Il ballo dei narcisi

di Mary Black
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Wabi-sabi

la scoperta della bellezza nell’imperfezione


A ogni tramonto, Gellert insiste nel voler andare a trovare quella sorella che Albus non ama affatto – e lui cede, perché è affascinato dallo straniero dagli occhi verdi e dal suo modo di parlare che gli ricorda qualcosa di esotico, di letale, come la musica di un incantatore di serpenti, e perché ogni volta in cui lo sfiora i brividi quasi gli stracciano l’anima.

Gellert siede vicino a lei, che è altrove, che è rotta, imperfetta, e non le stacca gli occhi di dosso finché non è il buio della sera a tagliargli la vista.

Albus freme di curiosità e perplessità – i sensi di colpa gli masticano le ossa, ma lui li riduce in silenzio senza esitare.
Così alla fine, un giorno, cede.

“Che cosa ci trovi d’interessante in lei? Non è nemmeno qui con noi.”
Gellert la osserva – è innocente, vacua, ma i lividi sulla sua pelle dimostrano ch’è terrena.
Non sa dire che cosa ci sia d’affascinante in lei, ma guardarla intrecciare fiori e fallire ha qualcosa d’irresistibile.
“Proprio questo.”
Albus si sigilla una domanda velata di smania dietro le labbra, Gellert se ne accorge e si lascia sfuggire una risata fioca che fa vibrare scompostamente Ariana.
Aberforth si avvicina, inascoltato, livido in viso ­– lei era sua, ma ora che lo straniero se n’è appropriato per lei non esiste nient’altro, nessun altro.
“Non è uno dei vostri argomenti di conversazione difficile o uno dei vostri esperimenti” sbotta duramente, feroce nei suoi quindici anni di sdegno, “Non è un giocattolo, è una persona, è...”
È la mia sorellina, vorrebbe dire, ma le parole gli si sciolgono in gola – sa che suonerebbero come la supplica di un bambino.
Gellert solleva uno sguardo affilato verso di lui. È un’occhiata fredda che non conosce la pietà, Albus se ne ritrae con un sussulto.
“Magari, se fosse uno dei nostri esperimenti, avrebbe una possibilità” sibila, incomprensibile, la voce il solito sussurro dolce come miele che la fa ridere, “Ti suggerisco di non impicciarti di affari che semplicemente non capisci. E che non ti competono.”
“Lei mi compete, è mia sorella!”
Gellert sorride, morbido, condiscendente, e punta gli occhi, verdi come foglie di menta, sul suo unico amico.
Albus tentenna appena, ma alla fine cede – Gellert non deve nemmeno chiedere, con lui.
“Smettila, Aberforth. Gellert non fa nulla di male.”
Suo fratello gli si rivolta contro come un cinghiale ferito.
“Non fai altro che difenderlo” gli ringhia contro, con rabbia, “Non ti sembra strano che non faccia che fissarla? È inquietante!”
“Non dire sciocchezze! E poi Ariana adora Gellert, ride sempre quando lui viene a trovarla...”
“Ah, ma certo! La verità è che gli permetteresti anche di sputarti in faccia, se lui solo te lo chiedesse, fratello.”
“Stai passando ogni limite, Aberforth.”
Il sorriso di Gellert è così ampio da fargli dolere le labbra, ma lui non ha occhi che per Ariana – i petali si torcono sotto le sue dita piene di graffi, le corone incomplete che ha intrecciato nel pomeriggio vengono fatte a pezzi, e nei suoi ricordi i narcisi prendono il volo, danzando nel buio.
Gellert pensa che lei sia semplicemente perfetta, pur rotta com’è, la bambina spezzata senza ombre e con gli occhi azzurri vuoti come specchi.
La ragazzina che maciulla i fiori e dondola su se stessa, mentre il sole muore dietro le siepi.
I suoi fratelli urlano, ormai senza ritegno, e le mani magre di Ariana, quelle mani magre piene di lividi, si sollevano, spaesate, prima di chiudersi sulle sue stesse tempie – Gellert vede le dita stritolare i riccioli, scorge le lacrime sul suo viso infranto, e la trova bella come un dipinto antico squarciato dalla lama di un coltello.
Pericolo, pensa lo straniero, ma stavolta non la ferma.
Un lamento disperato le sfugge dalle labbra, Albus e Aberforth si voltano di scatto a fissarla ma è tardi, è troppo tardi. I narcisi schizzano in aria, vorticando nel cielo blu polvere della sera, e lei geme, tirandosi i capelli e dondolando freneticamente su se stessa.
Gli occhi verdi dello straniero sono sgranati in adorazione, ma lei è troppo lontana, è altrove, nel buio dove i fiori le hanno fatto male la prima volta, e ormai i suoi gemiti si sono trasformati in singhiozzi, singhiozzi striduli che si confondono col frastuono del legno che si spacca.
Alle sue spalle, l’olmo secolare stride, privato di un ramo, che crolla a terra in un baccano infernale che la fa solo piangere più forte.
I suoi fratelli sono paralizzati da quello scoppio di magia incontrollata, ma Gellert ride – sentirlo ridere la riporta indietro, via dal buio, e quando Ariana spalanca le palpebre e gli punta contro quei suoi occhi azzurri disincarnati e pieni di lacrime, i narcisi piombano a terra, inerti, insignificanti, finalmente morti.
“Sei speciale, vero, fiore mio?”

 

 

 

 

Note dell’Autrice
Eccoci al terzo capitolo! Vi ringrazio tutte per il sostegno – a giorni risponderò anche alle recensioni, promesso.
In questo capitolo – l’ultimo di transizione, poi si entra più nel vivo! – vediamo i rapporti tra Albus e Gellert farsi sempre più stretti, e iniziamo a intuire cosa sia davvero Ariana, i suoi traumi, l’interesse che suscita nello straniero dagli occhi verdi.
Spero che la storia continui a piacervi a intrigarvi! Ci vediamo martedì.

Mary





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