Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ray Wings    27/06/2021    0 recensioni
Il boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile. Poi quel pupazzo, stretto tra le mani di sua sorella Rose, che saltava via. Scivolato a terra. Lei era stupidamente tornata indietro per riprenderlo, e allora l'aveva visto... imponente, massiccio, corazzato. Il gigante correva, distruggendo tutto ciò che incontrava, puntando dritto al Wall Maria, puntando dritto a lei, immobile. Paralizzata. Aveva ascoltato il suo ruggito un istante prima che venisse schiacciata... ma non lo faceva mai. Non in quell'incubo. Lei puntualmente si svegliava un istante prima di morire, madida di sudore, tremante come una foglia.
«Bea...».
«Mikasa... scusami, ti ho svegliata».
«Hai di nuovo sognato Shiganshina?»
«Era da un po' che non lo facevo».
«Reiner ti sta stancando troppo con questa storia degli allenamenti extra. Domani gli parlerò, deve lasciarti in pace».
Già, Reiner ci teneva così tanto che lei diventasse più forte... chissà perché l'aveva presa così a cuore.
ALLERTA SPOILER PER CHI NON HA LETTO IL MANGA! Io ho avvertito :P
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio, Reiner Braun
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il cortile era più vivo che mai. Erano passati mesi dal loro ingresso in accademia e ormai le loro conoscenze in fatto di combattimento corpo a corpo cominciavano a prendere forma, non serviva altro che esercitazione, esercitazione e ancora esercitazione. Così, nel calendario accademico, era previsto che almeno tre pomeriggi a settimana li passassero nell'esercitare l'arte del combattimento corpo a corpo. A mani nude, con armi, erano step sempre successivi. Ciò che contava era la prestanza fisica e lo sviluppo della tecnica, lottando a coppia tra di loro. Ognuno stava sviluppando una propria capacità, sfruttando le proprie abilità innate. Sasha era molto agile e con ottimi riflessi, Annie era più portata per le prese e l’uso dei calci, Reiner era mera forza fisica, Jean sfruttava sempre la situazione a suo vantaggio, Mikasa... Mikasa decimava tutti senza esclusione di colpi. Sembrava non avere alcun punto debole, era strepitosa e a tratti terrificante. Connie non era ancora granché bravo, si affidava troppo nel rendere spettacolari le sue mosse e finiva con l'essere poco funzionale. E infine c'erano Armin e Beatris... che spesso sgattaiolavano da un compagno a un altro, pregando di non essere intercettati e non venir coinvolti.
Quel pomeriggio erano riusciti con una scusa a fermarsi in un angolo, uno di fianco all'altro, seduti a terra, guardavano passivamente il resto dei loro compagni schivare colpi e tentare di stendere l'altro. 
«Oggi fa particolarmente caldo» mormorò Beatris, stretta nelle sue ginocchia.
«Già... forse è per questo che non siamo molto in forma».
«Già, dev'essere colpa del caldo».
Ed entrambi, dopo infiniti secondi di riflessione, sospirarono affranti. Erano veramente pessimi a inventare scuse, persino a loro stessi. La verità era solo che, chiunque provassero a sfidare, finivano sempre con il venir stesi e ogni volta era un livido in più da aggiungere alla lista. Negati, assolutamente negati. 
«Armin...» mormorò Beatris. «Secondo te riusciremo mai a diplomarci?»
«Chissà» sospirò Armin, immobile al suo fianco.
«Certo non riuscirai mai a farlo se resti lì a battere la fiacca» la voce di Reiner la costrinse ad alzare gli occhi. Lo guardò, mentre si avvicinava con un finto coltello di legno in mano, e d'improvviso cominciò a sudare freddo. Si contrasse, allungò le gambe davanti a sé, si strinse la spalla destra e lanciò un plateale urlo dolorante: «Il mio strappo muscolare oggi non mi da tregua!»
«Gli strappi muscolari vengono ai muscoli, non alle articolazioni!» la rimproverò Reiner, ormai di fronte a lei. 
«Ci sono muscoli anche nella spalla, lo sai!» lo rimproverò Beatris, ma Reiner restò inflessibile. Fece volteggiare il coltello di legno per aria, lo afferrò dalla punta e porse il manico a lei. «Dai, non costringermi a usare la forza».
«Oggi non mi sento molto bene» mormorò lei, sperando di essere convincente. 
«Sei terribile a inventare scuse, lo sai! Alzati».
