(Α)&(Ω)
1.
"Tu
conoscevi i tuoi genitori?"
"No."
"Erano
assassini? Sono morti in missione?"
Una
scrollata di spalle, seguita dal click
della
pistola nella fondina.
"No
e ancora no."
Sam
la studia in silenzio, incuriosito.
"Non
credo di ricordare il tuo nome."
"Ah,
pessima
tecnica
di corteggiamento. Non ti ho mai detto come mi chiamo."
Il
ragazzo abbozza un sorriso a metà, leggermente imbarazzato.
"Rimedio
subito: Sam Crowder, Confraternita britannica degli Assassini."
La
ragazza infila un coltello tra il polpaccio e lo stivale, tendendogli
la mano.
"Lydia
Frye; stessa Confraternita della tua."
Sam
apre la bocca in un o
ridicola - sorpresa.
Lo
sguardo di Lydia si illumina di una scintilla furba, divertita.
"Già:
faccio questo effetto quando sentono il mio cognome."
Lydia
gli batte la mano sulla schiena un paio di volte, oltrepassandolo; il
ritratto dei gemelli Frye lo fissa dalla parete della sala in
silenzio.
(A)
Londra
è perduta.
Per
adesso.
Evie
posa lo sguardo fuori dalla finestra, il davanzale già
ricoperto da un sottile strato di neve.
"Abberline
ti credeva morto."
"Non
ci è poi andato molto lontano."
Evie
si volta, le palpebre pesanti di sonno e preoccupazione.
Jacob
apre e chiude le dita delle mani lentamente, le nocche ancora gonfie
e tumefatte.
"Il
ginocchio è ridotto male."
Jacob
tace, fermandosi nei suoi movimenti.
"Non
sono sicuri tu possa tornare a camminare come prima."
"Magnifico."
Evie
si alza, sedendosi al suo fianco.
"Ci
proveremo comunque."
Jacob
preme le labbra in una linea biancastra, l'occhio destro ormai
completamente cieco.
Evie
scivola sotto le lenzuola, sfiorandogli la benda che gli ricopre
l'orbita svuotata.
"Adesso
ho capito, Jacob." mormora, nella sua voce una nota spietata -
durissima.
Jacob
inclina il viso verso di lei, assorto.
Evie
ne sostiene lo sguardo, sul fondo della pupilla una luce famelica -
pericolosa.
Lupi
e aquile non sono fatte per vivere nella giungla, ma per conquistare
il cielo e la terra.
"Adesso
so."
confessa, cercandogli la bocca in un bacio esigente, pieno di tutto.
"Londra
può bruciare,
Evie.
Londra e
i templari e
tutto il resto."
Ciò
che sono nemmeno la morte può cambiarlo.
2.
La
guerra è arrivata, ma loro questa volta non la combatteranno.
Sorvola
i cieli, ruggisce nei mari, ma riposano le loro lame - quiete,
saziate.
"Dove
sono finiti i funghi?"
"Non
ne ho la più pallida idea."
Evie
libera un suono dal fondo della gola, irritato.
"Li
hai mangiati."
"No."
"Jacob
Frye, sei un pessimo
bugiardo."
Una
risata trattenuta, il fruscio di un giornale che viene richiuso.
"Ti
odio."
"Sorella,
sei crudele. Vuoi uccidermi di crepacuore?"
Evie
gli lancia contro un uovo che Jacob afferra al volo, incrociando le
caviglie sotto il tavolo.
"Sei
come l'erba cattiva: non muori mai."
ribatte lei, dandogli le spalle.
Jacob
si alza, appoggiandole il mento nell'incavo del collo.
"Mi
piacerebbe." mormora contro la sua pelle "Ma rimarrei solo,
per cui declino l'offerta."
"E
poi invecchieresti senza di me. Diventeresti come nostro padre."
"Un
destino peggiore della morte."
Evie
si blocca a metà del gesto di tagliare un pomodoro,
cercandogli le mani e intrecciando le proprie dita alle sue.
"Siamo
già
vecchi,
Jacob; non te ne sei accorto?"
"No."
ribatte lui, baciandole una tempia "E nemmeno mi importa."
Evie
chiude gli occhi, reclinandosi all'indietro.
"Il
mio sangue è il tuo sangue."
La
guerra avanza, implacabile.
Davanti
a loro il tempo non è più una scommessa.
(Ω)
Sono
soli i gemelli Frye; di nuovo sperduti in una foresta di lame e
acciaio.
Sono
soli, ma sono insieme
- e non sono più bambini.
"Siamo
Jacob ed Evie Frye, e da questo momento lavorate per noi."
Evie
ha studiato la situazione, il terreno; ha visto i Rooks disperdersi,
combattere tra di loro - sbranarsi
come
branchi di cani selvatici.
"Signori."
esordisce, estraendo i due kukri che portava al fianco.
Uno
dei Rooks si volta, seguito dagli altri.
Evie
snuda i denti, sorride.
"Che
cazzo vuoi?"
"È
così che accogli il tuo capo?" ribatte lei, inclinando il
mento di lato.
L'uomo
ridacchia, scuotendo la mano nell'aria.
"Il
mio capo? Tu?
Per
vedermi in ginocchio devi prima succhiarmelo, bella."
Il
gruppo ride, ammiccando; Evie si unisce a loro, contando - uno:
femore rotto, mascella fratturata. Due:
spalla dislocata, setto nasale deviato. Tre:
dita spezzate, tagli multipli all'addome.
Il
quarto uomo viene sollevato verso l'alto, attorno al collo la corda
del rampino - le guance paonazze, la lingua già gonfia.
Evie
si scosta appena il capuccio dal viso, fissandoli.
"Dove
si trovano gli accoliti di Jack?"
Nessuna
risposta.
"Riproviamo:
dove si trova la
feccia di
Jack?"
Uno
degli uomini si scosta dalla folla, stropicciando il cappello tra le
mani.
Evie
gli concede un'occhiata fugace, asciutta.
"Io
forse potrei sapere qualcosa."
Evie
rimane immobile, aspetta.
L'uomo
solleva lo sguardo, deglutendo e guardandola come se avesse appena
visto un fantasma.
"Lei
è... lei è Evie Frye, vero?"
Evie
annuisce bruscamente, rafforzando la presa attorno l'impugnatura del
kruki.
Dal
gruppo si leva un mormorio sommesso, stupefatto.
"La
sorella del capo." esclama uno.
"Del
capo che avete così velocemente
tradito." sibila lei, umettandosi le labbra.
"Jack
ci ha detto..."
Evie
lancia una lama a pochi centimetri da uno di loro, zittendoli.
"Questa
città appartiene a Jacob ed Evie Frye, ficcatevelo bene
in
testa." proclama, nella sua voce una nota durissima, spietata.
"E
se qualcuno vuole opporsi, be',
sappia
che Jack è a putrefarsi sul fondo del Tamigi."
"Quindi
il signor. Frye è vivo!"
Evie
posa lo sguardo su un ragazzino di appena quindici anni, una zazzera
di capelli biondo sporco e un incisivo mancante.
"Vivo
e
vegeto."
ribadisce lei, sollevando un'altra serie di mormorii confusi,
meravigliati.
Evie
sbatte un piede sul tavolo, attirando nuovamente la loro attenzione.
"Ora."
continua lei "Se qualcuno volesse dirmi dove trovare quei
relitti umani mi farebbe un
immenso favore."
Estrae
le doppie lame celate, ampliando il sorriso.
"Oppure
possiamo fare con le cattive; questa puttana,
come
soleva chiamarmi Jack, è capace di farvi tornare le palle in
gola e alcuni di voi dovrebbero ricordarlo."
Il
ragazzino spintona di lato un uomo, affiancandola; ne segue poi un
altro, e un altro ancora - alcuni imbarazzati da loro stessi, altri
spaventati e mortificati.
Evie
scende dal tavolo, aprendo le porte del pub e riversandosi con il
primo, piccolo, gruppo in strada.
"Rooks,
con me!"
Londra
è
i Frye: se loro la rivogliono indietro, l'avranno.
3.
Lydia
salta,
e con lei Sam.
È
veloce la piccola Frye, e stacca tutti gli altri apprendisti di
qualche metro buono.
Sam
accelera, taglia per una strada laterale, appare al suo fianco.
Lydia
gli scocca un'occhiata asciutta, che dicono essere uguale a quella di
sua zia.
"Se
ti supero, cosa vinco?"
Lydia
abbozza un sorriso a metà, toccandosi appena il bordo del
cappuccio.
"Non
succederà mai, Sam." ribatte, sbattendo al suolo una
bomba fumogena e arrotololandogli attono le caviglie un cavo che lo
fa inciampare nei suoi stessi piedi.
Sam
emette un suono sorpreso, cade in avanti, sbattendo il mento sulle
tegole.
Lydia
ride,
aprendo le braccia e gettandosi di schiena verso il basso.
Tra
di loro un gioco che non smette mai di ripetersi.
(A)
Quando
Agnes lo rivede si porta le mani alla bocca, trattenendo un guaito
ferito.
"Non
sono ancora morto." la raggiunge la sua voce, più bassa
di qualche ottava.
