Pioveva
a dirotto ormai da ore. L'acqua che cadeva dal cielo era talmente
fitta che Beatris faticava a vedere persino dove mettesse i piedi e
ogni tre passi sprofondava in una pozza di fango, rischiando di
cadere. Nonostante i cappucci e la giacca, era fradicia da capo a
piedi e i vestiti appesantiti dall'umidità non facilitavano
la sua
corsa estenuante. A bocca spalancata cercava di prendere quanta
più
aria possibile, ma non era mai abbastanza e puntualmente la pioggia
le finiva in gola, rischiando persino di soffocarla. Piegata in
avanti, schiacciata dal peso dello zaino pieno zeppo di roba,
arrancava e ansimava, correndo su per un pendio scivoloso e ripido.
Davanti a lei, almeno una decina di metri più avanti, i suoi
compagni riuscivano a tenere il passo più facilmente,
seguendo
l'istruttore che a cavallo apriva loro la strada. Annaspò
ancora,
chinandosi sempre più sotto al peso dello zaino e della
fatica. Le
gambe le facevano male come mai prima di allora, sentiva che le
spalle erano sul punto di staccarsi dal corpo, e non riusciva a
pensare ad altro che a quanto facesse male.
Scivolò
nell'ennesima pozza e cadde a terra, schiacciata dallo zaino e dal
suo senso di inadeguatezza. Era l'ultima dello squadrone, lontana
almeno una decina di metri e non faceva che allontanarsi. Ed era
stata l'unica tra tutti a cedere in quel modo.
«Bea!»
Armin, davanti a lei di qualche passo, si fermò e
tornò
immediatamente indietro. La prese per un braccio e cercò di
farla
rialzare. «Non fermarti! Resteremo indietro!»
«Non
ce la faccio più» ansimò Beatris,
abbandonata nel fango. «Tutto
questo... è impossibile. Come fate voi a
resistere?»
«Tieni
duro, avanti!» disse Armin, cercando di tirarla.
«Se restiamo qui
perderemo il resto della squadra».
«Vai
con loro» mormorò Beatris, decisa ad arrendersi.
Non ce l'avrebbe
fatta a muovere un solo passo in più, non in quelle
condizioni. Era
fradicia, tremava dal freddo, e con la pioggia il suo equipaggiamento
era diventato più pesante che mai. Sentiva dolori persino in
posti
che non credeva fossero in grado di far male.
«Non
ti lascio qui da sola, scordatelo!» insisté Armin.
Beatris alzò la
testa, dando uno sguardo alla loro squadra. Erano veramente lontani,
adesso, e più aspettava più rischiavano di
restare soli in quel
posto sperduto. Dopo avrebbero fatto il doppio della fatica per
riuscire a ritrovare la strada per il centro d'addestramento,
rischiavano di perdersi e restare in quella foresta, in quelle
condizioni, troppo a lungo. E Armin era deciso a non lasciarla
sola...
A
causa sua anche lui avrebbe rischiato la vita. Si corrucciò
e piantò
un piede a terra, spingendosi in avanti e aggrappandosi ad Armin per
rialzarsi. Lentamente, riprese ad avanzare, spingendo i propri
muscoli al limite. Armin la tenne ben stretta per la manica e
continuò a tirarla, per cercare di trascinarla il
più avanti
possibile, ma ad ogni passo minacciava di cadere di nuovo a terra,
troppo stanca, troppo appesantita. Ormai a occhi socchiusi respirava
così affannosamente che sentiva la testa girare.
«Credo
di star per svenire» confessò in un
mormorio.
«Avanti!
Cerca di respirare in maniera controllata, cerca di sforzarti! Siamo
già a metà del percorso, possiamo
farcela» disse, sperando di
esserle d'aiuto con una carica d'ottimismo. Non erano così
vicini
alla meta, ma almeno erano a metà. Potevano farcela! Ma
Beatris
spalancò gli occhi e si voltò improvvisamente
verso di lui,
gridando sconvolta: «Siamo solo a
metà?!»
La
distrazione le costò cara. Non vide un sasso più
sporgente degli
altri proprio sotto ai suoi piedi e, fradicio di pioggia e fango,
finì col scivolarci sopra. Cadde di lato, verso Armin, e
gridò
dallo spavento. Allungò le mani in avanti, cercò
il primo appiglio
disponibile e disgrazia volle che fosse proprio l'amico, che ancora
le stava a fianco. Lo trascinò giù insieme a lei
e finirono
entrambi in ginocchio, nel fango. Ormai disperata, scoppiò a
piangere come una bambina.
«È
inutile! Non ce la farò mai, faccio proprio
schifo!» gridò.
«Ahi...»
lamentò Armin, cercando di rimettersi in piedi. Si
voltò
preoccupato verso Beatris, pronto a incoraggiarla ancora, cercare di
calmarla, ma vide in quel momento Reiner arrivare al loro fianco.
Prese Beatris da sotto le braccia e la rimise in piedi.
Bastò la
sorpresa di sentirsi sollevare da terra di peso a farle smettere di
urlare e piangere, confusa su cosa stesse accadendo. Reiner non diede
alcuna spiegazione, ma prese lo zaino di Beatris dalle sue spalle,
togliendoglielo prima che avesse potuto anche solo dire qualcosa. E
avanzò di qualche passo.
«Armin!»
disse, voltandosi appena. «State dietro di me!»
