Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ray Wings    13/06/2021    1 recensioni
Il boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile. Poi quel pupazzo, stretto tra le mani di sua sorella Rose, che saltava via. Scivolato a terra. Lei era stupidamente tornata indietro per riprenderlo, e allora l'aveva visto... imponente, massiccio, corazzato. Il gigante correva, distruggendo tutto ciò che incontrava, puntando dritto al Wall Maria, puntando dritto a lei, immobile. Paralizzata. Aveva ascoltato il suo ruggito un istante prima che venisse schiacciata... ma non lo faceva mai. Non in quell'incubo. Lei puntualmente si svegliava un istante prima di morire, madida di sudore, tremante come una foglia.
«Bea...».
«Mikasa... scusami, ti ho svegliata».
«Hai di nuovo sognato Shiganshina?»
«Era da un po' che non lo facevo».
«Reiner ti sta stancando troppo con questa storia degli allenamenti extra. Domani gli parlerò, deve lasciarti in pace».
Già, Reiner ci teneva così tanto che lei diventasse più forte... chissà perché l'aveva presa così a cuore.
ALLERTA SPOILER PER CHI NON HA LETTO IL MANGA! Io ho avvertito :P
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Pioveva a dirotto ormai da ore. L'acqua che cadeva dal cielo era talmente fitta che Beatris faticava a vedere persino dove mettesse i piedi e ogni tre passi sprofondava in una pozza di fango, rischiando di cadere. Nonostante i cappucci e la giacca, era fradicia da capo a piedi e i vestiti appesantiti dall'umidità non facilitavano la sua corsa estenuante. A bocca spalancata cercava di prendere quanta più aria possibile, ma non era mai abbastanza e puntualmente la pioggia le finiva in gola, rischiando persino di soffocarla. Piegata in avanti, schiacciata dal peso dello zaino pieno zeppo di roba, arrancava e ansimava, correndo su per un pendio scivoloso e ripido. Davanti a lei, almeno una decina di metri più avanti, i suoi compagni riuscivano a tenere il passo più facilmente, seguendo l'istruttore che a cavallo apriva loro la strada. Annaspò ancora, chinandosi sempre più sotto al peso dello zaino e della fatica. Le gambe le facevano male come mai prima di allora, sentiva che le spalle erano sul punto di staccarsi dal corpo, e non riusciva a pensare ad altro che a quanto facesse male.
Scivolò nell'ennesima pozza e cadde a terra, schiacciata dallo zaino e dal suo senso di inadeguatezza. Era l'ultima dello squadrone, lontana almeno una decina di metri e non faceva che allontanarsi. Ed era stata l'unica tra tutti a cedere in quel modo. 
«Bea!» Armin, davanti a lei di qualche passo, si fermò e tornò immediatamente indietro. La prese per un braccio e cercò di farla rialzare. «Non fermarti! Resteremo indietro!»
«Non ce la faccio più» ansimò Beatris, abbandonata nel fango. «Tutto questo... è impossibile. Come fate voi a resistere?»
«Tieni duro, avanti!» disse Armin, cercando di tirarla. «Se restiamo qui perderemo il resto della squadra».
«Vai con loro» mormorò Beatris, decisa ad arrendersi. Non ce l'avrebbe fatta a muovere un solo passo in più, non in quelle condizioni. Era fradicia, tremava dal freddo, e con la pioggia il suo equipaggiamento era diventato più pesante che mai. Sentiva dolori persino in posti che non credeva fossero in grado di far male. 
«Non ti lascio qui da sola, scordatelo!» insisté Armin. Beatris alzò la testa, dando uno sguardo alla loro squadra. Erano veramente lontani, adesso, e più aspettava più rischiavano di restare soli in quel posto sperduto. Dopo avrebbero fatto il doppio della fatica per riuscire a ritrovare la strada per il centro d'addestramento, rischiavano di perdersi e restare in quella foresta, in quelle condizioni, troppo a lungo. E Armin era deciso a non lasciarla sola... 
A causa sua anche lui avrebbe rischiato la vita. Si corrucciò e piantò un piede a terra, spingendosi in avanti e aggrappandosi ad Armin per rialzarsi. Lentamente, riprese ad avanzare, spingendo i propri muscoli al limite. Armin la tenne ben stretta per la manica e continuò a tirarla, per cercare di trascinarla il più avanti possibile, ma ad ogni passo minacciava di cadere di nuovo a terra, troppo stanca, troppo appesantita. Ormai a occhi socchiusi respirava così affannosamente che sentiva la testa girare. 
«Credo di star per svenire» confessò in un mormorio. 
«Avanti! Cerca di respirare in maniera controllata, cerca di sforzarti! Siamo già a metà del percorso, possiamo farcela» disse, sperando di esserle d'aiuto con una carica d'ottimismo. Non erano così vicini alla meta, ma almeno erano a metà. Potevano farcela! Ma Beatris spalancò gli occhi e si voltò improvvisamente verso di lui, gridando sconvolta: «Siamo solo a metà?!» 
La distrazione le costò cara. Non vide un sasso più sporgente degli altri proprio sotto ai suoi piedi e, fradicio di pioggia e fango, finì col scivolarci sopra. Cadde di lato, verso Armin, e gridò dallo spavento. Allungò le mani in avanti, cercò il primo appiglio disponibile e disgrazia volle che fosse proprio l'amico, che ancora le stava a fianco. Lo trascinò giù insieme a lei e finirono entrambi in ginocchio, nel fango. Ormai disperata, scoppiò a piangere come una bambina. 
