Senza vie di scampo
[Città]
Era il 24 giugno e il sole batteva cocente e impietoso sulle
strade affollate di Firenze.
Serj staccò per un attimo gli occhi dalla mappa della città
e li portò tra la folla che lo circondava, notando che gli sguardi gli
scivolavano distrattamente addosso senza soffermarsi sulla sua figura.
Era perfetto: quegli occhiali da sole lo stavano rendendo
particolarmente irriconoscibile e lo stavano aiutando a passare inosservato.
Voleva godersi quei pochi giorni in una delle sue città
d’arte preferite, non gli andava di essere disturbato e fermato ogni due passi
dai fan affamati di una fotografia o qualche autografo; voleva bene a chi lo
seguiva e non dimenticava mai che era merito di quelle persone se poteva fare
musica e parlare al mondo degli argomenti che più gli stavano a cuore, però
c’erano momenti in cui rimpiangeva di non essere una persona qualunque e di non
poter neanche mettere il naso fuori di casa senza essere braccato da orde di
ammiratori.
Riportò la sua attenzione sulla cartina e seguì col dito il
percorso già fatto: aveva cominciato dalla Cattedrale di Santa Maria del Fiore,
ammirando il sontuoso Duomo e il fascino della cupola di Brunelleschi. Avrebbe
voluto arrampicarsi fin in cima al Campanile di Giotto e ammirare Firenze da
quel punto suggestivo, ma non aveva abbastanza tempo e si era diretto alla
tappa successiva. Aveva proseguito verso Piazza della Signoria e si era beato
di sculture stupende, monumenti ed era rimasto colpito da Palazzo Vecchio. Aveva
dovuto rinunciare a visitare per l’ennesima volta gli Uffizi – non si stancava
mai di quel luogo intriso d’arte – per via della coda infinita che serpeggiava
nei pressi dell’ingresso e si era recato direttamente a Ponte Vecchio.
Era quasi ora di pranzo e stava decidendo il da farsi, in
modo da occupare il minor tempo possibile e proseguire con i suoi giri per
tutto il pomeriggio, quando un grido particolarmente acuto attirò la sua
attenzione.
Sollevò il capo e notò un paio di ragazze che indossavano
delle maglie dei System e confabulavano tra loro, guardando dritte nella sua
direzione; trattenne un sospiro irritato e rifletté per un attimo: non poteva
scappare come un ladro, avrebbe attirato ancora di più l’attenzione, ma se
quelle due si fossero avvicinate lì nel bel mezzo di Ponte Vecchio e avessero
cominciato a chiedergli foto, autografi e chissà che altro, l’effetto sarebbe
stato lo stesso.
Non aveva scampo.
Fece finta di non essersi accorto di nulla e individuò la
sua prossima meta – Palazzo Pitti, dove voleva concedersi almeno la visita alla
Galleria dell’Arte Moderna e al Giardino di Boboli.
«Serj Tankian, sei tu?» si sentì apostrofare poco dopo in un
inglese piuttosto buono.
Finse di non aver sentito, sperando che le due fan
credessero di averlo confuso con qualcun altro, ma loro ormai si trovavano
proprio di fronte a lui e a nulla gli servì cercare rifugio dietro l’enorme
cartina di Firenze.
«Possiamo fare una foto con te?» chiese ancora la ragazza.
Serj allora si arrese all’evidenza e abbassò la mappa,
stampandosi in faccia un sorriso cordiale. «Certo» replicò, senza perdersi in
convenevoli.
Si guardò intorno per controllare se qualcuno stesse
seguendo la scena, poi attese che le giovani lo raggiungessero per scattare un
selfie tutti e tre insieme.
«Quanto sei alto!» esclamò sempre la solita ammiratrice.
L’altra doveva essere incapace di parlare in inglese, e si
limitava a fissarlo ammutolita e ammirata.
«Non tanto» scherzò Serj.
«Forse sono io a essere bassa!»
Il cantante non replicò e sperò che tutto finisse in fretta
perché aveva fame e voleva proseguire con le sue visite all’insegna dell’arte.
