Mycroft Holmes, l'uomo freddo e
poco propenso ai rapporti umani,
si era risvegliato stranamente già stanco. E con la stessa
stanchezza nelle
ossa era andato in ufficio a tenere le redini del suo prestigioso
lavoro
governativo, ottenuto a caro prezzo: l'ostilità di suo
fratello
Percorse i lunghi corridoi
accecato dalle luci interne, nella testa un solo unico pensiero:
l'anniversario.
Salutò Anthea che
rispose
sollecita, ma non fu molto espansivo si appartò in ufficio
con una scusa. Lei
era sempre così attenta, non voleva che capisse il suo
disagio.
Si buttò nel lavoro ma
durò poco,
sentiva insistente nella testa la voce di suo zio Rudy.
Sbuffò, fece cadere la
relazione a
cui stava cercando di lavorare e appoggiò malamente la penna
sulla costosa
scrivania di ulivo, l'aveva avuta in cambio di un favore poco legale.
Si era già preannunciata
come una
giornata uggiosa e cupa, proprio come si sentiva lui. Si
alzò, le dita sottili
che premevano sulle labbra.
Fece due passi per quello studio
arredato con gusto, dove passava la maggior parte del tempo. Era
sistemato
sottoterra, un bunker soffocante, ma necessario, visto i pericoli che
correva
costantemente. Quelli che gli procurava la sconsideratezza di Sherlock.
Si sentiva già sepolto
sotto metri
di cemento.
Si passò una mano sulla
cravatta
lisciandola e sistemò l'orologio nel taschino. Era inutile
evitare il pensiero
che lo tormentava: era il primo l'anniversario della morte di zio Rudy.
Rudolph Vernet, fratello della
madre, che nascondeva dietro una facciata mite e comprensiva, un
maledetto
demone.
L'artefice di quella che era la
sua attuale vita. Se era diventato il Mycroft che tutti conoscevano,
era
unicamente per come lui lo aveva forgiato.
Strinse in un pugno le mani
sottili, affondandole nelle tasche, rimase immobile al centro della
stanza.
Dondolava il corpo, mentre il risentimento lo agitava.
Era stato lui che lo aveva educato
per quel incarico governativo, lui che lo aveva reso una perfetta
macchina
priva di emozioni. E Mycroft aveva pagato caro quel gioco di potere:
l'allontanamento da casa, la menzogna di Eurus e quel rapporto
complicato con
Sherlock.
Afferrò sgarbato la
ventiquattrore
e chiamò Anthea.
Gli era venuta l'insana voglia di
vedere Sherlock.
Il loro rapporto era basato su
frecciatine velenose e di suonate di violino sgradite. Eppure in fondo
al suo
cuore, quello di ghiaccio, aveva bisogno di lui, l'ultima sua speranza
di
redenzione.
Chiamò Anthea che lo
fissò per
qualche attimo dubbiosa.
"Vuoi passare da Baker Street
Mycroft? Tuo fratello non ti aspetta, sai che non gli piacciono le
sorprese."
"Correrò questo
rischio." Sospirò chinando il capo. "Più di
rimbrottarci a vicenda
non vedo che altro possa accadere."
Era protettiva nei suoi confronti,
a lui piaceva vederla preoccupata, era l'unica che lo ritenesse una
persona...
viva e con un cuore. Forse provava qualcosa di più, ma lui
non aveva mai voluto
capire.
" Anthea, va tutto bene, ho
solo bisogno di aria di famiglia." Sorrise, lei annuì
stringendo le labbra
carnose.
"Contento te Mycroft."
Lo redarguì con gli occhi. Sapeva quanto amava Sherlock e
quanto dolore gli
provocasse vederlo e sentirsi rifiutato, il suo volto sempre attento
era
oscurato da un dolore che non riuscì a interpretare.
Non si dissero più
nulla, salì
nella berlina nera con lei al fianco. Sapeva che lo stava valutando di
nascosto. Quasi sentiva il suo respiro, lei gli dava sicurezza, spesso
le aveva
affidato la sua vita. Ma non era mai andato oltre al rapporto di
lavoro. Non
aveva voluto.
Si girò brevemente a
guardarla, i
capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle, il volto luminoso.
Attenta e
perspicace come poche, si chiese cosa sentisse per lui. Certo non
avrebbe
rischiato di rovinare la loro intesa. Sospirò e
tornò a guardare la strada,
pensando che suo zio Rudy lo stava manipolando anche da morto.
Voleva vedere suo fratello senza
capire bene il perché, certi scheletri non dovevano tornare
in vita, eppure nel
profondo del suo animo aveva bisogno di dire, di parlare: di zio Rudy
soprattutto.
Sherlock viveva con John e la
piccola Rosie, dopo la morte di Mary Watson avevano, per
così dire, raggiunto
una certa stabilità di coppia. Niente più colpi
di testa improvvisi. John era
stato la cura.
Invece il loro rapporto non era
cambiato molto, anche dopo aver sopportato le angherie di Eurus a
Sherrinford
sei mesi prima. Quando lui aveva sperato che sacrificarsi al posto di
John
avrebbe messo fine ai suoi tormenti e gli avrebbe consentito di espiare
finalmente le sue colpe.
Invece il fratello minore lo aveva
salvato dirigendo l'arma contro sé stesso, se era vivo lo
doveva a lui. Per
questo ora era lì, perché Sherlock era cambiato,
aveva fatto spazio ai
sentimenti nella sua mente logica, aveva realizzato quanto le emozioni
valessero la cura.
Mycroft aveva toccato il fondo e
lo zio Rudy lo tormentava ancora. Era vitale e lo stava soffocando.
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