«Ma...»
mormorò Beatris, dispiaciuta nel vedere che c'era chi ancora
si
ostinava ad aiutarla, anche a scapito di se stesso.
Quell'addestramento era davvero impossibile, sfiancante al limite
delle possibilità umane. Anche se Reiner sicuramente era
più forte,
portare addirittura due zaini lo avrebbe devastato. E la colpa era
ancora una volta la sua... con la sua debolezza, con la sua
incapacità, non faceva che creare problemi a tutti quelli
che aveva
attorno. Armin la prese per mano e riprese a correre, trascinandola
lungo il percorso.
«Andiamo
Bea!» disse.
Correre
senza il peso dello zaino sulle spalle era sicuramente più
facile,
perlomeno riuscì a restare in piedi e proseguire, anche se
continuava a restare in fondo alla colonna. E così facendo
rallentò
anche Armin, che cercava di sostenere lei, e Reiner che era deciso ad
aprire loro la strada, non lasciarli soli.
«Se
l'istruttore ti vedesse... finiresti nei guai»
mormorò lei,
arrancando alle spalle di Reiner.
«Non
preoccuparti, preferisco una punizione piuttosto che sapervi sperduti
tra i boschi. Pensa solo a correre».
Una
punizione... si sarebbe preso un'altra punizione a causa sua. Non
voleva, ma correre con quello zaino sulle spalle era troppo per lei.
Non riusciva neanche a stare in piedi. Era così debole,
rispetto al
resto dei suoi compagni, mentre Reiner, al contrario, riusciva a
tenere il passo persino con due zaini sulle spalle invece che uno
solo. Come riusciva a essere così forte? Come riuscivano
tutti a
essere più forti di lei? E perché c’era
sempre chi doveva subire
le conseguenze della sua debolezza? Non era giusto. Si era arruolata
per un motivo ben preciso, se avesse continuato così non
sarebbe mai
arrivata da nessuna parte. Doveva diventare più forte.
Doveva
trovare una soluzione...
Arrivarono
finalmente alla fine del percorso e Reiner le diede indietro il suo
zaino un attimo prima che l'istruttore li vedesse. Era palesemente
stremato, respirava affannosamente e Beatris era convinta che
ciò
che gli bagnava il volto non fosse solo pioggia.
«Grazie...»
mormorò, avvilita.
«L'addestramento
non è un gioco, non è da prendere sotto
gamba» l'ammonì Reiner.
«Se credi di non essere in grado, allora dovresti mollare e
basta».
Beatris
si strinse nelle spalle, sentendo quelle accuse premere come massi
sulla sua già indebolita coscienza. Gli aveva dato davvero
un sacco
di problemi, eppure nonostante fosse stata un palese peso per lui e
per Armin, era stato comunque disposto ad aiutarla. Era davvero una
persona di buon cuore, non poteva essere altrimenti, e la gratitudine
per il suo sacrificio peggiorarono ancora di più il suo
senso di
colpa. Forse avrebbe davvero dovuto mollare...
«Ma...»
proseguì Reiner, sgranchendosi la schiena indolenzita.
«Se credi
invece che questa sia la tua strada e sei convinta di voler arrivare
in fondo, allora non fermarti. Indipendentemente da dove arriverai,
da come ti ridurrai, tu continua ad andare avanti. Mettersi a
piangere e lamentarsi di fare schifo non ti aiuterà in
nessun modo.
Cerca sempre di proseguire, ok?»
E
Beatris alzò gli occhi su di lui, sentendosi improvvisamente
più
leggera. Non aveva cercato di rimproverarla, le aveva solo messo
davanti la realtà e spinta a prendere una decisione, a
prendere
consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare. Arrivare in
fondo
all'addestramento era davvero ciò che voleva, potersi
arruolare nel
corpo di ricerca insieme ai suoi amici era tutto ciò a cui
anelava.
Reiner non l'aveva rimproverata, l'aveva aiutata... ancora una volta.
Lei non avrebbe dovuto fermarsi mai più. Doveva muoversi.
Anche a
costo di andare in pezzi, doveva muoversi.
«Ok...»
mormorò, colpita dalle parole di Reiner. E lo
guardò allontanarsi,
per raggiungere il resto della squadra che ora entrava dentro una
baita per concedersi finalmente riposo e calore.
«Andiamo»
le disse Armin. «Dobbiamo riposare anche noi».
E
la guidò all'interno della baita, dove ad attenderli c'erano
un
camino acceso e un pasto caldo.
La
sera stessa tornarono al centro d'addestramento, ma Shadis era
assolutamente deciso a non dar loro tregua. La mattina dopo li
aspettò nel cortile con l'attrezzatura d'addestramento per
il
movimento tridimensionale. Erano ancora nella fase di allenamento per
l'equilibrio, ma di lì a una settimana ci sarebbe stata la
verifica
finale, ed erano in pochi a non aver ancora preso destrezza con
l'attrezzatura. La maggior parte di loro riusciva a restare
perfettamente in equilibrio, sospeso per aria, senza il minimo
sforzo. Beatris guardò la struttura in ferro a cui sarebbe
stata
legata da lì a pochi minuti come il peggior mostro che
avesse mai
dovuto affrontare. Era ancora indolenzita per il giorno prima e
questo non l'avrebbe aiutata, ma non aveva fatto che ripensare alle
parole di Reiner. Piangersi addosso e dire che faceva schifo non
l'avrebbe aiutata in nessun modo, lei doveva andare avanti.