Le ragazze scattarono con lui alcuni selfie, poi la prima
indicò la cartina che ancora stringeva in mano. «Stai andando in giro a
visitare la città?»
Serj pensò ironicamente che fosse ovvio, ma si limitò ad
annuire.
Le ragazze si scambiarono un’occhiata e ridacchiarono.
«Non è che vuoi un po’ di compagnia? Noi siamo di Roma, ma
veniamo spesso a Firenze!»
«No, grazie, non è necessario» rifiutò educatamente,
continuando a sorridere con un atteggiamento di circostanza.
«Davvero, per noi non è un problema, non abbiamo niente da
fare! A parte aspettare il concerto di domani, ovviamente» blaterò ancora la
ragazza.
Per la prima volta Serj notò che quella che parlava era mora
e riccia, mentre la sua amica aveva evidentemente tinto i capelli di viola.
«Ho un appuntamento, non posso trattenermi» improvvisò,
cominciando a innervosirsi.
«Possiamo accompagnarti, non vorremmo mai che ti perdessi!»
insistette la riccia, facendo un passo avanti.
Serj ringraziò gli occhiali scuri che nascondevano il suo
sguardo probabilmente seccato e cercò di farsi venire un’idea per tirarsi fuori
da quella situazione scomoda.
«Siete gentili, ma non posso proprio» ripeté, per poi
voltarsi di scatto e prendere a camminare velocemente lungo Ponte Vecchio.
Il posto era gremito di turisti e lui sperava davvero di
riuscire a confondersi tra la folla. Tuttavia si dovette ricredere quando udì
le voci delle due ragazze che lo richiamavano, mentre cominciavano a seguirlo.
Era in vantaggio di parecchi metri e proseguì senza
guardarsi indietro, sperando di individuare un luogo in cui potersi infilare
per nascondersi e sfuggire alle insistenze delle giovani alle sue spalle.
Nei pressi di Palazzo Pitti si addentrò tra un forbito
gruppo di tedeschi che cercavano di decifrare le loro cartine, e non appena li
superò svoltò a sinistra in uno stretto vicolo.
Notò un negozietto e, senza preoccuparsi di che attività
commerciale si trattasse, vi irruppe come un disperato; venne investito dalla
forte aria sparata da un enorme ventilatore, oltre che da un penetrante odore
di incenso.
Si concesse di guardarsi attorno, mentre rispondeva con un
cenno della mano al buongiorno pronunciato in italiano da un ragazzo
dietro il bancone.
Si trovava in un piccolo emporio, pieno di statuette,
candele profumate, incensi e oggettistica tematica di Firenze; senza pensarci,
si sfilò gli occhiali da sole per via della scarsa illuminazione, e si accostò
al bancone.
Si guardò rapidamente alle spalle: non sembrava che le due
ragazze l’avessero seguito.
Il giovane dietro il bancone si schiarì la gola e Serj gli
rivolse un sorriso tirato.
Il commesso gli chiese qualcosa in italiano e Serj scosse il
capo.
«Non parlo italiano, scusami» si giustificò.
«Scusi lei, signore. Cerca qualcosa in particolare?» domandò
il commesso in un inglese stentato.
Il cantante avrebbe voluto dirgli la verità, ovvero che si
era infilato là dentro soltanto per trovare rifugio dalle sue seguaci, però
annuì e sorrise ancora. «Una candela alla vaniglia. Per mia moglie» improvvisò.
«Certo, subito! Se vuole ce l’ho a forma di Duomo o anche di
Ponte Vecchio. Oppure posso proporle questa a forma di cuore o rotonda, molto
semplice ed elegante» spiegò il commesso, disponendo alcuni articoli sul
piccolo bancone.
Serj ne indicò una a caso e sperò che quel tempo trascorso
all’interno del negozio facesse allontanare il più possibile le due fan che
l’avevano inseguito.
Porse al commesso la carta di credito e, una volta
effettuato il pagamento e preso in mano il sacchetto contenente l’acquisto più
inutile della sua intera vita, uscì nuovamente sul vicoletto nei pressi di
Palazzo Pitti.
