Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Ray Wings    04/07/2021    1 recensioni
Il boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile. Poi quel pupazzo, stretto tra le mani di sua sorella Rose, che saltava via. Scivolato a terra. Lei era stupidamente tornata indietro per riprenderlo, e allora l'aveva visto... imponente, massiccio, corazzato. Il gigante correva, distruggendo tutto ciò che incontrava, puntando dritto al Wall Maria, puntando dritto a lei, immobile. Paralizzata. Aveva ascoltato il suo ruggito un istante prima che venisse schiacciata... ma non lo faceva mai. Non in quell'incubo. Lei puntualmente si svegliava un istante prima di morire, madida di sudore, tremante come una foglia.
«Bea...».
«Mikasa... scusami, ti ho svegliata».
«Hai di nuovo sognato Shiganshina?»
«Era da un po' che non lo facevo».
«Reiner ti sta stancando troppo con questa storia degli allenamenti extra. Domani gli parlerò, deve lasciarti in pace».
Già, Reiner ci teneva così tanto che lei diventasse più forte... chissà perché l'aveva presa così a cuore.
ALLERTA SPOILER PER CHI NON HA LETTO IL MANGA! Io ho avvertito :P
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La cena era proseguita allegra e fin troppo veloce, come ultimamente succedeva sempre. Gli argomenti affrontati erano dei più variegati, si andava dai dubbi sugli esami, lo stress da addestramento, i desideri futuri, le storie del passato e gli scherzi tra loro. Era ormai abitudine che almeno una volta a sera Eren e Jean litigassero, ed era sempre anche quello un ottimo modo per riempire la testa di bei ricordi e il petto di splendide emozioni. Il più delle volte finivano a terra tra di loro, Beatris non aveva mai smesso di provare a scommettere sul vincitore e si sbracciava a volte in un tifo decisamente troppo esagerato, ma non era raro che alla fine l'unico vincitore fosse sempre e solo Mikasa, che irritata interveniva per bloccare entrambi. Gli insulti che i due compagni d'arme si rivolgevano non appena ce n'era l'occasione erano sempre molto fantasiosi e a tratti infantili, ottimi per solleticare un po' l'ilarità. L'unica preoccupazione che avevano era che Shadis avesse potuto sentirli, prima o poi, e metterli in punizione. Era qualcosa di talmente tanto sottile, superficiale, leggero come una piuma che persino una cosa come quella risultava piacevole, alla fine. 
Lì a Paradis non c'erano guerre, ritorsioni, odio razziale, indottrinamenti assurdi, non c'erano violenze gratuite contro persone che avevano solo avuto la colpa di nascere. Quelle persone erano demoni, era vero, ma la promessa di pace fatta dal Re sembrava comunque essere mantenuta. Anche con la piaga dei giganti, lì, dentro quelle mura, era un vero Paradiso dove a chiunque era concesso sorridere ed essere addirittura felice. Era una quotidianità a cui Reiner non era abituato e che sentiva, ora che aveva possibilità di goderne, che forse era ciò che aveva realmente sempre desiderato. Quanto era triste pensare che invece, presto o tardi, tutto sarebbe stato spazzato via. 
Ma anche in quella meravigliosa quotidianità, non c'era pace per uno come lui. Era un sentimento egoista, quella gioia che provava sempre più intensamente, perché sapeva che fuori dalle mura, oltre al mare, c'era chi aspettava il suo ritorno e pregava sulla riuscita della loro missione. La missione che avrebbe avuto come epilogo lo sterminio di tutto quello...
Erano pensieri come quelli che certe notti non gli permettevano di dormire e anche se si sforzava di ricordare la canzone di Beatris, che aveva scoperto avere un effetto magico sul suo stato d'animo, a volte non era così forte da riuscire a vincere il dolore. Erano passati anni, in fondo, da quando l'aveva ascoltata... cominciava persino a dimenticarsene. Inoltre più passava il tempo e più sentiva la propria determinazione vacillare, quando poteva scherzare con Connie, guardare Eren e Jean litigare, ascoltare le storie di Armin, fare insieme al resto dei ragazzi le previsioni del tempo in base a come Bertholdt si addormentava. Sentiva la propria determinazione vacillare tutte le volte che riusciva a intercettare il sorriso scaldante di Beatris, o quando lei arrivava al suo fianco potente come un uragano, a riempirgli le orecchie di parole, a saltellargli intorno con allegria, o quando nel tentativo di proteggerla finiva nei guai insieme a lei. Si era legato a lei con l'unico scopo di usarla a suo vantaggio, risultare amichevole e affidabile agli occhi del nemico, prendendosi cura di una ragazza che sembrava avere decisamente bisogno di qualcuno che si occupasse di lei. Era quello che aveva detto a Bertholdt e Annie, ed era quello che aveva creduto fin dall'inizio, ma ultimamente quando pensava che prima o poi avrebbe dovuto uccidere anche lei... vacillava. Vacillava spaventosamente. E doveva alzarsi dal letto, prendere aria, riflettere, sforzarsi di ricordare i volti dei suoi amici a Marley, di sua madre, dei suoi zii, o dei suoi compagni d'arme. Si sforzava di ripensare a Marcel, che si era sacrificato per salvarlo e aveva lasciato così indirettamente a lui la responsabilità di quella missione. Doveva ritrovare qualcosa a cui appigliarsi per salvare l'intera umanità, di cui si era fatto carico fin da bambino. E allora usciva a prendere aria, da solo, senza neanche Bertholdt al suo fianco, perché aveva bisogno solo di un po' di solitudine per dare pace al proprio animo. Non voleva essere Reiner il Guerriero, ma neanche Reiner il soldato, in quei momenti aveva solo bisogno di essere Reiner... e basta. Solo Reiner, senza dover dimostrare niente a nessuno, senza alcuna responsabilità da portare sulle spalle. In quei momenti aveva solo bisogno di abbassare la guardia, e sentirsi comunque al sicuro.
