Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ray Wings    30/05/2021    1 recensioni
Il boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile. Poi quel pupazzo, stretto tra le mani di sua sorella Rose, che saltava via. Scivolato a terra. Lei era stupidamente tornata indietro per riprenderlo, e allora l'aveva visto... imponente, massiccio, corazzato. Il gigante correva, distruggendo tutto ciò che incontrava, puntando dritto al Wall Maria, puntando dritto a lei, immobile. Paralizzata. Aveva ascoltato il suo ruggito un istante prima che venisse schiacciata... ma non lo faceva mai. Non in quell'incubo. Lei puntualmente si svegliava un istante prima di morire, madida di sudore, tremante come una foglia.
«Bea...».
«Mikasa... scusami, ti ho svegliata».
«Hai di nuovo sognato Shiganshina?»
«Era da un po' che non lo facevo».
«Reiner ti sta stancando troppo con questa storia degli allenamenti extra. Domani gli parlerò, deve lasciarti in pace».
Già, Reiner ci teneva così tanto che lei diventasse più forte... chissà perché l'aveva presa così a cuore.
ALLERTA SPOILER PER CHI NON HA LETTO IL MANGA! Io ho avvertito :P
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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«Tu, dannato!» urlò Shadis Shadis a pochissimi centimetri dal volto di uno dei ragazzi in riga nel cortile esterno del centro di addestramento. Questo sussultò, ma riuscì a restare incredibilmente composto. «Chi sei?»
«Sono Jean Kirschtein, Signore! Vengo dal distretto di Trost!» gridò questo, portandosi il pugno al cuore in segno di saluto. 
«Perché sei venuto qui, dannato?»
«Io...» uno strano sorriso, un misto tra l'imbarazzo e la paura, ma probabilmente Jean poté immaginare che mentire non sarebbe servito a niente. Alla fine la sua ambizione era tra le più comuni nei giovani cadetti, non c’era niente di cui vergognarsi. «Per poter vivere nei territori interni» confessò.
«Capisco» disse Shadis. «E così vorresti vivere nei territori interni?»
«Sì!» esclamò Jean e in tutta risposta si beccò una testata talmente violenta che lo costrinse ad accasciarsi a terra per il dolore. 
«Chi ti ha detto di metterti a cuccia?!» ruggì Shadis. «Pensi davvero che chi si arrende possa entrare nel corpo di Gendarmeria?!» concluse e lasciò Jean a terra, avvicinandosi alla ragazza al suo fianco. Nonostante fosse immobile, gli occhi erano puntati sul ragazzo a terra. Le sopracciglia lievemente inarcate lasciavano ben intuire che fosse preoccupata per quanto appena accaduto, probabilmente, se avesse avuto la possibilità, sarebbe corsa a fianco di Jean per aiutarlo, glielo si leggeva in faccia.
«Ehy, tu, dannata!» la richiamò Shadis e questo la fece sobbalzare. Tornò a guardare davanti a sé, puntò gli occhi a Shadis e scattò come un vero soldatino. Pugno al petto in forma di saluto, spalle rigide e un lieve sorriso sul volto. Sembrava solare... il che era strano, vista la situazione. Shadis non dovette digerire troppo la cosa perché le chiese, torvo in viso: «Che hai da sorridere?»
«Sono felice di poter essere qui e offrire il cuore per il bene dell'umanità, signore!»
Ottima risposta, pronta e ben studiata. Non era una sprovveduta qualunque, ma anche lei andava raddrizzata. «Sorriderai così anche quando verrai divorata da un gigante?»
«Assolutamente sì! Saprò nel mio piccolo di aver dato un contributo!»
«Che cosa ti fa credere che tu possa realmente dare un contributo? Sei solo cibo per giganti, niente di più».
«Meglio io che qualcun altro, Signore! Anche questo è un modo per salvare delle vite».
