Acrasia
mancanza
di autocontrollo
Ogni giorno che passa, Gellert si deve murare vivo tra le lenzuola per
impedirsi di andare da lei – ogni notte, sfinisce Albus di baci e
morsi e
spinte feroci, finché non crollano entrambi stremati, e lui
s’addormenta senza
forze in un sonno denso di incubi che s’interrompe sempre poco prima
dell’alba.
La bambina spezzata è
un’ossessione che gli sta divorando il senno, la sua frustrazione si
attorciglia come una serpe sempre più furiosa. Vorrebbe andare via e
trascinare
Albus con sé, hanno una ricerca, hanno una missione, il
maledetto mondo
non si rivoluzionerà da solo, ma il suo unico amico esita – “Non li
posso
abbandonare”, mormora, e Gellert non lo deride solo perché lo ama
troppo,
troppo, ha perso la testa per lui (dimenticando persino quel suo corpo
sbagliato),
ma sa anche che non possono restare nascosti in quel villaggio inglese
per
sempre.
Così un pomeriggio lo straniero dagli occhi verdi si lascia vincere
dai
suoi stessi pensieri imbizzarriti e perde il controllo.
“Non possiamo continuare così, Albus. Dobbiamo trovare i Doni.”
L’altro sospira, torcendo il polso in un gesto convulso – vorrebbe
toccarlo
(ma non lo fa) e questo indispone Gellert ancora di più.
“Ho dei doveri qui,
lo sai anche tu... Aberforth deve finire la scuola, e non posso
lasciarla da
sola...”
“Se ci sbrighiamo a
trovare i Doni, Ariana potrà badare a se stessa.”
Lo sguardo di Albus si fa gelido, i suoi occhi azzurri sono inclementi
e
irriconoscibili – lo straniero se ne sente quasi attratto.
“Ancora con questa storia, Gellert?”
“Perché non mi vuoi
credere, Albus? È la Bacchetta di Sambuco, può fare qualunque cosa!”
Il suo unico amico sbotta in un verso di sdegno, di acuto disprezzo,
scuotendo
i capelli ramati, l’espressione fredda così diversa da quelle adoranti
che gli
si scavano in viso ogni notte – ogni notte, quando lo implora di
non
fermarsi e Gellert deve farsi male per non immaginare il volto di lei
sciogliersi come cera tra le sue mani.
“Non questa! Sei un sognatore.”
“Lo dici come fosse un insulto.”
“Gellert...”
Albus scuote il capo, in un misto di tristezza e rassegnazione,
sollevandosi
dal letto e dirigendosi alla finestra – solo per allontanarsi da lui.
Lo straniero non lascia perdere, non può – non sa dire nemmeno lui
se
insista per disperazione o per necessità, sa solo che non riesce a
controllarsi,
e che il suo unico amico non creda in lui è un dolore insopportabile,
un
tradimento troppo grande per poterlo perdonare.
“Possiamo salvarla! Sarà la prima d’un milione di vite rimesse insieme,
sarà
l’emblema della nostra vittoria, la rivoluzione, il miracolo! Sarà-”
“Non voglio ascoltarti.”
Gellert si zittisce, quando Albus gli sputa addosso quelle parole piene
di
sofferenza. Non vuole farlo soffrire, non vuole che lui sia triste –
ma poi
pensa alla bambina che infesta i suoi incubi e non riesce a tacere,
anche se
farà male a se stesso e a lui (e forse anche a lei).
“Perché non mi lasci semplicemente tentare?”
Gellert prova a ricondurlo alla ragione, raccogliendo il suo volto tra
le mani
e costringendolo a guardarlo. I suoi occhi azzurri sono freddi (ma
velati di
lacrime) e una morsa gli torce lo stomaco.
Albus si scosta da quella presa delicata e gli volta le spalle, il
profilo
rivolto al panorama oltre la finestra.
“La Bacchetta non la aggiusterà mai, Gellert.”
“Albus...”
“Ti prego, smettila di parlarne. Smettila di farmi male.”
Quando
Gellert lo
stringe tra le braccia, Albus vi si lascia cadere senza una parola.
Lo straniero ha preso
una decisione – ha scelto
l’anima giusta nel corpo sbagliato, ha bandito la bambina spezzata e i
suoi
fiori in rovina dai propri pensieri, per sempre, per sempre, e non
importa
affatto che la sogni ogni notte e che la sente gemere (quei gemiti metà
singhiozzi metà sussurri) in ogni angolo della casa, il controllo si
perde ma
si può anche addomesticare.
Al tramonto, non
siede più in giardino a raccontarle di
un mondo perfetto che non si realizzerà mai (quel futuro è perduto
ce n’è un
altro da scrivere e Albus sarà insieme a lui), non la guarda più
stracciare
i fiori. Sa che lei è lì, la porta che dà sul retro è sempre schiusa,
ma non si
volta più a cercare i suoi riccioli dorati con lo sguardo.
Le mani magre di
Ariana, di nuovo bianche come
porcellana, tornano lentamente a riempirsi di lividi, mentre i
pomeriggi
passano e lo straniero finge che lei nemmeno esista. Lui non torna mai
e la
ragazzina ricomincia a intrecciare corone di fiori, ma non ci riesce e
si fa male,
ancora e ancora e ancora. Smette di mangiare, piange ogni volta
che
Aberforth cerca di convincerla a inghiottire anche un solo boccone –
Albus
finge di non vedere o forse di non capire, e Gellert deve serrare le
mani fino
a conficcarsi le unghie nei palmi per costringersi a non tornare
indietro (non
può e non lo farà).
I narcisi vibrano sempre più spesso, quelle crepe tutti le notano
ma
nessuno le aggiusta.
Note dell’Autrice
E siamo quasi alla fine di questa piccola long, venerdì posterò il
finale.
Spero che vi stia piacendo. Fatemi sapere!
Mary