Jacob
si tocca con l'indice la tesa del cilindro, nella sua postura
qualcosa di profondamente
sbagliato
- il modo in cui si piega
la sua schiena, trascinando il piede destro.
"Ma
ci è mancato poco." aggiunge, appoggiandosi con entrambe
le mani sulla testa di corvo del bastone.
Agnes
raddrizza le spalle, lisciandosi le pieghe della gonna.
"Avrebbe
dovuto avvisarmi."
Jacob
abbozza un sorriso stanco, annuendo.
"Hai
ragione, ma le cose si sono fatte un po' movimentate."
"Le
avevo detto che Bertha sarebbe stata più sicura."
"L'hai
fatto."
"Ma
lei è il solito ignorante testardo."
Jacob
ridacchia, scuotendo la testa.
"Dio,
Agnese; vent'anni e ancora mi tratti come un ragazzino."
"Perché
lo
è."
ribadisce lei, ruvida.
Jacob
rimane immobile, negli occhi una luce quieta, risoluta.
"Evie
è tornata."
Nessuna
risposta.
"Mi
ha salvato."
Agnes
libera un sospiro tremulo, sedendosi un attimo nella poltrona
consumata.
"Ci
riprenderemo Londra, Agnes. E i Rook."
"Aye,
sono troppo vecchia per queste cose, signor. Frye."
"Lo
so. Ed è per questo che volevo darti questi."
Agnes
si volta, attirata dal suono metallico di qualcosa che si posa su una
superficie.
"Non
li voglio."
"E
invece li prenderai. Li userai per tuo figlio, per i tuoi nipoti e
perché no: per rimettere a nuovo Bertha. Dicono che i tour in
treno siano il futuro."
"Non
mi servono."
Jacob
allarga leggermente le gambe, e Agnes adesso può vedere quanto
gli
costi mantenere l'equilibrio.
"Grazie
di tutto, Agnes."
Agnes
solleva il viso verso il suo e per un attimo - un
solo istante -
è di nuovo il ragazzino sfrontato e impetuoso che li aveva
liberati con il solo scocco di una lama.
"Chi
penserà a lei, signor. Frye?" mormora, ma sa già
la risposta.
"Evie
è tornata, Agnes."
Jacob
tamburella tre volte sulla tesa del cilindro, un sorriso a metà
e negli occhi la stessa scintilla di quando.
I
gemelli Frye escono dalla sua vita senza fare alcun rumore.
4.
Lydia
a volte li guarda e si scopre studiare la mappa dei loro visi per
immaginare sua madre.
Le
hanno detto che era uguale alla zia Evie - stesso naso delicato,
stessa piega delle labbra.
Ha
sette anni, Lydia, e rovista sul fondo del piatto, schiacciando le
patate con la forchetta.
Evie
alza un sopracciglio, fissandola.
"Lydia
Frye."
Nessuna
risposta.
"Smettila
di giocare con il cibo."
Lydia
la ignora, disegnando due profili nel purè - abbozzati, ma pur
sempre riconoscibili.
"E
questi chi sarebbero?"
Lydia
ruota il piatto, attirando anche l'attenzione di Jacob.
"Tu
che fai il culo al nonno."
Evie
sgrana gli occhi, Jacob soffoca una risata in un colpo di tosse - chi
ti ha insegnato a parlare così, Lydia!
Il
suo sangue racconta più di quanto lei possa immaginare.
(Ω)
Bedelia
li fissa in silenzio, penzolante contro il fianco una manica vuota -
lo stigma di uno scontro con Jack finito molto
male.
"Sono
sorpresa." li accoglie, le dita sotto la giacca, negli occhi una
sfumatura sospettosa - guardinga.
"Non
avrei mai immaginato che i gemelli Frye volessero parlarmi."
Jacob
schiocca la lingua contro il palato, inclinando il capo di lato.
"Pensavo
ti avesse uccisa."
"Altrettanto,
Jacob Frye." ribatte lei, mantenendo lo sguardo fisso su Evie.
"Felice
non ci sia riuscito."
Bedelia
si batte l'indice sulla spalla sinistra, arricciando le labbra.
"Me
l'ha tagliato lentamente, Frye. Molto
lentamente.
Ho potuto sentire ogni singolo nervo venir reciso, ogni più
piccolo tendine
saltare come la corda di un violino."
Jacob
solleva il mento, la cicatrice biancastra che gli attraversa l'occhio
destro ancora arrossata ai bordi.
"L'avevo
addestrato bene."
Evie
inspira con forza a quelle parole, Bedelia snuda i denti, furiosa.
"Hai
creato un
fottuto mostro,
Frye. Questo fate voi assassini: date una lama in mano a degli
psicopatici e poi li liberate per il mondo."
"Non
mi pare voi templari siate da meno."
Bedelia
tace, premendo le labbra in una linea sottile.
"Qual
è il motivo del nostro incontro."
"Londra."
la prende in contropiede Evie, aprendo le mani davanti a sé -
vedi,
non mordo? Non ancora.
Bedelia
alza un sopracciglio, aspetta il seguito.
"La
città è devastata."
"Grazie
della notizia ovvia."
"Gli
accoliti di Jack più numerosi di quanto ci aspettassimo."
"Quei
cuccioli erano da affogare da piccoli, signor. Frye."
Evie
lancia una mappa sul tavolo, la lama celata scintillare nella
penombra della stanza.
"Questi
sono solo alcuni quartieri in cui si sono rifugiati."
Bedelia
butta un'occhiata alle sue spalle, scorgendo un insieme di strade
cerchiate in nero.
"Volete
che noi li uccidiamo per voi?"
Jacob
ride
-
un suono asciutto, derisorio.
"No.
Ma sappiamo quali sono i prossimi obiettivi."
Bedelia
arretra leggermente, ruotando con l'anulare e l'indice la mappa -
dilata le narici, avvampando lungo gli zigomi.
"No."
"Jack
era un uomo meticoloso."
Bedelia
si volta, sbattendo il pugno chiuso sulla scrivania.
"Sono
bambini, donne. Famiglie intere." mastica, inferocita.
"E
sono le
vostre."
aggiunge Evie, quieta.
Bedelia
sposta lo sguardo da Jacob a Evie e viceversa, ancora dubbiosa.
"Tutto
ha un prezzo: cosa volete?"
Jacob
ruota il bastone tra le dita, battendolo poi sul pavimento con un
tondo sordo.
"La
loro morte."
Bedelia
tace, fissandolo.
"Siamo
assassini, ma sappiamo la differenza tra giusto e sbagliato."
Evie
preme il pollice sulla leva di sgancio del rampino, Jacob fa
altrettanto.
"Fanne
quello che vuoi dell'informazione che ti abbiamo dato: se deciderai
di fermarli, le famiglie dei tuoi alleati sopravviveranno e noi
avremo una decina di accoliti in meno. In caso contrario..."
Jacob
si stringe nelle spalle, Evie spalanca la finestra di lato,
appoggiando un piede sul bordo e calcolando la distanza all'edificio
successivo.
"...
a te la scelta, Bedelia."
Evie
salta, Jacob la segue: all'anulare sinistro la croce templare brucia.
5.
Evie
fissa il calendario con un'espressione stolida, un po' ottusa.
Conta
sulla punta delle dita qualcosa,
e
Jacob all'inizio non ci aveva fatto molto caso.
Evie
è precisa;
pignola, a dirla tutta.
Evie
si ricorda persino quella volta che le aveva fatto il solletico
mentre stava bevendo, facendole sputare tutto lungo la camicia.
Evie
è così
-
animata da un bisogno di controllo che la rendeva suscettibile a
strani comportamenti.
"Sono
quattro mesi."
Jacob
sta controllando un'informazione su un probabile frammento dell'Eden
- e tutto per fare un favore a
lei -
quando glielo dice.
"Di
cosa?"
"Che
non sanguino più."
"Oh,
meraviglioso."
Evie
aggrotta le sopracciglia, si chiede se suo fratello sia stupido.
"Non
hai capito."
Jacob
scarabocchia qualcosa a margine del foglio, libera un piccolo hum
hum di
gola, distratto.
Evie
gli assesta un pugno sulla spalla, facendolo sussultare.
"E
questo per cos'era?" ribatte lui, stizzito.
Evie
apre le mani davanti a sé come se fosse ovvio
per
cosa era.
"Non
mi stai ascoltando."
"Ti
ho sentito, Evie, ma non è una cosa normale per voi donne?
Voglio dire, hai una certa età e non sono completamente
sicuro
di quali siano i tempi, ma..."
"Sono
stata dal medico."
Jacob
si zittisce all'improvviso, preoccupato.
Evie
sospira, il viso un ovale pallido e nel quale le poche lentiggini
risaltano ancora di più.
"È
qualcosa di grave?" si costringe a chiedere Jacob, tra le
costole un morso gelido,
che
gli stritola le viscere, il cuore.
Evie
apre la bocca, richiudendola subito dopo.
"Forse
dovrei sedermi."
Jacob
si impone di rimanere calmo, ma vorrebbe solo afferrarla per le
braccia e
scuoterla
e
gridare e...
"Sarai
padre."
Silenzio.