«È inutile! Non ce la farò mai, faccio proprio schifo!» gridò. 
«Ahi...» lamentò Armin, cercando di rimettersi in piedi. Si voltò preoccupato verso Beatris, pronto a incoraggiarla ancora, cercare di calmarla, ma vide in quel momento Reiner arrivare al loro fianco. Prese Beatris da sotto le braccia e la rimise in piedi. Bastò la sorpresa di sentirsi sollevare da terra di peso a farle smettere di urlare e piangere, confusa su cosa stesse accadendo. Reiner non diede alcuna spiegazione, ma prese lo zaino di Beatris dalle sue spalle, togliendoglielo prima che avesse potuto anche solo dire qualcosa. E avanzò di qualche passo.
«Armin!» disse, voltandosi appena. «State dietro di me!»
«Ma...» mormorò Beatris, dispiaciuta nel vedere che c'era chi ancora si ostinava ad aiutarla, anche a scapito di se stesso. Quell'addestramento era davvero impossibile, sfiancante al limite delle possibilità umane. Anche se Reiner sicuramente era più forte, portare addirittura due zaini lo avrebbe devastato. E la colpa era ancora una volta la sua... con la sua debolezza, con la sua incapacità, non faceva che creare problemi a tutti quelli che aveva attorno. Armin la prese per mano e riprese a correre, trascinandola lungo il percorso. 
«Andiamo Bea!» disse.
Correre senza il peso dello zaino sulle spalle era sicuramente più facile, perlomeno riuscì a restare in piedi e proseguire, anche se continuava a restare in fondo alla colonna. E così facendo rallentò anche Armin, che cercava di sostenere lei, e Reiner che era deciso ad aprire loro la strada, non lasciarli soli. 
«Se l'istruttore ti vedesse... finiresti nei guai» mormorò lei, arrancando alle spalle di Reiner.
«Non preoccuparti, preferisco una punizione piuttosto che sapervi sperduti tra i boschi. Pensa solo a correre».
Una punizione... si sarebbe preso un'altra punizione a causa sua. Non voleva, ma correre con quello zaino sulle spalle era troppo per lei. Non riusciva neanche a stare in piedi. Era così debole, rispetto al resto dei suoi compagni, mentre Reiner, al contrario, riusciva a tenere il passo persino con due zaini sulle spalle invece che uno solo. Come riusciva a essere così forte? Come riuscivano tutti a essere più forti di lei? E perché c’era sempre chi doveva subire le conseguenze della sua debolezza? Non era giusto. Si era arruolata per un motivo ben preciso, se avesse continuato così non sarebbe mai arrivata da nessuna parte. Doveva diventare più forte. Doveva trovare una soluzione... 
Arrivarono finalmente alla fine del percorso e Reiner le diede indietro il suo zaino un attimo prima che l'istruttore li vedesse. Era palesemente stremato, respirava affannosamente e Beatris era convinta che ciò che gli bagnava il volto non fosse solo pioggia. 
«Grazie...» mormorò, avvilita. 
«L'addestramento non è un gioco, non è da prendere sotto gamba» l'ammonì Reiner. «Se credi di non essere in grado, allora dovresti mollare e basta».
Beatris si strinse nelle spalle, sentendo quelle accuse premere come massi sulla sua già indebolita coscienza. Gli aveva dato davvero un sacco di problemi, eppure nonostante fosse stata un palese peso per lui e per Armin, era stato comunque disposto ad aiutarla. Era davvero una persona di buon cuore, non poteva essere altrimenti, e la gratitudine per il suo sacrificio peggiorarono ancora di più il suo senso di colpa. Forse avrebbe davvero dovuto mollare...
«Ma...» proseguì Reiner, sgranchendosi la schiena indolenzita. «Se credi invece che questa sia la tua strada e sei convinta di voler arrivare in fondo, allora non fermarti. Indipendentemente da dove arriverai, da come ti ridurrai, tu continua ad andare avanti. Mettersi a piangere e lamentarsi di fare schifo non ti aiuterà in nessun modo. Cerca sempre di proseguire, ok?»
E Beatris alzò gli occhi su di lui, sentendosi improvvisamente più leggera. Non aveva cercato di rimproverarla, le aveva solo messo davanti la realtà e spinta a prendere una decisione, a prendere consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare. Arrivare in fondo all'addestramento era davvero ciò che voleva, potersi arruolare nel corpo di ricerca insieme ai suoi amici era tutto ciò a cui anelava. Reiner non l'aveva rimproverata, l'aveva aiutata... ancora una volta. Lei non avrebbe dovuto fermarsi mai più. Doveva muoversi. Anche a costo di andare in pezzi, doveva muoversi. 
«Ok...» mormorò, colpita dalle parole di Reiner. E lo guardò allontanarsi, per raggiungere il resto della squadra che ora entrava dentro una baita per concedersi finalmente riposo e calore. 
«Andiamo» le disse Armin. «Dobbiamo riposare anche noi».
E la guidò all'interno della baita, dove ad attenderli c'erano un camino acceso e un pasto caldo. 
