussaro scosse la testa. “Una scelta c'è sempre. Solo i deboli si raccontano di non averla.”
Di nuovo von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia. In tono duro gli chiese: “Quindi io sarei un debole?”
No, è proprio per questo che la invito a non usare una scusa così patetica.”
Bah.” Il tenente fece un gesto come per scacciare un insetto. “In guerra si fanno spesso cose pericolose facendo affidamento sui commilitoni. Questo non implica che si sia amici, comunque.”
L'altro alzò le spalle e rispose: “D'accordo, vedo che non riesco a convincerla. Mi fa molto piacere comunque constatare che si è ristabilito così bene.”
È stato lei a intervenire?”
Von Thurn und Taxis sollevò le sopracciglia. “Prego?”
Stavano per fucilarmi come traditore, e ora sono qui. È lei che devo ringraziare, signor capitano?”
Temo di sì.” Il Werwolf gli rivolse quel suo sorriso freddo e vagamente sornione, che un po' lo faceva imbestialire, ma un po' forse lo affascinava anche, poi soggiunse: “Come intende pagare il suo debito?”
Il tenente aprì la bocca intenzionato a rispondere con qualche insolenza, ma in quel momento si fece udire una lieve vibrazione dei vetri. “Stanno tornando!” esclamò. Subito raggiunse la finestra e prese a scrutare ansiosamente il cielo.
Von Thurn und Taxis lo raggiunse. “I suoi colleghi?” domandò. Guardò a sua volta il cielo.
Il tenente annuì senza staccare gli occhi.
Come mai lei è a terra? Marca visita per caso?”
Già con lo sguardo torvo, von Knobelsdorff stava per girarsi con l'intento di rivolgergli una tagliente replica, ma in quel momento gli aerei spuntarono da dietro una nube e si misero in fila per cominciare le procedure di atterraggio.
Senza aggiungere altro, abbandonò la finestra e corse fuori.

Contò gli aerei e con soddisfazione appurò che erano tutti presenti. Gli Albatros erano ancora sagome nere in lontananza, ma già li scrutava con le mani dietro la schiena cercando di capire se ce ne fosse qualcuno danneggiato.
I meccanici uscirono dagli hangar e si fermarono a rispettosa distanza da lui, anch'essi intenti a fissare lo stormo in avvicinamento.
Sembrano tutti a posto,” constatò Kramer.
Un altro rise e ribatté: “Come fai a dirlo? A cinquanta metri non distingui un Albatros dal camion dei rifornimenti!”
Qualcuno ridacchiò.
Lungi dall'offendersi, col tono di chi la sa lunga, il capo meccanico rispose: “Non si sente nessun rumore strano.”
Si aggiustò sulla testa il vecchio Krätzschen unto d'olio motore.
Gli aerei frattanto stavano prendendo terra uno dopo l'altro, e già nel rullaggio venivano seguiti da gruppetti di meccanici pronti a rifornirli di benzina e munizioni.
Von Knobelsdorff vide poi un Albatros avvicinarsi in modo strano. Aggrottò le sopracciglia preoccupato, ma si accorse che quell'anormalità era intenzionale: il pilota stava scuotendo le ali.
Il tenente sorrise fra sé e sé: quello era un segno di trionfo.
L'aereo si avvicinò ancora ed egli identificò i colori di Hoffmeyer. Attese che il collega spegnesse il motore e gli corse incontro. “Allora?” volle sapere, prima ancora di essere faccia a faccia.
Il collega, con gli occhi accesi e l'espressione raggiante, rispose: “Un abbattimento!”
Ecco perché facevi tutto quel can-can in finale!”
Ballavo di gioia,” ammise l'altro stringendosi nelle spalle.
Attento, che se ti vede il Vecchio ti spedisce a riordinare la corrispondenza fino alla fine della guerra.”
Camminando fianco a fianco, i due si allontanarono dall'Albatros. Hoffmeyer si tolse la cuffia da pilota e si strofinò un fazzoletto sul volto annerito dagli scarichi del motore, poi disse: “Lo sai che cosa si dice del Vecchio?”
Che è un ottuso maniaco del regolamento?”
No, che con tutti gli abbattimenti che ha potrebbe ricevere tre Pour le Mérite, ma non gliene importa nulla.”
Impossibile,” sentenziò von Knobelsdorff.
Eppure a te ha salvato la vita, no?”
L'altro alzò le spalle. “È quello che avrebbe fatto chiunque per un camerata in difficoltà, persino io per lui. Kunz ragionerà anche come un burocrate, ma su certe cose è come noi.”
Volevo dire che è un ottimo pilota.”
Peccato che le sue scarse qualità umane rovinino tutto.”
I due fecero una risata e proseguirono verso l'edificio degli alloggi. Nell'aria aleggiava l'odore delle vivande che venivano allestite nella mensa per 'rifornire' i piloti mentre i meccanici rifornivano gli aerei e ricaricavano le armi.
Von Knobelsdorff lanciò uno sguardo di nostalgia ai velivoli e disse: “Raccontami un po' del tuo abbattimento.”
Un osso duro,” rispose Hoffmeyer. “Un Bristol Scout agile come un dannato furetto, mi ha fatto sudare sangue.”
Sono gli avversari che preferisco.”
Già, non c'è gusto a fare la caccia alle anatre.”
No davvero.”
Mentre procedevano, von Knobelsdorff pensava al principe von Thurn und Taxis. Si sentiva stranamente emozionato all'idea di presentarlo al collega. Cos'avrebbe detto? Ovviamente non poteva dire la verità, ma poteva sempre tirare in ballo qualcosa che avesse a che fare con le ascendenze aristocratiche che entrambi possedevano. Avrebbe potuto raccontare a Hoffmeyer che lui e il principe avevano un parente in comune, ad esempio.
Si stupì della disinvoltura con cui da qualche tempo inventava balle. Oppure, più che balle, versioni della realtà che rassicurassero l'interlocutore e lo rendessero felice di procedere su una falsa pista. Il suo collega, per esempio, era del tutto convinto che da qualche parte ci fosse una bella valchiria bionda che grazie a lui pilotava l'apparecchio.
La storia gli era talmente piaciuta – forse perché anche lui avrebbe desiderato vivere un'avventura del genere – che non aveva nemmeno sospettato che non fosse la verità.
Si chiese se classificare quella sua nuova competenza tra le abilità o i vizi. Scassinare una serratura, ad esempio, richiedeva perizia e precisione, ma si trattava di una cosa di cui andare fieri?
Attraverso le ampie finestre iniziò a scrutare all'interno, ma non vide da nessuna parte la snella figura di von Thurn und Taxis.