Evie
lo fissa, negli occhi un'espressione che passa dalla paura alla
confusione, diventando poi irritazione quando Jacob non replica
nulla.
"Sei
diventato sordo?"
Jacob
sbatte le palpebre una, due volte.
Evie
emette un verso frustrato, passandosi le mani nei capelli.
"Jacob
Frye, giuro che se non..."
"Sei
incinta."
"È
quello che ho appena detto."
"Ed
è mio."
Evie
annuisce, guardandolo con attenzione.
"Pensavo...
ormai credevo che..."
"Lo
so."
"Come...
voglio dire..."
"Ci
sono dei rischi." aggiunge, stropicciando la manica del cappotto
tra il pollice e l'indice.
Jacob
solleva il viso verso il suo, attento.
"Sia
per l'età, sia perché siamo fratello e sorella."
Nessuna
risposta.
"Un
ultimo salto?" gli propone, dentro quella domanda loro
-
tutto.
Jacob
l'abbraccia e libera una risata che la svuota d'ogni incertezza.
(A)
Jack
aveva detto che era morto.
Jack
aveva riso
mentre
lo diceva, gocciolando sangue a ogni parola.
Jack
li aveva raccolti sotto un'unica bandiera, un unico Credo - purga
la città, libera
il mondo.
I
Rooks lo osservano in silenzio, studiandolo.
Alcuni
sono volti nuovi, molti li conosce da prima
-
e non sopporta la loro espressione contrita, quasi avessero fatto una
semplice cazzata
il
sabato sera al pub.
"Non
sei pronto."
"Devo."
"Il
ginocchio potrebbe cederti da un momento all'altro."
Un
ragazzino fuorisce dal gruppo, avvicinandosi.
"Sei
Jacob Frye."
"In
persona."
Il
ragazzino lo squadra da sotto in sù, alzando un sopracciglio.
"Ti
manca un occhio."
"Riuscirei
a beccare il tuo culo anche a metri di distanza."
Il
ragazzino persevera nel suo studio, scivolando con lo sguardo lungo
il pesante cappotto scuro, il bastone animato dalla testa di corvo.
"Io
devo riprendere i Rooks, Evie. Devono vedere che sono ancora capace
di guidarli - di controllarli."
"Tua
sorella ha rotto il braccio ad Alton."
"Che
peccato."
"E
la mascella a Bart."
"Posso
sentirne
il rumore."
Il
ragazzino ridacchia, scoccando un'occhiata divertita agli uomini alle
sue spalle.
"Le
aveva detto di fargli un pompino."
Jacob
arcua un angolo delle labbra, posando lo sguardo su Bart
-
un metro e ottanta di muscoli e vergogna.
"Be',
può sempre farselo da solo se gli spacco le ultime costole."
Il
gruppo rumoreggia,
tra
di loro risate, qualche pacca sulle cosce.
"Sono
stato via per un po' di tempo." dice, afferrando una sedia e
ruotandola.
"Ma
voi avete disertato molto prima." prosegue, sedendosi e
appoggiando le braccia sullo schienale.
"Boss,
noi..."
Jacob
lo fulmina sul posto, la lama celata fuoriuscire dalla manica del
cappotto come la testa di un serpente.
"Boss
un
cazzo."
sibila, guardandoli "Avete compiuto una scelta ben precisa."
Il
ragazzino sposta il peso da un piede all'altro, incuriosito.
"Vent'anni
fa sono arrivato a Londra e alcuni voi c'erano:
ricordano bene come mi sono fatto strada tra i Blighters e come vi ho
salvato
il culo."
prosegue, nella voce una flessione gelida - spietata.
Uno
dei più anziani abbassa lo sguardo, qualcun altro solleva
invece il mento in un atteggiamento di sfida.
Jacob
sospira, togliendosi il cilindro e porgendolo al ragazzino.
"Come
ti chiami?"
"Paul,
signor. Frye."
"Puoi
tenermelo qualche minuto, Paul?"
Paul
annuisce, prendendo il cilindro e ammirandone la fodera rosso
borgogna.
Jacob
si alza, ignorando la fitta che gli attraversa il ginocchio e risale
fino ai testicoli; trasforma quel dolore in una rabbia brutale,
che spegne ogni altro stimolo.
"Immagino
abbiate tutti bisogno di un
piccolo richiamo
all'ordine."
Uno
dei giovani avanza fino al centro del locale, negli occhi la stessa
espressione di sempre
- arroganza, supponenza.
Non
poi molto diversa dalla tua all'inizio, uhm, Jacob?
Jacob
sorride, assume una posizione difensiva - nella mente la voce di
Evie, i suoi consigli.
Persino
quelli di suo padre.
L'adrenalina
della lotta riempie ogni altro pensiero.
6.
"Quindi
avete deciso di riaprila."
Jacob
socchiude gli occhi, schermandosi da un sole insolito per gennaio.
George
lo affianca, incrociando le mani dietro la schiena.
"Non
sapevo saresti venuto." lo apostrofa Jacob, fissandolo.
"Sono
il custode di questa casa da prima che tu nascessi, Jacob Frye: nulla
sfugge
alle mie orecchie."
Attorno
a loro vengono spalancate finestre, scrollati tappeti - controllati i
materassi, esaminati mobili e pavimenti.
"Abbiamo
pensato fosse una buona idea darle un po' d'aria."
George
sposta il peso da un piede all'altro, quieto.
"Per
i tempi difficili: per quando saltare da un tetto diventerà
complicato."
"Mi
sembra tu ti sia ripreso piuttosto bene." sottolinea George,
indicando con la punta del bastone il suo ginocchio.
Jacob
abbozza un sorriso a metà, sorveglia gli operai che stanno ora
sistemando il tiraggio della canna fumaria.
"Ne
sono rimasto sorpreso persino io."
George
lo guarda, studiando la cicatrice che lo attraversa dal sopracciglio
destro fin quasi metà guancia - un filo sottile, biancastro.
"Ti
ha conciato proprio male."
Jacob
si tocca distrattamente l'orbita - un gesto istintivo, che ripete
spesso quando è nervoso.
"La
Vista non ne è stata inficiata; dall'altro lato la mia visione
periferica normale è pessima."
George
gli appoggia una mano sulla spalla, stringendo.
"Sei
stato bravo."
"Uhm."
"Ti
sei ripreso i Rooks e
Londra."
"Il
Gran Maestro ha fatto il suo."
George
sbuffa, ritraendo la mano.
"Si
è limitata a fare quello che doveva."
Starrick
non l'avrebbe fatto, si
ritrova pensare Jacob, ma tace, perché ormai è morto,
e con lui gran parte del suo tempo.
"E
dimmi, come sta Evie?"
Jacob
aspetta qualche secondo prima di rispondere, tormentandosi una
pellicina del pollice.
"Bene."
"Non
è venuta?"
"Aveva
da fare; è sempre dietro a quei giocattoli dorati dell'Eden."
George
ridacchia, scuotendo la testa.
"Ah,
che bello vedere che certe cose non cambiano mai."
Jacob
arcua appena un angolo delle labbra, slacciandosi il primo bottone
della giacca.
George
inspira con forza, nell'aria l'odore acre della polvere, quello
freddo della neve.
"Immagino
verrete qui in estate."
"Probabile."
"O
quando cominceranno a farti male le ossa."
"Ti
seppellirò prima." ribatte lui, divertito.
George
gli concede uno sguardo limpido, che sembra scavargli
dentro
- metterlo a nudo.
"Sei
un ragazzino impudente e arrogante, Jacob Frye."
"Lo
prendo come un complimento, George Westhouse."
"Ricordi
com'era la primavera a Crawley, no?"
Jacob
annuisce, assorto - nella mente gli allenamenti con Evie e piedi nudi
nell'erba.
"Si
riempie di narcisi e calle rosse."
Jacob
ascolta il quieto frusciare dei ricordi - della risata di Evie, di
quella volta che si era disperata perché le aveva incollato i
capelli con lo zucchero e l'acqua.
"Vostra
madre le adorava." continua George, sollevando il viso verso il
cielo.
Un
ramo si spezza sotto il peso della neve caduta nelle ultime settimane
- plof:
atterra in un tonfo sordo, a malapena udibile.
"Hai
fatto la scelta giusto."
Jacob
percepisce la nota diversa
nella voce di George - si volta, guardandolo.
George
sostiene il suo sguardo, attorno agli occhi una fitta rete di rughe
che si apre come una ragnatela quando sorride,
e gli prende una mano tra le proprie.
"È
un bel posto dove crescere, no?"
Jacob
deglutisce, annuendo.
"Eravate
felici."
Jacob
tace, le dita di George calde, asciutte - rassicuranti.
"Forse
non lo siete stati sempre,
ma..."
George
tace, quello strano sorriso sempre lì,
adesso
poco più di un'ombra.
"Sì,
Crawley è un bel posto dove crescere un bambino." mormora
poi, voltandosi di lato e schiarendosi la gola.
Jacob
rimane immobile, fissandolo.
Lo
sa.
George
allarga poi le spalle, puntando lo sguardo sulla parete davanti a sé.
"Me
lo concedi un tè, Jacob? In memoria dei vecchi tempi."
Perché
l'orologio corre,
e non si ferma mai.
