La
cena era proseguita allegra e fin troppo veloce, come ultimamente
succedeva sempre. Gli argomenti affrontati erano dei più
variegati,
si andava dai dubbi sugli esami, lo stress da addestramento, i
desideri futuri, le storie del passato e gli scherzi tra loro. Era
ormai abitudine che almeno una volta a sera Eren e Jean litigassero,
ed era sempre anche quello un ottimo modo per riempire la testa di
bei ricordi e il petto di splendide emozioni. Il più delle
volte
finivano a terra tra di loro, Beatris non aveva mai smesso di provare
a scommettere sul vincitore e si sbracciava a volte in un tifo
decisamente troppo esagerato, ma non era raro che alla fine l'unico
vincitore fosse sempre e solo Mikasa, che irritata interveniva per
bloccare entrambi. Gli insulti che i due compagni d'arme si
rivolgevano non appena ce n'era l'occasione erano sempre molto
fantasiosi e a tratti infantili, ottimi per solleticare un po'
l'ilarità. L'unica preoccupazione che avevano era che Shadis
avesse
potuto sentirli, prima o poi, e metterli in punizione. Era qualcosa
di talmente tanto sottile, superficiale, leggero come una piuma che
persino una cosa come quella risultava piacevole, alla fine.
Lì
a Paradis non c'erano guerre, ritorsioni, odio razziale,
indottrinamenti assurdi, non c'erano violenze gratuite contro persone
che avevano solo avuto la colpa di nascere. Quelle persone erano
demoni, era vero, ma la promessa di pace fatta dal Re sembrava
comunque essere mantenuta. Anche con la piaga dei giganti,
lì,
dentro quelle mura, era un vero Paradiso dove a chiunque era concesso
sorridere ed essere addirittura felice. Era una quotidianità
a cui
Reiner non era abituato e che sentiva, ora che aveva
possibilità di
goderne, che forse era ciò che aveva realmente sempre
desiderato.
Quanto era triste pensare che invece, presto o tardi, tutto sarebbe
stato spazzato via.
Ma
anche in quella meravigliosa quotidianità, non c'era pace
per uno
come lui. Era un sentimento egoista, quella gioia che provava sempre
più intensamente, perché sapeva che fuori dalle
mura, oltre al
mare, c'era chi aspettava il suo ritorno e pregava sulla riuscita
della loro missione. La missione che avrebbe avuto come epilogo lo
sterminio di tutto quello...
Erano
pensieri come quelli che certe notti non gli permettevano di dormire
e anche se si sforzava di ricordare la canzone di Beatris, che aveva
scoperto avere un effetto magico sul suo stato d'animo, a volte non
era così forte da riuscire a vincere il dolore. Erano
passati anni,
in fondo, da quando l'aveva ascoltata... cominciava persino a
dimenticarsene. Inoltre più passava il tempo e
più sentiva la
propria determinazione vacillare, quando poteva scherzare con Connie,
guardare Eren e Jean litigare, ascoltare le storie di Armin, fare
insieme al resto dei ragazzi le previsioni del tempo in base a come
Bertholdt si addormentava. Sentiva la propria determinazione
vacillare tutte le volte che riusciva a intercettare il sorriso
scaldante di Beatris, o quando lei arrivava al suo fianco potente
come un uragano, a riempirgli le orecchie di parole, a saltellargli
intorno con allegria, o quando nel tentativo di proteggerla finiva
nei guai insieme a lei. Si era legato a lei con l'unico scopo di
usarla a suo vantaggio, risultare amichevole e affidabile agli occhi
del nemico, prendendosi cura di una ragazza che sembrava avere
decisamente bisogno di qualcuno che si occupasse di lei. Era quello
che aveva detto a Bertholdt e Annie, ed era quello che aveva creduto
fin dall'inizio, ma ultimamente quando pensava che prima o poi
avrebbe dovuto uccidere anche lei... vacillava. Vacillava
spaventosamente. E doveva alzarsi dal letto, prendere aria,
riflettere, sforzarsi di ricordare i volti dei suoi amici a Marley,
di sua madre, dei suoi zii, o dei suoi compagni d'arme. Si sforzava
di ripensare a Marcel, che si era sacrificato per salvarlo e aveva
lasciato così indirettamente a lui la
responsabilità di quella
missione. Doveva ritrovare qualcosa a cui appigliarsi per salvare
l'intera umanità, di cui si era fatto carico fin da bambino.
E
allora usciva a prendere aria, da solo, senza neanche Bertholdt al
suo fianco, perché aveva bisogno solo di un po' di
solitudine per
dare pace al proprio animo. Non voleva essere Reiner il Guerriero, ma
neanche Reiner il soldato, in quei momenti aveva solo bisogno di
essere Reiner... e basta. Solo Reiner, senza dover dimostrare niente
a nessuno, senza alcuna responsabilità da portare sulle
spalle. In
quei momenti aveva solo bisogno di abbassare la guardia, e sentirsi
comunque al sicuro.
Si
appoggiò alla ringhiera della veranda del proprio dormitorio
con i
gomiti e alzò gli occhi al cielo puntinato di stelle. Le
fiaccole
del centro di addestramento erano abbastanza intense da contrastarle,
molte le nascondeva, ma non tutte. Era comunque un bello spettacolo,
anche da lì.
Peccato
solo non si vedesse la luna, nascosta dietro gli alberi della foresta
alle spalle del centro. Quella sera ci sarebbe stata la luna piena, e
secondo Armin sarebbe stata addirittura tinta di rosa.