La sera stessa tornarono al centro d'addestramento, ma Shadis era assolutamente deciso a non dar loro tregua. La mattina dopo li aspettò nel cortile con l'attrezzatura d'addestramento per il movimento tridimensionale. Erano ancora nella fase di allenamento per l'equilibrio, ma di lì a una settimana ci sarebbe stata la verifica finale, ed erano in pochi a non aver ancora preso destrezza con l'attrezzatura. La maggior parte di loro riusciva a restare perfettamente in equilibrio, sospeso per aria, senza il minimo sforzo. Beatris guardò la struttura in ferro a cui sarebbe stata legata da lì a pochi minuti come il peggior mostro che avesse mai dovuto affrontare. Era ancora indolenzita per il giorno prima e questo non l'avrebbe aiutata, ma non aveva fatto che ripensare alle parole di Reiner. Piangersi addosso e dire che faceva schifo non l'avrebbe aiutata in nessun modo, lei doveva andare avanti. Continuare a muoversi. Si avvicinò all'impalcatura a lei destinata e si concentrò scrupolosamente sull'allacciamento, che ormai lasciavano che facessero da soli, per imparare a conoscere al meglio la propria imbracatura. Diede l'ok all'istruttore e infine questo la sollevò da terra, tenendola alzata almeno un paio di metri sopra al suolo. Si corrucciò, si concentrò e sforzò ogni muscolo possibile, anche se dolorante. Ciondolò per un po', sentendosi cadere ora in avanti ora indietro, ma cercò sempre di riequilibrare il peso e tentare di restare dritta. Ma più si sforzava nel ridistribuire il peso, più sembrava sbagliare e darne sempre troppo da un lato o dall’altro, e le oscillazioni aumentarono invece che diminuire. Infine guardò il mondo ribaltarsi davanti ai suoi occhi. Cadde in avanti, lanciando un urlo terrorizzato, e finì col penzolare come un salame a testa in giù.
«Merda» digrignò i denti, frustrata. Si diede un paio di spinte con le gambe, cercò di rialzarsi e tornare dritta, ma questo non causò altro se non ulteriori oscillazioni che la fecero ciondolare avanti e indietro come su un'altalena. Non riuscì più a trattenersi e lanciò un urlo nervoso, troppo accecata dalla rabbia. Perché non ci riusciva? Perché doveva essere così negata veramente in ogni cosa?! Sgambettò, con i piedi per aria, furiosa. 
«Fatemi scendere da questa macchina infernale!» ruggì, non trovando modo di rimettersi dritta da sola. Con un sospiro rassegnato l'istruttore si avvicinò a lei, pronto a tirarla giù, ma ormai era rimasta troppo tempo con la testa penzoloni verso il basso. Beatris sentì il sangue confluire al cervello fin troppo e lo stomaco cominciare a rovesciarsi. Si sentì sempre peggio, mentre aspettava di essere rimessa a terra, e infine si accasciò lasciando cadere le braccia verso terra e le gambe distese. 
«Sto per vomitare...» confessò, pallida. Quando infine toccò terra, restò distesa lì dov'era, moribonda. 
«Andiamo Moreau, ti porto in infermeria» le disse l'istruttore, avvicinandosi per prenderla e costringerla ad alzarsi. Beatris piantò le mani a terra e si sollevò di colpo, puntando lo sguardo all'istruttore davanti a lei. «No! Sto bene! Posso riprovarci!» gridò, determinata, ma il movimento improvviso fu fatale per il suo stomaco già disastrato. Divenne verde improvvisamente e prima che potesse anche solo accorgersene stava già rimettendo la colazione, dritta sulle scarpe dell'istruttore che aveva davanti. 
«Oh no...» sibilò, riaprendo gli occhi e accorgendosi del disastro. «Gliele pulisco subito! Mi dispiace!» disse, in preda al panico. Si tolse la giacca dalle spalle e la usò come un fazzoletto, per pulire le scarpe dell'istruttore, ma questo l'afferrò immediatamente per i capelli e la sollevò da terra. «Ma che stai facendo?!» le ruggì contro. Non seppe mai se a farlo incazzare di più fosse stato il suo fallimento, la vomitata o l'aver usato la propria divisa per pulirlo. Forse una combinazione di tutte le cose, ma qualsiasi fosse il motivo, neanche dieci minuti dopo si trovò nell'ufficio di Shadis. A testa china, la vergogna sul volto, la rabbia nel cuore, Beatris ascoltò il comandante urlare e brontolare per i successivi venti minuti. E infine Shadis la mandò via, piena di rammarico e di sensi di colpa. Perché non riusciva proprio a non essere così debole? Era decisa ad andare avanti, il discorso del giorno di prima di Reiner glielo aveva fatto capire, l'aveva riempita di determinazione, eppure niente andava per il verso giusto. E come se non fosse stato abbastanza, ora aveva un ultimatum sulla testa. Shadis l'aveva redarguita: se non fosse riuscita a superare l'esame della settimana dopo, con l'attrezzatura per il mantenimento dell'equilibrio in aria, sarebbe stata cacciata fuori dall’esercito. Con o senza la sua volontà. 
