«Tu,
dannato!» urlò Shadis Shadis a pochissimi
centimetri dal volto di
uno dei ragazzi in riga nel cortile esterno del centro di
addestramento. Questo sussultò, ma riuscì a
restare incredibilmente
composto. «Chi sei?»
«Sono
Jean Kirschtein, Signore! Vengo dal distretto di Trost!»
gridò
questo, portandosi il pugno al cuore in segno di saluto.
«Perché
sei venuto qui, dannato?»
«Io...»
uno strano sorriso, un misto tra l'imbarazzo e la paura, ma
probabilmente Jean poté immaginare che mentire non sarebbe
servito a
niente. Alla fine la sua ambizione era tra le più comuni nei
giovani
cadetti, non c’era niente di cui vergognarsi. «Per
poter vivere
nei territori interni» confessò.
«Capisco»
disse Shadis. «E così vorresti vivere nei
territori interni?»
«Sì!»
esclamò Jean e in tutta risposta si beccò una
testata talmente
violenta che lo costrinse ad accasciarsi a terra per il
dolore.
«Chi
ti ha detto di metterti a cuccia?!» ruggì Shadis.
«Pensi davvero
che chi si arrende possa entrare nel corpo di Gendarmeria?!»
concluse e lasciò Jean a terra, avvicinandosi alla ragazza
al suo
fianco. Nonostante fosse immobile, gli occhi erano puntati sul
ragazzo a terra. Le sopracciglia lievemente inarcate lasciavano ben
intuire che fosse preoccupata per quanto appena accaduto,
probabilmente, se avesse avuto la possibilità, sarebbe corsa
a
fianco di Jean per aiutarlo, glielo si leggeva in faccia.
«Ehy,
tu, dannata!» la richiamò Shadis e questo la fece
sobbalzare. Tornò
a guardare davanti a sé, puntò gli occhi a Shadis
e scattò come un
vero soldatino. Pugno al petto in forma di saluto, spalle rigide e un
lieve sorriso sul volto. Sembrava solare... il che era strano, vista
la situazione. Shadis non dovette digerire troppo la cosa
perché le
chiese, torvo in viso: «Che hai da sorridere?»
«Sono
felice di poter essere qui e offrire il cuore per il bene
dell'umanità, signore!»
Ottima
risposta, pronta e ben studiata. Non era una sprovveduta qualunque,
ma anche lei andava raddrizzata. «Sorriderai così
anche quando
verrai divorata da un gigante?»
«Assolutamente
sì! Saprò nel mio piccolo di aver dato un
contributo!»
«Che
cosa ti fa credere che tu possa realmente dare un contributo? Sei
solo cibo per giganti, niente di più».
«Meglio
io che qualcun altro, Signore! Anche questo è un modo per
salvare
delle vite».
Faceva
venire i brividi pensare che avesse realmente sminuito così
la
propria vita con una tale leggerezza, ma era sorprendentemente
ciò
che Shadis voleva sentirsi dire. E forse lei lo sapeva.
«Hai
sempre la risposta pronta per ogni situazione, non è
così?» ma non
fu assolutamente un complimento. Il volto di Shadis si stava
rabbuiando, irritato dal gioco che aveva scoperto, lui come molti
altri. La ragazza stava solo recitando un ruolo, il migliore per
quella situazione, per compiacere chi aveva davanti. «Credi
davvero
che le parole e i sorrisi possano salvare la vita a qualcuno? Prova a
combattere i giganti a sorrisi e parole, moriresti
immediatamente!»
«È
probabile, Signore!» rispose lei, pronta e rigida.
«Come
ti chiami?»
«Beatris
Moreau! Vengo da Shiganshina, Signore!» e non appena
terminò le
mani del capitano Shadis le si piantarono in viso. Infilò
entrambi i
pollici ai lati delle sue labbra e le aprì la bocca in un
innaturale
sorriso che le tirava le labbra tanto che avrebbe potuto
spaccargliele.