Faceva venire i brividi pensare che avesse realmente sminuito così la propria vita con una tale leggerezza, ma era sorprendentemente ciò che Shadis voleva sentirsi dire. E forse lei lo sapeva. 
«Hai sempre la risposta pronta per ogni situazione, non è così?» ma non fu assolutamente un complimento. Il volto di Shadis si stava rabbuiando, irritato dal gioco che aveva scoperto, lui come molti altri. La ragazza stava solo recitando un ruolo, il migliore per quella situazione, per compiacere chi aveva davanti. «Credi davvero che le parole e i sorrisi possano salvare la vita a qualcuno? Prova a combattere i giganti a sorrisi e parole, moriresti immediatamente!»
«È probabile, Signore!» rispose lei, pronta e rigida.
«Come ti chiami?»
«Beatris Moreau! Vengo da Shiganshina, Signore!» e non appena terminò le mani del capitano Shadis le si piantarono in viso. Infilò entrambi i pollici ai lati delle sue labbra e le aprì la bocca in un innaturale sorriso che le tirava le labbra tanto che avrebbe potuto spaccargliele. 
«Duecento giri di corsa del campo, e guai a te se chiudi la bocca anche solo per un istante. Che aspetti?! Afferrati le labbra, resta così e corri!» urlò e Beatris saltò dalla paura. Si infilò gli indici ai lati della bocca, tenne le labbra ben tirate come gliele aveva messe Shadis e in quella terribile e scomoda posizione iniziò a correre intorno al campo.
«Ma perchè? Cos'ho sbagliato?» piagnucolò, silenziosa abbastanza da non farsi sentire da Shadis. Cominciò a correre, girando intorno al gruppo più e più volte, guardando il resto della cerimonia di iniziazione da spettatrice esterna. Non fu tanto la corsa a straziarla, quanto il dover tenere fissi gli indici agli angoli delle labbra e tenere la bocca sempre tirata verso le orecchie. I moscerini le entravano in gola, le labbra iniziarono a spaccarsi e soprattutto non riuscì a darsi abbastanza aerodinamicità non potendo usare le braccia per una giusta spinta. Fu a dir poco straziante. 
Guardò Shadis passare oltre Eren e Mikasa, senza degnarli nemmeno di uno sguardo, per poi soffermarsi su una ragazza intenta a mangiare una patata. 
"Loro non li ha neanche calcolati, non è giusto!" pensò, frustrata. Non seguì il resto della chiacchierata con la ragazza patata, ma dopo pochi istanti la trovò di fianco a sé che correva intorno al campo. Non ci fu bisogno di chiedere spiegazioni, mangiare una patata di fronte al capitano Shadis durante l'addestramento era stato decisamente troppo, anche per lei.
«Ma perché ti sei messa a mangiare una patata?» le chiese Beatris, una volta che furono vicine. 
«Nessuno di voi mangia patate? Io non capisco!» lamentò la ragazza che scoprì successivamente chiamarsi Sasha. Un tono di voce decisamente troppo alto, che Shadis captò e non apprezzò.
«Correte più veloce! E se vi sento ancora parlare aggiungerò giri alla vostra punizione!»
Con le lacrime agli occhi e lo strazio nel cuore, le due presero a correre a perdifiato. Avevano appena iniziato l'addestramento, ed era già stato abbastanza. Mai si sarebbero dimenticate di quella lezione... forse.


Quando Beatris poté tornare dal resto dei suoi nuovi compagni, questi si erano già riuniti nella sala comune per la cena. Aveva lasciato Sasha fuori a correre e sapeva avrebbe avuto da stare lì ancora per un po', almeno fino a quando il sole non sarebbe calato. Si massaggiò le guance distrutte e con lo sguardo avvilito si guardò intorno. Avrebbe dovuto imparare col tempo a familiarizzare con quei volti, ma nel frattempo si sarebbe concessa del normale relax insieme alle uniche persone che conosceva. Si avvicinò al tavolo dove mangiavano Eren, Mikasa e Armin e si accasciò al loro fianco. 