Restò pensierosa per tutto il resto della mattinata, seduta su un lettino in infermeria dove le era stato ordinato di restare, per cercare di riprendersi. Fino a che non fu ora di pranzo e le venne dato il via libera. Entrò nella sala comune, dove i suoi compagni erano già impegnati a mangiare e rifocillarsi. Mosse gli occhi su ciascuno di loro e trovò, in chi riuscì a vederla, solo denigrazione o compassione. Era terribile, sempre peggio. Doveva assolutamente risolvere quel problema e c'era solo una cosa a cui riusciva a pensare. 
Reiner era seduto al proprio tavolo, concentrato sul proprio piatto, quando con la coda dell'occhio vide un'ombra muoversi al suo fianco. Si voltò a guardarla e sobbalzò, dapprima terrorizzato, quando vide Beatris sbucare solo con gli occhi da sotto al suo tavolo. Inginocchiata di fianco a lui, lo fissava quasi con ostilità e non diceva niente. Sembrava un mostriciattolo sbucato da sotto al letto di un bambino, faceva quasi venire i brividi. 
«Che stai facendo?» le chiese, turbato. 
«Come fai a essere così forte?» gli chiese Beatris, decisa. 
«Eh?» mormorò, confuso. 
«Qual è il tuo segreto? Ce l'hai nel sangue? Ti viene naturale? Sei nato così?» insisté.
«Non... ho nessun segreto» rispose, sempre più confuso. «Mi sono solo allenato molto».
E solo allora Beatris si alzò in piedi. Quasi sbatté le mani sul tavolo e si sporse verso di lui, improvvisamente animata da un nuovo fuoco. «Perciò esiste un modo per diventare più forti?! Tu lo conosci!»
«Certo che esiste ma non credo sia un segreto».
«Tu mi devi un favore per averti salvato dalla zoccolata di April!» gli disse improvvisamente, puntandogli un dito contro, minacciosa. «Perciò insegnami!»
«Mi stai ricattando?» storse il naso, lievemente irritato. «E poi mi sembra di essermi già sdebitato abbastanza, ieri nel bosco».
Beatris fece un lungo sospiro, arrendevole, e si spostò dal bordo del tavolo, mettendosi a sedere sulla panca al fianco di Reiner. «Hai ragione, non dovrei crearti altri problemi. Ma... non so davvero a chi altro provare a rivolgermi» confessò, avvilita.
«Non hai degli amici?» le chiese, retoricamente. Armin, Mikasa e Eren erano ovviamente molto legati a lei, l'avrebbero aiutata volentieri. 
«Armin non è messo molto meglio rispetto a me, Eren mi urlerebbe contro e basta e per Mikasa sarebbe impossibile spiegarmi come fare. A lei viene naturale, non lo fa seguendo una logica, mi direbbe solo di continuare a provarci. Ma è ovvio, ormai, che io stia sbagliando qualcosa... tu invece sei arrivato a tanto perché ti sei allenato, sai come si fa, e...» arrossì lievemente, imbarazzata per quanto stava per dire. «E sei sempre molto gentile con tutti, anche con me, mentre gli altri non fanno che prendermi in giro».
«Hai vomitato sulle scarpe di un istruttore, sfiderei chiunque a non prenderti in giro» disse Reiner, tornando a mangiare il suo pasto. Beatris si voltò verso di lui e si portò le mani davanti al volto, unite in forma di preghiera. «Te lo chiedo per favore, Reiner! Giuro che non ti infastidirò, sarò disciplinata e ascolterò tutto quello che mi dirai! Ti prego, aiutami».
Reiner sondò per qualche istante la sua espressione contrita. Stretta in se stessa, con gli occhi serrati e la mani unite davanti alla sua faccia. Era davvero disperata e per qualche ragione sentiva che avrebbe davvero voluto fare qualcosa per rispondere a quella sua sincera e sviscerata richiesta. 
«Perché vuoi diplomarti all'accademia?» le chiese, tornando a mangiare. 
«Eh?» mormorò Beatris, abbandonando la sua postura. «Perché me lo chiedi?»
«Voglio capire fin dove arriva la tua determinazione. Quanto sei disposta a sacrificare».
«Io...» mormorò, distogliendo lo sguardo e puntandolo al tavolo. Si portò le mani sulle gambe e tornò a stringersi in se stessa. «Credo tutto. Sono disposta a sacrificare tutto» rispose. «Dopo Shiganshina non mi è rimasto niente se non Armin, Mikasa e Eren. Non voglio perdere anche loro...»
Non le era rimasto niente? E quella sorellina che aveva visto alla cattedrale?
«Non... hai una famiglia da cui tornare?» azzardò, senza scendere troppo nei dettagli. Sarebbe stato imbarazzante anche per lui confessare che l'aveva osservata così a lungo, quella volta, preferì non farglielo capire. 
«Sono loro la mia famiglia» rispose Beatris e gli sembrò una risposta più che convincente. Non aveva che loro, era davvero disposta a tutto pur di non perderli, anche ridursi a essere lo zimbello dell'intero corpo cadetti. Anche arrivare a implorare aiuto così esplicitamente. 
Reiner sospirò, vinto. «Dopo l'allenamento del pomeriggio, prima di cena, dovremmo avere un paio d'ore libere. Ti aspetto al terzo cortile».