«Duecento
giri di corsa del campo, e guai a te se chiudi la bocca anche solo
per un istante. Che aspetti?! Afferrati le labbra, resta
così e
corri!» urlò e Beatris saltò dalla
paura. Si infilò gli indici ai
lati della bocca, tenne le labbra ben tirate come gliele aveva messe
Shadis e in quella terribile e scomoda posizione iniziò a
correre
intorno al campo.
«Ma
perchè? Cos'ho sbagliato?» piagnucolò,
silenziosa abbastanza da
non farsi sentire da Shadis. Cominciò a correre, girando
intorno al
gruppo più e più volte, guardando il resto della
cerimonia di
iniziazione da spettatrice esterna. Non fu tanto la corsa a
straziarla, quanto il dover tenere fissi gli indici agli angoli delle
labbra e tenere la bocca sempre tirata verso le orecchie. I moscerini
le entravano in gola, le labbra iniziarono a spaccarsi e soprattutto
non riuscì a darsi abbastanza aerodinamicità non
potendo usare le
braccia per una giusta spinta. Fu a dir poco straziante.
Guardò
Shadis passare oltre Eren e Mikasa, senza degnarli nemmeno di uno
sguardo, per poi soffermarsi su una ragazza intenta a mangiare una
patata.
"Loro
non li ha neanche calcolati, non è giusto!"
pensò, frustrata.
Non seguì il resto della chiacchierata con la ragazza
patata, ma
dopo pochi istanti la trovò di fianco a sé che
correva intorno al
campo. Non ci fu bisogno di chiedere spiegazioni, mangiare una patata
di fronte al capitano Shadis durante l'addestramento era stato
decisamente troppo, anche per lei.
«Ma
perché ti sei messa a mangiare una patata?» le
chiese Beatris, una
volta che furono vicine.
«Nessuno
di voi mangia patate? Io non capisco!» lamentò la
ragazza che
scoprì successivamente chiamarsi Sasha. Un tono di voce
decisamente
troppo alto, che Shadis captò e non apprezzò.
«Correte
più veloce! E se vi sento ancora parlare
aggiungerò giri alla
vostra punizione!»
Con
le lacrime agli occhi e lo strazio nel cuore, le due presero a
correre a perdifiato. Avevano appena iniziato l'addestramento, ed era
già stato abbastanza. Mai si sarebbero dimenticate di quella
lezione... forse.
Quando
Beatris poté tornare dal resto dei suoi nuovi compagni,
questi si
erano già riuniti nella sala comune per la cena. Aveva
lasciato
Sasha fuori a correre e sapeva avrebbe avuto da stare lì
ancora per
un po', almeno fino a quando il sole non sarebbe calato. Si
massaggiò
le guance distrutte e con lo sguardo avvilito si guardò
intorno.
Avrebbe dovuto imparare col tempo a familiarizzare con quei volti, ma
nel frattempo si sarebbe concessa del normale relax insieme alle
uniche persone che conosceva. Si avvicinò al tavolo dove
mangiavano
Eren, Mikasa e Armin e si accasciò al loro fianco.
«Ci
hai messo troppo tempo a finire di fare quei giri» la
rimproverò
Mikasa, mentre Armin allungava nella sua direzione un piatto con
della minestra fumante. «È per questo che Shadis
si è arrabbiato e
te ne ha aggiunti altri».
«Mi
ha preso di mira già dal primo giorno, che
strazio» sospirò
Beatris. «Eppure pensavo di aver dato le risposte corrette!
Mi sono
esercitata con Armin così tanto per cercare di fare bella
impressione...»
«Credo
sia stato proprio questo il tuo errore» le disse Armin.
«Eri pronta
come una studentella davanti a un test, non sembravi sincera».
«Ma
io non ho mentito!» esclamò Beatris, offesa. Prese
il cucchiaio dal
suo vassoio e iniziò a mangiare, lentamente. Ogni movimento
di
mascella le faceva un gran male e a ogni boccone seguiva un lamento e
uno scuotere di gambe. «Che male».