Si appoggiò alla ringhiera della veranda del proprio dormitorio con i gomiti e alzò gli occhi al cielo puntinato di stelle. Le fiaccole del centro di addestramento erano abbastanza intense da contrastarle, molte le nascondeva, ma non tutte. Era comunque un bello spettacolo, anche da lì.
Peccato solo non si vedesse la luna, nascosta dietro gli alberi della foresta alle spalle del centro. Quella sera ci sarebbe stata la luna piena, e secondo Armin sarebbe stata addirittura tinta di rosa. 
Ci rivediamo tra cinquant'anni, allora.
Il sorriso gli morì sul volto. Lui non ci sarebbe stato. Anche se la missione di Marley fosse fallita, anche se quelle persone avessero vissuto in piena serenità per altri cinquant'anni, anche se niente avesse intaccato quella quotidianità in quei cinquant'anni, lui non ci sarebbe stato. Non l'avrebbe mai vista, quella meravigliosa luna rosa di cui parlava il libro del nonno di Armin. Sapere che era lì, oltre gli alberi, e lui la stava perdendo per sempre, gli faceva attorcigliare le budella nello stomaco. Non sapeva perché ci tenesse tanto, forse si stava facendo decisamente troppo influenzare dallo stato d'animo sereno e pacifico di Paradis, tanto da spingerlo a desiderare di vivere anche situazioni banali come quelle. Non era qualcosa di cui andava fiero, ma sentiva che c'era. Quel desiderio di vivere appieno la vita, almeno una volta prima di morire, sentiva che era lì nel petto e urlava tanto forte da sovrastare addirittura il ricordo della voce di Beatris che cantava la sua ninna nanna. 
E un pensiero lo fece vibrare. 
Perché no? Perché non avrebbe dovuto andare al lago dietro la foresta? Perché non poteva provarci? Cosa temeva? Shadis e le sue punizioni? Sciocchezze. Quanto potevano essere pericolose delle punizioni, in confronto all'idea che la morte lo aspettava a scadenza ben decisa. In confronto all'evidenza che quello che si stava perdendo in quel momento non l'avrebbe riavuto mai più indietro. Al diavolo Shadis, era un vecchio come un altro, e certo non poteva spaventare uno come lui. 
Scese gli scalini della veranda e si avviò deciso attraverso il cortile, superando i dormitori maschili, passando a fianco di quelli femminili. 
Ci rivediamo tra cinquant'anni.
Si fermò a guardare l'ingresso del casolare dove sapeva in quel momento si trovava Beatris. Se avesse saputo, l'indomani, che era andato da solo a vedere la luna rosa non gliel'avrebbe mai perdonata. Sorrise, pensando divertito a quanto l'avrebbe insultato e quanto avrebbe addirittura provato a colpirlo, come una bambina intenta a fare capricci. Le avrebbe davvero fatto una cosa simile? Lasciarla sola, ignorando il suo desiderio, per poi tradirla cinquant'anni dopo non presentandosi all'appuntamento che lei gli aveva dato. Era troppo, persino per uno come lui. Si guardò attorno, preoccupato che ci fosse qualcuno a vederlo, ma non appena constatò la sicurezza del luogo si nascose dietro al casolare, all'ombra. Sgattaiolò per tutto il fianco, fino ad arrivare alla finestra sul retro. Avrebbe voluto sporgersi, guardare all'interno per vedere se riusciva a trovarla, ma sapeva che sarebbe stato meschino persino per uno come lui sbirciare dentro il dormitorio femminile. Era da pervertiti. 
Alzò un braccio, restando con la schiena poggiata al lato della finestra, e si limitò a bussare un paio di colpi, senza guardarne l'interno. Attese qualche secondo, nessuna risposta, perciò pregando di non rovinare tutto provò ancora. E attese altri infiniti secondi, fino a quando finalmente la finestra non si spalancò. 
«Che stai facendo?» sussurrò Annie, fulminandolo. «Che razza di scherzo è questo? Sei impazzito a venire direttamente qui in piena notte?»
«Calmati, non sono qui per te» le disse, irritato. Tra tutti, proprio lei doveva aprirgli?
«Che cosa vuoi?» chiese Annie.
«Chiamami Beatris» le ordinò. Se glielo avesse semplicemente chiesto lei si sarebbe rifiutata, sperava che facendo appello al suo lato autoritario avrebbe ascoltato senza troppe storie.
«Scordatelo. Non sarò complice di questa stronzata» e senza dargli tempo di replicare richiuse la finestra. 