«Ci hai messo troppo tempo a finire di fare quei giri» la rimproverò Mikasa, mentre Armin allungava nella sua direzione un piatto con della minestra fumante. «È per questo che Shadis si è arrabbiato e te ne ha aggiunti altri».
«Mi ha preso di mira già dal primo giorno, che strazio» sospirò Beatris. «Eppure pensavo di aver dato le risposte corrette! Mi sono esercitata con Armin così tanto per cercare di fare bella impressione...»
«Credo sia stato proprio questo il tuo errore» le disse Armin. «Eri pronta come una studentella davanti a un test, non sembravi sincera».
«Ma io non ho mentito!» esclamò Beatris, offesa. Prese il cucchiaio dal suo vassoio e iniziò a mangiare, lentamente. Ogni movimento di mascella le faceva un gran male e a ogni boccone seguiva un lamento e uno scuotere di gambe. «Che male».
«È comunque andata meglio a te che alla ragazza patata. Lei dovrà correre fino al calar del sole e dopo non le spetta nemmeno la cena» disse Mikasa. 
«Beh, lei l'ha fatta davvero grossa» prese un'altra cucchiaiata e provò a portarsela alle labbra, ma non appena aprì la bocca la mascella le fece di nuovo un gran male. Lanciò un urlo, senza trattenersi, e si portò una mano alla guancia. «Che male!»
«L'hai già detto» lamentò Mikasa. 
«Tu e quello lì siete fatti della stessa pasta, Mikasa!» ringhiò Beatris, puntandole un dito contro. «Non sopportate la felicità, e ve la rifate verso chi invece riesce a godersi la vita!»
«Cos'hai da essere felice, ancora non riesco a capirlo» mormorò Eren, parlando per la prima volta. 
«Sta' zitto» rimproverò Beatris. «Non fare finta di niente, ho visto come sorridevi durante l'iscrizione. Che hai da prendertela con me?»
Eren alzò gli occhi, pronto a risponderle, ma vennero interrotti. Un ragazzo, Connie, si avvicinò a loro con gli occhi quasi che brillavano. 
«Ehy!» si accostò a Beatris, sporgendosi oltre al tavolo. «Tu hai detto che vieni da Shiganshina, non è così?» 
Alle sue spalle Beatris riuscì a scorgere avvicinarsi sempre più altri cadetti, alcuni curiosi, altri emozionati, altri ancora profondamente preoccupati.
«Sì, è così» rispose Beatris innocentemente. 
«Perciò...» mormorò Connie, mentre altri si avvicinavano. Ormai intorno al loro tavolo c'erano almeno una decina di persone, forse quindici. «Perciò tu l'hai visto? Eri lì?»
«Visto?» mormorò Beatris, cominciando a chiedersi a cosa si riferisse. Non che fosse difficile intuirlo, ma era strano che le chiedessero proprio di quel giorno data la tragedia che aveva comportato. Erano davvero curiosi di sapere, da chi c'era, come fosse stato terribile?
«Il gigante colossale e il corazzato!» esclamò Connie. «Li hai visti con i tuoi occhi? Com'erano?»
Beatris d'istinto voltò gli occhi a Eren e Armin, seduti di fronte a lei. E trovò entrambi i loro sguardi rivolti a lei, con la stessa ombra a sovrastarli. Armin più di Eren, probabilmente più addolorato all'idea di ricordare, non rispose e tornò a mangiare la sua zuppa in silenzio. Le sopracciglia aggrottate, faticava a non trasmettere il dolore che provava in quel momento. Ma Eren, invece, era di tutt'altra pasta... lui aveva trasformato quel dolore in rabbia e determinazione.
«Sì, lo abbiamo visto» rispose quest’ultimo e gli occhi dei presenti si fecero ancora più spalancati.
«Anche voi venite da Shiganshina?» chiesero ed Eren annuì.