Il Werwolf era scomparso.
L'unica traccia che trovò di lui fu un portasigarette d'oro con monogramma, appoggiato negligentemente su una consolle.
Non pensò nemmeno per un attimo che l'avesse dimenticato. Lo intascò discretamente, sicuro che sarebbe arrivato il momento in cui l'elusivo agente segreto si sarebbe presentato per chiederlo indietro.
Si chiese se fosse una specie di messaggio che aveva voluto lasciargli. Qualcosa come una relazione esclusiva fra loro, che tagliava fuori chiunque altro.
La voce di Hoffmeyer lo distrasse: “Cosa cerchi?”
Egli sfilò rapido la mano dalla tasca. “Niente.” Lo raggiunse, con il peso dell'oggetto che gli batteva contro la coscia a ogni passo. “Niente, mi stavo solo annoiando. Trascorro le giornate a contare i pezzi di ricambio come una specie di intendente, non ne posso più.”
Eh, ti capisco.”
Io penso che il Vecchio ce l'abbia con me.”
Il Vecchio è imparziale, tratta male tutti.”
Si diressero alla mensa, dove ordinanze in guanti bianchi stavano servendo ai tavoli, e presero posto.
Hoffmeyer attese che gli venisse portato il caffè, ne sorbì un sorso e disse: “Ormai ti ho raggiunto, eh.”
Von Knobelsdorff annuì e rispose: “Se il Vecchio continua a tenermi a terra, anche la famosa aviatrice metterà insieme più vittorie di me.”
L'altro assunse l'espressione consapevole di chi ha capito tutto e gli chiese: “Pensi a lei?”
Penso di più al mio aereo,” rispose von Knobelsdorff. “Kramer mi ha detto che le ali sono così distrutte che non vale la pena di ripararle, devo aspettarne uno nuovo.”
Hoffmeyer fece una risatina. “Non so se otterrai il Pour le Mérite, ma secondo me tra un po' una decorazione te la faranno avere gli inglesi: hai fatto fuori più aerei tedeschi della maggior parte dei loro piloti!”
Spiritoso.”
Uno l'hai sfasciato in atterraggio prima di andare dalla tua bella...”
Non è la mia bella,” interloquì asciutto von Knobelsdorff.
L'altro non se ne diede per inteso. “Uno, dicevamo, prima della tua missione galante, chiamiamola così, e l'altro appena hai ripreso servizio. La Albatros Flugzeugwerke lavora solo per te, ormai.”
Non è la mia bella e non ho sfasciato proprio niente in atterraggio,” puntualizzò von Knobelsdorff. “L'aereo era già così danneggiato che sono stato fortunato a raggiungere il campo. Von Stade, che a differenza di certe altre persone era un signore, non mi disse niente, se ben ricordi.”
Sorbì un sorso del caffè che nel frattempo gli era stato portato. Gli altri si stavano già preparando a uscire di nuovo; se guardava fuori, vedeva gli Albatros già pronti e riforniti, con i meccanici in attesa di far partire i motori.
Si alzò e fece girare lo sguardo tutt'intorno: piloti che parlottavano fra loro, scambiandosi scherzi e battute, una generale aria di entusiasmo. Apparentemente immune a quel clima, Kunz sedeva un po' in disparte, approfittando della pausa per compilare un foglio d'ordini. In piedi al suo fianco, il furiere attendeva deferente.
Si ripromise di andare a parlargli alla fine della giornata di volo: per quanto lo riguardava, la faccenda di rimanere a terra come uno scritturale qualsiasi mentre i camerati volavano e ottenevano vittorie era già durata anche troppo.