Ci
rivediamo tra cinquant'anni, allora.
Il
sorriso gli morì sul volto. Lui non ci sarebbe stato. Anche
se la
missione di Marley fosse fallita, anche se quelle persone avessero
vissuto in piena serenità per altri cinquant'anni, anche se
niente
avesse intaccato quella quotidianità in quei cinquant'anni,
lui non
ci sarebbe stato. Non l'avrebbe mai vista, quella meravigliosa luna
rosa di cui parlava il libro del nonno di Armin. Sapere che era
lì,
oltre gli alberi, e lui la stava perdendo per sempre, gli faceva
attorcigliare le budella nello stomaco. Non sapeva perché ci
tenesse
tanto, forse si stava facendo decisamente troppo influenzare dallo
stato d'animo sereno e pacifico di Paradis, tanto da spingerlo a
desiderare di vivere anche situazioni banali come quelle. Non era
qualcosa di cui andava fiero, ma sentiva che c'era. Quel desiderio di
vivere appieno la vita, almeno una volta prima di morire, sentiva che
era lì nel petto e urlava tanto forte da sovrastare
addirittura il
ricordo della voce di Beatris che cantava la sua ninna nanna.
E
un pensiero lo fece vibrare.
Perché
no? Perché non avrebbe dovuto andare al lago dietro la
foresta?
Perché non poteva provarci? Cosa temeva? Shadis e le sue
punizioni?
Sciocchezze. Quanto potevano essere pericolose delle punizioni, in
confronto all'idea che la morte lo aspettava a scadenza ben decisa.
In confronto all'evidenza che quello che si stava perdendo in quel
momento non l'avrebbe riavuto mai più indietro. Al diavolo
Shadis,
era un vecchio come un altro, e certo non poteva spaventare uno come
lui.
Scese
gli scalini della veranda e si avviò deciso attraverso il
cortile,
superando i dormitori maschili, passando a fianco di quelli
femminili.
Ci
rivediamo tra cinquant'anni.
Si
fermò a guardare l'ingresso del casolare dove sapeva in quel
momento
si trovava Beatris. Se avesse saputo, l'indomani, che era andato da
solo a vedere la luna rosa non gliel'avrebbe mai perdonata. Sorrise,
pensando divertito a quanto l'avrebbe insultato e quanto avrebbe
addirittura provato a colpirlo, come una bambina intenta a fare
capricci. Le avrebbe davvero fatto una cosa simile? Lasciarla sola,
ignorando il suo desiderio, per poi tradirla cinquant'anni dopo non
presentandosi all'appuntamento che lei gli aveva dato. Era troppo,
persino per uno come lui. Si guardò attorno, preoccupato che
ci
fosse qualcuno a vederlo, ma non appena constatò la
sicurezza del
luogo si nascose dietro al casolare, all'ombra. Sgattaiolò
per tutto
il fianco, fino ad arrivare alla finestra sul retro. Avrebbe voluto
sporgersi, guardare all'interno per vedere se riusciva a trovarla, ma
sapeva che sarebbe stato meschino persino per uno come lui sbirciare
dentro il dormitorio femminile. Era da pervertiti.
Alzò
un braccio, restando con la schiena poggiata al lato della finestra,
e si limitò a bussare un paio di colpi, senza guardarne
l'interno.
Attese qualche secondo, nessuna risposta, perciò pregando di
non
rovinare tutto provò ancora. E attese altri infiniti
secondi, fino a
quando finalmente la finestra non si spalancò.
«Che
stai facendo?» sussurrò Annie, fulminandolo.
«Che razza di scherzo
è questo? Sei impazzito a venire direttamente qui in piena
notte?»
«Calmati,
non sono qui per te» le disse, irritato. Tra tutti, proprio
lei
doveva aprirgli?
«Che
cosa vuoi?» chiese Annie.
«Chiamami
Beatris» le ordinò. Se glielo avesse semplicemente
chiesto lei si
sarebbe rifiutata, sperava che facendo appello al suo lato
autoritario avrebbe ascoltato senza troppe storie.
«Scordatelo.
Non sarò complice di questa stronzata» e senza
dargli tempo di
replicare richiuse la finestra.
«Annie!
Aspetta!» lamentò Reiner e, senza quasi nemmeno
accorgersene, si
sporse e guardò all'interno della finestra per cercare
l'amica e
provare a convincerla ancora. Si accorse dell'errore troppo tardi,
quando notò alcune ragazze stese nei loro letti non troppo
lontano
dalla finestra, e imbarazzato tornò a poggiare le spalle al
legno
del casolare. Sospirò e si chiese se fosse stato il caso di
insistere, bussare ancora, sperando che Annie non l'avesse messo nei
guai raccontando qualche cazzata solo per toglierselo dai piedi.
Forse non sarebbe riuscito a coinvolgere Beatris, ma improvvisamente
l'idea di andare a vedere la luna rosa da solo non lo entusiasmava
più così tanto. Restò qualche secondo
immobile dov'era, a valutare
tutte le possibilità, quando infine la finestra si
aprì di nuovo.
Si voltò, speranzoso di avere una seconda
possibilità, e si trovò
davanti il volto sarcastico di Ymir.
«Che
stai facendo da queste parti, principino?» lo
denigrò,
sogghignando, e Reiner già sapeva che per quanto stava per
fare lei
lo avrebbe preso in giro per il resto della sua vita.
Beh,
solo dieci anni, in fondo... non così tanti.