«Annie! Aspetta!» lamentò Reiner e, senza quasi nemmeno accorgersene, si sporse e guardò all'interno della finestra per cercare l'amica e provare a convincerla ancora. Si accorse dell'errore troppo tardi, quando notò alcune ragazze stese nei loro letti non troppo lontano dalla finestra, e imbarazzato tornò a poggiare le spalle al legno del casolare. Sospirò e si chiese se fosse stato il caso di insistere, bussare ancora, sperando che Annie non l'avesse messo nei guai raccontando qualche cazzata solo per toglierselo dai piedi. Forse non sarebbe riuscito a coinvolgere Beatris, ma improvvisamente l'idea di andare a vedere la luna rosa da solo non lo entusiasmava più così tanto. Restò qualche secondo immobile dov'era, a valutare tutte le possibilità, quando infine la finestra si aprì di nuovo. Si voltò, speranzoso di avere una seconda possibilità, e si trovò davanti il volto sarcastico di Ymir. 
«Che stai facendo da queste parti, principino?» lo denigrò, sogghignando, e Reiner già sapeva che per quanto stava per fare lei lo avrebbe preso in giro per il resto della sua vita.
Beh, solo dieci anni, in fondo... non così tanti. 
«Sveglia Beatris per me e ti ripagherò». Ormai conosceva abbastanza bene Ymir da sapere che l'unico modo di convincerla a fare qualcosa era puntare al suo egoismo. Darle qualcosa in cambio, e allora avrebbe accettato qualsiasi cosa. 
«Oh, senti senti... allora sono vere le voci che corrono su voi due».
«Di che voci parli?!» sussultò Reiner, rosso in volto. 
«Te la sveglio» tagliò corto Ymir, appoggiandosi col mento sulle braccia incrociate, sopra il davanzale della finestra. «Ma in cambio dovrai dirmi cosa state andando a fare, piccioncini».
«Che ti interessa?» ringhiò Reiner, irritato e sempre più imbarazzato. Forse era stata decisamente una pessima idea. 
«Christa impazzirà quando glielo racconterò, e se conosci un luogo romantico che io non conosco potrebbe farmi comodo saperlo».
«Piantala con le allusioni! Non c'è niente di romantico, né nessun piccioncino».
«E perché vuoi che sveglio Beatris? Sta dormendo come un angioletto stretta a Mikasa, sapevi che quelle due dormono sempre insieme?»
«No...» mormorò Reiner, talmente tanto confuso e imbarazzato da non riuscire nemmeno più a capirci niente. «Non lo sapevo».
«Invidioso, eh?!»
«Ma che stai dicendo?! Valla a svegliare e non rompere!»
«Dove la porti?»
«Al lago, oltre la foresta» rispose senza pensarci e Ymir spalancò gli occhi. «Volete uscire dal campo in piena notte?!»
«Non azzardarti a fare la spia, o dirò a Christa quanto sei infame!»
«Calmati, non c'è bisogno di agitarsi tanto» sospirò Ymir, sollevandosi dal davanzale della finestra. Fece per rientrare, ma prima di sparire del tutto oltre la finestra sogghignò ancora, maliziosa, e disse: «Christa impazzirà quando le dirò che c'è una nuova coppia nel centro».
Reiner non ci vide più e d'istinto cercò di colpire Ymir con un pugno. Ma la ragazza fu rapida abbastanza da indietreggiare, evitare il colpo, e sparì all'interno del casolare sghignazzando divertita. 
«Stupida» ringhiò Reiner tra sé e sé. «Stupida senza cervello».
Ymir intanto, silenziosa come un gatto, si avvicinò al letto di Mikasa. Si inginocchiò e ringraziò l'apatia di Mikasa che accettava sempre passivamente la compagnia di Beatris nel letto, perché come le altre notti le aveva lasciato un posto abbastanza minuscolo e questo aveva portato Beatris ad avere un po' le spalle sporgenti verso l'esterno. La toccò delicatamente, la scosse appena e Beatris aprì gli occhi. Si voltò a guardare chi la stesse chiamando e Ymir, subito, si portò un dito alla punta del naso per dirle di fare silenzio. Con un gesto, poi la invitò a seguirla e le indicò la finestra aperta. 
Beatris non capì assolutamente niente di quanto stava accadendo, ma la curiosità la invase comunque. Era strano che proprio Ymir la svegliasse in piena notte ed era altrettanto strano che la finestra fosse aperta. Scivolò via dall'abbraccio di Mikasa con lentezza, seguì Ymir in punta di piedi e una volta alla finestra si affacciò, riuscendo a scorgere immediatamente Reiner appena sotto di essa.
«Reiner» sussurrò sorpresa. «Cosa fai qui?»
Non appena Reiner sentì la voce di Beatris tutto il fastidio accumulato fino a quel momento parve scomparire come per magia. Le sorrise, si portò la punta del dito alle labbra suggerendogli anche lui di fare silenzio. Poi le fece un occhiolino: «Ti va di vederla quella luna?»
Beatris spalancò gli occhi e parve iniziare a brillare di luce propria. L'idea la eccitava come mai prima d'ora. Si voltò d'istinto a guardare Mikasa, pensando che avrebbe dovuto chiamare anche lei, ma si bloccò. Mikasa non avrebbe mai accettato di infrangere le regole del campo per una cosa come quella e probabilmente anche Eren, Armin e Bertholdt avrebbero volentieri evitato di fare quella pazzia. In realtà, era certa che anche Reiner fosse assolutamente contrario e vederlo lì, a proporle di evadere, fu una vera sorpresa. Di solito era lei l'unica che faceva follie, Mikasa glielo impediva, Reiner ci provava ma finiva inevitabilmente coinvolto contro la sua volontà. Era strano, al limite dell'assurdo, e per questo non avrebbe mai rifiutato per niente al mondo. Tornò a guardare Reiner con gli occhi che brillavano dall'emozione e annuì vigorosamente. 
