Wabi-sabi
la
scoperta della bellezza
nell’imperfezione
A ogni tramonto, Gellert insiste nel voler andare a trovare quella
sorella che
Albus non ama affatto – e lui cede, perché è affascinato dallo
straniero
dagli occhi verdi e dal suo modo di parlare che gli ricorda qualcosa di
esotico, di letale, come la musica di un incantatore di serpenti, e
perché ogni
volta in cui lo sfiora i brividi quasi gli stracciano l’anima.
Gellert siede vicino
a lei, che è altrove, che è rotta, imperfetta, e non le stacca
gli occhi
di dosso finché non è il buio della sera a tagliargli la vista.
Albus freme di
curiosità e perplessità – i sensi di colpa gli masticano le ossa,
ma lui li
riduce in silenzio senza esitare.
Così alla fine, un giorno, cede.
“Che cosa ci trovi
d’interessante in lei? Non è nemmeno qui con noi.”
Gellert la osserva – è innocente, vacua, ma i lividi sulla sua
pelle
dimostrano ch’è terrena.
Non sa dire che cosa ci sia d’affascinante in lei, ma guardarla
intrecciare
fiori e fallire ha qualcosa d’irresistibile.
“Proprio questo.”
Albus si sigilla una domanda velata di smania dietro le labbra,
Gellert se
ne accorge e si lascia sfuggire una risata fioca che fa vibrare
scompostamente
Ariana.
Aberforth si avvicina, inascoltato, livido in viso – lei era sua,
ma ora
che lo straniero se n’è appropriato per lei non esiste nient’altro,
nessun
altro.
“Non è uno dei vostri argomenti di conversazione difficile o uno dei
vostri
esperimenti” sbotta duramente, feroce nei suoi quindici anni di sdegno,
“Non è
un giocattolo, è una persona, è...”
È la mia sorellina, vorrebbe dire, ma le parole gli si sciolgono in
gola – sa
che suonerebbero come la supplica di un bambino.
Gellert solleva uno sguardo affilato verso di lui. È un’occhiata fredda
che non
conosce la pietà, Albus se ne ritrae con un sussulto.
“Magari, se fosse uno dei nostri esperimenti, avrebbe una
possibilità”
sibila, incomprensibile, la voce il solito sussurro dolce come miele
che la fa
ridere, “Ti suggerisco di non impicciarti di affari che semplicemente
non
capisci. E che non ti competono.”
“Lei mi compete, è mia sorella!”
Gellert sorride, morbido, condiscendente, e punta gli occhi, verdi come
foglie
di menta, sul suo unico amico.
Albus tentenna appena, ma alla fine cede – Gellert non deve nemmeno
chiedere, con lui.
“Smettila, Aberforth. Gellert non fa nulla di male.”
Suo fratello gli si rivolta contro come un cinghiale ferito.
“Non fai altro che difenderlo” gli ringhia contro, con rabbia, “Non ti
sembra
strano che non faccia che fissarla? È inquietante!”
“Non dire sciocchezze! E poi Ariana adora Gellert, ride sempre quando
lui viene
a trovarla...”
“Ah, ma certo! La verità è che gli permetteresti anche di sputarti in
faccia,
se lui solo te lo chiedesse, fratello.”
“Stai passando ogni limite, Aberforth.”
Il sorriso di Gellert è così ampio da fargli dolere le labbra, ma lui
non ha
occhi che per Ariana – i petali si torcono sotto le sue dita piene
di graffi,
le corone incomplete che ha intrecciato nel pomeriggio vengono fatte a
pezzi, e
nei suoi ricordi i narcisi prendono il volo, danzando nel buio.
Gellert pensa che lei sia semplicemente perfetta, pur rotta com’è, la
bambina
spezzata senza ombre e con gli occhi azzurri vuoti come specchi.
La ragazzina che maciulla i fiori e dondola su se stessa, mentre il
sole muore
dietro le siepi.
I suoi fratelli urlano, ormai senza ritegno, e le mani magre di Ariana,
quelle
mani magre piene di lividi, si sollevano, spaesate, prima di chiudersi
sulle
sue stesse tempie – Gellert vede le dita stritolare i riccioli,
scorge le
lacrime sul suo viso infranto, e la trova bella come un dipinto antico
squarciato dalla lama di un coltello.
Pericolo, pensa lo straniero, ma stavolta non la ferma.
Un lamento disperato le sfugge dalle labbra, Albus e Aberforth si
voltano di
scatto a fissarla ma è tardi, è troppo tardi. I narcisi schizzano in
aria,
vorticando nel cielo blu polvere della sera, e lei geme, tirandosi i
capelli e
dondolando freneticamente su se stessa.
Gli occhi verdi dello straniero sono sgranati in adorazione, ma lei è
troppo
lontana, è altrove, nel buio dove i fiori le hanno fatto male
la prima
volta, e ormai i suoi gemiti si sono trasformati in singhiozzi,
singhiozzi
striduli che si confondono col frastuono del legno che si spacca.
Alle sue spalle, l’olmo secolare stride, privato di un ramo, che crolla
a terra
in un baccano infernale che la fa solo piangere più forte.
I suoi fratelli sono paralizzati da quello scoppio di magia
incontrollata, ma
Gellert ride – sentirlo ridere la riporta indietro, via dal buio, e
quando Ariana
spalanca le palpebre e gli punta contro quei suoi occhi azzurri
disincarnati e
pieni di lacrime, i narcisi piombano a terra, inerti, insignificanti,
finalmente
morti.
“Sei speciale, vero, fiore mio?”
Note
dell’Autrice
Eccoci al terzo capitolo! Vi ringrazio tutte per il sostegno – a giorni
risponderò anche alle recensioni, promesso.
In questo capitolo – l’ultimo di transizione, poi si entra più nel
vivo! –
vediamo i rapporti tra Albus e Gellert farsi sempre più stretti, e
iniziamo a
intuire cosa sia davvero Ariana, i suoi traumi, l’interesse che suscita
nello
straniero dagli occhi verdi.
Spero che la storia continui a piacervi a intrigarvi! Ci vediamo
martedì.
Mary