E ormai arresa, sapendo che non avrebbe ottenuta alcuna compassione né comprensione, si alzò in piedi. Prese il coltello dalla parte del manico e si voltò verso Armin. Gli fece un cenno del capo: «Andiamo, Armin» disse arrendevole.
L'amico aveva già cominciato ad alzarsi quando Reiner disse: «Non questa volta! Siete alla pari, voi due, questo non vi porterà alcun miglioramento. Oggi si va con il livello avanzato».
«Eh?!» sussultò Beatris, vedendo Reiner già mettersi in posizione per riceverla. 
«Non contro di te, spero!» disse lei, ma Reiner restò immobile nella sua posizione. 
«Non farti aspettare troppo, o farò io la prima mossa».
«Reiner...» mormorò lei, afferrando il coltello con entrambe le mani. Stava visibilmente tremando. «Per favore, vacci piano, ok? Sei troppo forte per me...»
«Non voglio farti del male, Tris. Prometto non ti farò niente, se non deviare i tuoi colpi» e le fece cenno con la mano di procedere. Beatris tirò un lungo sospiro raccoglitore e infine impugnò l'arma decisa. Armin si alzò da terra, di fianco a loro, e come colto da un brutto presentimento si spostò cercando un altro luogo dove andare a rifugiarsi. Beatris, alle sue spalle, iniziò il suo assalto. Urlando per darsi carica, cercò di colpire Reiner in pieno ventre con la punta del coltello, ma fu troppo lenta e troppo fiacca. Reiner la schivò e la colpì dietro la schiena per farle perdere l'equilibrio e buttarla a terra. 
Beatris lanciò un urlo dolorante, mentre inarcava la schiena e cadeva a terra.
«Avevi detto che non mi avresti fatto male!»
«Ci sono andato piano, cerca di sopportare. Sono doloretti minuscoli».
«Tu non ti rendi conto della forza che hai, invece» mormorò lei, irritata. «E comunque hai visto? È stato inutile».
«No, che non lo è stato. Intanto ti sei alzata da terra» le sorrise Reiner e le porse una mano, per aiutarsi a rialzarsi. Beatris, per quanto si sentisse offesa e tradita, accettò comunque l'aiuto dell'amico e si rimise in piedi.
«Quante altre botte dovrai darmi prima che io possa riuscire a combinare qualcosa di buono?»
«Quando smetterai di piangerti addosso e inizierai a fare sul serio».
«Ci ho provato Reiner, davvero» sospirò Beatris e si accasciò su se stessa. Si voltò e cercò con lo sguardo Mikasa, in mezzo alla mischia di combattenti. Come gli altri giorni, continuava a mietere vittime senza sosta e non sembrava nemmeno troppo affaticata. 
«A lei viene praticamente naturale».
«Mikasa è un mostro fuori portata, non puoi certo paragonarti a lei».
Beatris spostò gli occhi ancora lungo il campo, fino a trovare Annie che in quel momento si allontanava dopo aver steso Eren. 
«E lei? Anche lei sembra perfettamente a suo agio» mormorò.
«Sì, anche Annie fa venire abbastanza i brividi» e stranamente persino lui si ritrovò a tremare di fronte all'idea di doversi fronteggiare con Annie. 
«Anche tu, e Jean, Bertholdt, persino Sasha e Connie. Io non sono cresciuta sulle strade, ho avuto una vita abbastanza facile prima della distruzione di Shiganshina... e dopo c'è sempre stata Mikasa ad aiutarmi. Non so fare niente» sospirò, abbattuta.
«Io so qual è il tuo problema, Tris» Reiner le si avvicinò e si appoggiò alla staccionata alle sue spalle, guardando il gruppo di persone che avevano davanti. 
«E qual è?» chiese lei, curiosa, come se saperlo da lui avrebbe davvero risolto tutti i suoi problemi. Reiner ci rifletté qualche istante, poi improvvisamente si voltò verso di lei e fece per attaccarla con il coltello finto che ancora teneva in mano. Un attacco improvviso, inaspettato, che portarono Reiner a sovrastare totalmente Beatris. Ma lei restò immobile, paralizzata, rigida come un tronco d'albero. Si limitò a lasciar uscire un lamento dalla gola e spalancare gli occhi, terrorizzata, ma non fece un solo movimento. Reiner non la colpì veramente, ma si fermò un istante prima di farle del male e rimase qualche secondo a guardarla, in silenzio. Infine, la colpì delicatamente in fronte con la punta del coltello di legno. 