Continuare a muoversi. Si avvicinò all'impalcatura a lei
destinata e
si concentrò scrupolosamente sull'allacciamento, che ormai
lasciavano che facessero da soli, per imparare a conoscere al meglio
la propria imbracatura. Diede l'ok all'istruttore e infine questo la
sollevò da terra, tenendola alzata almeno un paio di metri
sopra al
suolo. Si corrucciò, si concentrò e
sforzò ogni muscolo possibile,
anche se dolorante. Ciondolò per un po', sentendosi cadere
ora in
avanti ora indietro, ma cercò sempre di riequilibrare il
peso e
tentare di restare dritta. Ma più si sforzava nel
ridistribuire il
peso, più sembrava sbagliare e darne sempre troppo da un
lato o
dall’altro, e le oscillazioni aumentarono invece che
diminuire.
Infine guardò il mondo ribaltarsi davanti ai suoi occhi.
Cadde in
avanti, lanciando un urlo terrorizzato, e finì col penzolare
come un
salame a testa in giù.
«Merda»
digrignò i denti, frustrata. Si diede un paio di spinte con
le
gambe, cercò di rialzarsi e tornare dritta, ma questo non
causò
altro se non ulteriori oscillazioni che la fecero ciondolare avanti e
indietro come su un'altalena. Non riuscì più a
trattenersi e lanciò
un urlo nervoso, troppo accecata dalla rabbia. Perché non ci
riusciva? Perché doveva essere così negata
veramente in ogni cosa?!
Sgambettò, con i piedi per aria, furiosa.
«Fatemi
scendere da questa macchina infernale!» ruggì, non
trovando modo di
rimettersi dritta da sola. Con un sospiro rassegnato l'istruttore si
avvicinò a lei, pronto a tirarla giù, ma ormai
era rimasta troppo
tempo con la testa penzoloni verso il basso. Beatris sentì
il sangue
confluire al cervello fin troppo e lo stomaco cominciare a
rovesciarsi. Si sentì sempre peggio, mentre aspettava di
essere
rimessa a terra, e infine si accasciò lasciando cadere le
braccia
verso terra e le gambe distese.
«Sto
per vomitare...» confessò, pallida. Quando infine
toccò terra,
restò distesa lì dov'era, moribonda.
«Andiamo
Moreau, ti porto in infermeria» le disse l'istruttore,
avvicinandosi
per prenderla e costringerla ad alzarsi. Beatris piantò le
mani a
terra e si sollevò di colpo, puntando lo sguardo
all'istruttore
davanti a lei. «No! Sto bene! Posso riprovarci!»
gridò,
determinata, ma il movimento improvviso fu fatale per il suo stomaco
già disastrato. Divenne verde improvvisamente e prima che
potesse
anche solo accorgersene stava già rimettendo la colazione,
dritta
sulle scarpe dell'istruttore che aveva davanti.
«Oh
no...» sibilò, riaprendo gli occhi e accorgendosi
del disastro.
«Gliele pulisco subito! Mi dispiace!» disse, in
preda al panico. Si
tolse la giacca dalle spalle e la usò come un fazzoletto,
per pulire
le scarpe dell'istruttore, ma questo l'afferrò
immediatamente per i
capelli e la sollevò da terra. «Ma che stai
facendo?!» le ruggì
contro. Non seppe mai se a farlo incazzare di più fosse
stato il suo
fallimento, la vomitata o l'aver usato la propria divisa per pulirlo.
Forse una combinazione di tutte le cose, ma qualsiasi fosse il
motivo, neanche dieci minuti dopo si trovò nell'ufficio di
Shadis. A
testa china, la vergogna sul volto, la rabbia nel cuore, Beatris
ascoltò il comandante urlare e brontolare per i successivi
venti
minuti. E infine Shadis la mandò via, piena di rammarico e
di sensi
di colpa. Perché non riusciva proprio a non essere
così debole? Era
decisa ad andare avanti, il discorso del giorno di prima di Reiner
glielo aveva fatto capire, l'aveva riempita di determinazione, eppure
niente andava per il verso giusto. E come se non fosse stato
abbastanza, ora aveva un ultimatum sulla testa. Shadis l'aveva
redarguita: se non fosse riuscita a superare l'esame della settimana
dopo, con l'attrezzatura per il mantenimento dell'equilibrio in aria,
sarebbe stata cacciata fuori dall’esercito. Con o senza la
sua
volontà.
Restò
pensierosa per tutto il resto della mattinata, seduta su un lettino
in infermeria dove le era stato ordinato di restare, per cercare di
riprendersi. Fino a che non fu ora di pranzo e le venne dato il via
libera. Entrò nella sala comune, dove i suoi compagni erano
già
impegnati a mangiare e rifocillarsi. Mosse gli occhi su ciascuno di
loro e trovò, in chi riuscì a vederla, solo
denigrazione o
compassione. Era terribile, sempre peggio. Doveva assolutamente
risolvere quel problema e c'era solo una cosa a cui riusciva a
pensare.
Reiner
era seduto al proprio tavolo, concentrato sul proprio piatto, quando
con la coda dell'occhio vide un'ombra muoversi al suo fianco. Si
voltò a guardarla e sobbalzò, dapprima
terrorizzato, quando vide
Beatris sbucare solo con gli occhi da sotto al suo tavolo.