«Tutti e quattro eravamo lì. Noi tre...» disse guardando prima Armin e poi Mikasa. «Eravamo insieme, quel giorno. L'abbiamo visto dalla piazza fare capolino oltre il muro e guardarci».
«Ho sentito che il colossale ha superato il muro con un balzo!» esclamò qualcuno e fu ancora Eren a rispondere: «No, non era così alto. Ma sbucava con la testa, ci ha guardati tutti prima di sfondare il cancello con un calcio».
«Bastò il frastuono a rompere le finestre di casa mia» intervenne Beatris. «Ricordo che per il tremore della terra caddi giù dalle scale e finii dritta davanti alla porta di casa. Fu forse questo a salvarmi, dato che poco dopo casa mia venne distrutta quasi totalmente».
«Casa tua è stata distrutta?» chiese Marco, guardando la ragazza con compassione.
Beatris immerse nuovamente il cucchiaio nella zuppa, pronta a portarselo nuovamente alla bocca. Esitò, decisamente troppo a lungo, ma quando rialzò gli occhi su Marco aveva in volto uno spensierato sorriso. Lo stesso sorriso che aveva fatto incazzare Shadis quel pomeriggio. 
Annuì semplicemente: «Anche la loro» disse, indicando Eren.
«Noi abitavamo nella zona più vicina al muro esterno, mentre Beatris era più vicina al Wall Maria, quasi in zona centrale, sulla via principale. Ma entrambe, anche se distanti, non hanno fatto una bella fine» disse Eren, ma nonostante l'argomento fosse delicato non sembrò tentennare nemmeno un po'. Entrambi ne parlavano con naturalezza, apparentemente non turbati dalla cosa, e forse fu questo a solleticare la curiosità dei presenti. 
Una pioggia di domande li travolsero, domande a cui rispondeva principalmente Eren, ma che ogni tanto trovavano sorrisi e conferme da parte di Beatris. Armin e Mikasa invece, cupi, non fecero che mangiare in completo silenzio. 
«Come siete scappati?»
«Quanti giganti c'erano?»
«Come ha risposto il corpo di guarnigione?»
«Quanti ne avete visti in faccia?»
«Che faccia avevano?»
E così, fino a sera tarda. 
«Il colossale era quasi senza pelle, con la bocca enorme» spiegò Eren, all'ennesima domanda. 
«E il corazzato che ha sfondato il Wall Maria?» chiese qualcun altro.
«È così che lo chiamano?» mormorò Eren. Connie annuì, prima di chiedere: «Com'era fatto?»
«Aveva la pelle ricoperta da una specie di armatura» rispose Beatris, attirando su di sé lo sguardo dei curiosi. Li sorprese, fino a quel momento non aveva detto molto, era strano che avesse sentito di dover rispondere proprio lei a quella domanda. «Non gli interessavano le persone, non ha cercato di mangiare nessuno. È corso verso il Wall Maria e l'ha sfondato con una spallata».
Connie, e non solo lui, sbarrò gli occhi e spalancò la bocca per la sorpresa. 
«Era... grosso?» mormorò un altro compagno.
«Non più di un normale gigante, ma era bello robusto».
«E quanto è grosso un normale gigante?» 
Beatris spalancò gli occhi, improvvisamente sorpresa dalla domanda. Sentì il tintinnio del cucchiaio di Eren che cadeva nel piatto e quando alzò lo sguardo si accorse che anche Eren aveva la sua stessa espressione sconvolta. Qualcosa li pugnalò alla bocca dello stomaco, tant'è che Eren dovette portarsi una mano alle labbra, come se fosse in procinto di vomitare. 
«Voi...» mormorò Beatris, voltandosi a guardare una ragazza al suo fianco. «Non ne avete mai visto uno?»
Eppure erano tutti lì, pronti ad addestrarsi per combatterli. Come avrebbero potuto prepararsi a dovere se mai avevano visto in faccia il nemico? Come potevano dirsi pronti a fronteggiarli? Come avrebbero fatto a non farsi prendere dal panico, la prima volta?