«È
comunque andata meglio a te che alla ragazza patata. Lei
dovrà
correre fino al calar del sole e dopo non le spetta nemmeno la
cena»
disse Mikasa.
«Beh,
lei l'ha fatta davvero grossa» prese un'altra cucchiaiata e
provò a
portarsela alle labbra, ma non appena aprì la bocca la
mascella le
fece di nuovo un gran male. Lanciò un urlo, senza
trattenersi, e si
portò una mano alla guancia. «Che male!»
«L'hai
già detto» lamentò Mikasa.
«Tu
e quello lì siete fatti della stessa pasta,
Mikasa!» ringhiò
Beatris, puntandole un dito contro. «Non sopportate la
felicità, e
ve la rifate verso chi invece riesce a godersi la vita!»
«Cos'hai
da essere felice, ancora non riesco a capirlo»
mormorò Eren,
parlando per la prima volta.
«Sta'
zitto» rimproverò Beatris. «Non fare
finta di niente, ho visto
come sorridevi durante l'iscrizione. Che hai da prendertela con
me?»
Eren
alzò gli occhi, pronto a risponderle, ma vennero interrotti.
Un
ragazzo, Connie, si avvicinò a loro con gli occhi quasi che
brillavano.
«Ehy!»
si accostò a Beatris, sporgendosi oltre al tavolo.
«Tu hai detto
che vieni da Shiganshina, non è
così?»
Alle
sue spalle Beatris riuscì a scorgere avvicinarsi sempre
più altri
cadetti, alcuni curiosi, altri emozionati, altri ancora profondamente
preoccupati.
«Sì,
è così» rispose Beatris
innocentemente.
«Perciò...»
mormorò Connie, mentre altri si avvicinavano. Ormai intorno
al loro
tavolo c'erano almeno una decina di persone, forse quindici.
«Perciò
tu l'hai visto? Eri lì?»
«Visto?»
mormorò Beatris, cominciando a chiedersi a cosa si
riferisse. Non
che fosse difficile intuirlo, ma era strano che le chiedessero
proprio di quel giorno data la tragedia che aveva comportato. Erano
davvero curiosi di sapere, da chi c'era, come fosse stato terribile?
«Il
gigante colossale e il corazzato!» esclamò Connie.
«Li hai visti
con i tuoi occhi? Com'erano?»
Beatris
d'istinto voltò gli occhi a Eren e Armin, seduti di fronte a
lei. E
trovò entrambi i loro sguardi rivolti a lei, con la stessa
ombra a
sovrastarli. Armin più di Eren, probabilmente più
addolorato
all'idea di ricordare, non rispose e tornò a mangiare la sua
zuppa
in silenzio. Le sopracciglia aggrottate, faticava a non trasmettere
il dolore che provava in quel momento. Ma Eren, invece, era di
tutt'altra pasta... lui aveva trasformato quel dolore in rabbia e
determinazione.
«Sì,
lo abbiamo visto» rispose quest’ultimo e gli occhi
dei presenti si
fecero ancora più spalancati.
«Anche
voi venite da Shiganshina?» chiesero ed Eren annuì.
«Tutti
e quattro eravamo lì. Noi tre...» disse guardando
prima Armin e poi
Mikasa. «Eravamo insieme, quel giorno. L'abbiamo visto dalla
piazza
fare capolino oltre il muro e guardarci».
«Ho
sentito che il colossale ha superato il muro con un balzo!»
esclamò
qualcuno e fu ancora Eren a rispondere: «No, non era
così alto. Ma
sbucava con la testa, ci ha guardati tutti prima di sfondare il
cancello con un calcio».
«Bastò
il frastuono a rompere le finestre di casa mia» intervenne
Beatris.
«Ricordo che per il tremore della terra caddi giù
dalle scale e
finii dritta davanti alla porta di casa. Fu forse questo a salvarmi,
dato che poco dopo casa mia venne distrutta quasi totalmente».