Azzardò qualche passo verso l’imboccatura della stretta
strada e rimase allibito quando individuò le due fan intente ad attenderlo con
sorrisi smaglianti dipinti sulle labbra colorate di rossetto rosa acceso.
Non poteva credere che fossero ancora lì e che fossero
riuscite a vedere dove si era nascosto.
«Serj, eccoti! Hai comprato qualcosa di bello?» domandò
subito la mora dai capelli ricci.
Il cantante lanciò un’occhiata esasperata ai passanti che lo
circondavano, ringraziando ancora una volta gli occhiali scuri che impedivano
alle due giovani di leggergli nello sguardo.
Notò un gruppo di persone che dovevano avere circa la sua
stessa età e gli venne un’idea.
«Sì, scusate, i miei amici sono arrivati!» esclamò,
gettandosi letteralmente verso destra.
Avanzò a grandi falcate verso gli sconosciuti e a gran voce
disse: «Ehi, Max, sono qui! Scusa per il ritardo!»
Si piazzò vicino agli uomini e alle donne che
chiacchieravano e prese a battere sulla schiena di un tizio tarchiato fingendo
che fossero amici da una vita.
«Vi prego, assecondatemi, poi vi spiego» bisbigliò, poi
sollevò nuovamente il tono di voce e proseguì: «Max, che bello rivederti!
Firenze è bellissima, vero? Come sta tua madre?»
Gli sconosciuti lo fissavano sconvolti, poi cominciarono a
reggergli il gioco e risposero, anche se non parlavano un inglese esemplare – a
giudicare dall’accento con cui pronunciavano le parole, dovevano provenire
dall’Est Europa.
Serj lanciò occhiate furtive alle sue spalle e notò che le
due ragazze lo fissavano confuse e spaesate, non sapendo come comportarsi.
«Scusate» mormorò. «Vedete quelle due ragazze laggiù?»
L’uomo tarchiato seguì il lieve cenno del suo capo. «La
riccia e quella tinta di viola?» chiese.
«Loro. Mi stanno inseguendo, non riesco a liberarmene»
spiegò.
«Perché?» domandò una donna dai capelli ramati legati in uno
chignon.
Serj allargò le braccia e si arrese all’evidenza di doversi
svelare, anche se non pareva che quei turisti fossero in città per ascoltare
dei concerti. «Beh, diciamo che faccio parte di una band, suoneremo domani
all’Arena e i fan ogni tanto mi riconoscono. Solo che in genere si limitano a
chiedere di fare una foto insieme, ma stavolta…»
«Dai, sei un cantante? Non l’avrei mai detto!» intervenne un
altro uomo, alto e imponente nell’aspetto ma simpatico nei lineamenti del viso.
«Non ho l’aspetto da cantante? Pensa che faccio musica
metal, se così si può dire» replicò Serj con un sorriso divertito.
«Metal?! Chi, tu? Non è possibile! Mio nipote Reilly va
matto per quei tizi che urlano come se venissero sgozzati, infatti sta sempre
al festival in questi giorni» disse ancora l’uomo alto, sghignazzando.
«Se mi aiutate, giuro che farò un autografo a Reilly e a
tutti i suoi amici» implorò Serj.
Il tizio tarchiato rise. «Ti aiutiamo in ogni caso, quelle
due ragazzine sembrano molto determinate.»
«Comunque io sono Jakub, lei è mia moglie Dominika» fece le
presentazioni l’uomo più alto, indicando una donna alta quasi quanto lui dai
lunghi capelli dorati. «Loro invece sono i miei amici Jan e Berta.»
«Io sono Serj, piacere e grazie per l’aiuto» replicò il
cantante. «Da dove venite?»
«Repubblica Ceca. Tu?» chiese la moglie di Jakub.
«Sono nato in Libano, ma la mia famiglia è armena. Mi sono
trasferito negli Stati Uniti, ma attualmente vivo in Nuova Zelanda con mia moglie
e mio figlio» spiegò Serj.
«Sembra la storia di un atleta, di quelli che si vedono alle
Olimpiadi» scherzò Jan.
«Jakub, ma Alberto non fa il tassista?» domandò Dominika al
marito.
«Sì, perché?»