Inginocchiata di fianco a lui, lo fissava quasi con ostilità
e non
diceva niente. Sembrava un mostriciattolo sbucato da sotto al letto
di un bambino, faceva quasi venire i brividi.
«Che
stai facendo?» le chiese, turbato.
«Come
fai a essere così forte?» gli chiese Beatris,
decisa.
«Eh?»
mormorò, confuso.
«Qual
è il tuo segreto? Ce l'hai nel sangue? Ti viene naturale?
Sei nato
così?» insisté.
«Non...
ho nessun segreto» rispose, sempre più confuso.
«Mi sono solo
allenato molto».
E
solo allora Beatris si alzò in piedi. Quasi
sbatté le mani sul
tavolo e si sporse verso di lui, improvvisamente animata da un nuovo
fuoco. «Perciò esiste un modo per diventare
più forti?! Tu lo
conosci!»
«Certo
che esiste ma non credo sia un segreto».
«Tu
mi devi un favore per averti salvato dalla zoccolata di
April!» gli
disse improvvisamente, puntandogli un dito contro, minacciosa.
«Perciò insegnami!»
«Mi
stai ricattando?» storse il naso, lievemente irritato.
«E poi mi
sembra di essermi già sdebitato abbastanza, ieri nel
bosco».
Beatris
fece un lungo sospiro, arrendevole, e si spostò dal bordo
del
tavolo, mettendosi a sedere sulla panca al fianco di Reiner.
«Hai
ragione, non dovrei crearti altri problemi. Ma... non so davvero a
chi altro provare a rivolgermi» confessò, avvilita.
«Non
hai degli amici?» le chiese, retoricamente. Armin, Mikasa e
Eren
erano ovviamente molto legati a lei, l'avrebbero aiutata
volentieri.
«Armin
non è messo molto meglio rispetto a me, Eren mi urlerebbe
contro e
basta e per Mikasa sarebbe impossibile spiegarmi come fare. A lei
viene naturale, non lo fa seguendo una logica, mi direbbe solo di
continuare a provarci. Ma è ovvio, ormai, che io stia
sbagliando
qualcosa... tu invece sei arrivato a tanto perché ti sei
allenato,
sai come si fa, e...» arrossì lievemente,
imbarazzata per quanto
stava per dire. «E sei sempre molto gentile con tutti, anche
con me,
mentre gli altri non fanno che prendermi in giro».
«Hai
vomitato sulle scarpe di un istruttore, sfiderei chiunque a non
prenderti in giro» disse Reiner, tornando a mangiare il suo
pasto.
Beatris si voltò verso di lui e si portò le mani
davanti al volto,
unite in forma di preghiera. «Te lo chiedo per favore,
Reiner! Giuro
che non ti infastidirò, sarò disciplinata e
ascolterò tutto quello
che mi dirai! Ti prego, aiutami».
Reiner
sondò per qualche istante la sua espressione contrita.
Stretta in se
stessa, con gli occhi serrati e la mani unite davanti alla sua
faccia. Era davvero disperata e per qualche ragione sentiva che
avrebbe davvero voluto fare qualcosa per rispondere a quella sua
sincera e sviscerata richiesta.
«Perché
vuoi diplomarti all'accademia?» le chiese, tornando a
mangiare.
«Eh?»
mormorò Beatris, abbandonando la sua postura.
«Perché me lo
chiedi?»
«Voglio
capire fin dove arriva la tua determinazione. Quanto sei disposta a
sacrificare».
«Io...»
mormorò, distogliendo lo sguardo e puntandolo al tavolo. Si
portò
le mani sulle gambe e tornò a stringersi in se stessa.
«Credo
tutto. Sono disposta a sacrificare tutto» rispose.
«Dopo
Shiganshina non mi è rimasto niente se non Armin, Mikasa e
Eren. Non
voglio perdere anche loro...»
Non
le era rimasto niente? E quella sorellina che aveva visto alla
cattedrale?
«Non...
hai una famiglia da cui tornare?» azzardò, senza
scendere troppo
nei dettagli. Sarebbe stato imbarazzante anche per lui confessare che
l'aveva osservata così a lungo, quella volta,
preferì non farglielo
capire.
«Sono
loro la mia famiglia» rispose Beatris e gli sembrò
una risposta più
che convincente. Non aveva che loro, era davvero disposta a tutto pur
di non perderli, anche ridursi a essere lo zimbello dell'intero corpo
cadetti. Anche arrivare a implorare aiuto così
esplicitamente.
Reiner
sospirò, vinto. «Dopo l'allenamento del
pomeriggio, prima di cena,
dovremmo avere un paio d'ore libere. Ti aspetto al terzo
cortile».
«Evviva!»
Beatris esplose improvvisamente di gioia. Si lanciò addosso
a
Reiner, avvolgendogli le braccia intorno al busto, e lo strinse in un
goffo abbraccio. «Grazie Reiner!»
esclamò, felice come una
bambina. Lo lasciò pochi istanti dopo, senza accorgersi
dell'improvvisa paralisi in cui Reiner sembrava essere appena caduto.
Con la bocca ancora aperta, il cucchiaio a pochi centimetri dal suo
volto, gli occhi sgranati, non si muoveva di un solo centimetro. Lei
si alzò e si allontanò con un rapido:
«A dopo, allora!»
lasciandolo solo nel suo mondo improvvisamente gelido e caldo allo
stesso tempo. Era stata la cosa più dolce che gli fosse mai
successa
in tutta la sua vita. Mai prima di allora qualcuno lo aveva
apprezzato tanto, mai prima di allora qualcuno gli aveva rivolto
così
tanta stima e... era mai successo che qualcuno che non fosse sua
madre lo abbracciasse? Beatris se n'era andata già da un
paio di
minuti abbondanti eppure riusciva ancora a sentire il calore delle
sue braccia intorno al petto.