Jacob
gli posa una mano sul braccio - e
dio, da quando è così
sottile
e fragile e vecchio e...
- conducendolo verso la cucina.
George
custodirà i loro segreti fino alla fine.
(Ω)
Evie
si guarda intorno, confusa.
"Perché
siamo qui?"
Scivola
con lo sguardo su Westminster, alla loro sinistra il Tamigi scorre
quieto, a malapena turbato dalla pioggia.
Jacob
si siede al suo fianco, dandole un leggero colpo con la spalla.
"Sai
che Agnes è partita verso l'Essex, no?"
Evie
annuisce, fissando le carrozze che si accalcano in strada.
"Quindi
non abbiamo più Bertha."
Evie
alza un sopracciglio, guardandolo.
Jacob
le porge la mano, invitandola.
"Ho
preso un appartamento."
"Dove?"
"Qui."
Evie
sgrana gli occhi in un'espressione comica, alzandosi di scatto.
"A
Westminster?"
Jacob
annuisce, ampliando il sorriso.
"Lungo
Victoria Street: da qui possiamo anche controllare Bedelia e
Whitechapel non è così lontana."
Evie
apre e chiude le mani, muovendosi avanti e indietro sul cornicione -
non sa cosa dire e Jacob si limita ad aspettare, la nebbia che va
addensandosi attorno a loro.
Si
ferma, chinandosi poi alla sua altezza e prendendogli il mento tra il
pollice e l'indice.
"Se
stai per chiedermi dove ho preso i soldi, be', sappi che..."
Evie
gli cerca la bocca in un bacio vorace, che gli ricorda quando erano
giovani - sorpresi e intimoriti da loro stessi, da quello che
provavano e desideravano.
Tra
i suoi capelli Jacob mormora sempre la stesse parole di allora.
7.
"Lo
Squartatore è stato un disguido."
L'uomo
inclina appena il capo verso la spalla, tace.
"Il
Mentore l'ha creato, non io."
puntualizza Bedelia, fissandolo.
L'uomo
la studia con occhi quieti, di un color ambra che le ricordano quelli
di Frye.
"Le
famiglie sono salve, i membri dell'Ordine anche. Ho fatto quello che
dovevo."
Bedelia
si volta, divaricando leggermente le gambe.
"So
chi sei, Victor
Bolden."
L'uomo
stende appena un angolo delle labbra, ascolta.
Bedelia
indica il bavero sinistro della sua giacca con un brusco cenno del
mento, indurendo lo sguardo.
"La
tua croce nera parla per te."
L'uomo
amplia il sorriso, togliendosi il cappello.
"Non
sono qui per ucciderti."
"L'avresti
già fatto." l'apostrofa Bedelia, nervosa.
Victor
posa lo sguardo sul suo braccio mancante, studiandolo con attenzione.
"Hai
pagato un pegno importante
a
Jack, vedo."
"E
non solo quello." sibila Bedelia, una donna che ha conquistato
il potere pezzo per pezzo, strappandolo
dalle
mani degli altri templari.
Victor
avanza fino alla sua scrivania, sulle guance una rete di cicatrici
biancastre che il fuoco rende solo più evidenti.
Spinge
verso di lei una croce nera, picchiettandoci sopra con l'indice.
"La
tua visione del mondo ci ha colpito, Bedelia. La tua alleanza
con
i Frye ti ha reso suscettibile di critiche, ma non per noi."
Bedelia
lo fissa, negli occhi una scintilla incuriosita - sospettosa.
Victor
si rimette il cappello, porgendole un piccolo inchino.
"Londra
sarà importante per il futuro, Bedelia: l'equilibrio è
fondamentale, non il potere fine a se stesso."
Bedelia
lo osserva con attenzione, cercando di capire se sia un pericolo -
una trappola.
"Spero
di ricevere tue notizie presto."
si congeda Victor, ritraendosi nelle ombre - assassino, templare: i
guerrieri della Croce Nera servono un unico credo, un'unica fede.
La
giustizia.
Davanti
a lei la croce nera è una promessa e una minaccia.
(A)
Se
ne è accorta svegliandosi in uno spazio tra la notte e l'alba,
quando Londra rumoreggia,
ma non grida ancora.
Se
ne è accorta in una mattina indolente, pigra; mentre fuori
pioveva e dentro Jacob chiamava il suo nome - indugiava sul suo
corpo, tra le sue cosce.
Se
ne è accorta durante un appostamento serale, Jacob reclinato
contro un comignolo e lei protesa in avanti, verso la strada.
"Hai
pensato a cosa vuoi fare per il nostro compleanno?"
Una
domanda semplice; innocente.
"Io
propongo una bella rissa di strada."
Evie
aveva premuto le labbra in una linea sottile, esibendo la solita
espressione contrariata di quando suo fratello diceva una cazzata.
"Certo;
e per festeggiare un naso rotto."
"Quanto
sei pessimista."
E
si era resa conto che stavano parlando di un evento che avrebbe
dovuto verificarsi mesi dopo
-
quasi tre, per la precisione.
"Una
ricerca sulle ultime informazioni che abbiamo ricevuto sulla reliquia
dell'Eden?"
"Uccidimi
adesso, sorella ingrata."
Evie
si siede, incrociando le gambe tra loro.
"Abbiamo
ancora tempo per pensarci, Jacob." ribatte lei, controllando il
filo della lama.
Jacob
scivola al suo fianco, l'occhio cieco acceso da una luce traslucida
quando usa la Vista.
"Con
la fortuna che abbiamo spunterà qualcosa fuori dal buco del
culo dell'India. O della Russia. Oh no, no,
ancora
meglio: direttamente dall'America."
Evie
alza gli occhi al cielo, sospirando.
"Tu
e l'India non andrete mai d'accordo."
"Hai
saputo che Greenie ha altri due figli?"
Evie
aggrotta le sopracciglia, perplessa.
"E
tu come diavolo fai a saperlo?"
Jacob
stende le labbra in quel sorriso furbo che le rifila da quando sono
piccoli, orgoglioso di se stesso.
"Ho
le mie fonti."
"E
le usi per tenerti informato su Henry?"
Jacob
annuisce e dio,
quanto è infantile quando fa così.
"Sei
un pettegolo."
"Ah.
Solo
solo attento ai dettagli; a quanto pare non riesce nemmeno a
respirare."
"Uhm.
E ti diverte la cosa, immagino."
"Moltissimo."
chiosa Jacob, ampliando il sorriso.
Evie
scuote la testa, ritraendo la lama.
"La
Victoria sponge."
Jacob
alza un sopracciglio, fissandola.
"Voglio
una Victoria sponge. Da quando chiesi alla regina di fermare la sua
politica espansionistica, be', non ne ho più mangiata una
fetta."
Evie
imbroncia le labbra al ricordo, sedendosi sui talloni.
Jacob
ridacchia, intrecciando le dita nei i suoi capelli e baciandole una
tempia.
Ed
è in quel
momento
che se ne rende conto: che la realtà la colpisce come un pugno
nello stomaco.
È
in quell'istante che comprende come per loro ci sia un
futuro -
come se ne stiano tranquilli sulla cima di un tetto di Londra a
parlare del loro prossimo compleanno.
"Potremmo
morire domani, Jacob."
"Anche
stanotte, sorella."
Evie
percepisce qualcosa
scollarsi da lei, cadere a terra e sciogliersi
-
al centro del petto un vuoto leggero, diverso.
"Abbiamo
tempo, Jacob."
"Avrai
tutto quello che vuoi, Evie." le dice, sollevandole il viso
verso il suo.
Per
la prima volta ci crede anche lei.
8.
È
piccola, e ridicolmente
fragile.
Jacob
la fissa come se potesse rompersi anche solo guardandola, negli occhi
un'espressione indecifrabile.
"Sembri
un idiota." lo ammonisce Evie, socchiudendo un occhio.
Jacob
tace, continua a studiare quello strano essere uguale a lui - loro
- e la bambina gli restituisce uno sguardo perplesso, già
irritato.
Evie
sospira, massaggiandosi le tempie.
"Non
morde."
Nessuna
risposta.
"Jacob."
"È
strana."
dice poi, toccandola con la punta dell'indice.
"È
un neonato, Jacob: non ne hai mai visto uno?"
"Sì.
Be', non da così vicino."
Evie
si alza, sporgendosi oltre la sua spalla.
"Ha
tutte le dita dei piedi. E delle mani."
"Ho
detto che avrebbe
potuto avere
dei problemi; non che li avrebbe avuti."
Jacob
inclina il mento verso destra, osserva con attenzione la bambina - un
ciuffo di capelli scurissimi e un'espressione scettica, uguale a
quella di Evie.
"Non
possiamo dirle chi siamo."
Evie
sembra essere presa in contropiede da quell'affermazione, rimane in
silenzio.
"La
Confraternita." aggiunge Jacob, come se spiegasse già
tutto.
Evie
si umetta le labbra, a basso ventre un dolore tiepido, sopito.
"Non
la proteggerebbero." spiega, e Evie sa
che
ha ragione.
Ne
hanno parlato tanto prima,
quando
erano giovani e l'eccitazione li bruciava
negli
angoli delle strade, sul treno, sempre sul filo del niente
-
ne hanno discusso dopo,
preparandosi al peggio.