«Sveglia
Beatris per me e ti ripagherò». Ormai conosceva
abbastanza bene
Ymir da sapere che l'unico modo di convincerla a fare qualcosa era
puntare al suo egoismo. Darle qualcosa in cambio, e allora avrebbe
accettato qualsiasi cosa.
«Oh,
senti senti... allora sono vere le voci che corrono su voi
due».
«Di
che voci parli?!» sussultò Reiner, rosso in
volto.
«Te
la sveglio» tagliò corto Ymir, appoggiandosi col
mento sulle
braccia incrociate, sopra il davanzale della finestra. «Ma in
cambio
dovrai dirmi cosa state andando a fare, piccioncini».
«Che
ti interessa?» ringhiò Reiner, irritato e sempre
più imbarazzato.
Forse era stata decisamente una pessima idea.
«Christa
impazzirà quando glielo racconterò, e se conosci
un luogo romantico
che io non conosco potrebbe farmi comodo saperlo».
«Piantala
con le allusioni! Non c'è niente di romantico, né
nessun
piccioncino».
«E
perché vuoi che sveglio Beatris? Sta dormendo come un
angioletto
stretta a Mikasa, sapevi che quelle due dormono sempre
insieme?»
«No...»
mormorò Reiner, talmente tanto confuso e imbarazzato da non
riuscire
nemmeno più a capirci niente. «Non lo
sapevo».
«Invidioso,
eh?!»
«Ma
che stai dicendo?! Valla a svegliare e non rompere!»
«Dove
la porti?»
«Al
lago, oltre la foresta» rispose senza pensarci e Ymir
spalancò gli
occhi. «Volete uscire dal campo in piena notte?!»
«Non
azzardarti a fare la spia, o dirò a Christa quanto sei
infame!»
«Calmati,
non c'è bisogno di agitarsi tanto»
sospirò Ymir, sollevandosi dal
davanzale della finestra. Fece per rientrare, ma prima di sparire del
tutto oltre la finestra sogghignò ancora, maliziosa, e
disse:
«Christa impazzirà quando le dirò che
c'è una nuova coppia nel
centro».
Reiner
non ci vide più e d'istinto cercò di colpire Ymir
con un pugno. Ma
la ragazza fu rapida abbastanza da indietreggiare, evitare il colpo,
e sparì all'interno del casolare sghignazzando
divertita.
«Stupida»
ringhiò Reiner tra sé e sé.
«Stupida senza cervello».
Ymir
intanto, silenziosa come un gatto, si avvicinò al letto di
Mikasa.
Si inginocchiò e ringraziò l'apatia di Mikasa che
accettava sempre
passivamente la compagnia di Beatris nel letto, perché come
le altre
notti le aveva lasciato un posto abbastanza minuscolo e questo aveva
portato Beatris ad avere un po' le spalle sporgenti verso l'esterno.
La toccò delicatamente, la scosse appena e Beatris
aprì gli occhi.
Si voltò a guardare chi la stesse chiamando e Ymir, subito,
si portò
un dito alla punta del naso per dirle di fare silenzio. Con un gesto,
poi la invitò a seguirla e le indicò la finestra
aperta.
Beatris
non capì assolutamente niente di quanto stava accadendo, ma
la
curiosità la invase comunque. Era strano che proprio Ymir la
svegliasse in piena notte ed era altrettanto strano che la finestra
fosse aperta. Scivolò via dall'abbraccio di Mikasa con
lentezza,
seguì Ymir in punta di piedi e una volta alla finestra si
affacciò,
riuscendo a scorgere immediatamente Reiner appena sotto di essa.
«Reiner»
sussurrò sorpresa. «Cosa fai qui?»
Non
appena Reiner sentì la voce di Beatris tutto il fastidio
accumulato
fino a quel momento parve scomparire come per magia. Le sorrise, si
portò la punta del dito alle labbra suggerendogli anche lui
di fare
silenzio. Poi le fece un occhiolino: «Ti va di vederla quella
luna?»
Beatris
spalancò gli occhi e parve iniziare a brillare di luce
propria.
L'idea la eccitava come mai prima d'ora. Si voltò d'istinto
a
guardare Mikasa, pensando che avrebbe dovuto chiamare anche lei, ma
si bloccò. Mikasa non avrebbe mai accettato di infrangere le
regole
del campo per una cosa come quella e probabilmente anche Eren, Armin
e Bertholdt avrebbero volentieri evitato di fare quella pazzia. In
realtà, era certa che anche Reiner fosse assolutamente
contrario e
vederlo lì, a proporle di evadere, fu una vera sorpresa. Di
solito
era lei l'unica che faceva follie, Mikasa glielo impediva, Reiner ci
provava ma finiva inevitabilmente coinvolto contro la sua
volontà.
Era strano, al limite dell'assurdo, e per questo non avrebbe mai
rifiutato per niente al mondo. Tornò a guardare Reiner con
gli occhi
che brillavano dall'emozione e annuì vigorosamente.
«Andiamo.
Cerca di non farti sentire» le disse, facendole un gesto con
la mano
per invitarla a seguirlo. Beatris corse all'interno del dormitorio,
prese tra le braccia calze e scarpe, e tornò infine alla
finestra.
Lanciò tutto fuori e per ultimo saltò
giù anche lei. Si infilò
velocemente le scarpe, senza preoccuparsi di essere ancora in
pigiama, e infine seguì Reiner attraverso il campo
d'addestramento.