«È la paura» le disse, allontanandosi di un passo. «Ti paralizzi di fronte alle cose che ti spaventano. Lo stai facendo anche adesso. Quando hai cominciato l'addestramento, mesi fa, eri carica di aspettative e piena di energie. Hai sorriso a Shadis, il primo giorno, ricordi?»
«La cosa non gli è piaciuta molto» sospirò lei.
«Sì, ma hai continuato a farlo. Tutte le mattine. Non hai mai smesso di correre in giro, entusiasta, da un esercizio a un altro».
«Che fallivo miseramente» sospirò ancora.
«E la sera rientravi nel dormitorio con la coda tra le gambe, ma ho sentito Ymir brontolare che non riesce mai a dormire perché non fai che parlare con Mikasa e Christa fino a notte fonda. O almeno, questo succedeva fino a poco tempo. Io stesso faticavo a starti dietro, mi facevi arrivare a sera distrutto».
«Non dare la colpa a me per i tuoi esercizi, cerchi sempre di fare di più di ciò che ti chiedono gli istruttori, non è colpa mia se ti stanchi» si imbronciò.
«Non parlo della stanchezza fisica, lo sai» e le diede un altro colpetto con la punta del coltello alla fronte, anche se molto leggero, tanto da essere quasi un tocco affettuoso. Sospirò, platealmente. «Ho perso il conto delle volte che sono finito nei guai a causa tua».
«Io... non c'entro» mormorò lei, rossa in volto. Sapeva di essere colpevole, aveva perso il conto delle volte che aveva avuto qualche folle idea e Reiner era stato costretto a correre in suo soccorso. Ma aveva sempre chiesto scusa, non bastava quello ad espiare le sue colpe?
Reiner sogghignò. «Vogliamo parlare dell'alveare?»
Beatris sussultò e, se possibile, arrossì ancora di più. «Pensavo fosse disabitato! Sasha sarebbe impazzita di felicità se le avessi portato quel miele, volevo solo fare qualcosa di carino per lei».
«Durante un esercitazione col movimento tridimensionale?»
«Quando avrei avuto occasione di tornarci, altrimenti?»
«Sei stata disposta a lasciar perdere il tuo addestramento per fare un regalo a un'amica?»
«Avrei... recuperato dopo» mormorò.
«Meno male sono riuscito a vederti prima che facessi follie, altrimenti quelle api ti avrebbero massacrata».
«E invece hanno massacrato te» si abbatté lei, prima di aggiungere, speranzosa: «Però poi sono venuta ad aiutarti a curare le punture, per scusarmi».
«Santo cielo, Tris» sospirò Reiner, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere divertito da quel ricordo. «Sei entrata nel dormitorio maschile dopo il suono della campana e non hai nemmeno bussato! Jean era praticamente in mutande e hai rischiato di prenderti un'altra strigliata da Shadis, se solo ti avesse scoperto».
«Non mi sono accorta di Jean» confessò lei candidamente e ancora Reiner sospirò, rassegnato ma divertito. «Lo so, eri troppo concentrata a togliermi i pungiglioni dalla schiena».
«Volevo scusarmi» mormorò, sempre più rattristata sentendosi spiattellare davanti tutte quelle colpe. Lei lo faceva sempre con innocenza, le balenava in mente qualcosa, lo faceva e puntualmente finiva nei guai o metteva nei guai gli altri. Anche prima dell'accademia era stato così, Mikasa non aveva mai fatto altro che rincorrerla ed evitare che si facesse del male. Ora la responsabilità della sua salute se l'era indirettamente divisa con Reiner, che chissà per quale motivo l'aveva presa sotto la sua ala, e Mikasa poteva concentrarsi un po' più su se stessa e su Eren. Ma Reiner non era bravo come Mikasa ad evitare i guai, ne veniva anzi trascinato a fondo insieme a Beatris, e puntualmente se ne prendeva la responsabilità. Si sentiva come una bambina che aveva bisogno della balia, era così triste... eppure non aveva voluto mai altro, nella vita, che imparare ad essere migliore. «Sei stato persino costretto a dover chiedere tu scusa a Shadis per entrambi, quando ci ha sgridati, e sei finito in punizione insieme a me... un'altra volta».