§

Quando il pericolo incombe, gli uomini appartenenti alla stessa tribù o alla stessa famiglia tengono in minimo conto la vita dei propri simili; ma un gruppo che si è consolidato con l'amicizia radicata nell'amore non si scioglie mai ed è invincibile, perché gli amanti, per paura di apparire meschini agli occhi dei propri amati, e gli amati per lo stesso motivo, affronteranno volentieri il pericolo per soccorrersi a vicenda.

The Bishop sollevò la tazza e sorbì un lento sorso, quindi la posò nuovamente sul piattino, decorato con motivi floreali bianchi e blu. Riconobbe la porcellana di Meißen, peraltro piuttosto diffusa, lì in Germania.
Attraverso le vetrine del caffè lasciò vagare lo sguardo sulla piazza: c'erano dei bambini che si rincorrevano. Davano l'idea di essere due bande rivali, che si affrontavano in una sorta di battaglia fatta di schiamazzi e armi di legno.
A un certo punto, un ragazzetto dai capelli color stoppa cadde a terra. Un altro, che procedeva un po' più avanti, si fermò e lo raggiunse, poi lo prese per un braccio e lo fece alzare.
Scambiarono qualche breve frase come d'intesa, poi corsero via insieme, inseguiti dagli altri.
Bevve di nuovo, mantenendo lo sguardo sui due.

L'acqua gorgoglia fra le pietre, di nuovo limpida, ma ovunque essa non giunge a lambire, vi è sangue.
Il sangue intride il muschio, la sabbia della riva e i vestiti del morto. Immagina che una parte di esso stia inzuppando anche i panni del Werwolf, ma purtroppo non può accertarsene.
Il Werwolf non c'è più.
L'uomo che sta contemplando – una spia tedesca nota come Fenrir – l'ha evidentemente fatto scappare, consapevole di non essere in grado di seguirlo.
Non dev'essere stata una decisione facile. Tutto, in ciò che sta vedendo, parla di una risoluzione atroce ma necessaria, evidentemente da parte di entrambi.
Le tracce di sangue sulla camicia dell'uomo fanno capire che il suo compagno ha provato in ogni modo a farlo alzare. Sulle maniche ci sono impronte di dita febbrili, sul petto la stoffa è sgualcita, come se qualcuno l'avesse afferrata e tirata. Macchie rosse su una guancia fanno pensare a un'ultima carezza.
Il volto dell'uomo è girato nella direzione in cui verosimilmente il Werwolf si è allontanato. La sua espressione è di dolore, forse per le ferite, ma anche di serenità.
Probabilmente è spirato consapevole di aver ottenuto il suo scopo, ovvero proteggere la fuga del compagno.
Lo perquisisce sommariamente, ma non trova altro che una tasca vuota, cucita all'interno della camicia.
Avvicina il proprio viso a quello del morto, cerca di puntare gli occhi nella stessa direzione. Si sorprende a chiedersi cos'abbia provato, vedendo l'altro allontanarsi. Sollievo? Amarezza?
E il Werwolf, scappando tra gli arbusti della riva, consapevole di essersi lasciato dietro il compagno morente?
Si alza brusco. “Sto diventando sentimentale,” brontola a mezza voce. Si guarda intorno, come per controllare che nessuno di quelli che lo accompagnano abbia notato quell'attimo di debolezza. Fissa di nuovo il morto, questa volta dall'alto in basso, e dice: “Non farai più danni.”