Passarono di ombra in ombra, cercando di non farsi vedere, restando
nascosti dietro a casolari e strutture di ogni genere, approfittando
anche della presenza dei carri e pregando che i cavalli non si
fossero imbizzariti nel vederli. Infine uscirono, passando oltre il
recinto spinato, e si inoltrarono nella foresta. Ormai tranquilli,
camminarono più velocemente lungo il sentiero, sentendo la
fretta
spingerli a sbrigarsi, come se da un momento a un altro la luna fosse
potuta sparire del tutto. Reiner apriva la strada, Beatris gli stava
dietro arrancando un po', ma l'entusiasmo del momento riusciva a
darle la forza necessaria a proseguire con velocità.
Riuscì persino
a non inciampare nemmeno una volta. E infine, arrivarono al
lago.
Laggiù,
dove le fiaccole del campo non arrivavano, dove regnava solo il buio
più completo, le stelle erano padrone assolute del mondo.
Brillavano, scintillavano come gioielli, rendendo tutto il mondo
intorno a loro etereo come quello di un sogno. Il lago, davanti a
loro, rifletteva tutta quella meraviglia e sembrava che sul fondo
fosse cosparso di diamanti. La vegetazione era fresca e silenziosa,
si sentiva qualche grillo, qualche gufo in lontananza, ma poi altro
se non il tenero rumore del vento tra le foglie. Era come trovarsi in
un sogno.
«È
bellissimo» mormorò Beatris, avvicinandosi alla
riva.
«Già»
rispose Reiner alle sue spalle, meno plateale nel mostrare la propria
meraviglia ma non per questo meno affascinato da quello spettacolo.
Nemmeno a Marley c'erano posti come quelli, o se c'erano agli Eldiani
era proibito andarci, e a Liberio le luci erano sempre troppo forti
per permettere alle stelle di raggiungerli decentemente. Era un posto
magico, uno spettacolo incredibile, e ringraziò il suo
coraggio per
averlo spinto fino a lì quella sera perché
sarebbe stato
sicuramente un ricordo che si sarebbe portato dietro per il resto dei
pochi anni che gli restava da vivere.
Incantati
dalla luce soffusa delle stelle sul lago, si erano persino
dimenticati del motivo che li aveva spinti fino a lì, e se
ne
ricordarono solo pochi minuti dopo. Beatris alzò gli occhi
al cielo,
bramosa di aggiungere meraviglia ad altra meraviglia, e
riuscì a
intercettare la luna piena, padrona del cielo assoluto. Ma la
delusione la portò ad abbassare le spalle.
«È
normale» mormorò, triste nell'accorgersi che non
c'era alcuna
sfumatura rosa.
«Magari
l'episodio raccontato dal libro del nonno di Armin è stato
solo un
eccezione, non è vero che succede ogni
cinquant'anni» ipotizzò
Reiner.
«Che
peccato... abbiamo rotto l'incantesimo, adesso saremo gli unici che
tra cinquant'anni verranno qui senza aspettarsi niente»
commentò
Beatris e Reiner rispose con un sospiro affranto. Si
avvicinò alla
riva, di fianco a lei, e si mise a sedere per terra.
«Tris»
mormorò con una voce improvvisamente triste e afflitta.
«Credi
davvero che ci saremo, tra cinquant'anni?»
«Tu
e Bertholdt andrete nella gendarmeria, giusto? Voi sarete al sicuro,
potrete tornare qui senza nessun problema» disse Beatris e
gli si
sedette a fianco, raccogliendo le ginocchia tra le braccia.
«Ma sono
felice che sei venuto a chiamarmi stasera, perché non credo
che io
invece avrei avuto un'altra occasione».
«Avresti
davvero rinunciato sapendo di non avere un'altra occasione?»
perché
lui non c'era riuscito. Lei non avrebbe davvero fatto altrettanto?
«Avrei
rotto l'incantesimo» mormorò, poggiando il mento
sulle ginocchia.
Avvolta così in se stessa, con addosso quel semplice pigiama
e i
capelli sciolti sulle spalle, sembrava quasi una bambolina.
«Avrei
reso reale il terrore di morire prima di allora, confessando a me
stessa che stavo accettando il mio destino. Ho preferito restare
aggrappata alla mia stupida speranza che sarei sopravvissuta, solo
per non abbattermi».
«E
allora perché hai accettato di venire? È quello
che è appena
successo».
Beatris
si voltò a guardarlo e gli rivolse un luminoso sorriso, non
uno di
quelli precostruiti, ma un sincero e dolce sorriso. «Ero
emozionata
all'idea di venire qui con te» confessò e Reiner
sentì un'altra
volta nel petto il cuore tirare un paio di colpi più potenti
del
solito. Distolse lo sguardo, portandolo al lago davanti a sé
e pregò
che fosse buio abbastanza da nascondere il fatto che fosse
arrossito.
«Ne
stiamo combinando un bel po', io e te» proseguì
Beatris, tornando a
guardare il lago. «Quando mi sono arruolata non credevo che
avrei
mai trovato un amico così, sto cercando di collezionare
quanti più
bei ricordi possibili. Quando morirò vorrei potermene andare
sapendo
di essere stata felice».
«È
per questo che ti lanci sempre incontro a qualche pazzia senza
pensarci troppo?»
Beatris
affossò il volto tra le ginocchia e quella volta fu il suo
turno di
provare a nascondere il rossore dal volto. «Può
darsi» mormorò,
palesemente imbarazzata.