"Diventerebbe
un paria." mormora, irrigidendo un muscolo sotto la mandibola.
Evie
si china sulla culla, fissando sua figlia - loro.
"Sarà
tua nipote." gli dice, quieta.
"Sei
sempre stato considerato incauto
e
non hai mai avuto una compagna fissa per i Rooks, né per la
Confraternita." continua, toccandole una guancia con le dita.
"Hai
avuto una figlia, ma non ne hai mai saputo niente prima di adesso
- prima della lettera disperata di un ragazzo senza soldi e senza
dimora."
Jacob
annuisce, intrecciando le proprie dita a quelle di Evie.
"È
morta di parto: come la nostra."
"Come
la nostra." ripete Jacob, piano.
"Hai
preso con te la bambina; ecco perché ci siamo assentati in
questi mesi da Londra."
Jacob
le si affianca, sfiorandole il dorso della mano con la propria.
"Sarai
nonno, Jacob Frye." ridacchia lei, senza allegria.
La
bambina sbadiglia, cercando di mantenere l'attenzione sue quelle due
persone che la stanno fissando da
ore e
che sussurrano - dicono cose che non capisce, ma hanno una bella voce
e...
"Benvenuta
in questo folle mondo, Lydia Frye."
Lydia
chiude gli occhi e sorride.
(Ω)
Ci
sono notti in cui si ritrovano entrambi svegli, a fissarsi da una
parte all'altra del letto.
Ci
sono notti in cui i loro errori gridano,
squarciando
il silenzio.
Ci
sono notti in cui Jack è di nuovo lì
con
loro, altre in cui l'India gli ha portato via Evie per
sempre.
Ci
sono notti in cui Roth ha
vinto,
e Jacob brucia insieme all'Alhambra.
Evie
gli tocca appena una spalla, percependolo tendersi sotto le sue mani.
"Sei
sveglio."
"Sì."
Jacob
si volta, fissandola.
E
ci sono parole
sospese
tra di loro - scampoli di un mondo in cui le torri toccheranno il
cielo e si potrà leggere i libri su un rettagolo luminoso.
Ci
sono incubi che sono ricordi e sogni che erano solo speranze -
fantasmi che parlano un'altra lingua, indossano sempre la stessa
lorica.
Assassini.
"Credo
siano reali."
Jacob
la guarda nelle penombra della stanza ed Evie nota come l'occhio
destro emetta una debole luminescenza, segno di come abbia attivato
la Vista.
"Alcuni
di loro li conosco: li ho studiati. Ma gli altri..."
"Desmond
Miles; tu può salvarli tutti. O fare la costa giusta, e
liberare questo mondo da se stesso."
"Lo
so."
Evie
inspira con forza, sorpresa dall'ammissione di Jacob.
"Li
vedo anche io, Evie. Da quando abbiamo toccato la sindone."
Evie
soffoca un singhiozzo, si preme il palmo delle mani sulle palpebre.
Jacob
la circonda con il proprio corpo - caldo, rassicurante.
"Nulla
è reale, tutto è lecito."
Nel
mezzo del tempo tutte quelle voci diventano Una.
9.
Sarà
l'ultima volta che si vedranno.
Dai
lati opposti del binario si studiano, Jacob ed Henry - alle spalle di
quest'ultimo una piccola delegazione della Confraternita dell'India.
"Jacob."
"Greenie."
ribatte lui, quieto.
È
invecchiato, Henry: lo sono tutti, in fondo, ma su di lui grava il
peso di una Confraternita smembrata, mutilata dall'interno.
"Ho
saputo che il Koh-i-Noor è stato recuperato."
"In
parte: l'aiuto di Evie si era rivelato provvidenziale, ma dovette
tornare di gran fretta a Londra."
Jacob
abbozza un sorriso storto alla velata accusa di Henry, solleva il
viso verso di lui.
"Tra
una pietra e un maniaco credo abbia compiuto la scelta migliore."
Un
maniaco che ha sventrato Londra per colpa tua,
gli suggerisce lo sguardo di Henry, ma Jacob sceglie volutamente di
ignorarlo.
"Cosa
ti porta in città?" chiede poi, spostando il peso da un
piede all'altro.
"Un
incontro con il re Edoardo VII."
Jacob
tamburella con le dita sulla testa di corvo, annuisce.
"Un
uomo divertente:
un progressista. Ti piacerà."
Henry
alza un sopracciglio, gettandogli un'occhiata incuriosita.
"Dicono
sia particolarmente
attivo
con le signore dei Lord."
Jacob
gli restituisce uno sguardo derisorio, che ricorda bene.
"Puoi
dirlo, Greenie: ormai siamo adulti. Il re è famoso per scopare
in giro, attrici comprese. Non ti cadrà la lingua."
Henry
irrigidisce le spalle, fissandolo.
Jacob
abbozza un sorriso, estraendo l'orologio dal taschino e controllando
l'ora.
"Ora
che ci siamo salutati come due rispettabili
Mentori,
direi che possiamo andare ognuno per la propria strada."
"Non
potrei essere più d'accordo."
"Sia
mai che il Concilio pensi poi che siamo in brutti rapporti."
"Assolutamente."
Jacob
piega appena il capo in avanti, toccandosi la tesa del cilindro.
"Mi
avrebbe fatto piacere vedere anche Evie."
"Era
impegnata."
"Rimarremo
in città qualche giorno."
"Riferirò."
Henry
compie un passo in avanti, fissandolo dritto negli occhi.
"Non
mi sei mai piaciuto, Jacob Frye."
Jacob
snuda i denti, tace.
"Ma
ti ho sopportato. Per il bene comune."
"Oh,
che gentile."
"Sei
un irresponsabile che ha rischiato di trascinare a fondo tutta
Londra."
"Ma
non è successo."
"Grazie
ad Evie."
"A
quanto pare nessuno di noi due sa fare niente senza Evie, uhm?
Peccato solo sia mia
sorella,
non la tua."
Henry
arriccia le labbra sui denti in un sorriso sgradevole, nel quale
imprime tutto il suo disgusto.
Jacob
si protende verso di lui, sulle nocche brillare un tirapugni in
argento.
"Dillo,
Henry. Cazzo,
dillo.
Sono anni che aspetti. Tira fuori le palle e dillo."
Green
inspira con forza, la mano già al kukri - pomello in avorio,
intarsi dorati.
"Tu
non meriti Evie."
Jacob
flette le dita della mano destra, nella cacofonia della stazione il
crick
crack delle
sue ossa risuona chiaro come uno sparo.
"E
lei è troppo gentile
per
vederti per quello che sei."
Jacob
vorrebbe ridere a quell'affermazione, perché se Henry
intravedesse anche solo un
frammento di quello che è Evie, be', cambierebbe idea in
fretta.
"Sei
un vigliacco." mormora Jacob, sfiorandogli la guancia con il
tirapugni.
Henry
tende i muscoli della schiena, quelli delle braccia - aspetta.
Jacob
si scosta, ritraendosi all'indietro in un movimento fluido -
nell'occhio sano la stessa, fottuta,
scintilla rapace di sempre.
"La
mia risposta è sì."
Silenzio.
"Alla
tua domanda, Greenie.
A
quella cazzo di domanda che non riesci a fare dalla prima volta che
ci hai visti. Che ti ripeti nella testa come il rullo di un tamburo."
Henry
si umetta le labbra, sotto la pelle un pallore improvviso, malsano.
Jacob
schiocca la lingua contro il palato, facendo scivolare il tirapugni
nella tasca del cappotto.
"Ci
si vede in giro, Greenie."
La
nebbia di Londra rende il profilo di Jacob ancora più
spietato.
(A)
"Oh,
gli inarrestabili gemelli Frye."
Forse
è perché hanno lo stesso sangue, la stessa pelle.
Forse
è perché il simile cerca il simile e gli opposti si
attraggono - e loro sono l'Uno e il Tutto fin da quando nati.
Forse.
Percorrono
cicatrici vecchie e nuove, blandiscono un desiderio che da giovani li
rendeva imprudenti,
ora
li rende liberi.
Evie
ansima nell'incavo del suo collo, premendogli le unghie nella nuca -
incidendo piccole mezze lune di sangue.
Ed
hanno sanguinato, Jacob ed Evie: hanno scavato
in
loro stessi, dibattendosi contro una voglia che li rendeva soli e
bagnati
-
l'uno ad ascoltare i respiri dell'altro dalla parte opposta della
stanza.
Jacob
le schiude le cosce, scivolando verso il basso - baciandole l'addome
piatto, in cui una vecchia ferita ha lasciato un segno rossastro e
irregolare.
"Stessa
altezza, stesso sorriso diabolico."
E
lo chiama, Evie: mormora il suo nome, lo dice mentre la voce le si
spezza
- muta in un gemito morbido, affamato.
"Un
maschio e una femmina."
Si
conoscono, Jacob ed Evie: terribilmente, oscenamente.
Si
conoscono e non c'è più vergogna in quello che sono -
che vogliono,
e si confessano mentre cercano di resistere e aspettare, dio,
Evie, sei così pronta, così...