"È
un demone... è solo un dannato demone... nient'altro che un
demone"
si ripeté, ma si accorse presto che lo faceva solo per
autoconvincersene. Sentiva il cuore pulsargli in petto più
forte del
normale e uno strano calore prendere sempre più possesso del
suo
volto. Stava per caso... arrossendo? Per una cosa come
quella?!
Posò
finalmente il cucchiaio nel suo piatto, con la zuppa lasciata a
metà,
e lentamente la spinse di qualche centimetro lontano.
«Non
ho più fame...» mormorò tra
sé e sé, irritato. Se non si fosse
trovato in mezzo a tutto il resto dei suoi compagni probabilmente
avrebbe ceduto a quell'improvviso desiderio che adesso aveva di
ribaltare completamente il tavolo. E cominciare a tirargli testate
solo per togliersi dalla mente simili stupidaggini.
Era
quasi il tramonto quando finalmente, fermo al centro del cortile,
Reiner vide arrivare anche Beatris, puntuale. Lei gli corse incontro,
alzando una mano per salutarlo, e allegra e pimpante gli si
fermò
davanti. «Eccomi! Sono pronta. Che facciamo?»
chiese, euforica.
Reiner
la guardò torvo, con le braccia incrociate al petto. Era
rimasto
nervoso tutto il giorno dopo l'ora di pranzo, arrabbiato con se
stesso per aver apprezzato così tanto il suo gesto. Ma per
quanto
l'istinto gli dicesse di allontanarsi quanto prima, lasciarla
perdere, non riusciva a rifiutare totalmente il desiderio che adesso
aveva di aiutarla davvero. E poi mostrarsi gentile con gli altri
faceva parte della sua missione, non avrebbe potuto
rifiutarsi.
Doveva farlo, doveva riuscire a diventarle amico senza perdere il
controllo di se stesso.
La
scrutò da capo a piedi con severità e infine
disse: «In punta di
piedi».
«Eh?»
mormorò Beatris, confusa. Ma fissò il suo sguardo
forte e deciso e
infine eseguì. «Così?»
«Allarga
le braccia» continuò Reiner, e per quanto Beatris
non capisse dove
stesse cercando di arrivare obbedì. In fondo aveva promesso
che
avrebbe fatto tutto quello che le diceva.
«Adesso
alza un piede» ordinò Reiner e Beatris ancora
eseguì, ma spalancò
gli occhi spaventata quando si sentì immediatamente
sbilanciare da
un lato. Cercò di restare in equilibrio, muovendo un po' le
braccia,
ma come per l'attrezzatura di addestramento al movimento
tridimensionale più si muoveva più si sentiva
sbilanciare. E infine
cadde da un lato. Piantò in tempo il piede a terra e si
evitò così
di sfracellarsi al suolo.
Reiner
aggrottò le sopracciglia, contrariato, e disse:
«Hai un pessimo
equilibrio».
«Grazie,
lo sapevo anche io!» ruggì lei,
frustrata.
«Riprova»
le ordinò, facendo un passo indietro per darle spazio.
«Finché non
riuscirai a restare ferma».
«Ma
che razza di addestramento è questo?»
lamentò lei, contrariata. Ma
non si oppose all'ordine e tentò nuovamente.
«È
quello che ti serve per superare l'esame della prossima settimana.
Hai bisogno di allenare il tuo equilibrio, abbiamo solo una settimana
a disposizione ma cercherò di farmela bastare».
«Eh?
Vuoi... aiutarmi per tutta la settimana?» mormorò
Beatris,
oscillando sul suo singolo piede. Reiner la guardò quasi
cadere di
nuovo, e tentare ancora.
«Non
è quello che mi hai chiesto?»
«Certo...»
mormorò lei, arrossendo lievemente. «Ma pensavo
che ti saresti
limitato a darmi qualche dritta, non credevo che avessi intenzione di
seguirmi per tutta la settimana...» confessò.
«Non vorrei recarti
troppo disturbo».
«È
troppo tardi ora per pensare di disturbarmi, e comunque non sarei qui
se non volessi farlo».
«Grazie...»
disse lei prima di lanciare un gridolino per aver di nuovo perso
l'equilibrio.
«Concentrati
su un punto fermo» le suggerì. «E fai
movimenti minimi per
stabilizzarti, se ti agiti finirai solo col peggiorare la
situazione».
«Va
bene!» disse, determinata. «Punto fisso! Movimenti
minimi!»
mormorò concentrata e cercò di eseguire,
muovendosi il minimo
indispensabile e fissando un punto davanti a sé con tale
forza che
sembrava avesse voluto incendiarlo con la forza del pensiero. Ma
spalancò improvvisamente gli occhi quando si rese conto di
essere di
nuovo eccessivamente inclinata su di un lato, mossa questa volta
lentamente non si era accorta dell'eccessivo sbilanciamento fino a
quando non aveva sentito la gravità trascinarla a terra.
Gridò, in
preda al panico, e d'istinto alzò le braccia al cielo mentre
vedeva
il terreno avvicinarsi pericolosamente al volto.