«Tris,
dimmi una cosa» sospirò Reiner. Aveva sempre avuto
un dubbio su
Beatris, ma i suoi sorrisi, il suo modo di fare sempre gioviale ed
euforico, il suo comportarsi sempre come se fosse felice anche di
fronte alla più grande delle avversità, l'avevano
dissuaso
dall'indagare. Era sempre stato convinto che fosse solo una sua
impressione, ma ogni tanto lei ritirava fuori quel tipo di argomenti
e allora il dubbio tornava a corroderlo dentro. E a rattristarlo.
«Vuoi entrare nel corpo di ricerca perché stai
cercando una scusa
per morire?»
Un'altra
persona sarebbe scattata, offesa probabilmente, invece Beatris
esitò.
Esitò fin troppo. «Cosa te lo fa
pensare?» chiese, ma era palese
quanto si vergognasse di essere uscita allo scoperto.
«I
tuoi sorrisi ingannano, fanno credere che tu sia la persona
più
felice di questo mondo... lo fai apposta, non è vero? Cerchi
di
ingannarci».
E
Beatris affossò ancora di più il volto tra le
ginocchia,
nascondendosi completamente al loro interno. Non rispose e Reiner
continuò, sapendo ora di essere sulla strada giusta:
«Shadis l'ha
scoperto subito, per questo ti ha punita e si è irritato
tanto. Il
corpo soldati non accetta membri suicida, ma cerca eroi. Noi eravamo
troppo concentrati su noi stessi e a fare bella impressione per
accorgercene, ma è stato evidente fin da subito. "Meglio io
che
qualcun altro". È questo che hai detto»
ricordò e Beatris
ancora non rispose, nascosta tra le propria ginocchia.
«Vuoi
morire sacrificandoti per qualcun altro... perché?»
«Che
cos'ho da perdere?» la sentì mormorare con un filo
di voce. Era
nascosta nel suo guscio, non poteva vederla in volto, ma era certo
che anche quello fosse un modo per proteggersi come i suoi finti
sorrisi felici. Non voleva mostrare il proprio dolore, a nessuno e
forse benché meno a se stessa.
«I
tuoi amici. Perderesti loro» le rispose Reiner.
«Appunto.
Eren, Mikasa e Armin vogliono entrare nel corpo di ricerca,
perderò
anche loro... così non mi resterà più
niente».
«Sai
di non essere all'altezza, a cose normali non ti saresti mai
arruolata, lo hai fatto solo per restare insieme a loro. Ma
consapevole della tua debolezza, sai che non durerai un minuto di
più
là fuori, o almeno questo è quello che
credi».
«Non
sono in grado di fare il soldato, io non sono come voi. Se resto
dentro le mura morirò di dolore, se vado fuori
morirò per mano dei
giganti, ma se riesco a farmi mangiare al posto di uno di voi...
quello sarebbe un bel modo per andarmene» alzò gli
occhi, ma solo
un po', il giusto per riuscire a tornare a guardare il lago.
«Meglio
io che qualcun altro» ripeté.
«Qui
dentro nessuno ti prende sul serio, eppure hai di questi terribili
pensieri» sospirò Reiner. «Sei riuscita
a ingannare persino
Mikasa».
«No,
non è vero» nonostante Reiner potesse vedere di
Beatris solo gli
occhi, riuscì a scorgere in loro qualcosa di simile a un
sorriso.
«Lei lo sa, anche Armin e Eren lo sanno. È per
questo che insistono
tanto sul fatto che devo darmi da fare. Eren non fa che sgridarmi,
Mikasa cerca di proteggermi e Armin fa di tutto per rassicurarmi e
convincermi a provarci. Li sto stremando. Penso stiano cominciando a
odiarmi».
«Non
ti odiano» disse Reiner con sicurezza, e Beatris non
riuscì a
trattenere un risolino. «Come fai a dirlo?»
«Perché
io ti conosco da molto meno di loro, ultimamente sono quello che si
preoccupa maggiormente per te, eppure non ti odio. Perciò
è
improbabile che lo facciano loro» era stata una frase pensata
e
detta contemporaneamente, senza darsi tempo di rifletterci sopra, ed
era risultata nuova persino per lui. Se ne sorprese, tanto che si
ritrovò lui stesso a tentennare di fronte a quanto appena
scoperto.
Lui non la odiava. Beatris era un demone di Paradis, uno di quelli
che fin da bambino gli avevano detto che incarnavano il male, una di
quelle persone che fin da bambino aveva imparato a odiare ed era
stato addestrato solo con l'obiettivo di ucciderli. Beatris era una
di loro, eppure non la odiava. Non la odiava nemmeno un po', ma
anzi... sapere che sarebbe morta, sapere che lei voleva morire o che
lui avrebbe dovuto ucciderla un giorno, lo feriva. Ripensare a Annie
fu inevitabile, lei glielo aveva detto che avrebbe rischiato di
affezionarsi e lui le aveva assicurato che non sarebbe mai successo.
Beatris doveva essere solo uno strumento, da usare e poi gettare via.
L'aveva protetta, all'inizio, solo perché così
aveva potuto
dimostrare di essere gentile e altruista, solo per conquistarsi la
fiducia degli altri ma ora... desiderava proteggerla. Desiderava
proteggerla davvero.
Quando
aveva iniziato a provare quei sentimenti?
«Io
un po' ti odio, invece» mormorò Beatris e
aggiungendo sorpresa alla
sorpresa Reiner sentì una freccia trafiggergli il cuore. La
cosa
davvero lo feriva? Ma cosa gli stava succedendo?!