«Casa
tua è stata distrutta?» chiese Marco, guardando la
ragazza con
compassione.
Beatris
immerse nuovamente il cucchiaio nella zuppa, pronta a portarselo
nuovamente alla bocca. Esitò, decisamente troppo a lungo, ma
quando
rialzò gli occhi su Marco aveva in volto uno spensierato
sorriso. Lo
stesso sorriso che aveva fatto incazzare Shadis quel
pomeriggio.
Annuì
semplicemente: «Anche la loro» disse, indicando
Eren.
«Noi
abitavamo nella zona più vicina al muro esterno, mentre
Beatris era
più vicina al Wall Maria, quasi in zona centrale, sulla via
principale. Ma entrambe, anche se distanti, non hanno fatto una bella
fine» disse Eren, ma nonostante l'argomento fosse delicato
non
sembrò tentennare nemmeno un po'. Entrambi ne parlavano con
naturalezza, apparentemente non turbati dalla cosa, e forse fu questo
a solleticare la curiosità dei presenti.
Una
pioggia di domande li travolsero, domande a cui rispondeva
principalmente Eren, ma che ogni tanto trovavano sorrisi e conferme
da parte di Beatris. Armin e Mikasa invece, cupi, non fecero che
mangiare in completo silenzio.
«Come
siete scappati?»
«Quanti
giganti c'erano?»
«Come
ha risposto il corpo di guarnigione?»
«Quanti
ne avete visti in faccia?»
«Che
faccia avevano?»
E
così, fino a sera tarda.
«Il
colossale era quasi senza pelle, con la bocca enorme»
spiegò Eren,
all'ennesima domanda.
«E
il corazzato che ha sfondato il Wall Maria?» chiese qualcun
altro.
«È
così che lo chiamano?» mormorò Eren.
Connie annuì, prima di
chiedere: «Com'era fatto?»
«Aveva
la pelle ricoperta da una specie di armatura» rispose
Beatris,
attirando su di sé lo sguardo dei curiosi. Li sorprese, fino
a quel
momento non aveva detto molto, era strano che avesse sentito di dover
rispondere proprio lei a quella domanda. «Non gli
interessavano le
persone, non ha cercato di mangiare nessuno. È corso verso
il Wall
Maria e l'ha sfondato con una spallata».
Connie,
e non solo lui, sbarrò gli occhi e spalancò la
bocca per la
sorpresa.
«Era...
grosso?» mormorò un altro compagno.
«Non
più di un normale gigante, ma era bello robusto».
«E
quanto è grosso un normale gigante?»
Beatris
spalancò gli occhi, improvvisamente sorpresa dalla domanda.
Sentì
il tintinnio del cucchiaio di Eren che cadeva nel piatto e quando
alzò lo sguardo si accorse che anche Eren aveva la sua
stessa
espressione sconvolta. Qualcosa li pugnalò alla bocca dello
stomaco,
tant'è che Eren dovette portarsi una mano alle labbra, come
se fosse
in procinto di vomitare.
«Voi...»
mormorò Beatris, voltandosi a guardare una ragazza al suo
fianco.
«Non ne avete mai visto uno?»
Eppure
erano tutti lì, pronti ad addestrarsi per combatterli. Come
avrebbero potuto prepararsi a dovere se mai avevano visto in faccia
il nemico? Come potevano dirsi pronti a fronteggiarli? Come avrebbero
fatto a non farsi prendere dal panico, la prima volta?
«Ragazzi»
mormorò Marco. «Forse dovremmo smetterla. Li
stiamo costringendo a
ricordare cose che magari non vogliono ricordare».
«Vi
sbagliate» ringhiò Eren, tremante.
Afferrò il tozzo di pane di
fianco al proprio piatto e ci tirò un bel morso deciso.
«Guardate
che anche i giganti si possono sconfiggere, non dobbiamo farci
spaventare».