«E se lo chiamassi per aiutare questo signore? Magari può venire
a prenderlo e portarlo via da qui senza destare troppi sospetti!» suggerì la
bionda, sorridendo cordialmente a Serj.
«Sarebbe perfetto, in effetti» concordò Jan, dando di gomito
al cantante. «Certo che la vita delle persone famose dev’essere una rottura
incredibile!»
«A volte lo è davvero» confermò Serj con un sospiro.
Jakub, intanto, si era già messo all’opera per contattare il
suo amico Alberto. Parlò al telefono con lui per un po’, sempre in un inglese
non troppo corretto e scorrevole, poi richiuse la chiamata e sorrise a tutti.
«Arriva tra pochi minuti, non preoccuparti.»
«Grazie, davvero…» Serj abbassò lo sguardo in cerca di
qualcosa che potesse donar loro in segno di gratitudine, e notò che stringeva
ancora in mano l’inutile candela alla vaniglia che aveva acquistato poco prima
nell’emporio. «Non so come ripagarvi di questa cortesia, posso darvi questo.
Spero che alle signore piaccia» aggiunse, porgendo il sacchetto a Dominika.
Lei scambiò un’occhiata con l’altra donna, poi scosse il
capo. «Non è necessario, davvero.»
«Insisto.»
La bionda afferrò il sacchetto e vi sbirciò dentro, poi
ridacchiò e lo passò a Berta, dicendole qualcosa in una lingua che Serj non
riuscì a decifrare.
La donna dai capelli ramati portò fuori la candela a forma
di Duomo e gli occhi le si illuminarono.
«A Berta piacciono molto le candele» spiegò Dominika. «Neanche
l’avessi comprata apposta per lei!»
«Mi fa piacere!»
«E gli autografi per mio nipote?» chiese Jakub.
Serj schioccò le dita. «Giusto! Avete una penna?»
Le due donne cominciarono a frugare nelle proprie borse, poi
finalmente Berta ne tirò fuori una e gliela porse.
Serj fece un giro su se stesso e si accostò a una parete,
appoggiandovi la propria cartina per poi cominciare a scarabocchiarci sopra una
dedica per il nipote di Jakub e alcuni autografi da regalare a eventuali amici
del ragazzo.
«Kelly, giusto?» chiese conferma, notando con la coda
dell’occhio che le due ragazzine erano ancora ferme a diversi metri da lui e lo
osservavano come se temessero di perderlo di vista.
«No, Reilly» replicò Jakub, facendogli lo spelling del nome
di suo nipote.
«Perfetto, ecco a voi!» Il cantante porse ai quattro sia la
mappa della città autografata, sia la penna.
«Adesso tu rimani senza cartina» commentò Dominika
dispiaciuta.
«Non importa, ne comprerò un’altra» minimizzò il cantante,
notando che un taxi si accostava a loro.
Jakub, riconoscendo il suo amico fiorentino, si avvicinò al
finestrino dalla parte del guidatore e cominciò a parlare animatamente con
l’uomo all’interno.
Serj colse soltanto alcune parole, poi si prodigò per
salutare Berta, Dominika e Jan, prima di accostarsi a sua volta al taxi.
Le due ragazze non persero tempo e tentarono di fermarlo
ancora una volta, scattandogli fotografie e cercando addirittura di salire in
auto con lui.
Il tassista sbraitò qualcosa in italiano – forse addirittura
in dialetto – e le due si ritrassero, permettendo finalmente a Serj di chiudere
lo sportello e abbandonarsi in pace sul sedile imbottito e comodo.
«Ci penso io, tranquillo. Ciao, Jakub, ci vediamo in questi
giorni» concluse il tassista, salutando l’uomo alto e imponente con una pacca
sul braccio.
«Ciao, grazie ancora!» esclamò a sua volta Serj, facendo un
cenno in direzione dei suoi salvatori.
Poi l’auto si mosse e il cantante poté tirare un sospiro di
sollievo.
«Dove la porto, signore?» domandò il tassista, mentre
richiudeva il finestrino.
Nell’abitacolo si diffuse il gracchiare della radio in
sottofondo e il confortante refrigerio dell’aria condizionata.