Si
voltò a guardare Beatris e si sorprese di vederla totalmente
a volto
scoperto, uscita dal suo guscio, che guardava il lago di fronte a
sé
con un'espressione raddolcita. Era tirata in un lieve sorriso, dolce,
come se si trovasse di fronte a qualcosa che amava con tutta se
stessa.
«Perché?»
mormorò Reiner, confuso più per ciò
che stava provando in quel
momento che per la frase in sé. Per quanto lei cercasse di
nasconderlo, questa volta riuscì a vedergliele le guance che
lievemente andavano colorandosi di rosso.
«Perché
adesso non sono più tanto sicura che non avrei niente da
perdere».
Lui.
Se fosse morta alla prima occasione, avrebbe perso lui, e questo la
affliggeva talmente tanto che solo ora, ormai a cose fatte, stava
cominciando a porsi il dubbio se avesse veramente voluto morire.
Ormai si era arruolata, ormai aveva iniziato a percorrere la strada
che l'avrebbe portata ad affrontare i giganti faccia a faccia, e con
voti pessimi come i suoi non poteva nemmeno sperare di riuscire a
finire nella gendarmeria al sicuro e magari al fianco di Reiner. E
non era nemmeno sicura di volerlo fare. Era in preda alla confusione,
fino a poco tempo prima non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stato
il suo destino, ma ora cominciava a farlo. Era tutto così
confuso
che negli ultimi tempi era andata avanti quasi meccanicamente, senza
più riuscire a mettere emozione in quello che faceva. Da
quando
erano tornati dalle montagne, Beatris si era rabbuiata sempre
più,
aveva perso ogni spirito combattivo. Reiner aveva pensato che fosse
colpa della sua autocommiserazione, della depressione che la
inghiottiva nel vedersi sempre ultima della classe, dei sensi di
colpa perché aveva sempre bisogno di essere salvata, ma si
era
sbagliato... Beatris aveva perso ogni motivazione a causa sua.
Ciò
che l'aveva spinta a dare il massimo all'inizio, il suo desiderio di
arruolarsi per morire in cambio della vita di uno dei suoi amici,
l'aveva perso completamente perché adesso non era
più sicura di
voler morire. Lei non voleva farlo, per questo aveva cominciato a
blaterare di lasciare l'accademia.
«Resta
con me» mormorò Reiner sovrappensiero. Beatris
sussultò tanto che
un singhiozzo le risuonò in gola. Si voltò a
guardare Reiner con
gli occhi spalancati e il volto talmente rosso per la vergogna che
avrebbe potuto prendere fuoco a momenti.
«Eh?!»
chiese, spingendo il busto il più distante possibile da lui,
terrorizzata da chissà che cosa. Ma Reiner sorrise
entusiasta, si
lanciò in avanti e afferrò la mano di
Beatris.
«È
la tua forza, Tris! L'ho trovata!»
«Cosa...?»
mormorò lei, ancora in preda alla confusione.
«La
forza che ti serve per riuscire a superare la paura, per smettere di
paralizzarti. Non vuoi morire, giusto? Vuoi continuare a vivere, per
passare insieme momenti come questi, per poter continuare a essere
mia amica, non è così? Pensa a questo, allora!
Pensa che vuoi
restare con me».
Beatris
sentì il respiro restarle bloccato in gola, incapace di
uscire, le
fece dopo un po' girare la testa. Tremò e sentì
il cuore nel petto
essere ben intenzionato a uscirle dalla cassa toracica, talmente
tanto stava colpendo contro le costole. Un'emozione come quella era
mai riuscita a provarla prima? Era qualcosa di assolutamente nuovo e
assolutamente distruttivo, riusciva ad abbattere qualsiasi cosa...
persino la paura.
«Può
funzionare?» chiese Reiner, abbandonando pian piano
l'entusiasmo
dell'idea. Ma non la convinzione che fosse la via giusta da
percorrere.
Lasciò
andare la mano di Beatris e lei sentì improvvisamente
freddo. Avere
la mani nelle sue era qualcosa di cui, solo ora se ne rendeva conto,
sentiva quasi di aver bisogno per poter stare bene. Il cuore non
sembrò essere intenziono a rallentare, ma il respiro pian
piano
tornò a scorrergli in gola e portare ossigeno al cervello.
Esitò, a
lungo, forse fin troppo, facendo preoccupare Reiner. Forse aveva
detto un'idiozia?
A
ripensarci, era sicuramente un’idiozia. Cosa gli era saltato
in
mente? Essere lui la sua ragione di vita... con quale naturalezza
glielo aveva proposto? Era ridicolo, e imbarazzante come niente prima
d'ora. Più ci pensava e più si rendeva conto di
quanto fosse
ambiguo, di quanto fosse inappropriato, e cominciò a odiarsi
per
averlo anche solo pensato.
Ma
poi Beatris sorrise di uno dei suoi sorrisi più sinceri e
con le
guance ancora colorate di rosso, infine, disse:
«Sì, credo possa
funzionare».
Reiner
la guardò per qualche istante, cogliendo ogni sfumatura,
cercando di
memorizzare ogni dettaglio di quel volto e di quello sguardo
palesemente emozionato. Si raddrizzò e tornò
infine a guardare il
lago davanti a sé, pensieroso, e incapace di smettere di
arrossire.
Era stato stupido, più che in situazioni normali,
perché continuava
a dimenticarsene. Continuava a dimenticarsi che lui era stato mandato
lì per ucciderli... per uccidere persino lei. Non faceva che
ripeterselo, cercare di ridare una direzione alla sua vita, ma ormai,
per quanto avesse provato a ignorare il problema, ora non
poté che
schiantarcisi contro.