"Voi
dovete essere i gemelli Frye."
A
volte è un incontro, altre una guerra.
Jacob
sa
che Evie può ribaltare le posizioni quando vuole ed è
questo
a eccitarlo - a strappargli una risata dopo,
quando si scopre lui
quello ridotto in ginocchio, grondante.
Evie
lo attira a sé, baciandolo - sulla bocca ancora il suo sapore.
"Sono
nata quattro minuti dopo di te, non dimenticarlo."
C'era
stato un momento in cui avrebbero potuto fermarsi: un
istante in
cui girarsi dall'altra parte sarebbe stato possibile - prima di
scoprire com'era morire l'uno nelle braccia dell'altro, venire
e
concedersi con un abbandono totale, assoluto.
"Da
qui non si torna indietro, Evie."
Jacob
azzera la distanza che li separa, spingendosi in lei con movimenti
languidi, che le ricordano perché si trova qui, con
lui -
con suo fratello.
"Vale
anche per te, Jacob."
Evie
morde,
affonda - lo trascina con sé in un orgasmo che spegne ogni
altro pensiero.
"Tutto
ciò che conosciamo morirà, Evie. Non rivedremo più
la nonna o Nellie. Un giorno anche papà e George moriranno, e
noi saremo soli."
"Lo
so."
Ed
erano pensieri da bambini spaventati; nascosti l'uno nel letto
dell'altro, a promettersi che no,
a loro non sarebbe successo. Loro ci sarebbero sempre stati, in vita
e
in
morte.
Evie
sorride, accarezzandogli i capelli sulla nuca - cullandosi nel calore
del suo corpo contro il proprio.
"Non
ti lascio, Jacob. Se tu sanguini, io sanguino."
"Neppure
io, Evie."
Jacob
scivola di lato, cingendole la vita con le braccia - tra le cosce un
desiderio quieto, appagato.
"Se
tu muori, io ti seguirò."
Per
certe promesse vale la pena scommettere tutto e saltare.
10.
La
bambina è piccola; un mese, non di più.
George
la guarda con un misto di stupore e rassegnazione, come se non fosse
strano
che
Evie stringa una neonata tra le braccia - lei,
e Jacob.
"Si
chiama Lydia." gli dice, scostando la coperta.
"È
mia nipote." lo anticipa Jacob, appoggiato allo stipite della
porta.
George
scivola con lo sguardo lungo le pareti della stanza, la riconosce
come quella che fu di Ethan e Cecily - ora una nursery in piena
regola.
Evie
si avvicina e la bambina apre gli occhi - un blu cupo, ridicolmente
stizzito.
"Quando?"
mormora George, sorridendo istintivamente al gesto di Lydia di
corrugare le sopracciglia.
"Ho
ricevuto una lettera un mese e mezzo fa; a quanto pare avevo una
figlia."
George
allunga l'indice verso Lydia, sfiorandole la guancia pallida.
"E
dov'è adesso?"
"Morta."
ribatte Jacob, quieto.
"Non
sembri molto dispiaciuto." lo rimbecca George, muovendo le dita
davanti al volto della bambina.
"Non
la conoscevo nemmeno."
"E
la madre?"
Jacob
si stringe nelle spalle, Evie studia la scena con attenzione,
cercando di cogliere segnali da parte di entrambi.
"Non
lo so: il ragazzo era il suo fidanzato, a quanto pare. Avrebbero
dovuto sposarsi, ma poi è arrivata la bambina e la situazione
è precipitata."
George
ridacchia quando Lydia gli afferra il mignolo, stringendo.
"Come
hanno avuto il tuo nome?"
"La
madre era un'informatrice dei Rooks." interviene Evie,
sorridendo suo malgrado all'espressione rilassata di George "La
ragazza, Sadie, ha sempre saputo chi fosse suo padre, ma non ha mai
voluto averci niente a che fare."
"Immagino
il
perché se
non ricordi neppure il suo nome." ribatte George, inclinandosi
verso la culla.
"Cosa
posso dire? Ero uno spirito libero." replica Jacob, ed Evie sa
che stanno camminando su un terreno fragile - sottile.
George
si solleva, fissandolo.
"Hai
fatto la cosa giusta."
Jacob
tace, guardandolo.
"Il
ragazzo non sarebbe stato in grado di prendersene cura."
aggiunge Evie "Ci ha chiamato proprio per questo."
George
mantiene lo sguardo fisso su Jacob, studiandolo con attenzione.
"Una
figlia."
"Già."
"Sarà
divertente: un po' mi dispiace non essere qui quando diventerà
un'adolescente come voi due."
"Speriamo
abbia preso dalla zia."
George
arcua appena un angolo delle labbra, liberando un suono simile a uno
schiocco.
"I
gemelli Frye; inarrestabili, terribili."
mormora, nella sua voce una nota lontana, malinconica.
Lydia
starnutisce, borbottando qualcosa.
George
le riserva un'occhiata indulgente, affettuosa.
"La
istruirete al Credo?"
Evie
annuisce, controllando che la bambina non abbia bisogno di nulla.
"Deve
saper difendersi: il nostro è un mondo pericoloso."
"Non
avrei potuto essere più d'accordo." assentisce George,
percependo il freddo della sera farsi strada nelle ossa, sotto la
pelle.
Evie
gli appoggia una mano sulla spalla - ah,
l'intrepida Evie Frye; sempre così attenta, perspicace -
prendendolo poi sotto braccio.
"Un
tè prima di andare? In onore dei vecchi tempi."
Jacob
sostiene lo sguardo di George - l'impetuoso
Jacob Frye; un sorriso beffardo e il pugno veloce -
negli occhi un'espressione nuova, che gli ricorda quella di Ethan.
"Sopravviveranno,
George: sono l'ultima cosa che mi è rimasta di Cecily."
George
posa la mano sopra quella di Evie, sorridendo.
"Solo
se lo prepara Jacob: voglio vederlo litigare con la stufa."
Jacob
alza le mani al cielo, Evie ride: dietro di loro Lydia è la
promessa di un futuro diverso.
(Ω)
Londra
crolla - brucia.
Si
alzano volute di fumo dalle sue torri, si infrange contro i suoi
argini il Tamigi - questa
sarà l'ultima di tutte le guerre,
hanno motteggiato mentre l'Europa si riempiva di sangue e macerie.
Buckingham
Palace trema,
la cripta resiste,
aspettando.
Nella
penombra della stanza il volto di Evie sembra tornare giovane -
indietro a quella
notte, quando caddero entrambi.
"La
reliquia è al sicuro."
Jacob
l'affianca, infilandosi i guanti.
"Dobbiamo
andare, Evie." prosegue, guardandola.
Evie
preme le labbra in una linea sottile, davanti a loro un sarcofago in
pietra e marmo - anonimo, se non fosse per il potere che custodisce
all'interno.
Un
secondo boato scuote l'edificio, costringendoli a flettersi in avanti
per mantenere l'equilibrio.
"Evie."
la chiama - sempre.
"Ho
paura." mormora, cogliendolo di sorpresa.
Jacob
le si avvicina, sollevandole il viso verso il suo.
Ed
è sempre la sua Evie, ma negli occhi c'è una scintilla
spaventata - che inganna la sua vista e lo riporta a quando erano
piccoli e soli.
"Mi
parla,
Jacob." sussurra, e non ha bisogno di specificare altro.
"Lo
so."
"L'abbiamo
toccata e lei ha toccato noi."
Jacob
mantiene l'attenzione su di sé, sfiorandole le guance con i
pollici.
"È
questo che hanno sentito gli altri? Chi è venuto prima di
noi?"
"Credo
di sì."
Evie
cerca di spostare lo sguardo sul sarcofago, Jacob preme,
trattenendole il viso verso il suo.
"Il
treno ci aspetta, Evie: dobbiamo andare."
Il
nostro tempo a Londra è scaduto.
Il
rumore degli aerei sulla città è assordante, ma lì,
nelle
viscere di Buckingham Palace, c'è solo un silenzio rarefatto -
la sensazione di non
esserci e
al contempo di non essere mai stati più vivi.
Jacob
le sorride, e sono di nuovo giovani quando la bacia - a terra il
corpo esangue di Starrick e la sindone che canta,
invitandoli.
Evie
si aggrappa alle sue spalle, soffocando un grido contro la sua pelle.
Il
sibilo delle bombe che cadono al suolo riesce a infrangere persino le
spesse mura della cripta - scandisce la marcia dei soldati, amici e
nemici.
Jacob
le accarezza i capelli, la nuca - lascia che Evie si rompa,
e
si ricostruisca poi a nuovo.
Come
avevano sempre fatto.
"Andiamo."
gli dice poi, passandosi il dorso delle mani sugli occhi.
"Sono
pronta." aggiunge, intrecciando le proprie dita alle sue.
Jacob
annuisce, solleva il braccio verso l'alto - le riserva un'occhiata
divertita, beffarda.
"Una
corsa fino al treno?"
Evie
alza un sopracciglio, sganciando anche lei il suo rampino - si
prepara al salto, stringendosi a lui.
"Ci
puoi scommettere." ribatte, sorridendo.
La
reliquia tace, in attesa.
11.