«Perché non fai che paralizzarti. Di fronte a Shadis smetti persino di respirare, non sai mai cosa inventarti. Faccio solo quello che credo giusto».
Beatris sospirò e si appoggiò alla staccionata di fianco a lui. «Ti sei sempre fatto carico delle mie responsabilità, da quando siamo qui dentro, perché io non sono mai riuscita a farlo. Qualcun altro avrebbe pensato che sono davvero stupida».
«Ma io lo penso» disse repentino Reiner e Beatris sussultò, fulminandolo: «Cosa?! E perché sei mio amico, allora?!»
«Perché...» e qualcosa di strano e invisibile sembrò disegnarsi di fronte agli occhi di Reiner. Era come se avesse appena catturato un ricordo o un pensiero, come una farfalla, a mani nude, e non era intenzionato a lasciarlo andare tanto facilmente. C'era qualcosa di caldo, di felice, nel suo sguardo. Una malinconia avvolgente e infine decise di confessare quel crimine che da mesi aveva tenuto per sé. 
«Perché ti ho sentita cantare» disse sorridendo dolcemente. 
«Eh?» mormorò Beatris, arrossendo lievemente. Quando l'aveva sentita? Di cosa parlava?
«Alla cattedrale per gli sfollati, nel distretto di Trost, pochi giorni dopo l'abbattimento del Wall Maria» e Beatris spalancò gli occhi, prima di chiedere: «Tu eri lì?»
Reiner si ritrovò a sghignazzare, divertito. Lui se l'era ricordata molto bene, aveva ricordato persino il particolare del suo calzino trasformato a pupazzo, il nome di sua sorella, e il colore delle sue scarpe. Se l'era ricordata come fosse stata una fotografia, mentre lei, che l'aveva calpestato, neanche ricordava di averlo incrociato. 
«Hai portato del pane ai tuoi amici, un pezzo anche a tua sorella, e tu non hai voluto mangiare. Poi hai cantato una canzone per la piccola Rose, sei riuscita a farla addormentare, e in mezzo a tutta quella disperazione e quel gelo sei riuscita a riscaldare più di un cuore».
«Rose...» mormorò Beatris, prima di corrucciarsi e tirare un pugno sul fianco di Reiner. «Che cazzo sei? Un cazzo di stalker? Maniaco psicopatico!» gli ruggì contro.
«Non ti ho stalkerata!» Sobbalzò Reiner, più per l’imbarazzo dell’accusa che per il dolore del colpo al fianco.
«Ricordi persino il nome di mia sorella! Dove l'hai sentito? Eh?!» e gli tirò un altro cazzotto, questa volta abbastanza potente da fargli persino male. «Ti ho sentito che la chiamavi, hai una voce bella squillante! Credimi, è stata una bella sorpresa anche per me quando ti ho rivista qui qualche mese fa».
«Perché non mi hai detto subito che mi conoscevi? Adesso mi sento stupida!»
«Mai quanto mi sarei sentito io nel dirti che mi ricordavo di te e della tua canzone. E comunque mi ricordavo di te perché mi calpestasti, tu e la tua imbranata coordinazione!»
«Ti ho calpestato?!» sussultò Beatris, spalancando gli occhi. Poi sospirò ancora, abbattuta: «Non faccio che crearti problemi da persino prima che ci conoscessimo, che disgrazia che sono».
«Ehy!» gridò uno dei capitani dall'altro lato del campo. «Vi siete riposati abbastanza voi due. Forza, riprendete!»
«Forse è così, sei stata una disgrazia» mormorò Reiner sollevandosi dalla staccionata e cominciando a far volteggiare il coltello davanti alla faccia. «O forse sei stata la persona giusta arrivata al momento giusto, questo non possiamo saperlo».
«La persona giusta per cosa? Per cantare una canzone?» disse, sarcastica e abbattuta. 
In verità, era certo che lei fosse la persona giusta ad essere sua amica lì dentro, vista la sua precaria situazione. Era perfetta: genuina, ingenua, e non troppo curiosa e impicciona. Reiner riusciva a portare avanti la sua vita da Guerriero in incognito senza problemi, e intanto, durante il giorno, vedendolo girare insieme a lei faceva anche una buona impressione nel resto dei suoi compag... no, non compagni. Nel resto di quelle persone. 