«Andiamo. Cerca di non farti sentire» le disse, facendole un gesto con la mano per invitarla a seguirlo. Beatris corse all'interno del dormitorio, prese tra le braccia calze e scarpe, e tornò infine alla finestra. Lanciò tutto fuori e per ultimo saltò giù anche lei. Si infilò velocemente le scarpe, senza preoccuparsi di essere ancora in pigiama, e infine seguì Reiner attraverso il campo d'addestramento. Passarono di ombra in ombra, cercando di non farsi vedere, restando nascosti dietro a casolari e strutture di ogni genere, approfittando anche della presenza dei carri e pregando che i cavalli non si fossero imbizzariti nel vederli. Infine uscirono, passando oltre il recinto spinato, e si inoltrarono nella foresta. Ormai tranquilli, camminarono più velocemente lungo il sentiero, sentendo la fretta spingerli a sbrigarsi, come se da un momento a un altro la luna fosse potuta sparire del tutto. Reiner apriva la strada, Beatris gli stava dietro arrancando un po', ma l'entusiasmo del momento riusciva a darle la forza necessaria a proseguire con velocità. Riuscì persino a non inciampare nemmeno una volta. E infine, arrivarono al lago. 
Laggiù, dove le fiaccole del campo non arrivavano, dove regnava solo il buio più completo, le stelle erano padrone assolute del mondo. Brillavano, scintillavano come gioielli, rendendo tutto il mondo intorno a loro etereo come quello di un sogno. Il lago, davanti a loro, rifletteva tutta quella meraviglia e sembrava che sul fondo fosse cosparso di diamanti. La vegetazione era fresca e silenziosa, si sentiva qualche grillo, qualche gufo in lontananza, ma poi altro se non il tenero rumore del vento tra le foglie. Era come trovarsi in un sogno. 
«È bellissimo» mormorò Beatris, avvicinandosi alla riva. 
«Già» rispose Reiner alle sue spalle, meno plateale nel mostrare la propria meraviglia ma non per questo meno affascinato da quello spettacolo. Nemmeno a Marley c'erano posti come quelli, o se c'erano agli Eldiani era proibito andarci, e a Liberio le luci erano sempre troppo forti per permettere alle stelle di raggiungerli decentemente. Era un posto magico, uno spettacolo incredibile, e ringraziò il suo coraggio per averlo spinto fino a lì quella sera perché sarebbe stato sicuramente un ricordo che si sarebbe portato dietro per il resto dei pochi anni che gli restava da vivere. 
Incantati dalla luce soffusa delle stelle sul lago, si erano persino dimenticati del motivo che li aveva spinti fino a lì, e se ne ricordarono solo pochi minuti dopo. Beatris alzò gli occhi al cielo, bramosa di aggiungere meraviglia ad altra meraviglia, e riuscì a intercettare la luna piena, padrona del cielo assoluto. Ma la delusione la portò ad abbassare le spalle. 
«È normale» mormorò, triste nell'accorgersi che non c'era alcuna sfumatura rosa.
«Magari l'episodio raccontato dal libro del nonno di Armin è stato solo un eccezione, non è vero che succede ogni cinquant'anni» ipotizzò Reiner. 
«Che peccato... abbiamo rotto l'incantesimo, adesso saremo gli unici che tra cinquant'anni verranno qui senza aspettarsi niente» commentò Beatris e Reiner rispose con un sospiro affranto. Si avvicinò alla riva, di fianco a lei, e si mise a sedere per terra. 
«Tris» mormorò con una voce improvvisamente triste e afflitta. «Credi davvero che ci saremo, tra cinquant'anni?»
«Tu e Bertholdt andrete nella gendarmeria, giusto? Voi sarete al sicuro, potrete tornare qui senza nessun problema» disse Beatris e gli si sedette a fianco, raccogliendo le ginocchia tra le braccia. «Ma sono felice che sei venuto a chiamarmi stasera, perché non credo che io invece avrei avuto un'altra occasione».
«Avresti davvero rinunciato sapendo di non avere un'altra occasione?» perché lui non c'era riuscito. Lei non avrebbe davvero fatto altrettanto?
«Avrei rotto l'incantesimo» mormorò, poggiando il mento sulle ginocchia. Avvolta così in se stessa, con addosso quel semplice pigiama e i capelli sciolti sulle spalle, sembrava quasi una bambolina. «Avrei reso reale il terrore di morire prima di allora, confessando a me stessa che stavo accettando il mio destino. Ho preferito restare aggrappata alla mia stupida speranza che sarei sopravvissuta, solo per non abbattermi».
«E allora perché hai accettato di venire? È quello che è appena successo».
Beatris si voltò a guardarlo e gli rivolse un luminoso sorriso, non uno di quelli precostruiti, ma un sincero e dolce sorriso. «Ero emozionata all'idea di venire qui con te» confessò e Reiner sentì un'altra volta nel petto il cuore tirare un paio di colpi più potenti del solito. Distolse lo sguardo, portandolo al lago davanti a sé e pregò che fosse buio abbastanza da nascondere il fatto che fosse arrossito. 
«Ne stiamo combinando un bel po', io e te» proseguì Beatris, tornando a guardare il lago. «Quando mi sono arruolata non credevo che avrei mai trovato un amico così, sto cercando di collezionare quanti più bei ricordi possibili. Quando morirò vorrei potermene andare sapendo di essere stata felice».