Il
figlio di Henry è un cosino nervoso, di appena sedici anni.
Stringe
tra le mani il kukri di suo padre, spostando il peso da un piede
all'altro.
Jacob
lo trova ridicolmente
uguale a Greenie, e lo dice mentre Lydia si aggrappa al suo
polpaccio, cercando di arrampicarsi fino alla cintura.
Il
ragazzino accenna un sorriso alla vista della bambina, sembra
risvegliarsi solo quando Jacob gli schiocca le dita davanti al naso,
facendolo sussultare.
"Mahesh
Mir."
Lydia
afferra la fondina della pistola, viene acchiappata da Evie,
liberando un gridolino offeso.
"Cosa
ti porta fino a Londra?" gli chiede Jacob, neutro.
Mahesh
si schiarisce la voce, arrossendo leggermente - cristo
santo: la sua copia sputata.
"Mio
padre."
Jacob
alza un sopracciglio, Evie placca
un
pugno di sua figlia.
"È
successo qualcosa alla Confraternita?" si intromette Evie,
chiudendo le mani di Lydia in una delle sue.
Mahesh
si volta, negli occhi un'espressione dolente, afflitta.
"L'abbiamo
perso."
Jacob
tace, inclina il mento verso destra, invitandolo a continuare.
"Noi...
ecco..."
"È
morto." conclude per lui Jacob, nella voce una nota assente,
fredda.
Mahesh
sembra essere preso in contropiede dalla sua reazione, fissandolo
quasi sdegnato.
Jacob
schiocca la lingua contro il palato, scuotendo la testa.
"Mi
dispiace per la tua perdita, ragazzo. Immagino ti abbiano mandato qui
in quanto suo primogenito, uhm?"
Mahesh
preme le labbra in una linea sottile, annuendo.
"Come?"
domanda Evie, e il ragazzo sceglie di concentrarsi su di lei - ah,
Evie: la cara e dolce Evie.
"Un'imboscata."
"Era
tornato sul campo?" prosegue Evie, sorpresa.
"Sì.
Le nostre fila sono sempre meno numerose e il nuovo Gran Maestro si è
dimostrato lungimirante."
Evie
posa lo sguardo sul ginocchio di Jacob, l'occhio cieco - riflette su
cosa
significhi
per un assassino tornare in guerra così,
un vecchio leone mai domo.
Jacob
le restituisce un'occhiata quieta, nella quale brucia
una
forza che l'aveva sempre reso un animale da combattimento - nocche
sbucciate e sangue tra i denti.
"Mi
dispiace." gli dice poi, Lydia ormai del tutto disinteressata
alla pistola di suo padre.
Mahesh
inspira con forza, sorridendole.
"Grazie.
Il Concilio ha pensato fosse giusto inviarmi qui per rinnovare
i
rapporti tra noi e la vostra Confraternita."
Evie
afferra sua figlia prima che riesca a raggiungere le bombe esplosive
sul tavolo, abbozza un sorriso - guarda poi Jacob in una richiesta
silenziosa.
Lui
non è Henry.
Jacob
coglie il suo messaggio, si avvicina a Mahesh, tendendogli la mano.
"Non
avrebbe saputo uccidere un uomo sordo e zoppo, ma era un bravo
stratega tuo padre."
Mahesh
guarda Jacob come se non sapesse se prendere la sua affermazione come
un complimento o un'offesa, gli stringe goffamente la mano -
percepisce i muscoli del braccio tendersi,
sotto
il guanto dita forti, che gli danno l'impressione di essere nella
presa di una tenaglia.
"Nessun
problema tra le nostre confraternite." aggiunge poi Jacob,
piegando un angolo delle labbra all'insù.
Mahesh
lo studia con attenzione, cercando di capire cosa
intraveda sotto quest'uomo - chi sia Jacob Frye, Maestro Assassino di
Londra.
Jacob
ritrae la mano, Lydia conquista il tirapugni che suo padre ha
dimenticato sulla scrivania.
Evie
osserva sua figlia brandirlo come se fosse la cosa più
normale al
mondo.
(A)
"Credevo
fosse immortale."
"Dava
questa impressione."
"Mi
mancherà."
Jacob
solleva lo sguardo, posandolo sul viso di Evie.
Non
ci sono lacrime a rigarle le guance, ma nella sua voce vi è un
nodo pesante, umido.
"Abbiamo
tempo, Evie." mormora, sfiorandole il polso.
Evie
non ribatte, si limita a fissare la lapide davanti a sé -
George Westhouse. 30 aprile 1820 - 13 luglio 1904.
"Continuo
a pensarci."
Jacob
sa
di
cosa sta parlando - una confessione che può fare solo a lui.
"È
ancora così giovane." continua, sospirando.
Jacob
butta un'occhiata alle sue spalle, dove Lydia sta chiacchierando con
Abbie, la governante di casa Westhouse.
"Non
siamo ancora morti, Evie."
"No,
ma..."
Evie
tace, ripensando all'ultima volta che ha quasi
mancato una presa, a quella in cui è quasi
caduta
dal cornicione, in cui un criminale di strada l'ha quasi
sorpresa.
Jacob
le afferra la mano, appoggiandole la fronte contro la tempia.
"Per
dare qualcosa,
toglie a qualcuno;
l'hai detto tu, ricordi?"
"Sì."
Jacob
chiude gli occhi, baciandole un angolo delle labbra - rapido, sicuro
che Lydia non possa vederli.
"Che
prezzo sei disposta a pagare?"
Tutto,
vorrebe
dirgli, perché ogni mattina si alza un po' più
stanca
e ha paura che un giorno non si sveglierà del tutto o peggio:
non lo farà lui
e
allora...
"Anche
nostra figlia?"
Silenzio.
Evie
abbozza un sorriso quieto, voltandosi verso di lui.
"Ci
sono voluti quasi sessant'anni per farti diventare assennato, uhm?"
"Non
ci scommetterei troppo." ribatte Jacob, spostandole una ciocca
di capelli dal viso.
Le
loro lame sonnecchiano, quiete.
12.
Hanno
detto che sono dispiaciuti per lei.
Attorno
a lei gli altri bambini l'hanno fissata a lungo e Lydia ha potuto
scorgere incertezza nei loro sguardi, in altri ancora persino timore.
È
perché sei la nipote di due Maestri Assassini, le
hanno ripetuto.
Sei
Lydia Frye; indossi un nome pesante, piccola mia, aveva
aggiunto una novizia.
"Cosa
è successo ai tuoi genitori?"
Lydia
solleva il viso dalla mappa che sta studiando, aggrottando le
sopracciglia.
"Sono
morti?" prosegue il bambino, un nido di capelli neri e tra le
dita una mela.
"Credo
di sì."
"Non
lo sai?"
Lydia
si stringe nelle spalle, tornando alla cartina - e se Evie potesse
vederla adesso
si ritroverebbe a fissare il proprio riflesso di quando aveva sette
anni.
"E
non sei curiosa?"
"No."
Il
bambino si inclina verso di lei, perplesso.
"Tutti
hanno dei genitori."
"Sì,
be', io ho mio nonno e mia zia. E mi bastano."
Lydia
traccia una linea dal punto a
al punto b,
riprendendo a ignorarlo.
Il
bambino si siede proprio vicino a lei, guardando quello che sta
facendo.
"Sai,
tutti dicono che bisogna stare attenti con te."
"Perché
mio nonno è Jacob Frye."
Il
bambino stacca il picciolo dalla mela, alzando un sopracciglio.
"E
tua zia Evie Frye."
Lydia
sospira, voltandosi.
Il
bambino le sorride, porgendole una fetta di mela.
"Cosa
vuoi?"
"Fare
amicizia."
"Non
ti aiuterò con le mappe e la geografia."
Il
bambino non perde il suo smalto, appoggiando la fetta di mela vicino
alla sua matita.
"E
io prometto di non metterti al tappeto troppo
spesso durante gli allenamenti."
Lydia
gonfia le guance in un'espressione oltraggiata, il bambino si alza,
richiamato da altri loro coetanei - ehi,
Sam! Vieni qui! Abbiamo trovato un nido di vespe.
Anni
dopo ritroverà quel bambino sui tetti accanto a lei e nel
mezzo di una guerra che non farà prigionieri.
(Ω)
È
una bambina intelligente, Lydia.
Jacob
la guarda e a volte ancora non ci crede - non trova possibile
che
sia successo.
"E
dire che da giovani non ci siamo certo risparmiati."
Evie
si era scrollata nelle spalle a quell'affermazione, abbozzando un
sorriso divertito.
"Non
so cosa dirti: a volte succede. Agnes ebbe il suo ultimo figlio a
quarantasette anni, che io ricordi."
La
osserva arrampicarsi sull'albero dal quale Jacob era caduto almeno
due volte da piccolo, di cui l'ultima facendosi molto, molto
male.
"È
più agile di te."
"Sembra
una scimmia."
"Hai
appena dato del primate a nostra figlia."
Jacob
beve un sorso di tè, fissandola da sopra il bordo della tazza.
Evie
tamburella con le dita sul tavolo, alzando un sopracciglio.
"Prima
o poi ci farà delle domande scomode."
"Le
ha già fatte." le ribatte Jacob, quieto.