Ma non poteva dirglielo. Non poteva dirle la verità, non poteva dirle quanto lui avesse avuto bisogno di quella canzone quel giorno di quasi tre anni addietro. La ricordava ancora, ogni tanto ripensava alla sua voce prima di addormentarsi, e come un incantesimo questo gli permetteva di non fare incubi. Di non sognare tutte quelle persone morte a Shiganshina, di non sognare Beatris in mezzo a loro mentre lui e Bertholdt uccidevano tutti, compresi i suoi genitori, di non sognare Marcel, di non sognare Marley e Liberio. 
Se si addormentava pensando alla sua canzone, lui riusciva incredibilmente a riposare con serenità. Non poteva dirglielo, non era riuscito a dirlo nemmeno a Bertholdt. Era qualcosa di suo, un segreto che avrebbe portato per sempre con sé, una vergogna forse, ma di cui si beava con dolcezza. Un Guerriero di Marley era stato ammansito dalla melodia di un demone, che con una semplicità disarmante era riuscita a penetrare oltre la corazza del suo gigante e colpire dritto al petto. Sarebbe stata una vergogna incurabile se fosse venuto allo scoperto.
«Chissà, magari è proprio di una canzone che qualcuno può aver bisogno ogni tanto» sorrise, mettendosi in posizione per provare ad attaccarla. «Il punto è un altro: io sono assolutamente certo, Tris, che tu sia forte come desideri esserlo e forse anche di più. La carica con cui sei partita all'inizio ne è una prova, tu non sei debole neanche un po', e quando vuoi riesci a tirarla fuori. Hai salvato me da April quando impazzì la prima volta e hai salvato Armin sulle montagne. Dentro te c'è quella forza, ne sono certo, devi solo smettere di avere paura e iniziare a muoverti».
Attaccò. Fu rapido, ma neanche troppo, per cercare di darle il tempo di reagire. Sapeva che il suo discorso avrebbe dovuto scuoterla un po', lei era genuina, più volte erano bastate poche parole per spronarla in qualcosa. Era certo che un minimo d'effetto le avesse fatto, eppure ancora lei non si mosse. Paralizzata. 
Strizzò gli occhi e si rannicchiò nelle spalle, come una bambina di fronte al più temibile degli incubi, e si sarebbe fatta colpire in pieno se Reiner non si fosse fermato prima. Sospirò, rattristato, e le diede un altro colpetto con la punta del coltello di legno sulla fronte, per destarla. 
«Come si fa a sconfiggere la paura, Reiner?» mormorò lei, riaprendo lentamente gli occhi. «Io non riesco a farlo. È possibile? Tu ci sei riuscito? Tu... hai paura di qualcosa?»
«Sì» sospirò Reiner. «Ho paura di tante cose, e anche io a volte temo di paralizzarmi per questo».
«E come l'hai sconfitta?»
«Non l'ho sconfitta» disse e Beatris spalancò gli occhi, se possibile, ancora di più. «È sempre lì, in ogni istante. Io... credo solo di aver trovato qualcosa di più forte a cui aggrapparmi e che possa trascinarmi in avanti».
«Qualcosa di più forte?» mormorò Beatris, inarcando le sopracciglia e cercando di riflettere sulla cosa. Reiner annuì e sorrise, dolcemente. «La troveremo insieme. Ti ho promesso che ti avrei aiutata, ricordi? Troveremo insieme il modo di tirare fuori la tua forza da dentro di te, va bene?»
E Beatris si illuminò come una bambina di fronte a un bellissimo giocattolo. Annuì vigorosamente e restò a fissare Reiner, come incantata, come se avesse potuto in quel preciso istante tirare fuori una bacchetta magica e compiere il miracolo. 
«Lasciamo perdere il combattimento con l'arma e facciamo qualche esercizio di tecnica?» propose lui e Beatris sospirò, sollevata. «Sì, ti prego, buttiamoci sulla teoria per un po'. Vederti scattare verso di me con quell'espressione omicida mi terrorizza, per oggi basta per favore».
«Espressione... omicida?» mormorò Reiner, sentendo un moto di tristezza farsi strada nel petto. Era stata solo una battuta, ne era consapevole, ma davvero aveva l'espressione omicida quando si lanciava in combattimento? Lui... era davvero un omicida?