«Ma
che...» sibilò Reiner, sconvolto, e si mosse
rapido in avanti.
Riuscì a prenderla in tempo, prima di vederla sfracellarsi
al suolo,
e Beatris restò appesa al suo braccio come priva di vita per
qualche
istante. Poi si voltò a guardarlo con le lacrime agli occhi:
«Non
ci riesco...»
«Ti
stai di nuovo mettendo a frignare?» le chiese, raddolcito
dalla sua
espressione avvilita.
«Non
sto piangendo» tirò su col naso. Reiner
sospirò affranto e riuscì
a sentire improvvisamente tutto il nervoso provato fino a quel
momento scivolare via dalle sue spalle. Quella ragazza aveva
decisamente bisogno di aiuto e glielo voleva dare. Glielo voleva dare
assolutamente. Ma perché? Perché sentiva
quell'assurda sensazione
di tranquillità e leggerezza tutte le volte che incrociava
il suo
sguardo? Era così genuina, così innocente,
così pura... come
poteva essere un demone?
«È
naturale non riuscirci le prime volte, non abbatterti subito»
le
disse con dolcezza. «È per questo che si chiama
allenamento. Devi
provarci continuamente e solo provando alla fine riuscirai a
farlo».
«Va
bene» annuì lei, ancora appesa al suo braccio.
«Hai
intenzione di rialzarti da sola o dovrò tirarti di nuovo su
io?» le
chiese, sentendo gli angoli della bocca allungarsi in un vago
sorriso. Come se l'avesse trattenuto, come se non avesse voluto farlo
uscire, ma alla fine questo avesse vinto contro tutte le sue
convinzioni. Beatris si aggrappò al suo braccio e si rimise
finalmente in piedi.
«Fai
un gran sospiro, cerca prima di tutto di calmarti» le
suggerì,
restandole questa volta di fronte. Beatris chiuse gli occhi e prese
un'ampia boccata d'aria, allargando il petto il più
possibile,
trattenendola nei polmoni e poi lasciandola uscire lentamente.
«Sono
calma» decretò infine.
«Bene.
Riproviamoci finché non ci riuscirai».
«Va
bene» annuì lei e tornò ad allargare le
braccia. Riaprì gli
occhi, cercò il suo punto fisso che questa volta fu proprio
il volto
di Reiner, l'unica cosa che avesse davanti, e tornò ad
alzarsi sulla
punta di un singolo piede. Lui le restò di fronte e le
appoggiò le
mani sotto le braccia, aiutandola prima a trovare una posizione
più
dritta. Poi lentamente la lasciò andare ma restò
comunque davanti a
lei, pronto a sorreggerla se fosse di nuovo caduta. E proseguirono,
tentativo dopo tentativo, fino all'ora di cena. In quelle due ore non
avevano fatto molti progressi, Beatris risultava ancora instabile, ma
perlomeno riuscì a non cadere più anche senza
l'aiuto di Reiner.
Nei giorni successivi, ogni buco libero lo riempirono di quegli
esercizi che Reiner studiava appositamente per lei, aumentando sempre
più il grado di difficoltà. Sporgersi in avanti,
muovere la gamba,
fare qualche affondo, provare a restare in equilibrio su qualche
oggetto sottile. Non era mai eccezionale nell'esecuzione, ma i
miglioramenti si vedevano ed erano rapidi, anche se qualche volta era
finito col rimetterci anche lui. Aveva perso il conto del numero di
volte che lei, cadendo, l'aveva trascinato a terra con sè
mentre
cercava di sostenerla. Ma il più delle volte il tutto si
concludeva
con qualche risata e qualche livido che tanto sarebbe sparito nel
giro di un paio di giorni. Al contrario di quella sensazione di
benessere sempre crescente che aumentava, giorno dopo giorno, nel
passare la maggior parte del loro tempo libero insieme.
Imparò a
conoscerla e più lo faceva più sentiva la
determinazione ad
aiutarla crescere sempre più dentro sé. Senza
accorgersene,
cominciò a provare ogni giorno sempre più una
certa impazienza,
nell'attesa del primo momento libero in cui avrebbe potuto tornare a
passare del tempo in sua compagnia. Era distensivo, era
risollevante... gli dava un buon umore che non credeva sarebbe mai
stato capace di provare, soprattutto in un luogo come quell'isola.
Era... assurdamente divertente. Il più delle volte, quando
ormai lei
aveva cominciato a padroneggiare meglio il proprio equilibrio tanto
da permettersi di chiacchierare mentre faceva i suoi esercizi, quelle
ore divennero qualcosa di simile a un incontro tra amici che
parlavano del più e del meno, per distrarre la mente.
Sentirsi più
leggeri.
E
infine arrivò il giorno dell'esame.
Reiner
uscì nel cortile insieme al resto dei suoi compagni, con
l'imbracatura già pronta e una lieve tensione a irrigidirgli
i
muscoli. Ci era sempre riuscito, sapeva che quell’esame non
sarebbe
stato difficile per lui, ma era pur sempre un esame e l'ansia giocava
sempre brutti scherzi se non propriamente preparati. Seguì
il suo
gruppo, avvicinandosi alle attrezzature installate per testare il
loro equilibrio in sospensione, ma non si avvicinò
totalmente,
attirato da una voce disperata.
