Il ballo dei narcisi

di Mary Black
(/viewuser.php?uid=22074)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Longanimity

pazienza o tolleranza di fronte alle avversità


Albus non gli crede, non crede che ciò che ha proposto sia possibile, ma a Gellert non importa, ha imparato ad essere tollerante – il mondo si spezza sempre sotto la sua volontà, e stavolta non sarà diverso, lui si spezzerà sotto la sua volontà.
Gellert siede in giardino, fissando la bambina dalle mani magre che trucida i fiori. I suoi fratelli stanno litigando nel salone, le voci arrivano attutite dalla porta lasciata schiusa, ma lei sembra tranquilla. Ogni volta che alza lo sguardo velato sullo straniero dagli occhi verdi, si scioglie in un sorriso luminosissimo.
Le si avvicina appena, allunga una mano per sfiorarle i capelli – lei pare quasi non accorgersene, le dita piene di lividi che, instancabili, cercano di intrecciare corone di narcisi e falliscono.
“Era solo una maledetta bambina, e tu hai il coraggio di dare la colpa a lei?”
“Non intendevo niente del genere, Aberforth, come sempre sembri fraintendere ogni mia parola. È una predisposizione alla stupidità, la tua, o lo fai di proposito, solo per indispettirmi?”
“Mi disgusti.”
Il sopracciglio dorato di Gellert si inarca appena. I movimenti della ragazzina si fanno più convulsi, nevrotici come un tic.
“Era solo una maledetta bambina...”
Gellert le sfiora i capelli, seguendo il profilo sfuggente di una tempia – lei trema appena, come suo fratello ogni volta in cui lui gli affonda i denti nella gola, e Gellert si martoria un labbro al pensiero di quanto il mondo sia un posto atroce, un posto atroce che deve essere ricondotto sulla retta via, ma ci penserà lui, ci penseranno loro, sarà una rivoluzione grandiosa.
Ariana si lascia sfuggire un sospiro evanescente, mentre ascolta le voci dei suoi famigliari alzarsi sempre di più. I narcisi iniziano a vibrare attorno a lei, come se fossero attraversati da una febbrile smania di alzarsi in volo e danzare – come quand’era una bambina di sette anni che giocava nel boschetto di betulle a pochi passi da casa, come quand’era una bambina di sette anni che amava intrecciare corone di fiori, di narcisi bianchi, soltanto narcisi bianchi.
“Sei un essere ripugnante! Tu e quello straniero dalla faccia arrogante che porti sempre in casa nostra.”
“Smettila immediatamente, Aberforth. Gellert non ti ha mai mancato di rispetto e non vedo proprio perché tu debba rivol-”
“Credi che non vi senta, la notte? Credi che non sappia che dorme nel tuo letto?”
“Tu non sai proprio niente, tu non capisci niente.”
“Io invece penso di capire fin troppo.”
Le urla della lite ormai sono così forti che si sentono fino in strada, Ariana inizia a dondolare su se stessa, gemendo piano. Gellert la fissa, diviso tra il desiderio di correre in casa per ridurre in silenzio quel miserabile ragazzino e la consapevolezza di dover restare insieme a lei – perché Albus sa difendersi, mentre lei invece no, non quella bambina innocente che faceva volare le corolle che spezzava per errore, non quella bambina che rideva forte (troppo forte) attirando disgrazie.
Lei trema sempre di più, lo straniero sente la rabbia crepitare appena sotto pelle, così le afferra il mento e solleva quel suo volto inespressivo verso di sé. È la prima volta che le è così vicino, è la prima volta che la tocca, il suo sguardo assente lo fa rabbrividire – un affronto insopportabile e un ostacolo insormontabile –, la sente respirare contro la propria bocca e i brividi gli straziano la nuca.
“Sei solo un ragazzino ingrato!”
“E tu un vigliacco, e anche un illuso!”
Ariana geme, è un suono pietoso a metà tra un singhiozzo e un sussurro – ma lei non parla, non parla più da quando quei ragazzini Babbani sono arrivati nella radura e le hanno chiesto che cosa stesse facendo, come mai i fiori danzassero nel cielo tutt’intorno a lei e perché ridesse così forte, e lei (ha solo sette anni è una bambina non sente il pericolo) ha risposto “Lo so fare da sempre, è il mio retaggio”, così orgogliosa di poter usare correttamente una di quelle parole difficili che suo fratello Albus si diverte sempre a insegnarle, ma non lo sa, che saranno le ultime parole che dirà, non lo sa che è la risposta sbagliata, lei sta ancora ridendo quando il primo calcio le strappa un gemito e i narcisi crollano a terra, inerti.
Gellert si china di più su di lei e le accarezza il viso – i fiori squarciati che li circondano vibrano, lei ha gli occhi sgranati, enormi, folli, ma lo straniero non perde la speranza, le avversità si aggirano si demoliscono si smembrano, e lui non sa portare pazienza ma sa essere tollerante.
“Ti piacerebbe sentire una storia, Ariana?”
Lei non risponde – non può – ma la bocca non le trema più.

Lo straniero le parla con quella voce dolce, e Ariana lo ascolta, incantata.
Lui descrive un mondo perfetto in cui nessuno le farà mai più male, dove i narcisi non smetteranno mai di volare – Gellert sogna un paradiso estinto in cui tutto è possibile, persino riportarla in vita, persino respirarle sulla gola.
Le parla finché non cala la sera, sordi alla lite che si sta consumando nel salone, e lei non maciulla i fiori e non guarda niente che non sia lui, le dita martoriate che riposano – magari i lividi guariranno, pensa lui, allontanandosi appena da lei quando sente una porta sbattere in lontananza.
Albus sosta sulla soglia, lo sguardo velato e l’espressione impassibile che allo straniero ricorda lei, e lo ascolta parlare per qualche minuto – non c’è niente di strano, Gellert ha una voce meravigliosa e lei sembra felice, con le mani magre che riposano sulla gonna sporca del verde dell’erba, non sono nemmeno vicini, ma sente comunque l’inquietudine bucargli lo stomaco.
Albus si chiede quanto lei capisca, ma non ha il cuore di fermare Gellert e le bugie al miele che le offre – è impossibile, vorrebbe urlare, invece si avvicina e affonda le dita nei capelli di lui in una carezza piena di dispiacere.
“Ama sentirti parlare.”
Gellert solleva lo sguardo, rivolgendogli un sorriso luminosissimo, prima di saltare in piedi e seguirlo al piano di sopra – i narcisi vibrano appena, abbandonati, ma tutte quelle crepe nessuno le nota.

 

 
 

Note dell’Autrice
Buonasera, cari lettori!
Torno con questo nuovo capitolo, in cui c’è l’ennesima lite, con risvolti diversi. Il senso di riproporre scene simili è far intuire al meglio la prigionia di Albus, e come Gellert la sovverta. Finalmente vi ho raccontato anche cos’è successo ad Ariana, anche se penso che ormai fosse intuibile.
Ah, spero si capisca, ma preferisco specificarlo lo stesso: Albus NON ha visto Gellert toccare Ariana, ma solo parlarle, ma è comunque inquieto senza sapersi spiegare perché.
Lasciatemi un parere, se vi va.

Mary





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3997526