Il tramonto ormai era quasi alla sua conclusione, presto avrebbe lasciato spazio alla luna e alle stelle. Anche quella giornata, come tutte quelle dei mesi precedenti, era stata stremante ma soddisfacente. Giorno dopo giorno, chi decideva di restare e non mollare, diventava sempre più forte, sempre più capace e questo bastava a dare la forza di sopportare la stanchezza. Erano tornati da un'esercitazione nei boschi, test di sopravvivenza, e non desideravano niente se non un pasto caldo e il morbido letto a confortare i muscoli distrutti. Sgranchendosi le spalle indolenzite, Reiner camminava di fianco a Bertholdt e Connie e si stava dirigendo alla sala comune per la cena. Era stata una buona giornata, era riuscito a eseguire il test senza troppe difficoltà, arrivando ancora una volta tra i primi nella valutazione, e soprattutto Beatris sembrava essere stata più determinata del solito. Era arrivata ultima, subito dopo Armin, ma perlomeno ce l'aveva messa tutta e aveva smesso di autocommiserarsi. Il suo aiuto a qualcosa sembrava stesse servendo, da quando avevano parlato e soprattutto da quando aveva iniziato a dedicarle più tempo, costringendola ad allenamenti extra insieme a lui tutte le mattine, sembrava stesse migliorando sia di capacità ma soprattutto d'umore. Si stava rafforzando e questo riusciva a notarlo anche lei, anche se con tempi più lunghi rispetto ai loro compagni, ma l'aiutava a mettersi in testa che avrebbe potuto farcela anche lei. Si impegnava, e questo era abbastanza. Non era sempre felice quando lui mandava Mikasa a svegliarla prima la mattina, e il più delle volte si lamentava per il sonno e la stanchezza, ma non rifiutava mai di presentarsi o di non fare quello che lui le ordinava. Era come una bambina, andava tenuta per mano, era confusionaria e rumorosa, ma sembrava felice di provarci. O almeno, questo da quando lui aveva cominciato ad occuparsene personalmente. Forse lo faceva, ancora una volta, solo per compiacerlo e non perché ci credeva davvero, ma poco importava. Prima o poi lei avrebbe trovato la motivazione che stava cercando, e nel frattempo lui si sarebbe occupato di prepararla fisicamente. Era quello che gli riusciva di più. 
«Quanto ti invidio!» sentì esclamare Connie, di fianco a lui. E questo lo strappò via dai suoi pensieri. «Mh?» mormorò solamente, non riuscendo a capire di cosa stesse parlando.
«Sembra che niente possa abbatterti! Sei una roccia, non capisco come tu faccia» spiegò l'amico. «Anche oggi sei arrivato secondo, subito dopo Mikasa. Io sono arrivato ventiduesimo, che schiappa! E guardati ora! Tra i due sono io il più stanco, nonostante stamattina abbia dormito anche di più».
«È solo questione di resistenza, con un buon allenamento anche tu puoi riuscirci».
«Sembra che non ti fermi mai, mi chiedo quanto ancora durerai prima di crollare».
«Perché dovrei crollare?» sorrise di un sorriso imbarazzato. Credevano che stesse esagerando? 
«Magari trascinato a picco da qualche peso morto»  la voce di Annie anticipò il suo passaggio. Costrinse il gruppo a rallentare, per voltarsi e guardarla, attirati dalle sue parole. Annie gli passò davanti senza fermarsi, ma non passò oltre senza prima aver lanciato un'occhiataccia a Reiner. Non ci fu bisogno di aggiungere altro, lui riuscì a cogliere perfettamente il significato di quelle parole. Bertholdt aveva accettato di buon grado la sua idea di farsi degli amici tra quelle persone, così da non destare sospetti e infiltrarsi meglio, ma Annie invece non solo l'aveva rifiutata ma sembrava proprio ripudiarla. Si rifiutava di stringere legami con quelle persone, non parlava con nessuno, a malapena aveva accettato di scambiare un paio di parole con Eren per insegnargli alcune delle sue mosse, solo perché  si era sentita in qualche modo costretta. Insisteva nel volersene stare isolata, ma questo sembrava non bastarle. Le volte che loro due e Bertholdt avevano avuto modo di parlare da soli, confrontarsi sul procedimento della missione, Annie aveva espresso chiaramente il suo disaccordo riguardo al loro modo di fare. Non sopportava che si esponessero così tanto, trovava stupido provare a legarsi al nemico, col rischio addirittura di affezionarsi a loro... trovava stupido dedicare così tante energie per gente come quella. Per gente come Beatris. Avevano avuto una discussione accesa proprio poche sere prima, su quella faccenda. Annie era irritata dal fatto che la ragazza gironzolasse così tanto intorno a lui e Bertholdt, era decisamente troppo attaccata a loro, soprattutto a Reiner, c'era il rischio che prima o poi la loro copertura saltasse a causa sua. Ma soprattutto trovava inconcepibile il fatto che Reiner si esponesse così tanto, tutte le volte, solo per proteggerla e aiutarla. L'attacco dell'alveare, il furto della carne, le punizioni di Shadis e tutte le volte che per aiutarla aveva finito lui stesso con il rallentare. Aveva calato un po' i suoi voti, ultimamente, solo per restare al passo con Beatris e non lasciarla sola. Se non fosse arrivato tra i primi dieci, come si sarebbero potuti unire alla gendarmeria e indagare sul Re e il Gigante Fondatore?