«Evviva!» Beatris esplose improvvisamente di gioia. Si lanciò addosso a Reiner, avvolgendogli le braccia intorno al busto, e lo strinse in un goffo abbraccio. «Grazie Reiner!» esclamò, felice come una bambina. Lo lasciò pochi istanti dopo, senza accorgersi dell'improvvisa paralisi in cui Reiner sembrava essere appena caduto. Con la bocca ancora aperta, il cucchiaio a pochi centimetri dal suo volto, gli occhi sgranati, non si muoveva di un solo centimetro. Lei si alzò e si allontanò con un rapido: «A dopo, allora!» lasciandolo solo nel suo mondo improvvisamente gelido e caldo allo stesso tempo. Era stata la cosa più dolce che gli fosse mai successa in tutta la sua vita. Mai prima di allora qualcuno lo aveva apprezzato tanto, mai prima di allora qualcuno gli aveva rivolto così tanta stima e... era mai successo che qualcuno che non fosse sua madre lo abbracciasse? Beatris se n'era andata già da un paio di minuti abbondanti eppure riusciva ancora a sentire il calore delle sue braccia intorno al petto. 
"È un demone... è solo un dannato demone... nient'altro che un demone" si ripeté, ma si accorse presto che lo faceva solo per autoconvincersene. Sentiva il cuore pulsargli in petto più forte del normale e uno strano calore prendere sempre più possesso del suo volto. Stava per caso... arrossendo? Per una cosa come quella?! 
Posò finalmente il cucchiaio nel suo piatto, con la zuppa lasciata a metà, e lentamente la spinse di qualche centimetro lontano. 
«Non ho più fame...» mormorò tra sé e sé, irritato. Se non si fosse trovato in mezzo a tutto il resto dei suoi compagni probabilmente avrebbe ceduto a quell'improvviso desiderio che adesso aveva di ribaltare completamente il tavolo. E cominciare a tirargli testate solo per togliersi dalla mente simili stupidaggini. 


Era quasi il tramonto quando finalmente, fermo al centro del cortile, Reiner vide arrivare anche Beatris, puntuale. Lei gli corse incontro, alzando una mano per salutarlo, e allegra e pimpante gli si fermò davanti. «Eccomi! Sono pronta. Che facciamo?» chiese, euforica. 
Reiner la guardò torvo, con le braccia incrociate al petto. Era rimasto nervoso tutto il giorno dopo l'ora di pranzo, arrabbiato con se stesso per aver apprezzato così tanto il suo gesto. Ma per quanto l'istinto gli dicesse di allontanarsi quanto prima, lasciarla perdere, non riusciva a rifiutare totalmente il desiderio che adesso aveva di aiutarla davvero. E poi mostrarsi gentile con gli altri faceva parte della sua missione, non avrebbe potuto rifiutarsi.  Doveva farlo, doveva riuscire a diventarle amico senza perdere il controllo di se stesso. 
La scrutò da capo a piedi con severità e infine disse: «In punta di piedi».
«Eh?» mormorò Beatris, confusa. Ma fissò il suo sguardo forte e deciso e infine eseguì. «Così?»
«Allarga le braccia» continuò Reiner, e per quanto Beatris non capisse dove stesse cercando di arrivare obbedì. In fondo aveva promesso che avrebbe fatto tutto quello che le diceva. 
«Adesso alza un piede» ordinò Reiner e Beatris ancora eseguì, ma spalancò gli occhi spaventata quando si sentì immediatamente sbilanciare da un lato. Cercò di restare in equilibrio, muovendo un po' le braccia, ma come per l'attrezzatura di addestramento al movimento tridimensionale più si muoveva più si sentiva sbilanciare. E infine cadde da un lato. Piantò in tempo il piede a terra e si evitò così di sfracellarsi al suolo. 
Reiner aggrottò le sopracciglia, contrariato, e disse: «Hai un pessimo equilibrio».
«Grazie, lo sapevo anche io!» ruggì lei, frustrata. 
«Riprova» le ordinò, facendo un passo indietro per darle spazio. «Finché non riuscirai a restare ferma».
«Ma che razza di addestramento è questo?» lamentò lei, contrariata. Ma non si oppose all'ordine e tentò nuovamente. 
«È quello che ti serve per superare l'esame della prossima settimana. Hai bisogno di allenare il tuo equilibrio, abbiamo solo una settimana a disposizione ma cercherò di farmela bastare».
«Eh? Vuoi... aiutarmi per tutta la settimana?» mormorò Beatris, oscillando sul suo singolo piede. Reiner la guardò quasi cadere di nuovo, e tentare ancora. 
«Non è quello che mi hai chiesto?» 
«Certo...» mormorò lei, arrossendo lievemente. «Ma pensavo che ti saresti limitato a darmi qualche dritta, non credevo che avessi intenzione di seguirmi per tutta la settimana...» confessò. «Non vorrei recarti troppo disturbo».
«È troppo tardi ora per pensare di disturbarmi, e comunque non sarei qui se non volessi farlo».
«Grazie...» disse lei prima di lanciare un gridolino per aver di nuovo perso l'equilibrio. 
«Concentrati su un punto fermo» le suggerì. «E fai movimenti minimi per stabilizzarti, se ti agiti finirai solo col peggiorare la situazione».