«È per questo che ti lanci sempre incontro a qualche pazzia senza pensarci troppo?»
Beatris affossò il volto tra le ginocchia e quella volta fu il suo turno di provare a nascondere il rossore dal volto. «Può darsi» mormorò, palesemente imbarazzata. 
«Tris, dimmi una cosa» sospirò Reiner. Aveva sempre avuto un dubbio su Beatris, ma i suoi sorrisi, il suo modo di fare sempre gioviale ed euforico, il suo comportarsi sempre come se fosse felice anche di fronte alla più grande delle avversità, l'avevano dissuaso dall'indagare. Era sempre stato convinto che fosse solo una sua impressione, ma ogni tanto lei ritirava fuori quel tipo di argomenti e allora il dubbio tornava a corroderlo dentro. E a rattristarlo. «Vuoi entrare nel corpo di ricerca perché stai cercando una scusa per morire?»
Un'altra persona sarebbe scattata, offesa probabilmente, invece Beatris esitò. Esitò fin troppo. «Cosa te lo fa pensare?» chiese, ma era palese quanto si vergognasse di essere uscita allo scoperto. 
«I tuoi sorrisi ingannano, fanno credere che tu sia la persona più felice di questo mondo... lo fai apposta, non è vero? Cerchi di ingannarci».
E Beatris affossò ancora di più il volto tra le ginocchia, nascondendosi completamente al loro interno. Non rispose e Reiner continuò, sapendo ora di essere sulla strada giusta: «Shadis l'ha scoperto subito, per questo ti ha punita e si è irritato tanto. Il corpo soldati non accetta membri suicida, ma cerca eroi. Noi eravamo troppo concentrati su noi stessi e a fare bella impressione per accorgercene, ma è stato evidente fin da subito. "Meglio io che qualcun altro". È questo che hai detto» ricordò e Beatris ancora non rispose, nascosta tra le propria ginocchia. 
«Vuoi morire sacrificandoti per qualcun altro... perché?»
«Che cos'ho da perdere?» la sentì mormorare con un filo di voce. Era nascosta nel suo guscio, non poteva vederla in volto, ma era certo che anche quello fosse un modo per proteggersi come i suoi finti sorrisi felici. Non voleva mostrare il proprio dolore, a nessuno e forse benché meno a se stessa.
«I tuoi amici. Perderesti loro» le rispose Reiner.
«Appunto. Eren, Mikasa e Armin vogliono entrare nel corpo di ricerca, perderò anche loro... così non mi resterà più niente».
«Sai di non essere all'altezza, a cose normali non ti saresti mai arruolata, lo hai fatto solo per restare insieme a loro. Ma consapevole della tua debolezza, sai che non durerai un minuto di più là fuori, o almeno questo è quello che credi».
«Non sono in grado di fare il soldato, io non sono come voi. Se resto dentro le mura morirò di dolore, se vado fuori morirò per mano dei giganti, ma se riesco a farmi mangiare al posto di uno di voi... quello sarebbe un bel modo per andarmene» alzò gli occhi, ma solo un po', il giusto per riuscire a tornare a guardare il lago. «Meglio io che qualcun altro» ripeté.
«Qui dentro nessuno ti prende sul serio, eppure hai di questi terribili pensieri» sospirò Reiner. «Sei riuscita a ingannare persino Mikasa».
«No, non è vero» nonostante Reiner potesse vedere di Beatris solo gli occhi, riuscì a scorgere in loro qualcosa di simile a un sorriso. «Lei lo sa, anche Armin e Eren lo sanno. È per questo che insistono tanto sul fatto che devo darmi da fare. Eren non fa che sgridarmi, Mikasa cerca di proteggermi e Armin fa di tutto per rassicurarmi e convincermi a provarci. Li sto stremando. Penso stiano cominciando a odiarmi».
«Non ti odiano» disse Reiner con sicurezza, e Beatris non riuscì a trattenere un risolino. «Come fai a dirlo?»
«Perché io ti conosco da molto meno di loro, ultimamente sono quello che si preoccupa maggiormente per te, eppure non ti odio. Perciò è improbabile che lo facciano loro» era stata una frase pensata e detta contemporaneamente, senza darsi tempo di rifletterci sopra, ed era risultata nuova persino per lui. Se ne sorprese, tanto che si ritrovò lui stesso a tentennare di fronte a quanto appena scoperto. Lui non la odiava. Beatris era un demone di Paradis, uno di quelli che fin da bambino gli avevano detto che incarnavano il male, una di quelle persone che fin da bambino aveva imparato a odiare ed era stato addestrato solo con l'obiettivo di ucciderli. Beatris era una di loro, eppure non la odiava. Non la odiava nemmeno un po', ma anzi... sapere che sarebbe morta, sapere che lei voleva morire o che lui avrebbe dovuto ucciderla un giorno, lo feriva. Ripensare a Annie fu inevitabile, lei glielo aveva detto che avrebbe rischiato di affezionarsi e lui le aveva assicurato che non sarebbe mai successo. Beatris doveva essere solo uno strumento, da usare e poi gettare via. L'aveva protetta, all'inizio, solo perché così aveva potuto dimostrare di essere gentile e altruista, solo per conquistarsi la fiducia degli altri ma ora... desiderava proteggerla. Desiderava proteggerla davvero. 