Realizzò che la tazza era vuota. Alzò il braccio per chiamare la cameriera e si fece servire altro caffè.
Non era stato di parola: le due settimane che aveva chiesto al suo superiore erano passate, ma non aveva la minima intenzione di tornare indietro.
Non prima di aver neutralizzato il Werwolf, perlomeno.
Era assorto in quei pensieri quando nel caffè entrò una coppia di signore. Entrambe vestivano un severo abito scuro e portavano un cappellino privo di ogni ornamento. In mano avevano opuscoli di un'associazione religiosa.
Al loro ingresso un cameriere si avvicinò per intercettarle, ma uno sguardo della più alta delle due – una legnosa matrona dai capelli precocemente ingrigiti – lo convinse ad allontanarsi.
Da dietro la tazza, the Bishop le seguiva con lo sguardo. Ovunque esse posassero gli occhi, le conversazioni ammutolivano e gli avventori del caffè assumevano una generale aria di imbarazzo, come se fossero stati sorpresi a fare qualcosa di molto sconveniente. La signora più alta procedeva per prima, si fermava ai vari tavoli e presentava sé e la collega come Dame della Pentecoste. Dopo un breve scambio su questioni religiose, invariabilmente faceva cenno alla sua accompagnatrice, che lasciava all'interlocutore uno o più opuscoli edificanti.
Infine giunsero anche da lui. “Signore, lei frequenta regolarmente la sua chiesa?” lo apostrofò da lungi la legnosa dama.
The Bishop non batté ciglio. “Ma naturalmente, signora. Non mi sentirei a posto con me stesso, se non lo facessi.”
La donna lo scrutò poco convinta, quindi proseguì: “E posso chiedere perché non è al fronte, signore? Non menta, perché Dio la sta guardando.” Alzò brevemente gli occhi, e sembrò che stesse scambiando uno sguardo d'intesa col Padreterno.
The Bishop emise un sospiro sconsolato e rispose: “Lo vorrei tanto, signora, ma sono rimasto inabile in seguito alle ferite: ho una gamba di legno.”
Ah.” La donna si irrigidì come di fronte a una scusa palesemente mal congegnata. “Questo non le impedirà di servire Dio e la sua Patria, voglio sperare. Ci sono tanti compiti che si possono svolgere per la Germania, pur senza essere al fronte.”
L'uomo annuì con decisione. “Parole sante, signora.”
A quella risposta, la Dama della Pentecoste si rivolse alla collega e ordinò: “Felicitas, il saggio sul conforto che la Fede è in grado di offrire nella disgrazia e quello sulla parola di Dio come medicina.”
Due libelli rilegati in grigio topo furono posati sul marmo del tavolino. “Li ha scritti il nostro Reverendo,” lo informò la dama.
Grazie, signora,” disse con fare compunto the Bishop.
Li legga,” fu l'asciutta replica, “soprattutto quello sulla parola di Dio. Sono certa che lo troverà molto edificante.” Il tono faceva temere che nei giorni successivi la donna sarebbe tornata a interrogarlo.
L'agente segreto le guardò andare via. Scosse la testa, finì di sorseggiare il caffè, poi raccolse i due opuscoli e senza nemmeno aprirli se li infilò in tasca.