Reiner aveva provato a dirle che non si sarebbe mai fatto rallentare da nessuno, nemmeno da Beatris, aveva provato a rincuorarla del fatto che aveva perfettamente tutto sotto controllo, e infatti quel pomeriggio stesso era arrivato per l'ennesima volta secondo alle prove. Ma Annie non pareva volersi fidare e quel suo atteggiamento ostile nei confronti del rapporto che Reiner stava coltivando con la ragazza era peggiorato smisuratamente quando lui era stato costretto a confessare che sulle montagne si era trasformato per riuscire a proteggere entrambi dalla valanga. E poi non lo aveva fatto quando avrebbe dovuto, per tornare indietro, lasciandola a morire. Aveva messo a rischio la missione, a rischio la sua stessa vita, per che cosa? No, Annie non riusciva proprio a tollerare quell'accanimento di Reiner per quella ragazzetta. Non che fosse l'unica, sia lui che Bertholdt non facevano che essere gentili e amichevoli con tutti, e lei non sopportava vederli così affiatati con tutti quei ragazzi. Una sera li aveva persino sentiti scherzare con Jean, promettersi a vicenda che sarebbero invecchiati insieme all'interno delle mura, era qualcosa che le faceva accapponare la pelle. Come riuscivano a essere così falsi? Senza alcun senso di colpa? Come potevano comportarsi come se fuori Paradis non esistesse niente? Come se fossero realmente felici di essere lì...
«Se ci si vuol rafforzare bisogna aumentare lo sforzo da sottoporre ai muscoli» le rispose Reiner, cupo in volto. «I pesi sono il miglior alleato di un guerriero in addestramento».
«Tch» sibilò Annie tra i denti, prima di voltarsi e allontanarsi.
«Eh?» gracchiò Connie. «Ma di che parlavate?»
«Lasciala perdere» mormorò Reiner. «È arrabbiata perché sono migliore di lei nelle prove fisiche».
«Però ti fa a pezzettini quando si tratta del combattimento corpo a corpo» sghignazzò Connie e Reiner si irrigidì in un'espressione frustrata e nervosa. 
«È incredibile, ha ragione» concordò Bertholdt «Ci vuole grande abilità ad abbattere una montagna come te».
«Non infierire!» ruggì Reiner e Connie, al suo fianco, scoppiò in una fragorosa risata. Entrarono in quel momento nella sala comune, già brulicante di gente, e si avviarono verso la cucina per prendere i loro vassoi. Cercarono poi un posto libero dove sedersi e ne trovarono un paio proprio allo stesso tavolo di Eren. Quando li raggiunsero, Armin era in pieno vigore mentre raccontava ai suoi compagni chissà quale grande storia.
«Ho letto che succede una volta ogni cinquant'anni!» esclamò, euforico. Eren, davanti a lui, lo ascoltò incuriosito ma senza dimostrare troppo entusiasmo. Mikasa al suo fianco era particolarmente passiva, ma sembrava essere interessata anche lei. Beatris, invece, aveva l'espressione spalancata e lo ascoltava assorta. Neanche si accorse di Bertholdt che le si sedette a fianco e di Reiner davanti a lui. 
«Che cosa succede una volta ogni cinquant'anni?» chiese quest'ultimo, curioso. 
«La luna che diventa rosa» spiegò Beatris, distrattamente.
«I raggi del sole sono inclinati in maniera del tutto particolare e con le giuste condizioni climatiche si può vedere la luna tingersi di rosa. L'ho letto su uno dei libri del nonno! Oltretutto stanotte c'è la luna piena, sarà uno spettacolo unico» spiegò Armin.