«Io
un po' spaventata sono» ammise Beatris, ma di nuovo il
candore e la
gioia con cui parve ammetterlo confuse totalmente i presenti e li
portò a pensare che stesse scherzando. Beatris raccolse le
gambe
sulla propria sedia, incrociandole tra loro e sedendosi in maniera
scomposta cominciò a dondolarsi a destra e sinistra.
«Shadis è
davvero terrificante» giustificò così
la sua affermazione,
riuscendo a rubare qualche sghignazzo non troppo convinto.
«Basterà
addestrarsi a dovere col movimento tridimensionale»
continuò Eren,
ignorando l'intromissione dell'amica. «Allora potremmo
fronteggiarli
alla pari. Finalmente ho la possibilità di farlo, di
addestrarmi
come soldato, e allora... allora entrerò nel corpo di
ricerca e
annienterò tutti i giganti!»
Beatris
poggiò un gomito sul tavolo, schiacciò la propria
guancia contro il
pugno chiuso e con un risolino alzò gli occhi al cielo. Era
un
discorso che ormai aveva sentito fin troppe volte, da quando erano
scappati da Shiganshina Eren non aveva fatto altro che vaneggiare su
quel desiderio omicida di vendetta che ormai lo teneva sveglio la
notte. Tutte le volte doveva intervenire Mikasa per zittirlo, era
pesante, e probabilmente la ragazza nemmeno apprezzava troppo l'idea
di vedere Eren nel corpo di ricerca, ma alla fine erano anche
esilaranti da guardare. Era diventata una routine, tutte le volte che
poteva Eren iniziava a sproloquiare sul suo desiderio di sterminio e
Mikasa lo zittiva con qualche cazzotto. Beatris sogghignò, e
attese
di veder di nuovo intervenire la mora a rendere più
divertente
quella serata. Ma stranamente non fu lei a fermare Eren.
«Ehy,
sei forse pazzo?» a parlare era stato Jean, il ragazzo che
quel
pomeriggio di fianco a Beatris si era beccato una testata.
«Vorresti
davvero entrare nel corpo di ricerca?»
«Sì,
è così» rispose Eren raddrizzandosi e
lanciando a Jean
un'occhiata di sfida. «So invece che tu vuoi entrare nel
corpo di
gendarmeria e avere vita facile, non è
così?»
«Sì,
perché io sono sincero con me stesso, a differenza di chi si
atteggia a eroe orgoglioso, quando invece dentro sé trema di
paura».
Non
sapeva perché Jean, perfetto sconosciuto, gli avesse mandato
quella
palese frecciatina, ma la cosa comunque divertì Beatris. Ci
sarebbe
stato qualcun altro, quella sera, a tirare pugni a Eren e zittirlo?
Che tipo era quel Jean?
Eren
si alzò in piedi, guardando Jean dall'alto al basso.
«Stai forse
parlando di me?» ringhiò come un animale, pronto a
scattare.
Beatris si voltò sulla propria sedia e si sporse in avanti,
incuriosita e divertita continuava a dondolarsi e sorridere.
«Che
ne pensi di un giro di scommesse?» mormorò a
Connie, al suo fianco,
e questo strabuzzò gli occhi. «Io dico che Eren
finisce al
tappeto!» continuò Beatris e Connie
sobbalzò: «Ma è tuo amico!»
«Voglio
proprio godermi lo spettacolo» ridacchiò Beatris,
maligna, e Connie
indietreggiò di un passo, cominciando ad aver quasi paura di
lei.
Jean
si alzò e si avvicinò a Eren, sghignazzando
divertito. «Ehy, io
dicevo solo così per dire» era ovvio che si
sentisse superiore e
questo faceva ribollire il sangue nelle vene a Eren. Anche
perché
lui la gendarmeria non l'aveva mai sopportata, a Shiganshina non
facevano altro che bere e perdere tempo in vizi inutili piuttosto che
dedicarsi al lavoro. Sapere che tra loro c'era qualcuno che ambiva
alla bella vita come quella, lo mandava in bestia. Si guardarono
negli occhi per infiniti istanti, Beatris già
iniziò a pregustarsi
il momento dello scontro, ma questo non avvenne. Suonò la
campana di
fine giornata, l'ordine di andare in branda e lasciare le zone
comuni.