I bambini se n'erano andati, la piazza era quasi vuota. Le due Dame della Pentecoste erano scomparse. Alcune donne in tuta da lavoro passeggiavano parlando e ridendo, sul tram che sferragliava in lontananza s'intravedeva la figura di una conduttrice. La bigliettaia si sporgeva dalla porta della carrozza e stava facendo cenni a qualcuno.
Istintivamente the Bishop si girò alla ricerca del destinatario, o della destinataria, di quel saluto e vide un bimbetto con un sorriso sdentato, che si sbracciava allegro. Chissà, forse suo figlio? Magari il padre era al fronte?
Alzò le spalle e si infilò le mani in tasca. Ogni nazione in guerra aveva padri al fronte e madri che in Patria mandavano avanti la baracca.
Tirò fuori l'opuscolo sulla parola di Dio. Lo sfogliò distrattamente, facendo scorrere lo sguardo su frasi religiose di volta in volta ammonitrici, edificanti o semplicemente dolciastre.
Lo avvicinò al volto come per legger meglio, in realtà lo annusò: emanava un lieve sentore di sostanze chimiche.
Sorrise fra sé e sé, lo rimise in tasca e si incamminò.
Raggiunse una modesta pensione e vi entrò. L’uomo che sedeva alla reception abbassò cerimoniosamente il giornale che stava leggendo e gli chiese: “Ha trovato quello che cercava, signor ispettore?”
The Bishop scosse la testa. “Saranno necessarie altre ricerche.” fece una pausa, quindi abbassando la voce e protendendosi verso di lui soggiunse: “Le sarei grato, inoltre, se evitasse di usare il mio titolo professionale: sa, sono in incognito.”
L’altro quasi sobbalzò sulla sedia. “Mi scusi, signor...” cominciò d’istinto, poi si interruppe. “Mi scusi, signore,” si corresse.
L’inglese annuì. “Molto bene. La mia chiave, per favore?”
Subito!”
Grazie. Non voglio essere disturbato.”
Certamente, signor…” Di nuovo il concierge si interruppe all'ultimo. “Certamente, signore.”
The Bishop annuì di nuovo, rivolgendogli il sorriso di compatimento che avrebbe riservato a un bambino ritardato. Prese la chiave e si diresse su per le scale. Stupido imbecille leccaculo, pensava frattanto, basta presentarsi con una carica ufficiale e voialtri tedeschi subito scodinzolate come tanti cani.

Entrò nella sua stanza e chiuse la porta a chiave. Per una precauzione dettata dall'abitudine, più che altro, perché era certo che l'idiota dabbasso, ricevuto l'ordine di non far passare nessuno, si sarebbe posto a guardia della sua camera come Cerbero davanti alle porte dell'inferno.
Di nuovo sorrise fra sé e sé con sufficienza.
Dal contenitore dei suoi oggetti da toletta trasse una boccettina di vetro marrone scuro, poi andò allo scrittoio e vi si sedette. Prese a quel punto l'opuscolo che la Dama della Pentecoste gli aveva consegnato e cominciò ad annusare le pagine una per una. Si fermò a quella che emanava con maggiore intensità l'odore di sostanze chimiche.
Stappò la boccetta e arricciò il naso all'intenso sentore di ammoniaca che si sprigionò.
Espose il libretto ai suoi vapori e pian piano, sul margine bianco della pagina prescelta, comparve una scrittura fine, di un azzurro che andava man mano facendosi più intenso.
Il contenuto del rapporto gli confermò che fino a quel momento aveva perso tempo: del Werwolf si parlava solo marginalmente, ma si sapeva che era rientrato sano e salvo dall'ultima missione. Non si sapeva però se gliene fosse stata già assegnata un'altra. Ciò che appariva certo era che invece di rientrare in Germania, l'agente segreto si stava inspiegabilmente trattenendo in una data zona del fronte. Chi aveva raccolto le informazioni ipotizzava che in quel settore potesse esserci qualcosa di suo interesse personale, dal momento che nessun incarico ufficiale lo assegnava a esso.
The Bishop posò il libro e di nuovo sorrise fra sé e sé. Era sicuro che l'interesse personale del Werwolf fosse tutto incentrato su un certo giovanotto dagli occhi verdi.
Gli tornò in mente il leopardo: non aveva senso cercarlo nella boscaglia, sarebbe stato molto più semplice far la posta alla sorgente che la belva aveva scelto per dissetarsi.

Richiuse la boccetta, lesse ancora una volta le frasi vergate a mano, poi prese l'opuscolo e lo pose sugli alari del caminetto. Vi appiccò il fuoco e stette a controllare che bruciasse completamente, quindi raccolse con cura la cenere e andò a buttarla nella latrina.


   
 
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