«Va bene!» disse, determinata. «Punto fisso! Movimenti minimi!» mormorò concentrata e cercò di eseguire, muovendosi il minimo indispensabile e fissando un punto davanti a sé con tale forza che sembrava avesse voluto incendiarlo con la forza del pensiero. Ma spalancò improvvisamente gli occhi quando si rese conto di essere di nuovo eccessivamente inclinata su di un lato, mossa questa volta lentamente non si era accorta dell'eccessivo sbilanciamento fino a quando non aveva sentito la gravità trascinarla a terra. Gridò, in preda al panico, e d'istinto alzò le braccia al cielo mentre vedeva il terreno avvicinarsi pericolosamente al volto. 
«Ma che...» sibilò Reiner, sconvolto, e si mosse rapido in avanti. Riuscì a prenderla in tempo, prima di vederla sfracellarsi al suolo, e Beatris restò appesa al suo braccio come priva di vita per qualche istante. Poi si voltò a guardarlo con le lacrime agli occhi: «Non ci riesco...»
«Ti stai di nuovo mettendo a frignare?» le chiese, raddolcito dalla sua espressione avvilita. 
«Non sto piangendo» tirò su col naso. Reiner sospirò affranto e riuscì a sentire improvvisamente tutto il nervoso provato fino a quel momento scivolare via dalle sue spalle. Quella ragazza aveva decisamente bisogno di aiuto e glielo voleva dare. Glielo voleva dare assolutamente. Ma perché? Perché sentiva quell'assurda sensazione di tranquillità e leggerezza tutte le volte che incrociava il suo sguardo? Era così genuina, così innocente, così pura... come poteva essere un demone?
«È naturale non riuscirci le prime volte, non abbatterti subito» le disse con dolcezza. «È per questo che si chiama allenamento. Devi provarci continuamente e solo provando alla fine riuscirai a farlo».
«Va bene» annuì lei, ancora appesa al suo braccio.
«Hai intenzione di rialzarti da sola o dovrò tirarti di nuovo su io?» le chiese, sentendo gli angoli della bocca allungarsi in un vago sorriso. Come se l'avesse trattenuto, come se non avesse voluto farlo uscire, ma alla fine questo avesse vinto contro tutte le sue convinzioni. Beatris si aggrappò al suo braccio e si rimise finalmente in piedi.
«Fai un gran sospiro, cerca prima di tutto di calmarti» le suggerì, restandole questa volta di fronte. Beatris chiuse gli occhi e prese un'ampia boccata d'aria, allargando il petto il più possibile, trattenendola nei polmoni e poi lasciandola uscire lentamente. 
«Sono calma» decretò infine. 
«Bene. Riproviamoci finché non ci riuscirai».
«Va bene» annuì lei e tornò ad allargare le braccia. Riaprì gli occhi, cercò il suo punto fisso che questa volta fu proprio il volto di Reiner, l'unica cosa che avesse davanti, e tornò ad alzarsi sulla punta di un singolo piede. Lui le restò di fronte e le appoggiò le mani sotto le braccia, aiutandola prima a trovare una posizione più dritta. Poi lentamente la lasciò andare ma restò comunque davanti a lei, pronto a sorreggerla se fosse di nuovo caduta. E proseguirono, tentativo dopo tentativo, fino all'ora di cena. In quelle due ore non avevano fatto molti progressi, Beatris risultava ancora instabile, ma perlomeno riuscì a non cadere più anche senza l'aiuto di Reiner. Nei giorni successivi, ogni buco libero lo riempirono di quegli esercizi che Reiner studiava appositamente per lei, aumentando sempre più il grado di difficoltà. Sporgersi in avanti, muovere la gamba, fare qualche affondo, provare a restare in equilibrio su qualche oggetto sottile. Non era mai eccezionale nell'esecuzione, ma i miglioramenti si vedevano ed erano rapidi, anche se qualche volta era finito col rimetterci anche lui. Aveva perso il conto del numero di volte che lei, cadendo, l'aveva trascinato a terra con sè mentre cercava di sostenerla. Ma il più delle volte il tutto si concludeva con qualche risata e qualche livido che tanto sarebbe sparito nel giro di un paio di giorni. Al contrario di quella sensazione di benessere sempre crescente che aumentava, giorno dopo giorno, nel passare la maggior parte del loro tempo libero insieme. Imparò a conoscerla e più lo faceva più sentiva la determinazione ad aiutarla crescere sempre più dentro sé. Senza accorgersene, cominciò a provare ogni giorno sempre più una certa impazienza, nell'attesa del primo momento libero in cui avrebbe potuto tornare a passare del tempo in sua compagnia. Era distensivo, era risollevante... gli dava un buon umore che non credeva sarebbe mai stato capace di provare, soprattutto in un luogo come quell'isola. Era... assurdamente divertente. Il più delle volte, quando ormai lei aveva cominciato a padroneggiare meglio il proprio equilibrio tanto da permettersi di chiacchierare mentre faceva i suoi esercizi, quelle ore divennero qualcosa di simile a un incontro tra amici che parlavano del più e del meno, per distrarre la mente. Sentirsi più leggeri. 
E infine arrivò il giorno dell'esame. 
Reiner uscì nel cortile insieme al resto dei suoi compagni, con l'imbracatura già pronta e una lieve tensione a irrigidirgli i muscoli. Ci era sempre riuscito, sapeva che quell’esame non sarebbe stato difficile per lui, ma era pur sempre un esame e l'ansia giocava sempre brutti scherzi se non propriamente preparati. Seguì il suo gruppo, avvicinandosi alle attrezzature installate per testare il loro equilibrio in sospensione, ma non si avvicinò totalmente, attirato da una voce disperata. 