Evie
smette di muovere le dita, fissandolo.
Jacob
continua a bere il suo tè, passando alla pagina successiva del
giornale.
Sospira
quando Evie schiaccia
verso il basso la rivista, puntandogli contro l'indice.
"Cosa
significa le
ha già fatte?"
"Quello
che ho appena detto, Evie: qualche giorno fa mi ha chiesto chi
fossero i suoi genitori e perché non siano qui."
Evie
si siede, incrociando le mani tra le cosce.
"Le
ho risposto che sono morti, entrambi;
che sua madre non ha superato il parto e suo padre è stato
ucciso per un regolamento di conti."
"Criminali."
ribatte Evie, asciutta.
Jacob
allarga le dita davanti a sé, stringendosi nelle spalle.
"Avevo
altra scelta? Né eroi, né assassini: semplicemente
persone normali che sono state divorante da Londra e dalla sua
avidità."
Evie
si muove inquieta sulla sedia, gettando un'occhiata verso il cortile.
"Ne
farà delle altre."
"Lo
so."
"Dormiamo
ancora in un'unica stanza, Jacob."
"La
promiscuità tra i novizi e le reclute non è mai stata
un problema."
"No,
ma noi
non
siamo alla Confraternita."
Jacob
ripiega il giornale, fissandola.
"E
se anche le facesse queste
domande,
Evie?"
"Non
puoi davvero pensare che..."
Jacob
taglia l'aria con un gesto veloce della mano, brusco.
"Forse
le farà, forse si risponderà da sola."
Cerca
Lydia nel cortile, la trova intenta a inseguire una papera - correre
nell'erba a piedi nudi come erano soliti fare anche loro.
"Anche
nostro padre deve essersele poste, no?"
Evie
si umetta le labbra, ripercorrendo con la memoria quegli anni - gli
sguardi confusi di loro padre, quelli irritati, negli ultimi mesi
rassegnati.
Consapevoli.
Lydia
riesce a catturare la papera, la stringe tra le mani ridendo - e
Jacob sa
che adesso entrerà in cucina per fargliela vedere e perché
nonno,
guarda, ho usato la Vista e...
"Il
segreto di Pulcinella." dice in un italiano un po' stentato
Evie.
Jacob
la fissa in silenzio, non del tutto certo del suo significato.
"È
quello che avrebbe detto Ezio Auditore." gli spiega lei, sulle
labbra un sorriso a metà.
La
porta sul retro sbatte violentemente contro il muro, sul pavimento
passi veloci, lo starnazzare disperato di un pennuto.
Jacob
si alza, Evie segue il suo movimento - si incontrano nel mezzo,
baciandosi.
"L'ho
presa!" chiosa Lydia, comparendo sulla soglia della cucina.
Evie
incrocia le braccia dietro la schiena, prova pietà per la
papera che Lydia solleva come un trofeo.
Jacob
ride e il suo cuore è un po' più leggero.
13.
Lydia
sa
quello che mormora la gente: conosce le loro parole, i sussurri con i
quali credono di metterla in difficoltà.
Sam
le rivolge uno sguardo morbido, toccandole una spalla con la propria.
"Sono
solo degli stupidi."
"Non
ha importanza."
E
Sam sa
che
Lydia dice il vero: l'ha capito fin dalla prima volta in cui l'ha
trovata china su una mappa più grande di lei, una matita
dietro l'orecchio e un cipiglio concentrato sul volto infantile.
Non
teme nulla, Lydia Frye, perché suo
è il tempo in cui il mondo conoscerà nuovi mostri di
acciaio e metallo - suo
il tempo che vedrà l'Europa cambiare.
Sam
estrae dalla tasca del cappotto due mele, porgendogliene una - un
piccolo rituale che hanno instaurato fin dalla prima missione
insieme.
"Un
giorno diventerai un Maestro Assassino e li prenderai tutti a calci
in culo."
"Non
ho bisogno di arrivare a tale carica per farlo." ribatte lei,
scegliendo la mela più lucida.
Sam
ridacchia, sedendosi e lasciando ciondolare i piedi oltre il
cornicione.
"Tua
zia mette davvero paura quando ci si mette, eh?"
Lydia
assottiglia gli occhi, dando un morso alla mela.
"Voglio
dire; ha rovesciato sulla schiena quella recluta come fosse una
tartaruga."
Lydia
ridacchia, puntandogli l'indice contro.
"E
dovevi vederla con il nonno: quando ci allenavamo insieme lo metteva
sempre al tappeto."
Sam
sorride e Lydia fa altrettanto, appoggiandosi al suo fianco.
"Domani
torneranno a Crawley."
"È
la scelta migliore." la rassicura Sam, accarezzandole la nuca.
"Londra
è nostra
per
merito loro, ma non è più sicura." prosegue Lydia,
quieta.
Sam
tace, guardando la città accendersi in fuochi rossastri e
famelici - il cielo nero e senza stelle.
"Resisteremo,
Lydia." le promette Sam, chinandosi verso il suo viso.
"Lo
so." replica lei, percorrendone i lineamenti in punta di dita -
imprimendoli nella memoria, sotto la pelle.
E
poi torneremo tutti a casa.
Lydia
sorride, infrangendo il suo respiro - baciandolo, e strappandogli
ogni altra parola.
"Divertiti
con Churchill, Lydia."
"Ah.
E tu non morire, Sam Crowder."
La
storia ripete sempre se stessa.
(Α)&(Ω)
La
guerra è finita,
e
loro sono ancora qui.
La
guerra è finita, e lei
è
ancora qui - al suo fianco.
Jacob
la guarda mentre dorme e si porta una mano al petto - là,
dove un dolore sordo lo stritola al pensiero di alzarsi e non
trovarla più, perduta per sempre.
Evie
socchiude le palpebre, cercandolo a tentoni nel letto vuoto a metà
- si volta, trovandolo seduto vicino la finestra.
"Abbiamo
toccato la sindone e lei ha toccato noi."
Lo
chiama, Evie, e c'è tutto
nella
sua voce - il suo sorriso, il modo in cui ancora lo riprende quando
rompe qualcosa, la risata che libera alle sue battute un po'
infantili.
"E
poi invecchieresti senza di me."
Jacob
si volta ed è di nuovo giovane - lo sono entrambi.
Ci
sono notti in cui si sveglia e c'è quell'attimo - quel solo,
terribile,
istante - nel quale preme le dita contro il fianco e muore
all'idea
di non sentire più il battito del suo cuore, il suo respiro.
"Diventeresti
come nostro padre."
Evie
stende la mano verso di lui,
"Una
sorte peggiore della morte, sorella mia."
e
nei suoi occhi Jacob legge la stessa, devastante, paura.
"Il
mio sangue è il tuo sangue."
E
allora si svegliano entrambi nel momento più buio della notte,
cercandosi come quando erano piccoli e respirando
-
perché ci sono ancora: sono lì,
vivi,
e la guerra è finita e...
"Se
tu sanguini, io sanguino."
Jacob
intreccia le proprie dita alle sue, scivolando contro il suo corpo -
lasciando che Evie si raggomitoli contro il suo petto e liberi un
sospiro tremulo, che lui sa
contenere
i suoi stessi pensieri.
"Mi
sei mancata, Evie."
Evie
disegna figure immaginarie nello spazio tra il suo collo e la spalla,
segue i contorni di un vecchio tatuaggio - i Rooks e tutto ciò
che hanno significato.
"Anche
tu, Jacob. Anche tu."
Jacob
chiude gli occhi, baciandole la fronte, le palpebre,
"Notte,
Evie."
cercandola
come la prima volta,
"Cosa
c'è di sbagliato in noi, Jacob?"
"Niente."
ed
Evie risponde,
perché
la pelle è sempre la stessa - il bisogno
che
li ha spinti a essere Uno e Tutto, a scontrarsi e
ad amarsi senza riserve.
"Le
tue lacrime sono anche il mio dolore."
E
ne è valsa la pena; dibattersi tra le proprie ossa, combattere
se stessi, alla fine arrendersi,
e comprendere.
"Se
tu muori..."
Evie
si rovescia sotto di lui, negli occhi nessun rimpianto, nessun
rimorso.
"...io
ti seguirò."
Jacob
cerca la sua bocca, la bacia come se fosse allora
-
sul treno, schiacciati
da una missione più grande di loro, divorati
da
una voglia che li aveva lasciati nudi e ansanti sul pavimento della
carrozza - come se fosse l'ultima
possibilità,
quando pensava che l'India gliel'avrebbe portata via per sempre, o
Jack l'avrebbe ucciso prima che avesse l'opportunità di
dirle...
"È
finita, Jacob. Sono qui, con te."
Evie
nasconde il viso contro il suo petto, chiudendo le dita nella sua
camicia.
"Anche
io, Jacob. Anche io."
"Ti
ho sempre amata, Evie. Fin dall'inizio."
L'uno
nella braccia dell'altro ascoltano i loro respiri quietarsi e vivere
un altro giorno - ancora qui.
Ancora
insieme.
"I
loved her against reason, against promise,
against
peace, against hope, against happiness,
against
all discouragement that could be."
-
Charles
Dickens
-
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