Quando aveva iniziato a provare quei sentimenti? 
«Io un po' ti odio, invece» mormorò Beatris e aggiungendo sorpresa alla sorpresa Reiner sentì una freccia trafiggergli il cuore. La cosa davvero lo feriva? Ma cosa gli stava succedendo?! 
Si voltò a guardare Beatris e si sorprese di vederla totalmente a volto scoperto, uscita dal suo guscio, che guardava il lago di fronte a sé con un'espressione raddolcita. Era tirata in un lieve sorriso, dolce, come se si trovasse di fronte a qualcosa che amava con tutta se stessa.
«Perché?» mormorò Reiner, confuso più per ciò che stava provando in quel momento che per la frase in sé. Per quanto lei cercasse di nasconderlo, questa volta riuscì a vedergliele le guance che lievemente andavano colorandosi di rosso. 
«Perché adesso non sono più tanto sicura che non avrei niente da perdere».
Lui. Se fosse morta alla prima occasione, avrebbe perso lui, e questo la affliggeva talmente tanto che solo ora, ormai a cose fatte, stava cominciando a porsi il dubbio se avesse veramente voluto morire. Ormai si era arruolata, ormai aveva iniziato a percorrere la strada che l'avrebbe portata ad affrontare i giganti faccia a faccia, e con voti pessimi come i suoi non poteva nemmeno sperare di riuscire a finire nella gendarmeria al sicuro e magari al fianco di Reiner. E non era nemmeno sicura di volerlo fare. Era in preda alla confusione, fino a poco tempo prima non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stato il suo destino, ma ora cominciava a farlo. Era tutto così confuso che negli ultimi tempi era andata avanti quasi meccanicamente, senza più riuscire a mettere emozione in quello che faceva. Da quando erano tornati dalle montagne, Beatris si era rabbuiata sempre più, aveva perso ogni spirito combattivo. Reiner aveva pensato che fosse colpa della sua autocommiserazione, della depressione che la inghiottiva nel vedersi sempre ultima della classe, dei sensi di colpa perché aveva sempre bisogno di essere salvata, ma si era sbagliato... Beatris aveva perso ogni motivazione a causa sua. Ciò che l'aveva spinta a dare il massimo all'inizio, il suo desiderio di arruolarsi per morire in cambio della vita di uno dei suoi amici, l'aveva perso completamente perché adesso non era più sicura di voler morire. Lei non voleva farlo, per questo aveva cominciato a blaterare di lasciare l'accademia. 
«Resta con me» mormorò Reiner sovrappensiero. Beatris sussultò tanto che un singhiozzo le risuonò in gola. Si voltò a guardare Reiner con gli occhi spalancati e il volto talmente rosso per la vergogna che avrebbe potuto prendere fuoco a momenti. 
«Eh?!» chiese, spingendo il busto il più distante possibile da lui, terrorizzata da chissà che cosa. Ma Reiner sorrise entusiasta, si lanciò in avanti e afferrò la mano di Beatris. 
«È la tua forza, Tris! L'ho trovata!»
«Cosa...?» mormorò lei, ancora in preda alla confusione. 
«La forza che ti serve per riuscire a superare la paura, per smettere di paralizzarti. Non vuoi morire, giusto? Vuoi continuare a vivere, per passare insieme momenti come questi, per poter continuare a essere mia amica, non è così? Pensa a questo, allora! Pensa che vuoi restare con me».
Beatris sentì il respiro restarle bloccato in gola, incapace di uscire, le fece dopo un po' girare la testa. Tremò e sentì il cuore nel petto essere ben intenzionato a uscirle dalla cassa toracica, talmente tanto stava colpendo contro le costole. Un'emozione come quella era mai riuscita a provarla prima? Era qualcosa di assolutamente nuovo e assolutamente distruttivo, riusciva ad abbattere qualsiasi cosa... persino la paura.
«Può funzionare?» chiese Reiner, abbandonando pian piano l'entusiasmo dell'idea. Ma non la convinzione che fosse la via giusta da percorrere.
Lasciò andare la mano di Beatris e lei sentì improvvisamente freddo. Avere la mani nelle sue era qualcosa di cui, solo ora se ne rendeva conto, sentiva quasi di aver bisogno per poter stare bene. Il cuore non sembrò essere intenziono a rallentare, ma il respiro pian piano tornò a scorrergli in gola e portare ossigeno al cervello. Esitò, a lungo, forse fin troppo, facendo preoccupare Reiner. Forse aveva detto un'idiozia?
A ripensarci, era sicuramente un’idiozia. Cosa gli era saltato in mente? Essere lui la sua ragione di vita... con quale naturalezza glielo aveva proposto? Era ridicolo, e imbarazzante come niente prima d'ora. Più ci pensava e più si rendeva conto di quanto fosse ambiguo, di quanto fosse inappropriato, e cominciò a odiarsi per averlo anche solo pensato. 
Ma poi Beatris sorrise di uno dei suoi sorrisi più sinceri e con le guance ancora colorate di rosso, infine, disse: «Sì, credo possa funzionare».
Reiner la guardò per qualche istante, cogliendo ogni sfumatura, cercando di memorizzare ogni dettaglio di quel volto e di quello sguardo palesemente emozionato. Si raddrizzò e tornò infine a guardare il lago davanti a sé, pensieroso, e incapace di smettere di arrossire. Era stato stupido, più che in situazioni normali, perché continuava a dimenticarsene. Continuava a dimenticarsi che lui era stato mandato lì per ucciderli... per uccidere persino lei. Non faceva che ripeterselo, cercare di ridare una direzione alla sua vita, ma ormai, per quanto avesse provato a ignorare il problema, ora non poté che schiantarcisi contro. 
