Eccedentesiast
chi
nasconde il dolore dietro il
sorriso
Ogni tanto Gellert lascia cadere qualche domanda, ma Albus non ne parla
volentieri, il volto che si tramuta in pietra solo a sentire il suo
nome,
così lui non insiste – ma la curiosità brucia sotto pelle, lo tiene
sveglio
la notte mentre pensa a quel viso squisito totalmente inespressivo, ai
capelli
biondi come miele, a quelle gambe che spariscono sotto la gonna
cosparsa di
petali squarciati, e vuole sapere, deve sapere, che cosa ti è
successo
mio fiore divelto?
Gellert non è abituato a non cedere ai propri capricci, non è abituato
a non
avere ciò che vuole. Guarda Albus e vorrebbe scoperchiargli il cranio
per
strappargli l’unico pensiero, l’unico ricordo, l’unico segreto
che non
sembra disposto a cedergli.
Gellert usa persuasione, lusinghe, carezze – un repertorio
collaudato metà
lascivia metà tortura, tra uno scoppio di risa e un bacio sul collo
lasciato
cadere quasi per caso, nemmeno deve fingere, ama il modo in cui
il suo
compagno vibra sotto le sue dita, quel sorriso sfibrato che nasconde il
dolore.
Albus trema ma non cede, e il sorriso di Gellert è sempre un po’ più
acuminato.
È un’estate in rovina, che si snoda tra progetti di immortalità e la
comunione
con un’anima con cui Gellert spera di vivere per sempre – ma la
notte nei
suoi pensieri c’è la bambina spezzata col viso impassibile e le dita
piene di
lividi, la bambina misteriosa che squarcia i narcisi bianchi, soltanto
narcisi
bianchi.
Gellert non sa resistere, così un giorno si avvicina ad Albus e chiude
il libro
che lui tiene tra le mani – il suo compagno trema e solleva gli
occhi
azzurri sul suo viso, Gellert pensa che detesta quegli occhiali (sono
una
finzione, una barriera, e lui deve avere tutto di Albus, tutto quanto),
così
glieli sfila di dosso senza esitazione.
“Voglio sapere che cos’è successo ad Ariana.”
Albus s’irrigidisce, esita. Il suo sguardo si allontana dallo straniero
dagli
occhi verdi e vaga per la stanza, ma non può fare a meno di precipitare
di
nuovo su di lui quando intuisce che sta indossando i suoi occhiali.
“Cosa stai facendo?”
“Mein Gott, Albus, sei praticamente cieco.”
“Gellert.”
“Cosa c’è?”
Il sorriso dello straniero è abbagliante, l’espressione severa di Albus
si
scioglie appena.
“Sii serio.”
“Pensavo avessimo bandito i discorsi seri” allude Gellert, come fosse
un caso,
ma i suoi occhi verdi come un’aurora boreale lo inchiodano, “Altrimenti
mi
diresti ciò che voglio sapere.”
Albus tace, sconfitto
– ha il suo sorriso nascondi-dolore sul volto, ma sembra più che
stia
piangendo.
A Gellert fanno male le labbra dal piacere lacerante che prova nel
vederlo
cedere, a lui, come ogni volta – come sempre.
“Come posso pensare di condividere con te il mio grande
progetto, se non
ti fidi di me nemmeno abbastanza da raccontarmi qualcosa di così
importante?”
Albus sospira – non vuole cedere, non vuole disseppellire tutto
quel
marciume, il dolore si nasconde dietro un sorriso, sua madre gliel’ha
insegnato
quando a cinque anni si è scorticato un ginocchio giocando sulla riva
del fiume
e lui non l’ha mai dimenticato.
Gellert soffoca l’impazienza affondandosi i denti nelle labbra –
lo
sguardo di Albus precipita sulla sua bocca – e gli afferra le mani.
La pelle di Albus è
liscia, fredda – ha sempre le mani fredde. Albus sorride, incerto –
per
nascondere il dolore?
“Come posso pensare
di affidarti la mia vita, se non credi in me?”
Gli occhi di Gellert sono sgranati e verdissimi e commoventi. Albus
trema, trema, trema, ma il suo volto resta impassibile come
quello della
sorella che non ama affatto.
“Io credo in te, Gellert, tu sei...”
Irresistibile.
“Dimostramelo.”
“Gellert...”
“Albus.”
Lo straniero quasi non sa dire d’averlo deciso, quando allontana con
uno scatto
le dita dalle sue. Un lampo di dolore attraversa lo sguardo di Albus,
sostituito dalla confusione, quando quelle mani pallide gli si chiudono
contro
le guance.
La bocca di Gellert gli si schianta addosso, divora quel sorriso
cortese che
gli hanno insegnato a incidersi sul viso quando qualcosa fa male,
e
Albus ha a malapena il tempo di sussultare prima di trovarsi a
stringerlo a sua
volta.
Gellert si separa da lui col respiro corto – guarda la sua bocca
arrossata e
sa d’averlo baciato perché lo voleva, ma sa anche che per la bambina
spezzata e
il suo mistero niente sarebbe un prezzo troppo alto, niente di niente,
ed è un
pensiero che lo fa impazzire.
Albus sorride di un sorriso pulito, limpido – niente ombre, niente urla.
Lo straniero pensa che lo preferisce quando è meno radioso, quando la finzione
gli sporca il viso – perché lui la riconosce, lui la scova, lui lo sa
che
sorride per nascondere il dolore, e lui ama essere l’unico in
grado di
capirlo.
“Te lo racconterò” concede Albus, sfiorandogli la tempia con la
punta delle
dita.
Gellert crolla il capo contro il suo polso e respira il suo odore, ad
occhi
chiusi – nei suoi ricordi, la bambina spezzata sorride, trucidando
i
narcisi.
Note
dell’Autrice
Eccomi di nuovo
qui! Intanto ringrazio tutti voi che
state seguendo la mia storia, mi rendete felice.
In questo capitolo, tutto dedicato alla Grindeldore, si delinea meglio
il
rapporto tra Albus e Gellert, fitto di ombre e dubbi come loro: Gellert
ha
baciato Albus perché lo voleva, ma anche perché sa di esercitare meglio
il suo
ascendente su di lui così, e vuole sapere cos’è successo ad Ariana ad
ogni
costo. Ve lo dirò, ma dovrete pazientare!
Ah, “Mein Gott” in tedesco è “Mio Dio”.
A venerdì!
Mary