"Cos'è questo?"
La
voce di Toen apparì rotta e spezzata, morta ancora prima di
proferire parola.
Allora
Uselji si voltò dalla sua parte, con il mantello
che
sferzava il suo corpo a causa delle forti raffiche di vento; quando
queste si intensificavano delle pietre nere, dalle dimensioni di enormi
massi,
colpivano il terreno spaccandosi all'impatto.
Toen
ne ebbe paura: non sarebbero sopravvissute se una di queste le
avrebbe raggiunte in pieno, nonostante ciò poteva vedere in
lontananza sagome di sconosciuti avventurieri scalare il
cammino,
sfidando la gravità e tutto il resto.
"Da
qui procederemo sempre dritto. Eviteremo le raffiche di vento, i
massi e i krill che controllano la zona. Solo così potremo
arrivare al Castello."
Toen
volse il naso all'insù.
Ah,
già, il Castello.
La meta finale ambita da tutti i viaggiatori, tanto visibile e solenne
quanto irraggiungibile.
Lo
si poteva ammirare
ovunque nei reami del loro mondo, e per quanti sforzi si potevano fare
per andargli incontro non c'era verso di poterlo raggiungere: il
Castello
rimaneva lì, fermo e inaccessibile come un sole i cui
regni da esplorare erano gli astri che gli danzavano attorno.
Ma
l'Eden era un mondo diverso: nell'Occhio
potevi veramente
raggiungere il Castello;
poi da lì innalzarsi verso l'Orbita,
questo dicevano i viandanti più esperti al loro ritorno.
Toen
voleva vedere tutto questo con i suoi occhi, voleva vedersi da
rinata e voleva volare assieme a tutti coloro che sarebbero rinati
assieme a lei, ma il corpo non le prestava ascolto e nemmeno il dolce e
caldo tatto di Uselji nel palmo della sua mano riuscì a
rincuorarla.
Alla
fine poté solo cadere a terra in preda a uno
stato di ansia e di iperventilazione incontrollabile.
Le
lacrime negli
occhi le offuscavano la vista e i suoni giungevano alle sue orecchie
tutti ovattati, persino la confortevole voce della sua compagna di
viaggio appariva distorta
e lontana.
Non
riuscì nemmeno a vederla, perché tutto
ciò che
la sua vista le metteva in mostra era il cielo rosso e infuocato simile
a un imminente apocalisse, assieme al nero pece dei krill che proprio
in quel
momento puntarono un gruppo di viaggiatori giunto quasi in cima alla
scalata; qualcuno cadde di sotto e le ali finirono per spezzarsi;
qualcun altro si salvò, ma risultò disperso.
Fu
allora che Toen si ruppe e lanciò un grido disperato,
tenendosi la testa tra le mani.
Uselji,
che fino ad allora stava
studiando la situazione e la regolarità con cui le pietre
venivano scagliate al suolo dal vento, sgranò gli occhi e si
voltò all'indietro e quello fu il momento fatale per lei,
perché un grosso masso la colpì sulla schiena,
facendole
emettere un verso strozzato e privandola in un batter d'occhio di
qualsiasi energia, schiantandola direttamente contro la formazione
rocciosa sulla quale i suoi piedi poggiavano.
Per
Toen fu come una scena vista al rallentatore vedere la sua amata
Uselji spegnersi e diventare grigia. Due delle sue ali si staccarono
dal suo mantello e caddero di sotto, diventando
impossibili da recuperare. Qualche secondo dopo si udì il
tipico
suono delle ali spezzate e fu grazie a questo che Toen si
risvegliò
dalla sua catalessi.
Impacciata,
si mosse verso Uselji; tremò quando avvertì
le pietre andare in frantumi accanto a lei, ma strinse lo stesso i
denti: si trattava solo di qualche metro da superare e doveva farlo il
prima possibile, poiché il fuoco vitale della sua
compagna viaggiatrice andava ripristinato
se non voleva che altre sue preziose ali andassero perdute.
Piegandosi
su di lei avvicinò la sua fiamma vitale al suo petto per
condividerla, finché le sue fattezze non tornarono alla
luce. Il
volto di Uselji era ora un po' frastornato, i capelli le si erano
spettinati, la pelle del viso si era fatta più pallida e
anche i vestiti addosso le si erano sgualciti, tuttavia
stava bene e nonostante il colpo subito alla schiena apparì
piuttosto reattiva.
"Colpa
mia. Mi sono distratta." Mormorò a bassa voce, ma risoluta
come suo solito.
Toen
scosse la testa, perché sapeva che non era vero. Se Uselji
stava soffrendo la colpa era solo la sua, perché troppo
inesperta per
muoversi tra quelle raffiche e quelle rocce frantumate. Poteva solo
imitare i movimenti che vedeva e strisciare verso le pareti,
là
dove il vento pareva soffiare meno e il riparo era più
costante.
Non riuscì a capire come, ma trovò la forza di
seguirla... almeno finché le ginocchia non le cedettero.
Era
strano, pensò dentro di sé.
Credeva
di essere pronta
ad affrontare quel viaggio... invece ora che vi si trovava dentro
poté solo pensare a quanto la Base
sapeva essere accogliente ogni volta che vi ritornava stremata dai
lunghi voli compiuti chissà dove. Persino quel desolato e
buio
Deserto Dorato le tornava alla mente come un luogo sicuro dove
rifugiarsi ora.
Sorrise
amaramente di quei pensieri mentre ascoltò il tremolio delle
sue gambe.
Ma
quando la mano di Uselji le comparì davanti agli occhi fu
come fare di nuovo un tuffo nel terrore: Uselji, che le aveva promesso
di portarla fino alla fine, e lei che invece non voleva più
saperne di trovarsi lì.
Per
un momento pensò di stringerla e quasi lo fece, poi
ricordò di essere una codarda e di colpo pensò di
non
averne alcun diritto.
Perciò
lasciò cadere il palmo della sua mano a terra.
"Voglio
tornare a Casa."
Mormorò a voce così bassa da
risultare impercettibile, anche a causa dei vortici di vento che si
susseguirono uno dietro l'altro.
Forse
Uselji sgranò gli occhi a quelle parole, ma lei
evitò di scoprirlo tenendo il mento basso.
Va bene così... si disse mentalmente, ormai il
danno era fatto.
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