«Ahhhh»
sospirò Beatris, frustrata. «Hanno rovinato
tutto».
«Ma
che dici? Davvero vorresti vederli piacchiarsi?» chiese
Connie,
sconvolto, ma ancora Beatris rispose con un sorriso divertito. Si
alzò dal tavolo, portò al proprio posto i piatti
sporchi e infine
uscì dal casolare per dirigersi verso il dormitorio. Si
fermò sul
ciglio della porta, si voltò solo per aspettare Eren e
Mikasa,
seguiti infine anche da Armin, e insieme a loro si allontanò
dal
resto del gruppo.
«Come
sta la tua mascella?» chiese Armin, di fianco a Beatris.
Questo
parve ricordarglielo e d'improvviso lei prese di nuovo a urlare e
lamentarsi, portandosi le mani alla bocca. «Che male!!! Non
voglio
mai più sorridere in vita mia!»
«L'hai
fatto appena poco fa».
«Oh,
già... è vero» e scoppiò a
ridere, come se niente fosse.
«Hai
i capelli troppo lunghi» sentì dire da Eren,
davanti a sé, rivolto
a Mikasa. «Potrebbero intralciarti durante
l'addestramento».
«Hai
ragione. Li taglierò» mormorò Mikasa,
afferrandosi una ciocca.
«Ma
che dici?» Beatris saltellò al suo fianco e si
appese alle spalle
dell'amica. «Basta legarli come faccio io! La vuoi una
treccia come
la mia? Guarda com'è bella!» e iniziò a
lisciarsi la morbida
treccia castano chiara dalla cute, fino alla spalla dove ricadeva con
morbidezza.
«Siamo
soldati adesso, non dovresti pensare troppo al tuo aspetto»
l'ammonì
Eren.
«Eren
ha ragione. Li taglierò, è la scelta
migliore».
«Dai,
Mikasa... mi piacciono così tanto i tuoi capelli, davvero
vuoi farlo
per lui?»
Ma
Mikasa non rispose, si scrollò Beatris dalle spalle e
continuò a
seguire Eren, parlottando con lui del più e del meno.
Beatris non se
la prese per il trattamento, ma tornò a sghignazzare
divertita.
Rallentò, così da tornare a fiancheggiare Armin.
«Giuro,
non la capirò mai» sospirò.
«Eppure
non è così difficile»
ridacchiò Armin, al suo fianco.
«Difficile
cosa?»
«Capire
cosa le passa per la testa. Dai, lo sai anche tu che tipo di rapporto
c'è con Eren».
«È
ossessionata da lui e ripeto che non la capisco».
«A
te non è mai capitato?» chiese Armin, sinceramente
curioso.
«Perché?
A te sì?» chiese lei, sorpresa.
Armin
negò con la testa. «Non ancora, ma
chissà... magari un giorno ci
ridurremo anche noi come lei e scopriremo che è bellissimo.
Mio
nonno mi raccontava un sacco di cose sulla nonna, era molto simile a
Mikasa nel comportamento e sembrava felice».
«Anche
la mamma sembrava felice quando stava con papà»
confessò Beatris e
un'ombra tornò ad oscurarle il volto. Ricordare quel giorno,
quel
momento, la sua famiglia... era riuscita a superarlo, erano passati
ben due anni, eppure ogni tanto qualcosa tornava a fare male in
petto.
«Chissà
come dev'essere. Mi piacerebbe provarlo...»
mormorò Armin,
altrettanto malinconico.
«Ma
adesso non credo che avremo molte occasioni» e la frase di
Beatris
rabbuiò ancora di più Armin. «Stiamo
diventando soldati, non credo
che avremo più tempo nemmeno di pensare a certe cose
tanto...
normali. E belle».