«Reineeeeeer!!!» sentì gridare Beatris, in preda al panico. Si voltò allarmato a guardarla, chiedendosi cosa stesse accadendo, e se la vide correre incontro in lacrime. «Non mi lascia in pace!» gridò piombandogli addosso. Lo afferrò, se lo trascinò contro e cercò di nascondersi dietro di lui. «È posseduto! È un demone dell'inferno! Fermalo!» gridò, continuando a muoversi in preda al panico intorno a lui, tirandolo a strattonandolo per cercare di usarlo come scudo. 
«Ma che...» mormorò confuso e turbato per il trattamento che lo portava quasi ad arrancare sui suoi stessi piedi. E solo in quel momento vide l'oggetto del terrore: un insetto, grande almeno tre centimetri, nero e spaventosamente rumoroso nel suo volargli intorno. Sventolò una mano, cercò di scacciarlo, ma l'insetto gli volò attorno senza arrendersi nel suo feroce attacco. 
«Ma da dove arriva?!» lamentò, continuando ad indietreggiare e provare a scacciarlo. 
«Non lo so» piagnucolò Beatris, strattonando Reiner da un lato e facendolo quasi cadere a terra. «Mi sono appoggiata a una ringhiera e lui ha iniziato a inseguirmi da allora! Mi sa che l'ho quasi schiacciato senza volerlo e si è arrabbiato».
L'insetto volò spedito verso il volto di Reiner e lui ancora indietreggiò e sventolò una mano per scacciarlo via. Riuscì a colpirlo, lo lanciò da un lato, ma Beatris era proprio in traiettoria e se lo vide piombare addosso. Urlò terrorizzata, tirò Reiner da un lato per provare ancora a usarlo come scudo, ma fu il gesto decisivo. Inclinato all'indietro, strattonato da un lato, si trovò a incespicare sui piedi di Beatris dietro di lui. E caddero infine entrambi a terra. 
«Ma perché devo sempre finire a terra tutte le volte che mi stai intorno?» lamentò Reiner, steso, immobile. Troppo affranto per quella ridicola situazione per trovare subito le forze di rialzarsi. Non finì la frase che l'insetto, moribondo per la botta di poco prima, gli volò su una guancia trovando lì il suo appoggio per cercare di riprendersi. Reiner impallidì, ma non ebbe il tempo di pensare a come reagire che Beatris lo fece prima di lui. Lanciando un grido spaventato, caricò la mano in direzione dell'insetto... e colpì Reiner in pieno viso con uno schiaffo. Lui non ebbe neanche la forza di reagire. Spalancò gli occhi, allucinato, e con la guancia dolorante si alzò a sedere puntando uno sguardo severo, al limite del furioso, a Beatris. 
«Ahia» disse deciso, come fosse stato un insulto. Ma lei non lo considerò minimamente, concentrata a osservarsi ora la mano con cui l'aveva colpito. Infine gliela mostrò, con innocenza, dicendo candidamente: «L'ho preso».
Sul suo palmo ora giaceva una poltiglia di ali frantumati, liquido viscido ed esoscheletro a brandelli. 
«Non ti ha punta, vero?!» le chiese allarmato, ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che la vide corrucciare le sopracciglia e contorcersi in un'espressione quasi sofferente. «Oh no...» mormorò, sventolandosi la mano pulita davanti al volto. «Polvere nel nas...» e starnutì. Portandosi istintivamente la mano destra davanti alla bocca, per coprirsi: la stessa mano su cui giaceva ancora il cadavere dell'insetto. Si accorse troppo tardi dell'errore, razionalizzando ciò che era successo solo quando sentì la viscosità dell'insetto quasi sfiorarle le labbra e il terribile fetore che emanava arrivarle dritto nelle narici. Si allontanò la mano dal volto con uno scatto, indietreggiò con la testa e gridò nauseata: «Che schifo!!!»
Reiner restò paralizzato, a guardarla interdetto e sconvolto. Tutto quello... era al limite dell'assurdo. Era troppo anche per riuscire a pensare a qualcosa, porsi delle domande. Non riusciva proprio a credere a ciò che aveva appena assistito, ciò che era appena successo anche a lui. Era stata un'escalation di disastri stupidi e ridicoli, che aveva per la maggior parte causato lei. Per stupidità, forse solo per sfortuna, non seppe dirlo. Ma era davvero ridicolo. La cosa più inverosimile che avesse mai potuto anche solo immaginare. Ed era incredibilmente esilarante. 
Una risata gli sfuggì dalle labbra in uno sbuffo e si portò subito una mano alle labbra, cercando di nascondercela dentro. Ma più ci pensava e più non riusciva a trattenersi. Quella ragazza si stava addestrando per abbattere giganti e alla fine era stata completamente distrutta da un ridicolo insetto. Come se non fosse stato abbastanza, con quel suo ultimo gesto, aveva concluso l'opera nel peggiore dei modi. Ed era stata colpa sua, della sua ingenuità che a volte non la facevano pensare alle conseguenze e che la portavano ad agire solo d'istinto. Sghignazzò, stringendosi la mano sulla bocca nel tentativo di nasconderlo, inutilmente. E più la sentiva lamentarsi, più la vedeva sventolare la mano nel tentativo di liberarsi del cadavere e dei suoi residui, sempre più disperata e disgustata, più sentiva l'ilarità accecarlo completamente. 