«Ragazzi» mormorò Marco. «Forse dovremmo smetterla. Li stiamo costringendo a ricordare cose che magari non vogliono ricordare».
«Vi sbagliate» ringhiò Eren, tremante. Afferrò il tozzo di pane di fianco al proprio piatto e ci tirò un bel morso deciso. «Guardate che anche i giganti si possono sconfiggere, non dobbiamo farci spaventare».
«Io un po' spaventata sono» ammise Beatris, ma di nuovo il candore e la gioia con cui parve ammetterlo confuse totalmente i presenti e li portò a pensare che stesse scherzando. Beatris raccolse le gambe sulla propria sedia, incrociandole tra loro e sedendosi in maniera scomposta cominciò a dondolarsi a destra e sinistra. «Shadis è davvero terrificante» giustificò così la sua affermazione, riuscendo a rubare qualche sghignazzo non troppo convinto. 
«Basterà addestrarsi a dovere col movimento tridimensionale» continuò Eren, ignorando l'intromissione dell'amica. «Allora potremmo fronteggiarli alla pari. Finalmente ho la possibilità di farlo, di addestrarmi come soldato, e allora... allora entrerò nel corpo di ricerca e annienterò tutti i giganti!»
Beatris poggiò un gomito sul tavolo, schiacciò la propria guancia contro il pugno chiuso e con un risolino alzò gli occhi al cielo. Era un discorso che ormai aveva sentito fin troppe volte, da quando erano scappati da Shiganshina Eren non aveva fatto altro che vaneggiare su quel desiderio omicida di vendetta che ormai lo teneva sveglio la notte. Tutte le volte doveva intervenire Mikasa per zittirlo, era pesante, e probabilmente la ragazza nemmeno apprezzava troppo l'idea di vedere Eren nel corpo di ricerca, ma alla fine erano anche esilaranti da guardare. Era diventata una routine, tutte le volte che poteva Eren iniziava a sproloquiare sul suo desiderio di sterminio e Mikasa lo zittiva con qualche cazzotto. Beatris sogghignò, e attese di veder di nuovo intervenire la mora a rendere più divertente quella serata. Ma stranamente non fu lei a fermare Eren.
«Ehy, sei forse pazzo?» a parlare era stato Jean, il ragazzo che quel pomeriggio di fianco a Beatris si era beccato una testata. «Vorresti davvero entrare nel corpo di ricerca?» 
«Sì, è così» rispose Eren raddrizzandosi e lanciando a Jean  un'occhiata di sfida. «So invece che tu vuoi entrare nel corpo di gendarmeria e avere vita facile, non è così?»
«Sì, perché io sono sincero con me stesso, a differenza di chi si atteggia a eroe orgoglioso, quando invece dentro sé trema di paura».
Non sapeva perché Jean, perfetto sconosciuto, gli avesse mandato quella palese frecciatina, ma la cosa comunque divertì Beatris. Ci sarebbe stato qualcun altro, quella sera, a tirare pugni a Eren e zittirlo? Che tipo era quel Jean?
Eren si alzò in piedi, guardando Jean dall'alto al basso. «Stai forse parlando di me?» ringhiò come un animale, pronto a scattare. Beatris si voltò sulla propria sedia e si sporse in avanti, incuriosita e divertita continuava a dondolarsi e sorridere. 
«Che ne pensi di un giro di scommesse?» mormorò a Connie, al suo fianco, e questo strabuzzò gli occhi. «Io dico che Eren finisce al tappeto!» continuò Beatris e Connie sobbalzò: «Ma è tuo amico!»
«Voglio proprio godermi lo spettacolo» ridacchiò Beatris, maligna, e Connie indietreggiò di un passo, cominciando ad aver quasi paura di lei.