«Tris» mormorò dopo qualche minuto. «Io vorrei che tu viva il più a lungo possibile» ed era dannatamente vero. Avrebbe accettatto di uccidere chiunque, avrebbe accettato di uccidere persino Eren, così come aveva accettato di sterminare tutta la popolazione di Shiganshina e condannare a morte la maggior parte del popolo del Wall Maria. Aveva le mani sporche di sangue ed era pronto a farlo ancora, era un guerriero di Marley, il migliore, e la sua fede verso la patria superava qualsiasi sentimento e senso di colpa. Li aveva schiacciati come formiche, non gli era interessato, e non gli sarebbe importato di farlo ancora.
Ma non lei. Per qualche assurdo motivo, avrebbe voluto davvero che lei avesse vissuto il più a lungo possibile. Non per forza al suo fianco, ovunque in quel mondo, ma in pace, felice, senza nessuno a minacciarla. Avrebbe davvero voluto proteggerla da qualsiasi cosa... persino da se stesso. Forse soprattutto da se stesso. 
«Va bene» la sentì rispondere e quasi se ne sorprese. Non avrebbe mai pensato che lei prendesse così sul serio la sua frase. Ma la vide improvvisamente carica di una nuova determinazione. «Cercherò di vivere il più possibile. Te lo prometto» e sorrise di quel suo sorriso candido che tanto rapiva il cuore. Gli fu impossibile trattenersi dal ricambiare, una nuova e bizzarra felicità gli solleticava il petto. Distolse lo sguardo dopo qualche istante, puntandolo di nuovo al cielo, con la consapevolezza che Beatris invece ancora lo stava guardando. E per qualche motivo la cosa gli piaceva. Avere i suoi occhi addosso, era come se ne venisse accarezzato. Gli distendeva i muscoli, gli rilassava l'anima, riusciva a scacciare via qualsiasi ombra... qualsiasi incubo. 
Era veramente qualcosa di magico.
«Me la ricanteresti quella canzone?» chiese sovrappensiero. Erano passati anni, la ricordava a malapena, ma sapeva quanto fosse stata capace di dargli sogni tranquilli. Lo aveva fatto a lungo, per giorni, settimane, aveva continuato a sentirla nella sua testa.
«Eh?» chiese Beatris, tornando ad arrossire per la vergogna. Non aveva mai cantato per nessuno se non per sua sorella, e anche in quell'occasione l'aveva fatto solo perché lei glielo chiedeva. Non si sentiva a suo agio a cantare, si vergognava spaventosamente e rievocava terribili sensazioni. Sua madre cantava sempre, quando era piccola.
«Quella che cantasti a tua sorella nella cattedrale. Mi era piaciuta molto».
«Ti era... piaciuto sentirmi cantare?» balbettò lei, in preda all'imbarazzo. 
«Beh, sai...» mormorò Reiner e si grattò il mento nervosamente con un dito. «Dormivano o piangevano tutti, lì dentro. Si riusciva a sentire solo te, è normale che ti abbia sentito» cercò di giustificarsi, ancora troppo imbarazzato nell'ammettere che era rimasto per qualche strano motivo molto colpito da lei fin da quel primo incontro. 
«Mi dispiace» disse Beatris con un filo di voce. «Purtroppo non riesco a ricordarmela». E lo sguardo tornò ad abbassarsi, fino a raggiungere la punta dei propri piedi, ignorando stelle, cielo e tutto ciò che di bello aveva attorno. Un'ombra sembrava stesse per inglobarla. Non fu difficile capirne il motivo... non aveva fatto altro che ripetere che non avesse niente, se non Mikasa, Eren e Armin. Non si sarebbe mai arruolata, se avesse avuto ancora Rose da proteggere.
«Mi dispiace molto per tua sorella» confessò Reiner. Avrebbe preferito continuare a ignorare la cosa, fingere di non aver capito che Rose era morta per non ferirla, per non costringerla a parlarne ad alta voce, ma sentiva di doverlo fare. Chiedere scusa. Lui, soprattutto lui, doveva farlo. «E mi dispiace molto per i tuoi genitori». Una morsa gli chiuse lo stomaco e fu lancinante, molto più del previsto. Il dolore gli arrivò fino al cervello, offuscandoglielo addirittura per qualche istante. Si irrigidì e tirò indietro le gambe, incrociandole tra loro, raddrizzando la schiena. 
«È stata colpa mia» confessò Beatris. Riuscì a farlo, per la prima volta dopo anni riuscì a parlarne e confessare ciò che aveva dentro. Con Reiner era più facile di quanto si aspettasse. «Mamma è morta per proteggere me, perché di fronte ai giganti io mi ero paralizzata dalla paura. Mia sorella è rimasta gravemente ferita dall'assalto a Shiganshina e io non sono poi stata abbastanza forte da proteggere lei. Le cure sono molto costose, soprattutto quando sei una bambina orfana in una terra che non conosci. Rimpiango solo di non essere riuscita a riavere indietro il suo pupazzo preferito, Kitty, prima che morisse. Mi disse che se lui fosse stato vicino a lei, allora sarebbe guarita... sono stupida a pensarlo, ma forse aveva ragione. Avrei dovuto trovare il modo di...» si interruppe sentendo un singulto provenire da Reiner. Si voltò a guardarlo e lo trovò improvvisamente strano: era rigido, teso come una corda di violino, i muscoli contratti tanto da far risaltare le venature sul braccio, l'espressione corrucciata in una che sembrava mista tra la rabbia e il dolore, gli occhi puntati davanti a sé, spalancati, ed era madido di sudore. 