«Non ridere delle mie disgrazie!» ruggì infine Beatris, irritata nel vederlo deriderla. E lui reagì altrettanto velocemente rinfacciandole: «Tu sei una disgrazia!»
«Ti ho salvato la vita! Poteva pungerti! Dovresti ringraziarmi!»
«Mi hai tirato uno schiaffo!» e Beatris parve notare la sua guancia colpita solo in quel momento. L'osservò per qualche istante, curiosa, poi scoppiò a ridere anche lei. 
«Hai il segno delle dita in faccia!» rise sganasciatamente e Reiner spalancò gli occhi sconvolto. Si portò una mano alla guancia e si accorse solo in quel momento che gli faceva veramente male. Sospirò, vinto, ma ancora divertito. «Ribadisco, sei una disgrazia».
Ma restò ad ascoltarla, a lungo, mentre rideva tanto forte da farsi quasi venire le lacrime agli occhi. Era rasserenante. Era veramente incredibile come fosse in grado con poco di distendergli davvero ogni muscolo. 
«Beatris Moreau!» la chiamò Shadis e fu quello a fermare il suo moto di ilarità. Beatris scattò in piedi, si ripulì velocemente la mano sulla giacca sotto lo sguardo contrariato di Reiner, e si avvicinò all'impalcatura. Pronta a sostenere la sua prova definitiva. Shadis le si piazzò davanti, con una cartelletta tra le mani, e restò ad osservarla. Attento. Beatris fece un profondo sospiro, cercò la calma, poi iniziò a legarsi. Diede infine l'ok per essere sollevata e sentì essere travolta da quel senso di instabilità che conosceva ormai fin troppo bene. Mosse un po' i piedi, allargò lievemente le braccia, cercò con tutta se stessa di non perdere l'equilibrio. Ma si sentiva vacillare, per quanto si sforzasse oscillava fin troppo e sapeva che se avesse continuato ad agitarsi avrebbe solo fatto peggio. Doveva trovare il suo centro... il suo punto fisso. E puntò gli occhi a Reiner, ora in piedi insieme al resto dei suoi compagni, che la osservava apprensivo. Reiner le fece un cenno d'assenso, cercando di trasmetterle con quel semplice gesto sicurezza e concentrazione. Si erano esercitati tanto, poteva farcela, per quanto fosse difficile. Sapeva che poteva farcela... desiderava che potesse farcela! Se avesse fallito sarebbe stata cacciata e allora chi l'avrebbe travolto portandosi dietro insetti dalla dubbia docilità? Chi sarebbe riuscito ad alleggerirlo tanto da farlo ridere, persino su quell'isola di demoni, con una missione imponente sulle spalle? Si tese, nervoso, ma non perse il contatto visivo con lei. Come se fosse capace di parlarle solo con quello, dirle cosa doveva fare. La vide, rigida, ammorbidirsi lentamente ma non abbandonare il suo sguardo concentrato. E infine restò immobile dov'era, perfettamente in equilibrio, anche se con qualche oscillazione di troppo di cui però riprendeva subito il controllo. Restò così secondi, minuti, e infine Shadis decretò: «Va bene, tiratela giù. Esame superato».
Beatris spalancò improvvisamente il volto in un luminoso sorriso, pieno di felicità ed emozione. E lo destinò tutto a Reiner, investendolo con quel suo mare di gratitudine che parve avere la potenza di un'ondata. Lo travolse con la sua allegria, lo ricoprì totalmente e infine lui si sentì tirare a picco, trascinato dalla corrente. Neanche si accorse di starle sorridendo a sua volta, disteso, felice.




NDA.


Continuiamo con l’approfondimento del carattere e soprattutto della loro relazione :3  Beatris è un piccolo uragano, piena di euforia, rumorosa e forse proprio per questo rasserenante. Reiner sente il peso della missione sulle spalle, vede nemici ovunque si giri, ma lei col suo modo di fare solare e infantile riesce a distenderlo. E non ne capisce il motivo… no, nemmeno voi lo capite, ve lo dico io xD C’È il motivo dietro, non è solo “aaaww è simpatica”, e presto verrà a galla. Lui non la conosce, eppure qualcosa dentro di lui lo spinge a volerle stare vicino… chissà cosa. Lo saprete presto :P
Nel frattempo si lascia coinvolgere e finisce con l’iniziare a provare reale simpatia e affetto per questo sgorbietto rumoroso e impertinente. 

Vi lascio la canzone del “giorno” :P eheheh
Anche se cantata da una voce femminile, è riferita a Reiner. Si sente sperduto in quel posto “oscuro”, aspettando di poter tornare a casa, è tutto ciò che desidera. E mentre è lì che ragiona sul senso della sua vita compare Bea e quasi le chiede di prenderlo per mano, portarlo in posti nuovi (metaforicamente… intesi come momenti nuovi, cose che non credeva possibili, perché quando è con lei riesce persino a essere… felice?), non sa chi lei sia effettivamente… ma “i’m with you”.

https://www.youtube.com/watch?v=Q_ItzTJfNV8


   
 
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