«Ma da qui non possiamo vederla, è nascosta dietro ai boschi» disse Mikasa e Armin sospirò: «Già, è un gran peccato».
«Possiamo andare al lago, da lì si vede bene» propose Beatris e Armin sussultò: «Non si può uscire dal campo la notte!»
«Ma...» iniziò a dire Beatris, ma intercettò lo sguardo di Mikasa proprio in quel momento. Le fece venire i brividi, sembrava essere pronta a saltarle al collo. Non doveva nemmeno azzardarsi a pensarci, sarebbe stata l'ennesima pazzia a cui poi qualcun altro avrebbe dovuto porre rimedio per lei. Beatris sospirò, affranta. «Avrei tanto voluto vederla».
«Tra cinquant'anni accadrà di nuovo, immagino che da vecchi non avremo troppi impegni» disse Armin, cercando di essere positivo, anche se era palese che quella semplice frase nascondesse più di un milione di interrogativi. Sarebbero arrivati ai loro sessant'anni? O sarebbero morti prima?
«Ah!» si illuminò Beatris, e batté le mani tra loro. «Diamoci appuntamento!»
«Eh?» mormorò Eren, confuso. 
«Qualsiasi cosa accadrà a ciascuno di noi, promettiamo tra cinquant'anni di andare al lago dietro il bosco per vedere la luna rosa insieme. Che ne dite?» Una frase banale, una proposta assurda, una vera sciocchezza... che riuscì a scaldare i cuori di chiunque fosse seduto a quel tavolo con una magia a dir poco unica. Di fronte a loro non c'erano che ostacoli, ne erano consapevoli, compresa Beatris. Uscire indenni dall'addestramento era già molto difficile, ma dopo sarebbe stato ancora più impossibile riuscire a sopravvivere. Dentro, o fuori le mura, tutti loro avevano davanti missioni che quasi sicuramente li avrebbe visti morti nel futuro più prossimo. Eren mirava alla legione esplorativa, con lui anche Mikasa, Armin e Beatris e solo questo bastava a renderli consapevoli di quanto poco avrebbero vissuto. Combattendo, non si sarebbero fermati, ma c'era ben poco da sperare di arrivare a un'età troppo avanzata dovendo ogni giorno giocare d'azzardo col destino. Bertholdt e Reiner, che puntavano alla gendarmeria, avrebbero anche potuto dire con sicurezza che sarebbero arrivati vivi fino ad allora... se solo non fossero stati guerrieri di Marley. L'orologio della morte, per loro, aveva già iniziato a ticchettare due anni prima, quando erano stati tramandati loro il gigante colossale e il corazzato. Non più di tredici anni di vita era quello che li aspettava, mai sarebbero arrivati ad allora... ma anche se non ci fosse stata la clausola del tredici anni, loro miravano a ribaltare quella nazione. Presto o tardi, sarebbero stati avversari, avrebbero forse loro stessi ucciso quelle persone... no, mai nessuno si sarebbe potuto presentare a quell'appuntamento. Ma sperarci, provare anche solo a immaginarlo, li riempiva per qualche motivo di una gioia incontenibile. 
Sorrisero, sentendo un profondo calore invadergli il corpo intero, e silenziosamente annuirono. 
«Ci rivediamo tra cinquant'anni, allora» si illuminò Beatris. Un semplice sorriso, era solo un sorriso, eppure scaldava il cuore più del sole stesso. Era di una bellezza mai vista prima. 
Reiner avrebbe davvero voluto esserci, quel giorno, tra cinquant'anni. Lo avrebbe voluto davvero tanto.


NDA.


Non ho molto da dire in queste NDA. È stato un capitolo abbastanza leggero se non per la confessione di Reiner, nel dirle che già l’aveva vista alla cattedrale, e l’ultima nota amara… e che nota amara! Preparatevi perché il prossimo sarà un capitolo col botto :P Ci saranno un po’ di feels (spero >_>)
Intanto vi lascio la canzone del capitolo e come sempre ci sentiamo alla prossima :3



È una dedica che mi immagino Reiner faccia a Beatris (avete notato che ha iniziato a chiamarla Tris? E che è l’unico a farlo? Non dimenticatelo, è importante eheheh) in questo momento, mentre cerca di spronarla ad abbandonare la sua paura e dare il meglio. A voi :3

https://www.youtube.com/watch?v=7Xi8RQRT4EI&ab_channel=BruceWayne
   
 
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