«Reineeeeeer!!!»
sentì gridare Beatris, in preda al panico. Si
voltò allarmato a
guardarla, chiedendosi cosa stesse accadendo, e se la vide correre
incontro in lacrime. «Non mi lascia in pace!»
gridò piombandogli
addosso. Lo afferrò, se lo trascinò contro e
cercò di nascondersi
dietro di lui. «È posseduto! È un
demone dell'inferno! Fermalo!»
gridò, continuando a muoversi in preda al panico intorno a
lui,
tirandolo a strattonandolo per cercare di usarlo come scudo.
«Ma
che...» mormorò confuso e turbato per il
trattamento che lo portava
quasi ad arrancare sui suoi stessi piedi. E solo in quel momento vide
l'oggetto del terrore: un insetto, grande almeno tre centimetri, nero
e spaventosamente rumoroso nel suo volargli intorno.
Sventolò una
mano, cercò di scacciarlo, ma l'insetto gli volò
attorno senza
arrendersi nel suo feroce attacco.
«Ma
da dove arriva?!» lamentò, continuando ad
indietreggiare e provare
a scacciarlo.
«Non
lo so» piagnucolò Beatris, strattonando Reiner da
un lato e
facendolo quasi cadere a terra. «Mi sono appoggiata a una
ringhiera
e lui ha iniziato a inseguirmi da allora! Mi sa che l'ho quasi
schiacciato senza volerlo e si è arrabbiato».
L'insetto
volò spedito verso il volto di Reiner e lui ancora
indietreggiò e
sventolò una mano per scacciarlo via. Riuscì a
colpirlo, lo lanciò
da un lato, ma Beatris era proprio in traiettoria e se lo vide
piombare addosso. Urlò terrorizzata, tirò Reiner
da un lato per
provare ancora a usarlo come scudo, ma fu il gesto decisivo.
Inclinato all'indietro, strattonato da un lato, si trovò a
incespicare sui piedi di Beatris dietro di lui. E caddero infine
entrambi a terra.
«Ma
perché devo sempre finire a terra tutte le volte che mi stai
intorno?» lamentò Reiner, steso, immobile. Troppo
affranto per
quella ridicola situazione per trovare subito le forze di rialzarsi.
Non finì la frase che l'insetto, moribondo per la botta di
poco
prima, gli volò su una guancia trovando lì il suo
appoggio per
cercare di riprendersi. Reiner impallidì, ma non ebbe il
tempo di
pensare a come reagire che Beatris lo fece prima di lui. Lanciando un
grido spaventato, caricò la mano in direzione
dell'insetto... e
colpì Reiner in pieno viso con uno schiaffo. Lui non ebbe
neanche la
forza di reagire. Spalancò gli occhi, allucinato, e con la
guancia
dolorante si alzò a sedere puntando uno sguardo severo, al
limite
del furioso, a Beatris.
«Ahia»
disse deciso, come fosse stato un insulto. Ma lei non lo
considerò
minimamente, concentrata a osservarsi ora la mano con cui l'aveva
colpito. Infine gliela mostrò, con innocenza, dicendo
candidamente:
«L'ho preso».
Sul
suo palmo ora giaceva una poltiglia di ali frantumati, liquido
viscido ed esoscheletro a brandelli.
«Non
ti ha punta, vero?!» le chiese allarmato, ma non fece nemmeno
in
tempo a finire la frase che la vide corrucciare le sopracciglia e
contorcersi in un'espressione quasi sofferente. «Oh
no...» mormorò,
sventolandosi la mano pulita davanti al volto. «Polvere nel
nas...»
e starnutì. Portandosi istintivamente la mano destra davanti
alla
bocca, per coprirsi: la stessa mano su cui giaceva ancora il cadavere
dell'insetto. Si accorse troppo tardi dell'errore, razionalizzando
ciò che era successo solo quando sentì la
viscosità dell'insetto
quasi sfiorarle le labbra e il terribile fetore che emanava arrivarle
dritto nelle narici. Si allontanò la mano dal volto con uno
scatto,
indietreggiò con la testa e gridò nauseata:
«Che schifo!!!»
Reiner
restò paralizzato, a guardarla interdetto e sconvolto. Tutto
quello... era al limite dell'assurdo. Era troppo anche per riuscire a
pensare a qualcosa, porsi delle domande. Non riusciva proprio a
credere a ciò che aveva appena assistito, ciò che
era appena
successo anche a lui. Era stata un'escalation di disastri stupidi e
ridicoli, che aveva per la maggior parte causato lei. Per
stupidità,
forse solo per sfortuna, non seppe dirlo. Ma era davvero ridicolo. La
cosa più inverosimile che avesse mai potuto anche solo
immaginare.
Ed era incredibilmente esilarante.
Una
risata gli sfuggì dalle labbra in uno sbuffo e si
portò subito una
mano alle labbra, cercando di nascondercela dentro. Ma più
ci
pensava e più non riusciva a trattenersi. Quella ragazza si
stava
addestrando per abbattere giganti e alla fine era stata completamente
distrutta da un ridicolo insetto. Come se non fosse stato abbastanza,
con quel suo ultimo gesto, aveva concluso l'opera nel peggiore dei
modi. Ed era stata colpa sua, della sua ingenuità che a
volte non la
facevano pensare alle conseguenze e che la portavano ad agire solo
d'istinto. Sghignazzò, stringendosi la mano sulla bocca nel
tentativo di nasconderlo, inutilmente. E più la sentiva
lamentarsi,
più la vedeva sventolare la mano nel tentativo di liberarsi
del
cadavere e dei suoi residui, sempre più disperata e
disgustata, più
sentiva l'ilarità accecarlo completamente.