«Reiner» mormorò, avvicinandosi a lui, preoccupata. Gli posò una mano sulla spalla e quello parve destarlo, ma non aiutarlo a sciogliersi. «Che hai?» gli chiese, sporgendosi per cercare il suo volto. Reiner si voltò dall'altro lato, negandogli il contatto visivo. 
«Niente» disse, meno teso, ma non meno nervoso. «Odio i giganti e ciò che hanno fatto».
Suonava più come una scusa, ma Beatris riuscì a crederci comunque. Era giustificabile, ai suoi occhi, visto che anche lui aveva perso la sua casa a causa dei giganti. O almeno questo era ciò che aveva raccontato. 
«Già» mormorò. «Li odio anche io» e non poté vedere l'espressione di Reiner che ancora una volta si corrucciava tanto da costringerlo a chiudere gli occhi e sentire i denti scricchiolare dentro la bocca. Non poté vederlo, ma riuscì ancora a sentire la rigidità dei suoi muscoli sotto al tocco della sua mano, e poté percepirlo tremare. Inoltre, non sembrava essere intenzionato né a guardarla più né a rivolgerle la parola. Qualsiasi cosa fosse successo, era qualcosa che lo stava portando a soffrire molto e lei sentì il bisogno di fare qualcosa per aiutarlo. Abbassò lo sguardo, triste nel vederlo in quelle condizioni, e imbarazzata per l'idea che le stava balenando in testa. Quando Rose stava male, sentirla cantare l'aiutava a stare meglio. Reiner aveva detto inoltre che gli era piaciuto sentirla cantare... non poteva andare male. Anche se odiava doverlo fare, anche se moriva dalla vergogna, ma poteva essere una buona idea. Con voce strozzata, flebile, cominciò a cantilenare una melodia senza parole. Si sentì stupida, ma riuscì a percepire sotto al tocco della sua mano i muscoli di Reiner che piano piano si rilassavano e si distendevano. Le diede il coraggio di proseguire. Aggiunse le parole e provò ad alzare un pochino la voce. Cantò delicata come una pioggerella di primavera su delle foglie. Non era la stessa canzone che aveva cantato a sua sorella, ma riuscì ad avere lo stesso effetto incredibile. Forse, addirittura, riuscì a distenderlo ancora di più, consapevole che quello non sarebbe stato un ricordo rubato. Quella canzone era per lui, solo per lui, per curare il suo dolore. 
Reiner tirò un sospiro e si distese. Chinò la testa, si rilassò per quanto potesse rilassarsi seduto per terra, e arrivò persino a socchiudere gli occhi. Avrebbe voluto addormentarsi lì. In quel preciso istante. Sapeva che se l'avesse fatto, non avrebbe avuto incubi. 
Invece furono costretti a rientrare, a tornare ognuno nel proprio letto, e solo, nell'oscurità, non bastò il ricordo della voce di Beatris a dargli pace. Sognò un gigante corazzato che non era lui corrergli incontro. Sognò di non riuscire a muoversi. Sognò di venirne schiacciato, e per tutta la notte non fece che risvegliarsi, più e più volte, in preda al terrore.


Nda.


Resta con me *-* 
Quanta dolcezza! E Tris che è arrossita anche fin troppo! Eheheh Vabbé, non ho molto altro da dire su questo capitolo. Sono stati amici fino a questo momento, con qualche strano motivo che li spingeva a legarsi, ma questa è stata la prima volta che si accenna a un eventuale romanticismo. Con l’angst finale su un Reiner addolorato per ciò che ha fatto… e proprio su questo sentimento vi lascio la canzone di oggi!


Questa più delle altre mi è piaciuta da impazzire, ogni frase sembra parlare di Reiner, dei suoi sentimenti contrastanti su ciò che sa che deve fare e i suoi primi dubbi, il desiderio di tornare a casa, i sensi di colpa che iniziano a farsi strada in lui (soprattutto verso Beatris, consapevole che è lui la causa della morte della sua famiglia), e con quel ritmo arrabbiato e amaro... VI PREGO ASCOLTATELA! È eccezionale! A me sono venuti i brividi e ho quasi pianto T_T
Dura 8 minuti, è vero, ma cercate di arrivare alla fine perché soprattutto le ultime parole sono da lacrime T___T (per aiutarvi vi dico che dal minuto 4.30 circa fino a al 7.20 c’è una parte solo strumentale che se non avete voglia potete saltare)


Vi do appuntamento alla prossima :3
Ciao!

https://www.youtube.com/watch?v=YjAA531LlyM&ab_channel=WithYouImFeelinGood


EFP non mi fa mettere altro che un link che oltretutto non è cliccabile, perciò se non avete modo di fare copia e incolla su google vi do direttamente il titolo: M.I.A. degli Avenged Sevenfold. Su youtube trovate anche il video con la traduzione a schermo, se vi serve. Ascoltatela, davvero :P
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Ray Wings