«Tris»
mormorò dopo qualche minuto. «Io vorrei che tu
viva il più a lungo
possibile» ed era dannatamente vero. Avrebbe accettatto di
uccidere
chiunque, avrebbe accettato di uccidere persino Eren, così
come
aveva accettato di sterminare tutta la popolazione di Shiganshina e
condannare a morte la maggior parte del popolo del Wall Maria. Aveva
le mani sporche di sangue ed era pronto a farlo ancora, era un
guerriero di Marley, il migliore, e la sua fede verso la patria
superava qualsiasi sentimento e senso di colpa. Li aveva schiacciati
come formiche, non gli era interessato, e non gli sarebbe importato
di farlo ancora.
Ma
non lei. Per qualche assurdo motivo, avrebbe voluto davvero che lei
avesse vissuto il più a lungo possibile. Non per forza al
suo
fianco, ovunque in quel mondo, ma in pace, felice, senza nessuno a
minacciarla. Avrebbe davvero voluto proteggerla da qualsiasi cosa...
persino da se stesso. Forse soprattutto da se stesso.
«Va
bene» la sentì rispondere e quasi se ne sorprese.
Non avrebbe mai
pensato che lei prendesse così sul serio la sua frase. Ma la
vide
improvvisamente carica di una nuova determinazione.
«Cercherò di
vivere il più possibile. Te lo prometto» e sorrise
di quel suo
sorriso candido che tanto rapiva il cuore. Gli fu impossibile
trattenersi dal ricambiare, una nuova e bizzarra felicità
gli
solleticava il petto. Distolse lo sguardo dopo qualche istante,
puntandolo di nuovo al cielo, con la consapevolezza che Beatris
invece ancora lo stava guardando. E per qualche motivo la cosa gli
piaceva. Avere i suoi occhi addosso, era come se ne venisse
accarezzato. Gli distendeva i muscoli, gli rilassava l'anima,
riusciva a scacciare via qualsiasi ombra... qualsiasi incubo.
Era
veramente qualcosa di magico.
«Me
la ricanteresti quella canzone?» chiese sovrappensiero. Erano
passati anni, la ricordava a malapena, ma sapeva quanto fosse stata
capace di dargli sogni tranquilli. Lo aveva fatto a lungo, per
giorni, settimane, aveva continuato a sentirla nella sua testa.
«Eh?»
chiese Beatris, tornando ad arrossire per la vergogna. Non aveva mai
cantato per nessuno se non per sua sorella, e anche in
quell'occasione l'aveva fatto solo perché lei glielo
chiedeva. Non
si sentiva a suo agio a cantare, si vergognava spaventosamente e
rievocava terribili sensazioni. Sua madre cantava sempre, quando era
piccola.
«Quella
che cantasti a tua sorella nella cattedrale. Mi era piaciuta
molto».
«Ti
era... piaciuto sentirmi cantare?» balbettò lei,
in preda
all'imbarazzo.
«Beh,
sai...» mormorò Reiner e si grattò il
mento nervosamente con un
dito. «Dormivano o piangevano tutti, lì dentro. Si
riusciva a
sentire solo te, è normale che ti abbia sentito»
cercò di
giustificarsi, ancora troppo imbarazzato nell'ammettere che era
rimasto per qualche strano motivo molto colpito da lei fin da quel
primo incontro.
«Mi
dispiace» disse Beatris con un filo di voce.
«Purtroppo non riesco
a ricordarmela». E lo sguardo tornò ad abbassarsi,
fino a
raggiungere la punta dei propri piedi, ignorando stelle, cielo e
tutto ciò che di bello aveva attorno. Un'ombra sembrava
stesse per
inglobarla. Non fu difficile capirne il motivo... non aveva fatto
altro che ripetere che non avesse niente, se non Mikasa, Eren e
Armin. Non si sarebbe mai arruolata, se avesse avuto ancora Rose da
proteggere.
«Mi
dispiace molto per tua sorella» confessò Reiner.
Avrebbe preferito
continuare a ignorare la cosa, fingere di non aver capito che Rose
era morta per non ferirla, per non costringerla a parlarne ad alta
voce, ma sentiva di doverlo fare. Chiedere scusa. Lui, soprattutto
lui, doveva farlo. «E mi dispiace molto per i tuoi
genitori». Una
morsa gli chiuse lo stomaco e fu lancinante, molto più del
previsto.
Il dolore gli arrivò fino al cervello, offuscandoglielo
addirittura
per qualche istante. Si irrigidì e tirò indietro
le gambe,
incrociandole tra loro, raddrizzando la schiena.
«È
stata colpa mia» confessò Beatris.
Riuscì a farlo, per la prima
volta dopo anni riuscì a parlarne e confessare
ciò che aveva
dentro. Con Reiner era più facile di quanto si aspettasse.
«Mamma è
morta per proteggere me, perché di fronte ai giganti io mi
ero
paralizzata dalla paura. Mia sorella è rimasta gravemente
ferita
dall'assalto a Shiganshina e io non sono poi stata abbastanza forte
da proteggere lei. Le cure sono molto costose, soprattutto quando sei
una bambina orfana in una terra che non conosci. Rimpiango solo di
non essere riuscita a riavere indietro il suo pupazzo preferito,
Kitty, prima che morisse. Mi disse che se lui fosse stato vicino a
lei, allora sarebbe guarita... sono stupida a pensarlo, ma forse
aveva ragione. Avrei dovuto trovare il modo di...» si
interruppe
sentendo un singulto provenire da Reiner. Si voltò a
guardarlo e lo
trovò improvvisamente strano: era rigido, teso come una
corda di
violino, i muscoli contratti tanto da far risaltare le venature sul
braccio, l'espressione corrucciata in una che sembrava mista tra la
rabbia e il dolore, gli occhi puntati davanti a sé,
spalancati, ed
era madido di sudore.