Jean si alzò e si avvicinò a Eren, sghignazzando divertito. «Ehy, io dicevo solo così per dire» era ovvio che si sentisse superiore e questo faceva ribollire il sangue nelle vene a Eren. Anche perché lui la gendarmeria non l'aveva mai sopportata, a Shiganshina non facevano altro che bere e perdere tempo in vizi inutili piuttosto che dedicarsi al lavoro. Sapere che tra loro c'era qualcuno che ambiva alla bella vita come quella, lo mandava in bestia. Si guardarono negli occhi per infiniti istanti, Beatris già iniziò a pregustarsi il momento dello scontro, ma questo non avvenne. Suonò la campana di fine giornata, l'ordine di andare in branda e lasciare le zone comuni. 
«Ahhhh» sospirò Beatris, frustrata. «Hanno rovinato tutto». 
«Ma che dici? Davvero vorresti vederli piacchiarsi?» chiese Connie, sconvolto, ma ancora Beatris rispose con un sorriso divertito. Si alzò dal tavolo, portò al proprio posto i piatti sporchi e infine uscì dal casolare per dirigersi verso il dormitorio. Si fermò sul ciglio della porta, si voltò solo per aspettare Eren e Mikasa, seguiti infine anche da Armin, e insieme a loro si allontanò dal resto del gruppo. 
«Come sta la tua mascella?» chiese Armin, di fianco a Beatris. Questo parve ricordarglielo e d'improvviso lei prese di nuovo a urlare e lamentarsi, portandosi le mani alla bocca. «Che male!!! Non voglio mai più sorridere in vita mia!»
«L'hai fatto appena poco fa».
«Oh, già... è vero» e scoppiò a ridere, come se niente fosse. 
«Hai i capelli troppo lunghi» sentì dire da Eren, davanti a sé, rivolto a Mikasa. «Potrebbero intralciarti durante l'addestramento».
«Hai ragione. Li taglierò» mormorò Mikasa, afferrandosi una ciocca.
«Ma che dici?» Beatris saltellò al suo fianco e si appese alle spalle dell'amica. «Basta legarli come faccio io! La vuoi una treccia come la mia? Guarda com'è bella!» e iniziò a lisciarsi la morbida treccia castano chiara dalla cute, fino alla spalla dove ricadeva con morbidezza.
«Siamo soldati adesso, non dovresti pensare troppo al tuo aspetto» l'ammonì Eren.
«Eren ha ragione. Li taglierò, è la scelta migliore».
«Dai, Mikasa... mi piacciono così tanto i tuoi capelli, davvero vuoi farlo per lui?»
Ma Mikasa non rispose, si scrollò Beatris dalle spalle e continuò a seguire Eren, parlottando con lui del più e del meno. Beatris non se la prese per il trattamento, ma tornò a sghignazzare divertita. Rallentò, così da tornare a fiancheggiare Armin.
«Giuro, non la capirò mai» sospirò.
«Eppure non è così difficile» ridacchiò Armin, al suo fianco.
«Difficile cosa?»
«Capire cosa le passa per la testa. Dai, lo sai anche tu che tipo di rapporto c'è con Eren».
«È ossessionata da lui e ripeto che non la capisco».
«A te non è mai capitato?» chiese Armin, sinceramente curioso.
«Perché? A te sì?» chiese lei, sorpresa. 
Armin negò con la testa. «Non ancora, ma chissà... magari un giorno ci ridurremo anche noi come lei e scopriremo che è bellissimo. Mio nonno mi raccontava un sacco di cose sulla nonna, era molto simile a Mikasa nel comportamento e sembrava felice».
«Anche la mamma sembrava felice quando stava con papà» confessò Beatris e un'ombra tornò ad oscurarle il volto. Ricordare quel giorno, quel momento, la sua famiglia... era riuscita a superarlo, erano passati ben due anni, eppure ogni tanto qualcosa tornava a fare male in petto. 
«Chissà come dev'essere. Mi piacerebbe provarlo...» mormorò Armin, altrettanto malinconico. 
«Ma adesso non credo che avremo molte occasioni» e la frase di Beatris rabbuiò ancora di più Armin. «Stiamo diventando soldati, non credo che avremo più tempo nemmeno di pensare a certe cose tanto... normali. E belle».