Serj recuperò dalla tasca il cellulare e gli lesse
l’indirizzo dell’albergo in cui alloggiava, poi tentò di rilassarsi; nonostante
quelle ragazzine invadenti gli avessero impedito di fare i suoi giri per
Firenze, aveva conosciuto delle persone carine e gentili e in fondo si era
divertito.
«Quindi lei è famoso?» domandò ancora il tassista, con il
suo accento profondamente italiano.
«Così pare…»
«Io non la conosco.» L’uomo rise. «Cosa fa? Il politico?»
«Macché. Magari! Il cantante» replicò Serj con un sorriso.
«Ah, di quelli del festival?»
«Sì, proprio di quelli. Comunque è meglio che lei non mi
conosca: almeno non può importunarmi» si lasciò sfuggire, pentendosene subito
dopo – non era da lui lamentarsi dei fan con degli sconosciuti, ma quel giorno
si sentiva davvero esasperato.
«Questo lo dice lei! C’è mia figlia che è fissata con uno di
quei gruppi del festival…»
Serj roteò gli occhi. «Scommetto che vuole un autografo»
tirò a indovinare.
«Se non le dispiace! Perché non mi ricordo chi le piace, ma
se scoprisse che ho incontrato il suo idolo e non le ho neanche fatto avere un
autografo, come minimo mi toglie il saluto!» continuò a scherzare l’uomo,
destreggiandosi nel traffico del mezzogiorno.
Serj sospirò. «Su, mi dia carta e penna» si arrese.
Aveva cercato in tutti i modi di evitare fan, autografi e
fotografie, ma non ci era riuscito neanche quel giorno.
Mentre scendeva dall’auto e pagava la corsa al tassista, si
disse che in fondo anche quella mattinata a Firenze aveva avuto il suo fascino.
Perché forse era proprio la città in sé a rendere l’atmosfera
magica, e anche le piccole disavventure assumevano tutto un altro sapore.
Salutò cordialmente Alberto e si preparò per raccontare a
sua moglie e ai suoi amici l’ennesima fuga dai fan dei System Of A Down.
Già temeva che agli altri fosse andata molto peggio che a
lui e non vedeva l’ora di sapere ogni dettaglio.
Era l’unico modo che conosceva per affrontare la propria
fama con filosofia e un sorriso sempre stampato sulle labbra.
😊 😊 😊
AUGURI SERJ, BUON COMPLEANNOOOOO *____________*
Lettori, ho approfittato di questa raccolta e di questa
sfida per scrivere una storiella per festeggiare i 54 anni del nostro Serj!
Sono troppo felice, anche se lui, poverino, cos’ha fatto di male per meritarsi
tutto questo disagio? AHAHAHAHAHAHAHAHAH XD
Ho approfittato anche per ambientare questa storia il 24
giugno 2017, giorno che ha preceduto il concerto che i System hanno tenuto il
25 alla Visarno Arena durante il festival Firenze Rocks, al quale io ho
assistito e che è stato il giorno più bello della mia vita finora *_______*
E siccome Serj è risaputo che sia un appassionato di arte,
come potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di spedirlo a zonzo per Firenze, una
delle città d’arte più suggestive al mondo?
A tal proposito, siccome quando sono stata al concerto non
ho avuto il tempo per visitarla per bene, mi sono basata su questa pagina per
descrivere a grandi linee il percorso che ha fatto prima di essere assalito
(???) da queste due tizie su Ponte Vecchio XD:
Visitare
Firenze:Itinerario a Firenze di 2 Giorni (visitflorence.com)
Conto di tornare al più presto in questa città che mi ha
rubato il cuore, per poterla girare in lungo e in largo e potermene finalmente
innamorare ancora di più!
Il prompt stavolta dovevo suggerirlo io ed era “taxi” ^^
Spero che questa shottina vi sia piaciuta e ci sentiamo alla
prossima – e ultima – storia della raccolta, grazie ancora a chi legge e
recensisce :)
E ANCORA TANTISSIMI AUGURI DI BUON COMPLEANNO AL SOMMO SERJ
TANKIAN ♥
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