«Reiner»
mormorò, avvicinandosi a lui, preoccupata. Gli
posò una mano sulla
spalla e quello parve destarlo, ma non aiutarlo a sciogliersi.
«Che
hai?» gli chiese, sporgendosi per cercare il suo volto.
Reiner si
voltò dall'altro lato, negandogli il contatto
visivo.
«Niente»
disse, meno teso, ma non meno nervoso. «Odio i giganti e
ciò che
hanno fatto».
Suonava
più come una scusa, ma Beatris riuscì a crederci
comunque. Era
giustificabile, ai suoi occhi, visto che anche lui aveva perso la sua
casa a causa dei giganti. O almeno questo era ciò che aveva
raccontato.
«Già»
mormorò. «Li odio anche io» e non
poté vedere l'espressione di
Reiner che ancora una volta si corrucciava tanto da costringerlo a
chiudere gli occhi e sentire i denti scricchiolare dentro la bocca.
Non poté vederlo, ma riuscì ancora a sentire la
rigidità dei suoi
muscoli sotto al tocco della sua mano, e poté percepirlo
tremare.
Inoltre, non sembrava essere intenzionato né a guardarla
più né a
rivolgerle la parola. Qualsiasi cosa fosse successo, era qualcosa che
lo stava portando a soffrire molto e lei sentì il bisogno di
fare
qualcosa per aiutarlo. Abbassò lo sguardo, triste nel
vederlo in
quelle condizioni, e imbarazzata per l'idea che le stava balenando in
testa. Quando Rose stava male, sentirla cantare l'aiutava a stare
meglio. Reiner aveva detto inoltre che gli era piaciuto sentirla
cantare... non poteva andare male. Anche se odiava doverlo fare,
anche se moriva dalla vergogna, ma poteva essere una buona idea. Con
voce strozzata, flebile, cominciò a cantilenare una melodia
senza
parole. Si sentì stupida, ma riuscì a percepire
sotto al tocco
della sua mano i muscoli di Reiner che piano piano si rilassavano e
si distendevano. Le diede il coraggio di proseguire. Aggiunse le
parole e provò ad alzare un pochino la voce.
Cantò delicata come
una pioggerella di primavera su delle foglie. Non era la stessa
canzone che aveva cantato a sua sorella, ma riuscì ad avere
lo
stesso effetto incredibile. Forse, addirittura, riuscì a
distenderlo
ancora di più, consapevole che quello non sarebbe stato un
ricordo
rubato. Quella canzone era per lui, solo per lui, per curare il suo
dolore.
Reiner
tirò un sospiro e si distese. Chinò la testa, si
rilassò per
quanto potesse rilassarsi seduto per terra, e arrivò persino
a
socchiudere gli occhi. Avrebbe voluto addormentarsi lì. In
quel
preciso istante. Sapeva che se l'avesse fatto, non avrebbe avuto
incubi.
Invece
furono costretti a rientrare, a tornare ognuno nel proprio letto, e
solo, nell'oscurità, non bastò il ricordo della
voce di Beatris a
dargli pace. Sognò un gigante corazzato che non era lui
corrergli
incontro. Sognò di non riuscire a muoversi. Sognò
di venirne
schiacciato, e per tutta la notte non fece che risvegliarsi,
più e
più volte, in preda al terrore.
Nda.
Resta
con me *-*
Quanta
dolcezza! E Tris che è arrossita anche fin
troppo!
Eheheh
Vabbé, non ho molto altro da dire su questo capitolo. Sono
stati
amici fino a questo momento, con qualche strano
motivo
che li spingeva a legarsi, ma questa è stata la prima volta
che si
accenna a un eventuale romanticismo. Con l’angst finale su un
Reiner addolorato per ciò che ha fatto… e proprio
su questo
sentimento vi lascio la canzone di oggi!
Questa
più delle altre mi è piaciuta da impazzire, ogni
frase sembra
parlare di Reiner, dei suoi sentimenti contrastanti su ciò
che sa
che deve fare e i suoi primi dubbi, il desiderio di tornare a casa, i
sensi di colpa che iniziano a farsi strada in lui (soprattutto verso
Beatris, consapevole che è lui la causa della morte della
sua
famiglia), e con quel ritmo arrabbiato e amaro... VI PREGO
ASCOLTATELA! È eccezionale! A me sono venuti i brividi e ho
quasi
pianto T_T
Dura
8 minuti, è vero, ma cercate di arrivare alla fine
perché
soprattutto le ultime parole sono da lacrime T___T (per aiutarvi vi
dico che dal minuto 4.30 circa fino a al 7.20 c’è
una parte solo
strumentale che se non avete voglia potete saltare)
Vi
do appuntamento alla prossima :3
Ciao!
https://www.youtube.com/watch?v=YjAA531LlyM&ab_channel=WithYouImFeelinGood
EFP non mi fa mettere altro
che un
link che oltretutto non è cliccabile, perciò se
non avete modo di
fare copia e incolla su google vi do direttamente il titolo: M.I.A.
degli Avenged Sevenfold. Su youtube trovate anche il video con la
traduzione a schermo, se vi serve. Ascoltatela, davvero :P
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