«Già»
sospirò Armin. «Siamo chiamati a fare una scelta,
pensare a noi
stessi adesso non è più concepibile».
«Però
dev'essere stato bello per la mamma sapere che l'ultimo pensiero di
papà prima della fine possa essere stata lei. Insomma...
sapere di
non essere dimenticati, di restare nel cuore di qualcuno per sempre.
Non credi?»
«Adesso
hai cambiato opinione?» sghignazzò Armin.
«Sei
tu che hai iniziato a fare questi discorsi mielosi! È colpa
tua» ed
entrambi risero di gusto, divertiti, prima che Beatris, ormai quasi
arrivata al dormitorio femminile, non gli saltellò
davanti.
«Armin!»
Incrociò le dita dietro la schiena, si sporse un pochino in
avanti,
e assunse una posa aggraziata come quella di una bambolina. Sapeva
essere di una bellezza unica, a volte, soprattutto con quella sua
incredibile capacità di sorridere e infondere positiva in
qualsiasi
momento. «Facciamoci una promessa!»
Armin
la guardò curioso e lei alzò un dito, sorridendo
ancora più
allegra. «Quando moriremo, promettiamo di essere l'uno
l'ultimo
pensiero dell'altro! Eren e Mikasa fanno già coppia tra
loro, noi
possiamo fare coppia tra noi».
«Ma
che stai dicendo?» chiese Armin, confuso e soprattutto
imbarazzato.
Non aveva mai considerato Beatris niente di più che una
semplice
amica, ma quel discorso era così intimo che aveva sfondato
qualsiasi
barriera. Ed era strano.
Beatris
tirò fuori la lingua e ridacchiò. «Sto
scherzando! Non
preoccuparti, non c'è bisogno di arrossire» rise e
si voltò,
pronta a correre verso il casolare che le era stato assegnato.
«Però»
si fermò, e tornò a sorridergli, sincera.
«Prometto di non
dimenticarti lo stesso. Ok?»
Armin
sciolse i muscoli, rilassato. Gli era sembrato strano e imbarazzante,
ma si rese conto in quel momento che non c'era stato alcun secondo
fine nelle parole di Beatris. Solo dolcezza e calore, i sentimenti
che era abituato ad associarle. Da quando avevano lasciato
Shiganshina la loro amicizia si era rafforzata molto, forse
perché
erano riusciti a sopravvivere tutti e quattro, e da allora erano
diventati praticamente inseparabili. E ognuno col proprio ruolo. Eren
era quello che li scuoteva e li spingeva a cercare un obiettivo, a
rincorrere i loro sogni. Mikasa era la guardia del corpo, si occupava
di proteggerli tutti, con la sua forza era in grado di contrastare
bande intere... o tirare giù Beatris da sopra una grondaia,
le volte
che per curiosità si andava arrampicando in giro. O tirarla
fuori da
una botte. O su da un tombino. O... qualsiasi altra cosa,
perché
quella ragazza non riusciva a stare mai ferma nemmeno per un istante.
Armin...
non sapeva bene che ruolo avesse lui nel gruppo, raccontava solo
storie e vedeva il volto dei suoi amici illuminarsi ogni volta, ma
non era sicuro che quello fosse importante. E infine c'era Beatris,
il sole nascente che riusciva a risollevare il morale a tutti in
qualsiasi occasione. Era allegra, vivace, ma anche molto dolce, a
tratti materna. Era sicuro che avesse sviluppato quell'ultimo lato
del carattere a causa di sua sorella, di cui si era dovuta occupare
da sola dopo la morte dei suoi genitori a Shiganshina, ma nonostante
fosse passato molto tempo aveva radicato quel lato del carattere
dentro sé. Ovunque ci fosse una nuvola, Beatris arrivava con
la
forza di un uragano e provava con qualsiasi arma a scacciarla via. E
la maggior parte delle volte, incredibilmente, ci riusciva.
Sorrise,
scaldato dal suo candore.
«Lo
prometto anche io» disse e infine la vide correre via.
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