Il ballo dei narcisi

di Mary Black
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Acrasia

mancanza di autocontrollo


Ogni giorno che passa, Gellert si deve murare vivo tra le lenzuola per impedirsi di andare da lei – ogni notte, sfinisce Albus di baci e morsi e spinte feroci, finché non crollano entrambi stremati, e lui s’addormenta senza forze in un sonno denso di incubi che s’interrompe sempre poco prima dell’alba.

La bambina spezzata è un’ossessione che gli sta divorando il senno, la sua frustrazione si attorciglia come una serpe sempre più furiosa. Vorrebbe andare via e trascinare Albus con sé, hanno una ricerca, hanno una missione, il maledetto mondo non si rivoluzionerà da solo, ma il suo unico amico esita – “Non li posso abbandonare”, mormora, e Gellert non lo deride solo perché lo ama troppo, troppo, ha perso la testa per lui (dimenticando persino quel suo corpo sbagliato), ma sa anche che non possono restare nascosti in quel villaggio inglese per sempre.
Così un pomeriggio lo straniero dagli occhi verdi si lascia vincere dai suoi stessi pensieri imbizzarriti e perde il controllo.
“Non possiamo continuare così, Albus. Dobbiamo trovare i Doni.”
L’altro sospira, torcendo il polso in un gesto convulso – vorrebbe toccarlo (ma non lo fa) e questo indispone Gellert ancora di più.

“Ho dei doveri qui, lo sai anche tu... Aberforth deve finire la scuola, e non posso lasciarla da sola...”

“Se ci sbrighiamo a trovare i Doni, Ariana potrà badare a se stessa.”
Lo sguardo di Albus si fa gelido, i suoi occhi azzurri sono inclementi e irriconoscibili – lo straniero se ne sente quasi attratto.
“Ancora con questa storia, Gellert?”

“Perché non mi vuoi credere, Albus? È la Bacchetta di Sambuco, può fare qualunque cosa!”
Il suo unico amico sbotta in un verso di sdegno, di acuto disprezzo, scuotendo i capelli ramati, l’espressione fredda così diversa da quelle adoranti che gli si scavano in viso ogni notte – ogni notte, quando lo implora di non fermarsi e Gellert deve farsi male per non immaginare il volto di lei sciogliersi come cera tra le sue mani.
“Non questa! Sei un sognatore.”
“Lo dici come fosse un insulto.”
“Gellert...”
Albus scuote il capo, in un misto di tristezza e rassegnazione, sollevandosi dal letto e dirigendosi alla finestra – solo per allontanarsi da lui.
Lo straniero non lascia perdere, non può – non sa dire nemmeno lui se insista per disperazione o per necessità, sa solo che non riesce a controllarsi, e che il suo unico amico non creda in lui è un dolore insopportabile, un tradimento troppo grande per poterlo perdonare.
“Possiamo salvarla! Sarà la prima d’un milione di vite rimesse insieme, sarà l’emblema della nostra vittoria, la rivoluzione, il miracolo! Sarà-”
“Non voglio ascoltarti.”
Gellert si zittisce, quando Albus gli sputa addosso quelle parole piene di sofferenza. Non vuole farlo soffrire, non vuole che lui sia triste – ma poi pensa alla bambina che infesta i suoi incubi e non riesce a tacere, anche se farà male a se stesso e a lui (e forse anche a lei).
“Perché non mi lasci semplicemente tentare?”
Gellert prova a ricondurlo alla ragione, raccogliendo il suo volto tra le mani e costringendolo a guardarlo. I suoi occhi azzurri sono freddi (ma velati di lacrime) e una morsa gli torce lo stomaco.
Albus si scosta da quella presa delicata e gli volta le spalle, il profilo rivolto al panorama oltre la finestra.
“La Bacchetta non la aggiusterà mai, Gellert.”
“Albus...”
“Ti prego, smettila di parlarne. Smettila di farmi male.
Quando Gellert lo stringe tra le braccia, Albus vi si lascia cadere senza una parola.

 

Lo straniero ha preso una decisione – ha scelto l’anima giusta nel corpo sbagliato, ha bandito la bambina spezzata e i suoi fiori in rovina dai propri pensieri, per sempre, per sempre, e non importa affatto che la sogni ogni notte e che la sente gemere (quei gemiti metà singhiozzi metà sussurri) in ogni angolo della casa, il controllo si perde ma si può anche addomesticare.

Al tramonto, non siede più in giardino a raccontarle di un mondo perfetto che non si realizzerà mai (quel futuro è perduto ce n’è un altro da scrivere e Albus sarà insieme a lui), non la guarda più stracciare i fiori. Sa che lei è lì, la porta che dà sul retro è sempre schiusa, ma non si volta più a cercare i suoi riccioli dorati con lo sguardo.

Le mani magre di Ariana, di nuovo bianche come porcellana, tornano lentamente a riempirsi di lividi, mentre i pomeriggi passano e lo straniero finge che lei nemmeno esista. Lui non torna mai e la ragazzina ricomincia a intrecciare corone di fiori, ma non ci riesce e si fa male, ancora e ancora e ancora. Smette di mangiare, piange ogni volta che Aberforth cerca di convincerla a inghiottire anche un solo boccone – Albus finge di non vedere o forse di non capire, e Gellert deve serrare le mani fino a conficcarsi le unghie nei palmi per costringersi a non tornare indietro (non può e non lo farà).
I narcisi vibrano sempre più spesso, quelle crepe tutti le notano ma nessuno le aggiusta.




Note dell’Autrice
E siamo quasi alla fine di questa piccola long, venerdì posterò il finale.
Spero che vi stia piacendo. Fatemi sapere!

Mary





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