«Già» sospirò Armin. «Siamo chiamati a fare una scelta, pensare a noi stessi adesso non è più concepibile».
«Però dev'essere stato bello per la mamma sapere che l'ultimo pensiero di papà prima della fine possa essere stata lei. Insomma... sapere di non essere dimenticati, di restare nel cuore di qualcuno per sempre. Non credi?»
«Adesso hai cambiato opinione?» sghignazzò Armin. 
«Sei tu che hai iniziato a fare questi discorsi mielosi! È colpa tua» ed entrambi risero di gusto, divertiti, prima che Beatris, ormai quasi arrivata al dormitorio femminile, non gli saltellò davanti. 
«Armin!» Incrociò le dita dietro la schiena, si sporse un pochino in avanti, e assunse una posa aggraziata come quella di una bambolina. Sapeva essere di una bellezza unica, a volte, soprattutto con quella sua incredibile capacità di sorridere e infondere positiva in qualsiasi momento. «Facciamoci una promessa!»
Armin la guardò curioso e lei alzò un dito, sorridendo ancora più allegra. «Quando moriremo, promettiamo di essere l'uno l'ultimo pensiero dell'altro! Eren e Mikasa fanno già coppia tra loro, noi possiamo fare coppia tra noi».
«Ma che stai dicendo?» chiese Armin, confuso e soprattutto imbarazzato. Non aveva mai considerato Beatris niente di più che una semplice amica, ma quel discorso era così intimo che aveva sfondato qualsiasi barriera. Ed era strano.
Beatris tirò fuori la lingua e ridacchiò. «Sto scherzando! Non preoccuparti, non c'è bisogno di arrossire» rise e si voltò, pronta a correre verso il casolare che le era stato assegnato. «Però» si fermò, e tornò a sorridergli, sincera. «Prometto di non dimenticarti lo stesso. Ok?»
Armin sciolse i muscoli, rilassato. Gli era sembrato strano e imbarazzante, ma si rese conto in quel momento che non c'era stato alcun secondo fine nelle parole di Beatris. Solo dolcezza e calore, i sentimenti che era abituato ad associarle. Da quando avevano lasciato Shiganshina la loro amicizia si era rafforzata molto, forse perché erano riusciti a sopravvivere tutti e quattro, e da allora erano diventati praticamente inseparabili. E ognuno col proprio ruolo. Eren era quello che li scuoteva e li spingeva a cercare un obiettivo, a rincorrere i loro sogni. Mikasa era la guardia del corpo, si occupava di proteggerli tutti, con la sua forza era in grado di contrastare bande intere... o tirare giù Beatris da sopra una grondaia, le volte che per curiosità si andava arrampicando in giro. O tirarla fuori da una botte. O su da un tombino. O... qualsiasi altra cosa, perché quella ragazza non riusciva a stare mai ferma nemmeno per un istante.
Armin... non sapeva bene che ruolo avesse lui nel gruppo, raccontava solo storie e vedeva il volto dei suoi amici illuminarsi ogni volta, ma non era sicuro che quello fosse importante. E infine c'era Beatris, il sole nascente che riusciva a risollevare il morale a tutti in qualsiasi occasione. Era allegra, vivace, ma anche molto dolce, a tratti materna. Era sicuro che avesse sviluppato quell'ultimo lato del carattere a causa di sua sorella, di cui si era dovuta occupare da sola dopo la morte dei suoi genitori a Shiganshina, ma nonostante fosse passato molto tempo aveva radicato quel lato del carattere dentro sé. Ovunque ci fosse una nuvola, Beatris arrivava con la forza di un uragano e provava con qualsiasi arma a scacciarla via. E la maggior parte delle volte, incredibilmente, ci riusciva.
Sorrise, scaldato dal suo candore. 
«Lo prometto anche io» disse e infine la vide correre via.



   
 
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