«Non
ridere delle mie disgrazie!» ruggì infine Beatris,
irritata nel
vederlo deriderla. E lui reagì altrettanto velocemente
rinfacciandole: «Tu sei una disgrazia!»
«Ti
ho salvato la vita! Poteva pungerti! Dovresti ringraziarmi!»
«Mi
hai tirato uno schiaffo!» e Beatris parve notare la sua
guancia
colpita solo in quel momento. L'osservò per qualche istante,
curiosa, poi scoppiò a ridere anche lei.
«Hai
il segno delle dita in faccia!» rise sganasciatamente e
Reiner
spalancò gli occhi sconvolto. Si portò una mano
alla guancia e si
accorse solo in quel momento che gli faceva veramente male.
Sospirò,
vinto, ma ancora divertito. «Ribadisco, sei una
disgrazia».
Ma
restò ad ascoltarla, a lungo, mentre rideva tanto forte da
farsi
quasi venire le lacrime agli occhi. Era rasserenante. Era veramente
incredibile come fosse in grado con poco di distendergli davvero ogni
muscolo.
«Beatris
Moreau!» la chiamò Shadis e fu quello a fermare il
suo moto di
ilarità. Beatris scattò in piedi, si
ripulì velocemente la mano
sulla giacca sotto lo sguardo contrariato di Reiner, e si
avvicinò
all'impalcatura. Pronta a sostenere la sua prova definitiva. Shadis
le si piazzò davanti, con una cartelletta tra le mani, e
restò ad
osservarla. Attento. Beatris fece un profondo sospiro, cercò
la
calma, poi iniziò a legarsi. Diede infine l'ok per essere
sollevata
e sentì essere travolta da quel senso di
instabilità che conosceva
ormai fin troppo bene. Mosse un po' i piedi, allargò
lievemente le
braccia, cercò con tutta se stessa di non perdere
l'equilibrio. Ma
si sentiva vacillare, per quanto si sforzasse oscillava fin troppo e
sapeva che se avesse continuato ad agitarsi avrebbe solo fatto
peggio. Doveva trovare il suo centro... il suo punto fisso. E
puntò
gli occhi a Reiner, ora in piedi insieme al resto dei suoi compagni,
che la osservava apprensivo. Reiner le fece un cenno d'assenso,
cercando di trasmetterle con quel semplice gesto sicurezza e
concentrazione. Si erano esercitati tanto, poteva farcela, per quanto
fosse difficile. Sapeva che poteva farcela... desiderava che potesse
farcela! Se avesse fallito sarebbe stata cacciata e allora chi
l'avrebbe travolto portandosi dietro insetti dalla dubbia
docilità?
Chi sarebbe riuscito ad alleggerirlo tanto da farlo ridere, persino
su quell'isola di demoni, con una missione imponente sulle spalle? Si
tese, nervoso, ma non perse il contatto visivo con lei. Come se fosse
capace di parlarle solo con quello, dirle cosa doveva fare. La vide,
rigida, ammorbidirsi lentamente ma non abbandonare il suo sguardo
concentrato. E infine restò immobile dov'era, perfettamente
in
equilibrio, anche se con qualche oscillazione di troppo di cui
però
riprendeva subito il controllo. Restò così
secondi, minuti, e
infine Shadis decretò: «Va bene, tiratela
giù. Esame superato».
Beatris
spalancò improvvisamente il volto in un luminoso sorriso,
pieno di
felicità ed emozione. E lo destinò tutto a
Reiner, investendolo con
quel suo mare di gratitudine che parve avere la potenza di un'ondata.
Lo travolse con la sua allegria, lo ricoprì totalmente e
infine lui
si sentì tirare a picco, trascinato dalla corrente. Neanche
si
accorse di starle sorridendo a sua volta, disteso, felice.
NDA.
Continuiamo
con l’approfondimento del carattere e soprattutto della loro
relazione :3 Beatris è un piccolo uragano, piena
di euforia,
rumorosa e forse proprio per questo rasserenante. Reiner sente il
peso della missione sulle spalle, vede nemici ovunque si giri, ma lei
col suo modo di fare solare e infantile riesce a distenderlo. E non
ne capisce il motivo… no, nemmeno voi lo capite, ve lo dico
io xD
C’È il motivo dietro, non è solo
“aaaww è simpatica”, e
presto verrà a galla. Lui non la conosce, eppure qualcosa
dentro di
lui lo spinge a volerle stare vicino… chissà
cosa. Lo saprete
presto :P
Nel frattempo si lascia coinvolgere e finisce con
l’iniziare a provare reale simpatia e affetto per questo
sgorbietto
rumoroso e impertinente.
Vi
lascio la canzone del “giorno” :P eheheh
Anche
se cantata da una voce femminile, è riferita a Reiner. Si
sente
sperduto in quel posto “oscuro”, aspettando di
poter tornare a
casa, è tutto ciò che desidera. E mentre
è lì che ragiona sul
senso della sua vita compare Bea e quasi le chiede di prenderlo per
mano, portarlo in posti nuovi (metaforicamente… intesi come
momenti
nuovi, cose che non credeva possibili, perché quando
è con lei
riesce persino a essere… felice?), non sa chi lei sia
effettivamente… ma “i’m with
you”.
https://www.youtube.com/watch?v=Q_ItzTJfNV8
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